lunedì 24 dicembre 2018

AUGURI DI BUONE FESTE


venerdì 21 dicembre 2018

GLI F35 SONO DIVENTATI BUONI! DA "IL MANIFESTO"


giovedì 20 dicembre 2018

PER UNA COALIZIONE POPOLARE, DOCUMENTO APPROVATO DALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PRC-S.E. IL 16/12/2018


Per una coalizione popolare, documento approvato dalla Direzione Nazionale del PRC-S.E. il 16/12/2018
Il movimento in Francia dei Gilet gialli contro Macron come le proteste in Ungheria contro la “legge sulla schiavitù” di Orban evidenziano che una medesima propensione neoliberista accomuna governi “europeisti” e “sovranisti”. L’ atteggiamento dei governi che Salvini indica come alleati a sostegno della Commissione Europea contro la timida manovra del governo italiano conferma che l’impianto di fondo delle politiche economiche di queste forze non è differente quanto appare nella propaganda che le destre usano per legittimarsi come “populiste” e antiestablishment. La tragicomica contrapposizione tra i proclami guerreschi di Salvini e Di Maio e la Commissione Europea si è tradotta con una retromarcia e un sempre più evidente atteggiamento dei partiti del governo gialloverde a rassicurare sia l’UE che la borghesia dei prenditori italiani.
Confermiamo il nostro rifiuto dei diktat della Commissione e dei parametri fissati nei trattati e nel fiscal compact e riteniamo gravissimo che l’opposizione parlamentare sia riuscita a fare peggio del governo in questa vicenda schierandosi a sostegno delle richieste di Junker e Moscovici.
La nostra critica della manovra è di segno opposto a quella che hanno ossessivamente ripetuto media, Confindustria, PD e centrodestra. Questa è una manovra che come con i precedenti governi prevede anche per il triennio 2018-2020 un avanzo primario e investimenti assolutamente insufficienti. Ribadiamo che il rispetto dei folli vincoli di bilancio europei contrasta con gli obiettivi che la Costituzione assegnava alla Repubblica prima di essere manomessa con l’introduzione del pareggio durante il governo Monti. Ma questo quadro di crescente impoverimento, elevata disoccupazione, crisi dello stato sociale, declino del paese viene aggravato dalla scelta di questo governo di continuare – come i precedenti – a non perseguire una politica fiscale progressiva come imporrebbe il dettato costituzionale e a non introdurre la patrimoniale. E il governo sta dimostrando anche sul piano del taglio alle spese militari e del no alle grandi opere che il “cambiamento” annunciato si rivela sempre più inconsistente. La miseria politica e morale dei “sovranisti” gialloverdi si è evidenziata con la mancata firma del Global Compact e con il voto a favore del Jepta, il trattato di libero scambio col Giappone nel parlamento europeo. Perseguitare gli immigrati è più facile che dire no agli interessi capitalistici.
Purtroppo se i partiti di centrodestra e centrosinistra che hanno occupato in posizione egemone lo spazio del governo negli ultimi 25 anni sono in crisi perché responsabili in tutta Europa – e soprattutto nei paesi del sud del continente – delle politiche che hanno impoverito le classi popolari e precarizzato il lavoro e l’esistenza, la crescita della Lega e di altre forze di destra razzista dimostra che la logica degli immigrati come capro espiatorio funziona in termini di costruzione del consenso soprattutto se basta poco per accreditarsi come difensori degli interessi popolari. Il governo non abolisce la legge Fornero, come promesso in anni di campagna elettorale, ma i risicati “quota 100” e “reddito di cittadinanza” non per tutte/i diventano bandiere da sventolare rispetto a un’opposizione classista e antipopolare che parla con la lingua di Confindustria.  Dai temi economici alla tav abbiamo visto saldarsi un’opposizione di sistema che vede insieme i partiti neoliberisti, la stampa, il mondo delle imprese e che a Torino si è ritrovata in piazza insieme alla Lega.
L’unica opposizione effettivamente alternativa rispetto a questo governo e soprattutto alle politiche della Lega di Salvini  è quella che si è espressa nelle mobilitazioni e nei movimenti contro il razzismo e il decreto “sicurezza”, solidale con i migranti e con chi si impegna nell’accoglienza e nel soccorso, delle donne contro il ddl Pillon, dei territori contro le grandi opere dal  Tap alla Tav. Da Riace a Lodi, dalla grande manifestazione antirazzista del 10 novembre allo straordinario corteo di “Non una di meno” alla manifestazione no tav dell’8 dicembre in questo autunno una parte del paese ha dimostrato di non accettare l’offensiva di destra di cui Salvini è protagonista con la complicità del M5S. E’ per lo sviluppo, l’autonomia e l’allargamento di questa resistenza che dobbiamo lavorare.
Il partito nei prossimi mesi dovrà proseguire l’ impegno sul terreno sociale con campagne su pensioni, lavoro, sanità, diritti, scuola evidenziando come non sia l’immigrazione ma lo strapotere del capitale e politiche a favore dei più ricchi che hanno prodotto l’impoverimento di sempre più larghe fasce della popolazione, l’elevata disoccupazione, la precarizzazione del lavoro. L’esempio francese dimostra che solo la ripresa del conflitto sociale costituisce un’alternativa al rancore indirizzato verso i più deboli e i più poveri.
In questi mesi il nostro partito ha dato il suo contributo e siamo stati in prima fila anche nella mobilitazione contro il risorgere del neofascismo, come testimonia l’approvazione da parte del parlamento europeo della risoluzione presentata dalla nostra compagna Eleonora Forenza. Ma non riteniamo praticabile alcuna logica di riproposizione del vecchio centrosinistra in chiave anti-Salvini e antiM5S, soprattutto se viene proposta da un PD che ha cinicamente consegnato le chiavi del governo alla Lega.
Se l’affermarsi in forme diverse di una destra sempre più fascistoide in tutto il mondo (Trump, Salvini, Orbán, Le Pen o Bolsonaro) è effetto della crisi prodotta dalle politiche neoliberiste dobbiamo lavorare per un’alternativa chiara rispetto a quelle politiche. E per questo si conferma la necessità di una collocazione in alternativa al PD e a quel che rimane di un centrosinistra che rimane anche dopo dimissioni di Renzi incapace di rimettersi in discussione sul piano programmatico e privo di personalità che incarnino una credibile rottura col passato.
In vista delle elezioni europee e del prossimo turno di elezioni amministrative e regionali proponiamo la costruzione in Italia di uno schieramento di sinistra e popolare alternativo a tutti i poli esistenti.
Da mesi ci confrontiamo con altre componenti della sinistra politica e sociale anticapitalista, antiliberista, ambientalista, civica indicando la necessità di creare un polo popolare, aperto e unitario ma netto sul piano programmatico e del profilo politico di rottura che veda unite le soggettività politiche, sociali e civiche che si battono per l’attuazione della Costituzione, che in questi anni hanno resistito e difeso diritti e beni comuni e che lavorano per costruire un’alternativa a questo governo e a un’opposizione delegittimata anche in vista di eventuali elezioni politiche anticipate.
L’appello lanciato da Luigi De Magistris e l’assemblea di Roma del 1 dicembre vanno nella direzione che auspicavamo da tempo senza nasconderci che vi sono elementi di cultura politica e di storia che ci differenziano ma anche un comune impegno che ci ha visto condividere non solo fin dall’inizio l’esperienza napoletana ma anche collocati sulle stesse posizioni nelle vicende degli ultimi anni.
Continuiamo quindi a lavorare per una coalizione sociale e politica che ci veda uniti sul terreno elettorale con Dema, Sinistra Italiana, Diem, L’Altra Europa, “Potere al popolo”, Pci, Cobas, Sinistra Anticapitalista, Partito del Sud, le tante liste civiche di sinistra e tutte le realtà politiche, sociali, culturali e sindacali che sentono l’urgenza di costruire un’alternativa sul piano europeo ed anche nazionale. La forza della proposta dipenderà dalla capacità di coinvolgere la parte del paese che in questi mesi è andata mobilitandosi e un diffuso tessuto di attivismo, se diventa un movimento popolare e non una mera sommatoria di sigle. Una lista unitaria non può che essere collocata sul piano europeo in alternativa tanto a nazionalisti e razzisti quanto ai trattati UE e alla governance neoliberista. Anche per queste ragioni riteniamo necessaria la collocazione del nostro progetto nel GUE/NGL, in alternativa a  Partito Socialista Europeo e SD che sono stati pilastri della grande coalizione e dell’austerità.
Non partiamo dall’anno zero: il lavoro svolto dal GUE e dalla nostra parlamentare in questa legislatura – dentro e fuori il Parlamento Europeo – sono a disposizione del nostro progetto, bene comune da valorizzare e a cui dare continuità nella costruzione della listaLavoriamo dunque in Europa e in Italia alla massima confluenza politica e programmatica fra le forze politiche e sociali che si riferiscono al GUE/NGL (Sinistra Europea, dichiarazione di Lisbona, partiti comunisti) e anche verso nuovi progetti antiliberisti che possono ritrovarsi in quello spazio politico come Diem25.
Non pratichiamo il settarismo e riteniamo l’unità – nelle lotte come nel momento elettorale – un dovere. Ma diventa efficace solo se si sostanzia in un progetto politico coerente, comprensibile, credibile che tenti di porsi in connessione con milioni di persone. Svilupperemo ogni possibile iniziativa nei confronti ditutte le soggettività antiliberiste e anticapitaliste coinvolgibili per determinare la più ampia e collegiale partecipazione alla proposta di coalizione popolare.
La Direzione nazionale dà mandato alla segreteria di proseguire nelle prossime settimane, in stretto rapporto con l’insieme del partito, nel lavoro di confronto  con la proposta lanciata da De Magistris.  Occorre definire in tempi brevi il  piano programmatico, delle regole condivise, del profilo politico, del simbolo, della collocazione alternativa ai “socialisti europei”, dell’accesso autonomo del PRC al 2×1000, per agire concretamente i primi passi della proposta in vista delle elezioni europee.

