lunedì 24 dicembre 2018
venerdì 21 dicembre 2018
giovedì 20 dicembre 2018
PER UNA COALIZIONE POPOLARE, DOCUMENTO APPROVATO DALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PRC-S.E. IL 16/12/2018
Per una
coalizione popolare, documento approvato dalla Direzione Nazionale del PRC-S.E.
il 16/12/2018
Il movimento
in Francia dei Gilet gialli contro Macron come le proteste in Ungheria contro
la “legge sulla schiavitù” di Orban evidenziano che una medesima propensione
neoliberista accomuna governi “europeisti” e “sovranisti”. L’ atteggiamento dei
governi che Salvini indica come alleati a sostegno della Commissione Europea
contro la timida manovra del governo italiano conferma che l’impianto di fondo
delle politiche economiche di queste forze non è differente quanto appare nella
propaganda che le destre usano per legittimarsi come “populiste” e
antiestablishment. La tragicomica contrapposizione tra i proclami guerreschi di
Salvini e Di Maio e la Commissione Europea si è tradotta con una retromarcia e
un sempre più evidente atteggiamento dei partiti del governo gialloverde a
rassicurare sia l’UE che la borghesia dei prenditori italiani.
Confermiamo
il nostro rifiuto dei diktat della Commissione e dei parametri fissati nei
trattati e nel fiscal compact e riteniamo gravissimo che l’opposizione
parlamentare sia riuscita a fare peggio del governo in questa vicenda
schierandosi a sostegno delle richieste di Junker e Moscovici.
La nostra critica
della manovra è di segno opposto a quella che hanno ossessivamente ripetuto
media, Confindustria, PD e centrodestra. Questa è una manovra che come con i
precedenti governi prevede anche per il triennio 2018-2020 un avanzo primario e
investimenti assolutamente insufficienti. Ribadiamo che il rispetto dei folli
vincoli di bilancio europei contrasta con gli obiettivi che la Costituzione
assegnava alla Repubblica prima di essere manomessa con l’introduzione del
pareggio durante il governo Monti. Ma questo quadro di crescente impoverimento,
elevata disoccupazione, crisi dello stato sociale, declino del paese viene
aggravato dalla scelta di questo governo di continuare – come i precedenti – a
non perseguire una politica fiscale progressiva come imporrebbe il dettato
costituzionale e a non introdurre la patrimoniale. E il governo sta dimostrando
anche sul piano del taglio alle spese militari e del no alle grandi opere che
il “cambiamento” annunciato si rivela sempre più inconsistente. La miseria
politica e morale dei “sovranisti” gialloverdi si è evidenziata con la mancata
firma del Global Compact e con il voto a favore del Jepta, il trattato di
libero scambio col Giappone nel parlamento europeo. Perseguitare gli immigrati
è più facile che dire no agli interessi capitalistici.
Purtroppo se
i partiti di centrodestra e centrosinistra che hanno occupato in posizione
egemone lo spazio del governo negli ultimi 25 anni sono in crisi perché
responsabili in tutta Europa – e soprattutto nei paesi del sud del continente –
delle politiche che hanno impoverito le classi popolari e precarizzato il
lavoro e l’esistenza, la crescita della Lega e di altre forze di destra
razzista dimostra che la logica degli immigrati come capro espiatorio funziona
in termini di costruzione del consenso soprattutto se basta poco per
accreditarsi come difensori degli interessi popolari. Il governo non abolisce
la legge Fornero, come promesso in anni di campagna elettorale, ma i risicati
“quota 100” e “reddito di cittadinanza” non per tutte/i diventano bandiere da
sventolare rispetto a un’opposizione classista e antipopolare che parla con la
lingua di Confindustria. Dai temi
economici alla tav abbiamo visto saldarsi un’opposizione di sistema che vede
insieme i partiti neoliberisti, la stampa, il mondo delle imprese e che a
Torino si è ritrovata in piazza insieme alla Lega.