lunedì 10 dicembre 2018

12 DICEMBRE 2018 - CORTEO P.ZA S. BABILA ORE 18.30 - NOI NON DIMENTICHIAMO



Non dimentichiamo le stragi di ieri e quelle di oggi
Pubblicato il 14 dic 2018
Non ha dimenticato, Milano, il pomeriggio del 12 dicembre 1969. Non ha dimenticato i suoi morti, ucciso da una bomba fascista con la completa dello Stato, non ha scordato l’assassino di Giuseppe Pinelli assassinato nei locali della Questura di Milano.
Giovani e anziani, nonostante l’orario e il freddo, erano in piazza ieri a ricordare la strage di Stato e quei morti che non hanno ancora avuto giustizia. A Giovanni Arnoldi, Giulio China,Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè e a Giuseppe Pinelli, è andato il nostro pensiero. Alle loro famiglie i nostro rispettoso silenzio. Ieri il presidente della Camera Roberto Fico ha chiesto scusa per i tanti depistaggi e per la mancata vicinanza dello Stato in questi anni.
Noi, con coerenza abbiamo voltato le spalle perché accanto alle scuse per i morti di eri vorremmo le scuse anche per le migliaia di vittime che contiamo nel Mediterraneo, a quelli che vengono ammazzati nei lager in Libia. Stragi di Stato anche quelle, quotidiane e giustificate dal Governo del quale Fico rappresenta il volto umano. Ben poco di umano però hanno le leggi approvate fino ad oggi, che colpiscono là fasce più deboli, che ledono i diritti sociali e individuali, che indeboliscono lavoratrici e lavoratori.
Noi abbiamo deciso da tempo da che parte stare: da quella di chi non si fa irretire dalle buone parole che nascondono pessime azioni. Abbiamo attraversato il centro di Milano fianco a fianco ai giovani, ai movimenti e alle associazioni che ricordano il passato senza retorica ma con lo sguardo ben fisso al presente. Al nostro posto. Come sempre