L’unica
opposizione effettivamente alternativa rispetto a questo governo e soprattutto
alle politiche della Lega di Salvini è
quella che si è espressa nelle mobilitazioni e nei movimenti contro il razzismo
e il decreto “sicurezza”, solidale con i migranti e con chi si impegna
nell’accoglienza e nel soccorso, delle donne contro il ddl Pillon, dei
territori contro le grandi opere dal Tap
alla Tav. Da Riace a Lodi, dalla grande manifestazione antirazzista del 10
novembre allo straordinario corteo di “Non una di meno” alla manifestazione no
tav dell’8 dicembre in questo autunno una parte del paese ha dimostrato di non
accettare l’offensiva di destra di cui Salvini è protagonista con la complicità
del M5S. E’ per lo sviluppo, l’autonomia e l’allargamento di questa resistenza
che dobbiamo lavorare.
Il partito
nei prossimi mesi dovrà proseguire l’ impegno sul terreno sociale con campagne
su pensioni, lavoro, sanità, diritti, scuola evidenziando come non sia
l’immigrazione ma lo strapotere del capitale e politiche a favore dei più
ricchi che hanno prodotto l’impoverimento di sempre più larghe fasce della
popolazione, l’elevata disoccupazione, la precarizzazione del lavoro. L’esempio
francese dimostra che solo la ripresa del conflitto sociale costituisce
un’alternativa al rancore indirizzato verso i più deboli e i più poveri.
In questi
mesi il nostro partito ha dato il suo contributo e siamo stati in prima fila
anche nella mobilitazione contro il risorgere del neofascismo, come testimonia
l’approvazione da parte del parlamento europeo della risoluzione presentata
dalla nostra compagna Eleonora Forenza. Ma non riteniamo praticabile alcuna
logica di riproposizione del vecchio centrosinistra in chiave anti-Salvini e
antiM5S, soprattutto se viene proposta da un PD che ha cinicamente consegnato
le chiavi del governo alla Lega.
Se
l’affermarsi in forme diverse di una destra sempre più fascistoide in tutto il
mondo (Trump, Salvini, Orbán, Le Pen o Bolsonaro) è effetto della crisi
prodotta dalle politiche neoliberiste dobbiamo lavorare per un’alternativa
chiara rispetto a quelle politiche. E per questo si conferma la necessità di
una collocazione in alternativa al PD e a quel che rimane di un centrosinistra
che rimane anche dopo dimissioni di Renzi incapace di rimettersi in discussione
sul piano programmatico e privo di personalità che incarnino una credibile
rottura col passato.
In vista
delle elezioni europee e del prossimo turno di elezioni amministrative e
regionali proponiamo la costruzione in Italia di uno schieramento di sinistra e
popolare alternativo a tutti i poli esistenti.
Da mesi ci
confrontiamo con altre componenti della sinistra politica e sociale
anticapitalista, antiliberista, ambientalista, civica indicando la necessità di
creare un polo popolare, aperto e unitario ma netto sul piano programmatico e
del profilo politico di rottura che veda unite le soggettività politiche,
sociali e civiche che si battono per l’attuazione della Costituzione, che in
questi anni hanno resistito e difeso diritti e beni comuni e che lavorano per
costruire un’alternativa a questo governo e a un’opposizione delegittimata
anche in vista di eventuali elezioni politiche anticipate.
L’appello
lanciato da Luigi De Magistris e l’assemblea di Roma del 1 dicembre vanno nella
direzione che auspicavamo da tempo senza nasconderci che vi sono elementi di
cultura politica e di storia che ci differenziano ma anche un comune impegno
che ci ha visto condividere non solo fin dall’inizio l’esperienza napoletana ma
anche collocati sulle stesse posizioni nelle vicende degli ultimi anni.
Continuiamo
quindi a lavorare per una coalizione sociale e politica che ci veda uniti sul
terreno elettorale con Dema, Sinistra Italiana, Diem, L’Altra Europa, “Potere
al popolo”, Pci, Cobas, Sinistra Anticapitalista, Partito del Sud, le tante
liste civiche di sinistra e tutte le realtà politiche, sociali, culturali e
sindacali che sentono l’urgenza di costruire un’alternativa sul piano europeo
ed anche nazionale. La forza della proposta dipenderà dalla capacità di
coinvolgere la parte del paese che in questi mesi è andata mobilitandosi e un
diffuso tessuto di attivismo, se diventa un movimento popolare e non una mera
sommatoria di sigle. Una lista unitaria non può che essere collocata sul piano
europeo in alternativa tanto a nazionalisti e razzisti quanto ai trattati UE e
alla governance neoliberista. Anche per queste ragioni riteniamo necessaria la
collocazione del nostro progetto nel GUE/NGL, in alternativa a Partito Socialista Europeo e SD che sono
stati pilastri della grande coalizione e dell’austerità.