Segreteria PRC – Milano

lunedì 3 dicembre 2018

SABATO 8 DICEMBRE CORTEO NO TAV


Torino – Ezio Locatelli (Prc-Se): Confindustria non la dia a bere. Quella del Tav in Valsusa non è crescita ma speculazione

Mistificatorio e anche un po’ ridicolo. Parlare della Tav Torino Lione come di un investimento per la crescita e lo sviluppo del Paese è come parlare dei cavoli a merenda. Questo è quanto fatto dalle dodici associazioni imprenditoriali che si sono ritrovate oggi a Torino. Fa niente se l’opera oltre che inutile, distruttiva ha costi enormi. L’importante è farla e chi se ne frega, in questo caso, del debito pubblico! Il motivo di fondo lo spiega bene un rappresentante di una delle associazioni imprenditoriali presenti: “non solo gli appalti e i subappalti del cantiere ma le stesse opere di compensazione possono essere un’occasione di crescita per le imprese”.
Più chiari di così non si poteva essere. L’opera s’ha da fare non perché utile, necessaria – c’è già una linea ferroviaria veloce, peraltro sottoutilizzata – ma perché doppiamente conveniente per i costruttori, le imprese, i faccendieri chiamati alla realizzazione dell’opera e, al tempo stesso, alla realizzazione delle opere compensative per i danni causati.
E’ indecente che in un Paese che ha intere aree terremotate, in dissesto idrogeologico, privo di collegamenti decenti, di servizi primari, privo di politiche industriali si continui a pensare la crescita in termini di opere speculative, di profitti privati, di cementificazione del territorio, di riduzione dei diritti del lavoro – un modello obsoleto – e non sulla base di investimenti in attività ambientalmente e socialmente utili, di produzione di beni collettivi.
Signori della Confindustria smettetela di presentarvi come gli assertori della politica del fare. Come Rifondazione Comunista parteciperemo alla manifestazione No Tav dell’8 dicembre non solo per ribadire la nostra ferma opposizione a un’opera inutile e dannosa ma per chiedere un cambio radicale delle scelte politiche ed economiche, scelte che mettano finalmente al centro l’interesse pubblico e non quello dell’affarismo privato.

Torino, 3 dicembre 2018









giovedì 15 novembre 2018

NO AI DIKTAT DELLA UE MA LA MANOVRA NON VA BENE!


No ai diktat della Ue ma la manovra non va bene!
NO ai diktat della UE
Noi non contestiamo la manovra del governo perché non rispetta i diktat della UE, come fanno FI o il PD: alle politiche di austerità ci siamo sempre opposti, per cambiare radicalmente l’Europa.
Abbiamo detto NO subito al Fiscal Compact di cui oggi la UE chiede l’attuazione: perché era facile prevedere che quelle politiche avrebbero aumentato povertà e disoccupazione, senza migliorare ed anzi peggiorando i conti pubblici. E’ quello che è avvenuto dal 2011 con l’intensificarsi delle politiche di austerità: la povertà assoluta che nel 2011 colpiva 2 milioni e 600mila persone, oggi ne colpisce oltre 5 milioni, l’occupazione è solo precaria, si sono tagliate pensioni, sanità, scuola, diritti del lavoro.
Le politiche di austerità hanno fallito anche l’obiettivo di migliorare i conti pubblici, perché il taglio degli investimenti e della spesa sociale ha ridotto la crescita del Pil ed ha così aumentato il peso del debito: era il 116% del Pil nel 2011, ora è il 132%.
Da sempre diciamo che è giusto non rispettare i vincoli del Fiscal Compact: su questo il governo non sbaglia, sbaglia la UE.
Ma la manovra non va bene
1. Sono inaccettabili le politiche fiscali. Diciamo NO al condono in un paese che ha 110 miliardi di evasione annua: solo recuperandone 1/3 cambierebbe davvero il paese! Diciamo NO alla Flat Tax. NO a nuove riduzioni delle tasse sui profitti delle imprese: l’ha già fatto Renzi e non è vero che aumentano gli investimenti privati! Ci vuole invece una patrimoniale sulle grandi ricchezze: per reperire risorse per investimenti pubblici.
2. Non c’è nulla per creare lavoro, con diritti e salari dignitosi! Non è vero che si è recuperato il lavoro perso con la crisi: sono solo aumentati i lavori brevissimi, precari e sfruttati.
Ci vuole un piano per la riconversione ecologica dell’economia: per il rischio idrogeologico e sismico, l’efficienza energetica e le rinnovabili, la mobilità sostenibile e il diritto all’abitare. Ci vogliono nuove assunzioni in tutto il settore pubblico: sanità, scuola, cultura, trasporti. Ci vuole la riduzione d’orario, perché l’automazione non produca nuova disoccupazione.
3.Quota 100 è meglio della legge Fornero, ma penalizza precari e donne.
E’ giusto che si intervenga sulle pensioni cambiando una delle leggi peggiori che ci siano mai state. Ma quota 100 non è la promessa abolizione della legge Fornero: nessun precario raggiugerà mai 38 anni di contributi, come non li raggiungono le donne su cui si scarica gran parte del lavoro di cura. E sarebbe gravissimo se si penalizzassero i lavoratori colpiti dalla crisi che hanno usufruito degli ammortizzatori sociali. La legge Fornero va abolita sul serio!
4. E’ giusto che ci sia un reddito garantito, ma che reddito è?
Tante persone in difficoltà aspettano il “reddito di cittadinanza” che è una misura giusta. Ma il modo in cui il governo pensa di realizzarlo lo trasforma in un nuovo strumento di ricatto: per obbligare ad accettare qualsiasi lavoro, anche povero e senza diritti, e magari per dare altri soldi alle imprese!
5. Il governo non ha ripristinato l’articolo 18. Invece ha potenziato i voucher.
Lottiamo X un vero cambiamento!