Non partiamo
dall’anno zero: il lavoro svolto dal GUE e dalla nostra parlamentare in questa
legislatura – dentro e fuori il Parlamento Europeo – sono a disposizione del
nostro progetto, bene comune da valorizzare e a cui dare continuità nella
costruzione della listaLavoriamo dunque in Europa e in Italia alla massima
confluenza politica e programmatica fra le forze politiche e sociali che si
riferiscono al GUE/NGL (Sinistra Europea, dichiarazione di Lisbona, partiti
comunisti) e anche verso nuovi progetti antiliberisti che possono ritrovarsi in
quello spazio politico come Diem25.
Non
pratichiamo il settarismo e riteniamo l’unità – nelle lotte come nel momento
elettorale – un dovere. Ma diventa efficace solo se si sostanzia in un progetto
politico coerente, comprensibile, credibile che tenti di porsi in connessione
con milioni di persone. Svilupperemo ogni possibile iniziativa nei confronti
ditutte le soggettività antiliberiste e anticapitaliste coinvolgibili per
determinare la più ampia e collegiale partecipazione alla proposta di
coalizione popolare.
La Direzione
nazionale dà mandato alla segreteria di proseguire nelle prossime settimane, in
stretto rapporto con l’insieme del partito, nel lavoro di confronto con la proposta lanciata da De
Magistris. Occorre definire in tempi
brevi il piano programmatico, delle
regole condivise, del profilo politico, del simbolo, della collocazione
alternativa ai “socialisti europei”, dell’accesso autonomo del PRC al 2×1000,
per agire concretamente i primi passi della proposta in vista delle elezioni
europee.
martedì 18 dicembre 2018
lunedì 17 dicembre 2018
lunedì 10 dicembre 2018
12 DICEMBRE 2018 - CORTEO P.ZA S. BABILA ORE 18.30 - NOI NON DIMENTICHIAMO
Non
dimentichiamo le stragi di ieri e quelle di oggi
Pubblicato
il 14 dic 2018
Non ha
dimenticato, Milano, il pomeriggio del 12 dicembre 1969. Non ha dimenticato i
suoi morti, ucciso da una bomba fascista con la completa dello Stato, non ha
scordato l’assassino di Giuseppe Pinelli assassinato nei locali della Questura
di Milano.
Giovani e
anziani, nonostante l’orario e il freddo, erano in piazza ieri a ricordare la
strage di Stato e quei morti che non hanno ancora avuto giustizia. A Giovanni
Arnoldi, Giulio China,Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero
Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi,
Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia,
Carlo Silva, Attilio Valè e a Giuseppe Pinelli, è andato il nostro pensiero.
Alle loro famiglie i nostro rispettoso silenzio. Ieri il presidente della
Camera Roberto Fico ha chiesto scusa per i tanti depistaggi e per la mancata
vicinanza dello Stato in questi anni.
Noi, con
coerenza abbiamo voltato le spalle perché accanto alle scuse per i morti di eri
vorremmo le scuse anche per le migliaia di vittime che contiamo nel
Mediterraneo, a quelli che vengono ammazzati nei lager in Libia. Stragi di
Stato anche quelle, quotidiane e giustificate dal Governo del quale Fico
rappresenta il volto umano. Ben poco di umano però hanno le leggi approvate
fino ad oggi, che colpiscono là fasce più deboli, che ledono i diritti sociali
e individuali, che indeboliscono lavoratrici e lavoratori.
Noi abbiamo
deciso da tempo da che parte stare: da quella di chi non si fa irretire dalle
buone parole che nascondono pessime azioni. Abbiamo attraversato il centro di
Milano fianco a fianco ai giovani, ai movimenti e alle associazioni che
ricordano il passato senza retorica ma con lo sguardo ben fisso al presente. Al
nostro posto. Come sempre
Segreteria PRC
– Milano
lunedì 3 dicembre 2018
SABATO 8 DICEMBRE CORTEO NO TAV
Torino –
Ezio Locatelli (Prc-Se): Confindustria non la dia a bere. Quella del Tav in
Valsusa non è crescita ma speculazione
Mistificatorio
e anche un po’ ridicolo. Parlare della Tav Torino Lione come di un investimento
per la crescita e lo sviluppo del Paese è come parlare dei cavoli a merenda.
Questo è quanto fatto dalle dodici associazioni imprenditoriali che si sono
ritrovate oggi a Torino. Fa niente se l’opera oltre che inutile, distruttiva ha
costi enormi. L’importante è farla e chi se ne frega, in questo caso, del
debito pubblico! Il motivo di fondo lo spiega bene un rappresentante di una
delle associazioni imprenditoriali presenti: “non solo gli appalti e i
subappalti del cantiere ma le stesse opere di compensazione possono essere
un’occasione di crescita per le imprese”.
Più chiari di così non si poteva essere. L’opera s’ha da fare non perché utile, necessaria – c’è già una linea ferroviaria veloce, peraltro sottoutilizzata – ma perché doppiamente conveniente per i costruttori, le imprese, i faccendieri chiamati alla realizzazione dell’opera e, al tempo stesso, alla realizzazione delle opere compensative per i danni causati.
Più chiari di così non si poteva essere. L’opera s’ha da fare non perché utile, necessaria – c’è già una linea ferroviaria veloce, peraltro sottoutilizzata – ma perché doppiamente conveniente per i costruttori, le imprese, i faccendieri chiamati alla realizzazione dell’opera e, al tempo stesso, alla realizzazione delle opere compensative per i danni causati.
E’ indecente
che in un Paese che ha intere aree terremotate, in dissesto idrogeologico,
privo di collegamenti decenti, di servizi primari, privo di politiche
industriali si continui a pensare la crescita in termini di opere speculative,
di profitti privati, di cementificazione del territorio, di riduzione dei
diritti del lavoro – un modello obsoleto – e non sulla base di investimenti in
attività ambientalmente e socialmente utili, di produzione di beni collettivi.
Signori
della Confindustria smettetela di presentarvi come gli assertori della politica
del fare. Come Rifondazione Comunista parteciperemo alla manifestazione No Tav
dell’8 dicembre non solo per ribadire la nostra ferma opposizione a un’opera
inutile e dannosa ma per chiedere un cambio radicale delle scelte politiche ed
economiche, scelte che mettano finalmente al centro l’interesse pubblico e non
quello dell’affarismo privato.
mercoledì 28 novembre 2018
lunedì 26 novembre 2018
giovedì 15 novembre 2018
NO AI DIKTAT DELLA UE MA LA MANOVRA NON VA BENE!
No ai diktat
della Ue ma la manovra non va bene!
NO ai diktat
della UE
Noi non
contestiamo la manovra del governo perché non rispetta i diktat della UE, come
fanno FI o il PD: alle politiche di austerità ci siamo sempre opposti, per
cambiare radicalmente l’Europa.
Abbiamo
detto NO subito al Fiscal Compact di cui oggi la UE chiede l’attuazione: perché
era facile prevedere che quelle politiche avrebbero aumentato povertà e
disoccupazione, senza migliorare ed anzi peggiorando i conti pubblici. E’
quello che è avvenuto dal 2011 con l’intensificarsi delle politiche di
austerità: la povertà assoluta che nel 2011 colpiva 2 milioni e 600mila
persone, oggi ne colpisce oltre 5 milioni, l’occupazione è solo precaria, si
sono tagliate pensioni, sanità, scuola, diritti del lavoro.
Le politiche
di austerità hanno fallito anche l’obiettivo di migliorare i conti pubblici,
perché il taglio degli investimenti e della spesa sociale ha ridotto la
crescita del Pil ed ha così aumentato il peso del debito: era il 116% del Pil
nel 2011, ora è il 132%.