lunedì 12 novembre 2018

10 NOVEMBRE, UNA PIAZZA DI CUI AVEVAMO BISOGNO



10 novembre, una piazza di cui avevamo bisogno
Stefano Galieni*
Quante/i eravamo? 50 mila? 70 mila?, 40 mila come scrive il Manifesto o 100 mila o come riporta un giornale di solito non totalmente affine come Repubblica? Importa poco. Importa il fatto che, nonostante le numerose difficoltà organizzative, gli scarsi mezzi (le grandi organizzazioni si sono ben guardate dal sostenere una manifestazione incontrollabile e plurale), nonostante i blocchi dei pullman, con le forze dell’ordine impegnate anche a perquisire i panini, a identificare e fotosegnalarer i manifestanti, rallentandone inutilmente l’arrivo a Roma, la piazza si è riempita. Le strade sono state invase da un pezzo di paese nuovo, meticcio, plurale, che spesso non ha ancora appartenenza ma che non vuole il decreto Salvini come rifiutava quello del suo predecessore Minniti, che non vuole gerarchie stabilite sulla base della provenienza che spesso celano pi profonde di classe e di genere. Le oltre 450 realtà che hanno aderito e partecipato non hanno faticato a trovare, in piazza, un minimo comune denominatore che non si basa solo sul rifiuto di razzismo, fascismo, sfruttamento, patriarcato e omofobia, ma che provano a immaginare idee (il plurale è fondamentale) diverse di società in cui vivere.
La manifestazione degli “indivisibili” del 10 novembre stata una tappa, un primo risultato tangibile di come ci si possa unire senza dovere rinunciare alle proprie specificità ma in cui ci si possa contaminare e crescere. Ne avevamo bisogno noi, ne hanno bisogno estremo coloro che più subiscono le politiche repressive e fascistoidi imperanti, ne ha bisogno anche quella gran parte di paese che sabato in piazza non c’era e che di questa energia dispiegata non saprà mai nulla. Si perché gli “indivisibili” sono diventati “invisibili” per gran parte del circo  mediatico nostrano (rare le eccezioni), meglio parlare di destra e sinistra borghese che si incontra per affermare l’importanza del business della TAV (chissà se i pullman dei loro manifestanti sono stati sottoposti a controlli), meglio parlare delle love story nel jet set, meglio distrarre e disinformare piuttosto che raccontare di un paese che è con Mimmo Lucano, con i bambini di Riace, con le Ong, per l’accoglienza e contro il razzismo. Curioso come abbiano trovato spazio per parlarne su Le Monde e meno sui nostri mezzi di comunicazione. Ma in fondo ci siamo abituati e forse anche rassegnati a questa narrazione distorta.
Ma fra gli indivisibili / invisibili scesi in piazza a Roma c’eravamo anche noi ed è giusto parlarne. Credo che questa manifestazione sia stata per noi, per il nostro travagliato partito, un toccasana. Ci ha ridato orgoglio, ci ha fatto sentire un corpo solido, restituito il senso di comunità, complessa, tormentata, a tratti disorientata ma ci siamo stati con tutte le nostre forze e la nostra voglia, le nostre competenze e la nostra storia.
Dovremmo ragionarne meglio. Era da tempo che non eravamo così tante/i dietro il nostro striscione o dispersi, con le nostre bandiere nel corteo, tanto tempo che non ci ritrovavamo, dal nord est alla Sicilia, non per discussioni e analisi ma per assolvere al nostro ruolo di Partito della Rifondazione Comunista capace di suscitare allegria con la musica trascinante sparata dai giovani, carica e voglia di agire, connessione sentimentale, verrebbe da dire – scomodando i giganti – con chi in piazza c’era e si è accorto di noi. Ci siamo stati e ci siamo, necessari e indispensabili ma non sufficienti a riempire quel bisogno di rappresentanza di classe che questo paese richiede. Ci siamo stati e sappiamo esserci quando siamo in grado di capire quale è l’elemento dominante su cui concentrare la nostra attenzione e il nostro agire. Rifondazione Comunista è ancora questo, orgoglio e non boria, voglia di futuro e non reducismo identitario, capacità di connettersi con la realtà rifiutando di cadere nella ricerca di facile consenso e voglia di misurarsi senza crollare in forme inutili di politicismo. Rifondazione, nella sua pluralità di sguardi e di vedute, è anche e soprattutto questo, mantiene la voglia di sperimentarsi con generosità e contemporaneamente riconosce le proprie caratteristiche strutturali che non sono solo di partito ma e soprattutto di storia comune condivisa.
La piazza del 10 novembre ci ha dato una risposta interessante, altre piazze ci aspettano, magari non ci vedranno presenti con le stesse  modalità, mobilitazioni studentesche, contro la violenza sulle donne o ci rimetteranno visibilmente in gioco,  si pensi a quelle in programma contro i nuovi CPR per migranti o alle giornate No TAV come alle tante occasioni che avremo per riproporci a livello locale e nazionale, contro questo governo, contro i diktat europei per proporre una idea diversa e possibile di società. Ricordiamola la piazza del 10 novembre perché, con tutti i nostri limiti, in questa giornata, come tante altre volte in passato, siamo stati percepiti come utili e necessari. Per questo dobbiamo tutte/i ringraziarci a vicenda, per averci creduto, aver faticato ed averci messo la faccia. Anche questo ci fa bene.
*Responsabile Pace, Immigrazione e Movimenti PRC-S.E.