Da sempre
diciamo che è giusto non rispettare i vincoli del Fiscal Compact: su questo il
governo non sbaglia, sbaglia la UE.
Ma la
manovra non va bene
1. Sono
inaccettabili le politiche fiscali. Diciamo NO al condono in un paese che ha
110 miliardi di evasione annua: solo recuperandone 1/3 cambierebbe davvero il
paese! Diciamo NO alla Flat Tax. NO a nuove riduzioni delle tasse sui profitti
delle imprese: l’ha già fatto Renzi e non è vero che aumentano gli investimenti
privati! Ci vuole invece una patrimoniale sulle grandi ricchezze: per reperire
risorse per investimenti pubblici.
2. Non c’è
nulla per creare lavoro, con diritti e salari dignitosi! Non è vero che si è
recuperato il lavoro perso con la crisi: sono solo aumentati i lavori
brevissimi, precari e sfruttati.
Ci vuole un
piano per la riconversione ecologica dell’economia: per il rischio
idrogeologico e sismico, l’efficienza energetica e le rinnovabili, la mobilità
sostenibile e il diritto all’abitare. Ci vogliono nuove assunzioni in tutto il
settore pubblico: sanità, scuola, cultura, trasporti. Ci vuole la riduzione
d’orario, perché l’automazione non produca nuova disoccupazione.
3.Quota 100
è meglio della legge Fornero, ma penalizza precari e donne.
E’ giusto
che si intervenga sulle pensioni cambiando una delle leggi peggiori che ci
siano mai state. Ma quota 100 non è la promessa abolizione della legge Fornero:
nessun precario raggiugerà mai 38 anni di contributi, come non li raggiungono
le donne su cui si scarica gran parte del lavoro di cura. E sarebbe gravissimo
se si penalizzassero i lavoratori colpiti dalla crisi che hanno usufruito degli
ammortizzatori sociali. La legge Fornero va abolita sul serio!
4. E’ giusto
che ci sia un reddito garantito, ma che reddito è?
Tante
persone in difficoltà aspettano il “reddito di cittadinanza” che è una misura
giusta. Ma il modo in cui il governo pensa di realizzarlo lo trasforma in un
nuovo strumento di ricatto: per obbligare ad accettare qualsiasi lavoro, anche
povero e senza diritti, e magari per dare altri soldi alle imprese!
5. Il
governo non ha ripristinato l’articolo 18. Invece ha potenziato i voucher.
Lottiamo X un
vero cambiamento!
lunedì 12 novembre 2018
10 NOVEMBRE, UNA PIAZZA DI CUI AVEVAMO BISOGNO
10 novembre,
una piazza di cui avevamo bisogno
Stefano
Galieni*
Quante/i
eravamo? 50 mila? 70 mila?, 40 mila come scrive il Manifesto o 100 mila o come
riporta un giornale di solito non totalmente affine come Repubblica? Importa
poco. Importa il fatto che, nonostante le numerose difficoltà organizzative,
gli scarsi mezzi (le grandi organizzazioni si sono ben guardate dal sostenere
una manifestazione incontrollabile e plurale), nonostante i blocchi dei
pullman, con le forze dell’ordine impegnate anche a perquisire i panini, a
identificare e fotosegnalarer i manifestanti, rallentandone inutilmente
l’arrivo a Roma, la piazza si è riempita. Le strade sono state invase da un
pezzo di paese nuovo, meticcio, plurale, che spesso non ha ancora appartenenza
ma che non vuole il decreto Salvini come rifiutava quello del suo predecessore
Minniti, che non vuole gerarchie stabilite sulla base della provenienza che
spesso celano pi profonde di classe e di genere. Le oltre 450 realtà che hanno
aderito e partecipato non hanno faticato a trovare, in piazza, un minimo comune
denominatore che non si basa solo sul rifiuto di razzismo, fascismo,
sfruttamento, patriarcato e omofobia, ma che provano a immaginare idee (il
plurale è fondamentale) diverse di società in cui vivere.
La manifestazione
degli “indivisibili” del 10 novembre stata una tappa, un primo risultato
tangibile di come ci si possa unire senza dovere rinunciare alle proprie
specificità ma in cui ci si possa contaminare e crescere. Ne avevamo bisogno
noi, ne hanno bisogno estremo coloro che più subiscono le politiche repressive
e fascistoidi imperanti, ne ha bisogno anche quella gran parte di paese che
sabato in piazza non c’era e che di questa energia dispiegata non saprà mai
nulla. Si perché gli “indivisibili” sono diventati “invisibili” per gran parte
del circo mediatico nostrano (rare le
eccezioni), meglio parlare di destra e sinistra borghese che si incontra per
affermare l’importanza del business della TAV (chissà se i pullman dei loro
manifestanti sono stati sottoposti a controlli), meglio parlare delle love
story nel jet set, meglio distrarre e disinformare piuttosto che raccontare di
un paese che è con Mimmo Lucano, con i bambini di Riace, con le Ong, per
l’accoglienza e contro il razzismo. Curioso come abbiano trovato spazio per
parlarne su Le Monde e meno sui nostri mezzi di comunicazione. Ma in fondo ci
siamo abituati e forse anche rassegnati a questa narrazione distorta.
Ma fra gli
indivisibili / invisibili scesi in piazza a Roma c’eravamo anche noi ed è
giusto parlarne. Credo che questa manifestazione sia stata per noi, per il
nostro travagliato partito, un toccasana. Ci ha ridato orgoglio, ci ha fatto
sentire un corpo solido, restituito il senso di comunità, complessa,
tormentata, a tratti disorientata ma ci siamo stati con tutte le nostre forze e
la nostra voglia, le nostre competenze e la nostra storia.
Dovremmo ragionarne
meglio. Era da tempo che non eravamo così tante/i dietro il nostro striscione o
dispersi, con le nostre bandiere nel corteo, tanto tempo che non ci
ritrovavamo, dal nord est alla Sicilia, non per discussioni e analisi ma per
assolvere al nostro ruolo di Partito della Rifondazione Comunista capace di
suscitare allegria con la musica trascinante sparata dai giovani, carica e
voglia di agire, connessione sentimentale, verrebbe da dire – scomodando i giganti
– con chi in piazza c’era e si è accorto di noi. Ci siamo stati e ci siamo,
necessari e indispensabili ma non sufficienti a riempire quel bisogno di
rappresentanza di classe che questo paese richiede. Ci siamo stati e sappiamo
esserci quando siamo in grado di capire quale è l’elemento dominante su cui
concentrare la nostra attenzione e il nostro agire. Rifondazione Comunista è
ancora questo, orgoglio e non boria, voglia di futuro e non reducismo
identitario, capacità di connettersi con la realtà rifiutando di cadere nella
ricerca di facile consenso e voglia di misurarsi senza crollare in forme
inutili di politicismo. Rifondazione, nella sua pluralità di sguardi e di
vedute, è anche e soprattutto questo, mantiene la voglia di sperimentarsi con
generosità e contemporaneamente riconosce le proprie caratteristiche
strutturali che non sono solo di partito ma e soprattutto di storia comune
condivisa.
La piazza del 10 novembre ci ha dato una risposta interessante,
altre piazze ci aspettano, magari non ci vedranno presenti con le stesse modalità, mobilitazioni studentesche, contro
la violenza sulle donne o ci rimetteranno visibilmente in gioco, si pensi a quelle in programma contro i nuovi
CPR per migranti o alle giornate No TAV come alle tante occasioni che avremo
per riproporci a livello locale e nazionale, contro questo governo, contro i
diktat europei per proporre una idea diversa e possibile di società.
Ricordiamola la piazza del 10 novembre perché, con tutti i nostri limiti, in
questa giornata, come tante altre volte in passato, siamo stati percepiti come
utili e necessari. Per questo dobbiamo tutte/i ringraziarci a vicenda, per
averci creduto, aver faticato ed averci messo la faccia. Anche questo ci fa
bene.