giovedì 8 novembre 2018

10 NOVEMBRE, RIEMPIAMO LA PIAZZA DELLE/GLI INDIVISIBILI



10 novembre, riempiamo la piazza delle/gli indivisibili
Stefano Galieni*

Mancano pochi giorni alla prima manifestazione nazionale indetta contro questo governo e contro le sue politiche razziste, che colpiscono i più deboli, chi si oppone, chi non accetta un ritorno ad una società patriarcale prenovecentesca, e all’apartheid diffuso. Una manifestazione nata timidamente, attorno a compagne e compagni diversi nelle loro appartenenze politiche e con storie spesso entrate in conflitto ma che, di fronte al governo Salvini, perché di questo si tratta, stanno trovando la forza di unire gli sforzi.
Di questo mondo frammentario e plurale, che dovrà sicuramente compiere dei passi in avanti in termini di analisi e di riflessioni politiche, ma che ritiene importante riprendere la parola qui ed ora, Rifondazione Comunista è parte integrante e considerata preziosa.
Il 10 novembre a Roma, (Partenza alle ore 14.00 da Piazza della repubblica e arrivo a Piazza S.Giovanni), devono essere tante e tanti le compagne e i compagni di Rifondazione comunista a
costruire un unico grande spezzone con le nostre bandiere. Non per una semplice ragione di affermazione di identità e non solo per ritrovarci finalmente in un momento comune di mobilitazione. Ma perché la nostra storia antirazzista ci rende indispensabili alla crescita di un movimento aperto, capace di contaminare e contaminarsi, in grado di stabilire le nette connessioni fra razzismo,
xenofobia e sfruttamento. Saremo in piazza per portare le nostre parole contro le diseguaglianze sociali prodotte dalle politiche neoliberiste di cui la condizione di subalternità che si impone a migranti e rifugiati è la cartina di tornasole per definire l’impianto sociale imposto dalle classi dominanti. Una gerarchia rigida che separa radicalmente chi ha il diritto di prendersi tutto da chi non deve aver diritto a nulla. Chi deve continuamente temere di essere
sottoposto a sgomberi, provvedimenti repressivi come i Daspo, condanne per disobbedienza civile e sociale da chi commette nell’impunità più assoluta crimini contro l’umanità, rimandando profughi nei lager libici o sottraendo risorse della collettività per fini privati. Una manifestazione che nel voler rappresentare l’opposizione alle 80 pagine di odio puro del Decreto Salvini, intende mettere sullo stesso piano sfruttate e sfruttati a partire da condizioni individuali e sociali, da discriminazioni subite sul posto di lavoro o nella ricerca di un alloggio, di un reddito, del diritto ad un futuro.
La storia stessa di Rifondazione Comunista, di cui dovremo sovente essere più orgogliosi, racconta di come spesso siamo stati fra i pochi a tentare di interpretare i bisogni degli oppressi, senza voler costruire divisioni, gerarchie, senza accettare la religione neoliberista che ci vuole perennemente divisi. Occorre allora e anche in tempi brevi un nostro scatto d’orgoglio. Portiamola in piazza insieme questa nostra storia il10 novembre,
portiamola pensando al presente e al futuro di questo paese, di questa Europa ma anche di questo nostro prezioso partito. Portiamola sapendo di non essere autosufficienti, volendo continuare a batterci per una alleanza concreta di tutte le forze antiliberiste e anticapitaliste, ma senza rinunciare alle nostre prerogative, al nostro ruolo.
Che per una volta si abbandonino le ritrosie, si rinunci agli impegni personali e ci si faccia forza nonostante la stanchezza. Che ci si impegni insieme, per la riuscita tanto del corteo quanto della nostra presenza in piazza. Ne usciremo rafforzati tutti e tutte.

*Resp Pace, Movimenti e Immigrazione (PRC-S.E.)

P.S. per ulteriori adesioni 10novembre18@gmail.com Per informazioni ulteriori Pagina fb indivisibili o mail a stefano.galieni@rifondazione.it



SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA COSTITUZIONE


SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA COSTITUZIONE
Dl sicurezza. Il decreto è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere portato ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di migrazioni
Il voto del Senato sul decreto sicurezza è uno sfregio alla costituzione. Il governo, scegliendo di porre la fiducia, ha persino impedito al Parlamento di discutere delle palesi incostituzionalità delle norme che si dovranno obbligatoriamente votare nella versione imposta dal Consiglio dei ministri. Se neppure alla Camera verrà concesso di discutere modifiche al testo predisposto, sarà evidente la crisi del nostro sistema parlamentare. Che accadrà dopo la conversione in legge del decreto?
Spetterà prima al capo dello Stato, in sede di promulgazione, poi alla Consulta, in sede di sindacato incidentale, esprimersi sulla manifesta incostituzionalità delle norme. Non è detto dunque che la ferita inferta dal Senato alla costituzione non possa essere almeno in parte riassorbita, sempre che i garanti sappiano far sentire con coraggio e rigore la loro voce. Rimane in ogni caso il fatto inquietante che l’attuale maggioranza non sembra preoccuparsi minimamente dei limiti che la costituzione impone.
Eppure il decreto sicurezza è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere portato ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di migrazioni. Anzitutto lo stesso strumento prescelto vìola la costituzione e la giurisprudenza costituzionale in materia. Illegittimo è infatti l’uso del decreto legge per regolare fenomeni – quali le migrazioni – di natura strutturale che non rivestono alcun carattere di straordinarietà ed urgenza. Né può farsi valere in questa materia un’interpretazione estensiva dei presupposti costituzionali, che altre volte ha portato ad abusare dello strumento del decreto legge, poiché i dati relativi al calo dell’80 % degli sbarchi, vanto dell’attuale governo, in caso dimostrano la cessazione dell’emergenza. Si deve anche dubitare che siano stati rispettati due altri caratteri ritenuti essenziali dalla Corte costituzionale e dalla legge 400 del 1988: l’omogeneità e l’immediata applicabilità di tutte le disposizioni del decreto.
Ma è nel merito del provvedimento che si riscontrano le più insidiose incostituzionalità. In materia di migrazioni la nostra costituzione pone un principio fondamentale che non può essere in nessun caso disconosciuto: l’articolo 10 assicura allo straniero il diritto d’asilo. Secondo la consolidata giurisprudenza dei giudici ordinari esso si configura come diritto soggettivo perfetto attribuito direttamente dalla costituzione. Un Parlamento costituzionalmente orientato dovrebbe dare la massima attuazione del principio costituzionale, ma con i tempi che corrono ci si accontenta di molto meno. Ecco perché, in assenza di una normativa adeguata, la Cassazione ha indicato nella misura del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la «forma di attuazione» del principio costituzionale (da ultimo sez. I, n. 4445/18). Una soglia minima, dunque.
Non si può certo impedire che la normativa vigente sia precisata e, magari, migliorata; quel che si deve però senz’altro escludere è che essa possa essere eliminata. Ebbene il primo articolo del decreto sicurezza invece proprio questo fa: abroga la protezione umanitaria, sostituita da casi tassativi di permessi di protezione speciale. In tal modo si viola l’articolo 10.
Quante volte abbiamo sentito ripetere da esponenti politici di ogni tendenza che un’indagine giudiziaria non può essere pregiudizievole. La presunzione di non colpevolezza è un principio di civiltà, prima ancora che giuridico, di enorme valore, scolpito nel testo della nostra legge suprema all’articolo 27. E la nostra costituzione non fa certo differenza tra cittadini e stranieri (si riferisce in generale all’«imputato»).
Il decreto, invece, in evidente violazione con la richiamata disposizione costituzionale, permette la lesione dei diritti degli stranieri relativi alla difesa e impone l’obbligo di lasciare il territorio nazionale qualora essi siano sottoposti a procedimento penale per una serie di reati. Come se si fossero riscritti in un colpo solo tre articoli della costituzione (24, 27 e 113) ritenendo che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, senza poter essere considerati colpevoli prima della sentenza definitiva e senza limitazioni particolari per determinate categorie di atti. Tutti, salvo gli stranieri.
D’altronde la discriminazione nei confronti degli stranieri nel decreto non viene meno neppure quando questi abbandona il proprio status. Anche qualora riuscisse ad ottenere la cittadinanza italiana, non sarà mai considerato alla pari degli altri, a rischio di revoca nei casi di condanna definitiva per alcuni reati. Questa previsione appare in contrasto con due principi. Quello d’eguaglianza, introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione tra cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto della perdita della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22)
Potrei continuare a lungo, esaminando tutte le altre disposizioni del decreto, dal prolungamento della detenzione amministrativa nei centri di permanenze per il rimpatrio in contrasto con le garanzie legate alla libertà personale, alle diverse previsioni che confliggono con il principio di solidarietà, che vengono spazzate via dalla cancellazione dei sistemi di accoglienza pubblica (Sprar). Lo spazio di un articolo non consente di andare oltre. Il tempo della democrazia lo pretende.
GAETANO AZZARITI da “il manifesto”

mercoledì 31 ottobre 2018

PRC - COMITATO POLITICO NAZIONALE - DOCUMENTO APPROVATO


CONTRO COMMISSIONE EUROPEA, BCE E TRATTATI UE
CONTRO IL GOVERNO DI DESTRA
PER UN’ALTERNATIVA POPOLARE E DI SINISTRA
IN ITALIA E IN EUROPA
Lo scontro che si è aperto tra Commissione Europea e governo italiano riproduce su scala più larga quello già in corso con l’opposizione in parlamento. Il dibattito continua a essere polarizzato tra un governo “populista” che non mette in discussione il neoliberismo e chi lo attacca da posizioni di destra economica.
La Commissione Europea boccia la manovra del governo italiano in nome della prosecuzione dell’austerity neoliberista. Si tratta di politiche e diktat che – al contrario della Lega – abbiamo sempre contrastato e che hanno reso il nostro paese più povero e ingiusto.
Rivendichiamo la nostra opposizione ai trattati europei, al fiscal compact e all’insieme di misure attraverso le quali sono state imposte politiche antipopolari e il deficit democratico che caratterizza negativamente l’UE.
Siamo contro scelte e metodi della Commissione Europea e della BCE senza se e senza ma.
Questo non ci induce però a esaltare la manovra di un governo che premia gli evasori con un nuovo condono, diminuisce ancora le imposte sui profitti mentre non dà nulla alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti, fa nuovi e pesanti tagli che vanificano la propaganda sugli investimenti, non si preoccupa in nessun modo di creare nuova occupazione.
Persino il “reddito” diventa una misura che obbliga ad accettare qualsiasi lavoro e che forse si tradurrà in ulteriori ingenti trasferimenti di risorse alle imprese.
Mentre sulle pensioni, in attesa di conoscere il merito effettivo dei provvedimenti ad oggi ignoti, quota 100 non è l’abolizione della Fornero e non dà soluzioni né alle donne, né ai giovani.
Il governo cerca lo scontro con l’UE per accrescere il proprio consenso come presunto difensore della sovranità nazionale e degli interessi popolari. Operazione che risulta favorita dall’ottusità di un’opposizione Pd che invoca la troika e la fedeltà ai vincoli europei confermandosi come la migliore alleata di un governo egemonizzato da un partito di estrema destra.
Come accade su scala globale l’estrema destra si appropria in apparenza della critica alla globalizzazione neoliberista della sinistra radicale e dei movimenti cercando di accreditarsi come forza antisistemica e popolare.
Quanto sia poco credibile e contraddittoria questa operazione lo si constata dal fatto che in continuità con i precedenti governi Lega e M5s di fatto non mettono in discussione la precarizzazione restituendo potere contrattuale a lavoratrici e lavoratori e propongono la flat tax invece della patrimoniale e di una tassazione progressiva.
A livello europeo gli alleati di Salvini – dagli austriaci ai tedeschi – invocano il rigore contro la manovra italiana sulla base della medesima impostazione che caratterizza la Commissione a dimostrazione che non sono i nazionalisti xenofobi la risposta alla crisi dell’UE e del capitalismo neoliberista.
Le contraddizioni della maggioranza non ne riducono la capacità di raccogliere consenso intorno a un discorso che accompagna l’enunciazione della necessità di protezione sociale a un feroce programma razzista, sciovinista e anti-immigrati. E diventa sempre più evidente l’effetto del messaggio del M5S sull’irrilevanza della distinzione tra destra e sinistra o dell’antifascismo nel creare il terreno favorevole alla convergenza dei due elettorati.
In questo quadro emerge la necessità di un’alternativa popolare e di sinistra in Europa e in Italia, unico antidoto efficace contro l’avanzare delle destre e alla prosecuzione delle politiche devastanti sul piano sociale condivise da “socialisti”, popolari e liberali.
COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE SOCIALE E POLITICA
Sul piano sociale, dobbiamo lavorare tenacemente per la costruzione di un’opposizione a questo governo. Non sarà per nulla facile perchè questo governo si regge su un mix di xenofobia, razzismo e su una politica sociale intrisa d’interclassismo e di populismo. Si tratta di una formula che sarebbe ingenuo sottovalutare, pensando che questa coalizione di governo imploda per le sue intime contraddizioni. Occorre svelarne l’ambiguità e pericolosità avanzando proposte su cui costruire alleanze ed iniziativa, che il CPN individua prioritariamente in:
-progressività fiscale che alleggerisca il peso del prelievo per le fasce medio basse (di lavoratori sia dipendenti, sia autonomi) e lo accresca nelle fasce di reddito elevato (si veda fra l’altro l’esperienza in corso in Spagna);
- rilancio della proposta di un piano per il lavoro, in connessione con un programma di risanamento ambientale e la sicurezza reso sempre più urgente dai fatti di Genova e prevedendo un rilancio del ruolo pubblico in economia a partire dal Mezzogiorno e della ripubblicizzazione di servizi, infrastrutture e aziende strategiche;
- difesa dello stato sociale, dalla scuola alla sanità, che non sono per nulla sostenuti dalla manovra governativa;
- rilancio della rivendicazione dell’abolizione della legge Fornero, dell’introduzione di un vero reddito minimo garantito, della riduzione dell’orario di lavoro, di abolizione del Jobs Act e reintroduzione dell’articolo 18;
- contrastare le richieste di autonomia regionale rilanciate da governatori leghisti che penalizzano le regioni del meridione e accrescerebbero il già enorme divario tra il nord e il sud del paese;
- richiedere riduzione delle spese militari e una politica di pace e disarmo a partire dalla ratifica del Trattato ONU per la messa al bando delle armi nucleari e dalla presenza nel nostro paese di testate;
-difesa intransigente della democrazia e dei diritti contro ogni provvedimento securitario, sessista, antidemocratico, razzista e autoritario.
C’è bisogno di una opposizione di natura radicalmente diversa da quella del PD e dell’establishment. Un’opposizione alternativa a chi difende i provvedimenti e le “riforme strutturali” antipopolari dei governi precedenti, il rigore dei conti pubblici e la fedeltà a UE e NATO e così facendo rafforza il consenso popolare verso questo presunto “governo del cambiamento” che cambia poco e a volte pure in peggio.
Ma al tempo stesso non è introiettando le argomentazioni che hanno spostato a destra il senso comune di settori larghissimi del paese che si contrasta la deriva in corso e la saldatura di un blocco sociale dai contenuti reazionari.
Bisogna farlo senza cedimenti sul piano dei principi e dei valori alla disumana agenda politica di Salvini e dei suoi complici pentastellati e alle becere teorizzazioni che attribuiscono alle lotte per i diritti civili o in difesa dei migranti la responsabilità dello sfondamento della Lega tra i ceti popolari.
La mobilitazioni per la Diciotti e in difesa delle ong, a sostegno dell’esperienza di Riace e del compagno Mimmo Lucano o la solidarietà concreta a bambine/i di Lodi e più in generale quelle per e con i migranti sono state finora – insieme al movimento delle donne –le principali e più visibili opposizioni al governo.
Il movimento spontaneo cresciuto intorno alle proiezioni del film dedicato alla tragica storia di Stefano Cucchi dimostra che c’è in questo paese anche tra le giovani generazioni che non si lascia incantare dalla forsennata campagna sicuritaria.
La costruzione di un largo di opposizione ha bisogno del contributo politico, organizzativo e programmatico di Rifondazione, ma anche del suo ruolo di riconnessione dei soggetti. Proprio l’urgente necessità di costruire mobilitazioni di massa impone un atteggiamento teso a superare in avanti ogni settarismo e una frammentazione che persino sul terreno sociale impedisce una positiva cooperazione e ricombinazione tra soggettività differenti come accadde nella stagione del “movimento dei movimenti”. Non vi sono solo occasioni di conflitto diffuse, esiste l’emergere di movimenti anche nuovi con cui dialogare (si pensi alle iniziative e mobilitazioni messe in atto dagli studenti e dalle donne). Esistono non solo organizzazioni politiche ma anche e soprattutto reti, associazioni, movimenti, organizzazioni di massa come l’Anpi, l’Arci e la Cgil, la pluralità dei sindacati di base. Vi sono una pluralità di luoghi e di soggettività con cui bisogna sviluppare interlocuzione, rapporto, confronto, e verificare possibilità di mobilitazioni e iniziative.
POTERE AL POPOLO
Potere al popolo doveva essere uno spazio e una soggettività che alla connessione delle lotte e al conflitto sociale dava la massima centralità unendo sui territori attiviste/i provenienti da storie e organizzazioni diverse. Per questo avevamo deciso di proseguire il percorso dopo le elezioni del 4 marzo.
Abbiamo dolorosamente dovuto prendere atto dell’involuzione che è stata impressa al processo da una parte dei soggetti politici che con noi avevano promosso un anno fa la lista. Si è scientemente perseguito l’obiettivo di trasformare quello che doveva essere un movimento politico sociale unitario in un partito caratterizzato da una linea settaria di autosufficienza. Lo si è fatto attraverso una campagna sotterranea di attacco politico a Rifondazione Comunista e modalità di scontro che rappresentano l’opposto dello sforzo di costruire un contesto di lavoro unitario tra militanti e attiviste/i di diversa provenienza che aveva suscitato entusiasmo in una difficilissima campagna elettorale. Simile attacco è stato rivolto a tutte quelle forze organizzate e a soggetti collettivi o individuali che rivendicavano la necessità di mantenere un processo plurale e una democratizzazione a livello locale e nazionale di PaP. E’ stato un percorso che ha sottoposto il corpo militante del partito a uno sfibramento rilevante che non abbiamo saputo cogliere a sufficienza. Si tratta di una responsabilità che gli organismi dirigenti collegialmente si assumono.
Rifondazione Comunista – nonostante tutte le difficoltà, gli attriti e i limiti emersi nel corso del percorso – ha lavorato con la massima generosità per portare avanti il progetto prefigurato nel manifesto fondativo di costruire “Un movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono arresi”.
Questo progetto originario non c’è più. Siamo di fronte a un progetto politico diverso che intende usare la stessa sigla che ha ottenuto visibilità presentandosi alle elezioni politiche anche e soprattutto grazie all’impegno di Rifondazione Comunista.
Il CPN conferma il giudizio espresso nel documento approvato dalla Direzione Nazionale del 13 ottobre riguardo alle forzature antidemocratiche e alle violazioni palesi delle più elementari regole di correttezza che hanno reso impraticabile una già di per sé assurda consultazione su due statuti contrapposti. In qualità di soggetto co-fondatore di Potere al popolo non riconosciamo la legittimità di una consultazione falsata, di uno statuto che è stato bocciato dalla maggioranza degli aderenti che non hanno partecipato al voto, e degli organismi che verranno eletti su questa base.
Giudichiamo positivamente l’appello “Compagne e compagni” per rilanciare un percorso di confronto e attivazione di chi non ha condiviso la deriva di Pap.
Proprio perché non abbiamo abbandonato l’originaria ispirazione di Pap non intendiamo separarci da quanti/e hanno condiviso con noi quell’impegno e ci adopereremo per tenere in vita, in forma autonoma, la rete di relazioni politiche e sociali che in questi mesi si sono consolidate.
Il CPN ritiene quindi che non vi sono le condizioni per proseguire l’impegno politico diretto del nostro partito in quello che si ostinano strumentalmente a chiamare Potere al popolo.
PER UN’ALTERNATIVA DI SINISTRA E POPOLARE
Rifondazione Comunista non abbandona l’idea e il proposito della costruzione di una soggettività unitaria della sinistra anticapitalista e antiliberista in Italia radicata nelle lotte e nelle pratiche sociali. Continueremo a insistere, nel frammentato mondo della sinistra sociale e politica, in questa direzione. Sono evidenti le difficoltà di natura diversa che finora hanno impedito di concretizzare questo obiettivo. Nel corso degli anni abbiamo prodotto probabilmente l’elaborazione più avanzata su questo terreno anche grazie alla nostra internità al GUE e al Partito della Sinistra Europea e al confronto con le esperienze di altri paesi. Abbiamo costruito e partecipiamo a esperienze unitarie a livello nazionale e locale. Manteniamo questo obiettivo strategico ma da tempo indichiamo anche la necessità di una proposta politica che incida sul terreno politico ed elettorale e anche su quello delle mobilitazioni e della costruzione dell’opposizione in termini immediati.
Per fare un’opposizione efficace è indispensabile costruire una proposta politica e programmatica alternativa da rivolgere al paese. E questa proposta non può essere la riproposizione del centrosinistra.
Rilanciamo l’obiettivo di costruire uno schieramento di sinistra e popolare alternativo a tutti i poli esistenti  con le caratteristiche delineate nel documento del CPN del luglio scorso. Lo avevamo chiamato “quarto polo” ma non siamo affezionati alle definizioni quanto alla sostanza.
Nelle prossime elezioni regionali e amministrative – nelle forme proprie di quel tipo di consultazioni in cui contano molto le specificità territoriali – lavoriamo per la costruzione di liste e coalizioni alternative alle destre e al PD.
Il nostro obiettivo è quello di concretizzare alle elezioni europee questa proposta in una lista unitaria in Italia che raccolga tutte le soggettività di sinistra e di movimento che si collocano sul piano della critica radicale dei trattati europei e dell’UE. Con questo approccio Rifondazione Comunista lavora nel Partito della Sinistra Europea e nel GUE e sul piano nazionale.
In questi mesi abbiamo lavorato per concretizzare la proposta politica di costruire uno schieramento della sinistra popolare, civica, di classe, antiliberista, anticapitalista, ambientalista, femminista, civica, autonomo e alternativo rispetto al Pd responsabile, con le sue politiche, dell’avanzamento delle destre nel nostro paese. In questo schieramento e in questa lista unitaria pensiamo che possano e debbano ritrovarsi formazioni politiche come Potere al popolo, Dema, Diem, L’Altra Europa, le “Città in comune”, Pci, Sinistra Anticapitalista, e tutte le soggettività politiche, sociali, culturali e sindacali che sentono l’urgenza di costruire un’alternativa al governo LEGA-M5S e agli altri poli esistenti e ad una prospettiva comune sul piano europeo ed anche nazionale. Giudichiamo positive le posizioni assunte da Sinistra Italiana sulla collocazione nel Gue e nella Sinistra Europea. In questa direzione ci siamo confrontati in questi mesi con Luigi De Magistris e tante soggettività a partire dalla comune convinzione che nel nostro paese c’è bisogno di una proposta di netta rottura sul piano programmatico e del profilo politico quanto capace di essere inclusiva e larga, un progetto che sul piano europeo si collochi in alternativa tanto a nazionalisti e razzisti quanto ai trattati UE e alla governance neoliberista.
Il CPN impegna tutto il partito al massimo impegno nella mobilitazione e partecipazione alle manifestazioni nazionali delle prossime settimane: manifestazione antifascista del 3 novembre a Trieste, manifestazione antirazzista del 10 novembre a Roma, manifestazione del 24 novembre di “non una di meno”.
Il CPM assume relazione e conclusioni del segretario.

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