*Responsabile
Pace, Immigrazione e Movimenti PRC-S.E.
giovedì 8 novembre 2018
10 NOVEMBRE, RIEMPIAMO LA PIAZZA DELLE/GLI INDIVISIBILI
10 novembre,
riempiamo la piazza delle/gli indivisibili
Stefano
Galieni*
Mancano
pochi giorni alla prima manifestazione nazionale indetta contro questo governo
e contro le sue politiche razziste, che colpiscono i più deboli, chi si oppone,
chi non accetta un ritorno ad una società patriarcale prenovecentesca, e
all’apartheid diffuso. Una manifestazione nata timidamente, attorno a compagne
e compagni diversi nelle loro appartenenze politiche e con storie spesso
entrate in conflitto ma che, di fronte al governo Salvini, perché di questo si
tratta, stanno trovando la forza di unire gli sforzi.
Di questo
mondo frammentario e plurale, che dovrà sicuramente compiere dei passi in
avanti in termini di analisi e di riflessioni politiche, ma che ritiene
importante riprendere la parola qui ed ora, Rifondazione Comunista è parte
integrante e considerata preziosa.
Il 10
novembre a Roma, (Partenza alle ore 14.00 da Piazza della repubblica e arrivo a
Piazza S.Giovanni), devono essere tante e tanti le compagne e i compagni di
Rifondazione comunista a
costruire un unico grande spezzone con le nostre bandiere. Non per una semplice ragione di affermazione di identità e non solo per ritrovarci finalmente in un momento comune di mobilitazione. Ma perché la nostra storia antirazzista ci rende indispensabili alla crescita di un movimento aperto, capace di contaminare e contaminarsi, in grado di stabilire le nette connessioni fra razzismo,
xenofobia e sfruttamento. Saremo in piazza per portare le nostre parole contro le diseguaglianze sociali prodotte dalle politiche neoliberiste di cui la condizione di subalternità che si impone a migranti e rifugiati è la cartina di tornasole per definire l’impianto sociale imposto dalle classi dominanti. Una gerarchia rigida che separa radicalmente chi ha il diritto di prendersi tutto da chi non deve aver diritto a nulla. Chi deve continuamente temere di essere
sottoposto a sgomberi, provvedimenti
repressivi come i Daspo, condanne per disobbedienza civile e sociale da chi
commette nell’impunità più assoluta crimini contro l’umanità, rimandando
profughi nei lager libici o sottraendo risorse della collettività per fini
privati. Una manifestazione che nel voler rappresentare l’opposizione alle 80
pagine di odio puro del Decreto Salvini, intende mettere sullo stesso piano
sfruttate e sfruttati a partire da condizioni individuali e sociali, da
discriminazioni subite sul posto di lavoro o nella ricerca di un alloggio, di
un reddito, del diritto ad un futuro.
La storia stessa di Rifondazione
Comunista, di cui dovremo sovente essere più orgogliosi, racconta di come
spesso siamo stati fra i pochi a tentare di interpretare i bisogni degli
oppressi, senza voler costruire divisioni, gerarchie, senza accettare la
religione neoliberista che ci vuole perennemente divisi. Occorre allora e anche
in tempi brevi un nostro scatto d’orgoglio. Portiamola in piazza insieme questa
nostra storia il10 novembre,
portiamola pensando al presente e al futuro di
questo paese, di questa Europa ma anche di questo nostro prezioso partito.
Portiamola sapendo di non essere autosufficienti, volendo continuare a batterci
per una alleanza concreta di tutte le forze antiliberiste e anticapitaliste, ma
senza rinunciare alle nostre prerogative, al nostro ruolo.
costruire un unico grande spezzone con le nostre bandiere. Non per una semplice ragione di affermazione di identità e non solo per ritrovarci finalmente in un momento comune di mobilitazione. Ma perché la nostra storia antirazzista ci rende indispensabili alla crescita di un movimento aperto, capace di contaminare e contaminarsi, in grado di stabilire le nette connessioni fra razzismo,
xenofobia e sfruttamento. Saremo in piazza per portare le nostre parole contro le diseguaglianze sociali prodotte dalle politiche neoliberiste di cui la condizione di subalternità che si impone a migranti e rifugiati è la cartina di tornasole per definire l’impianto sociale imposto dalle classi dominanti. Una gerarchia rigida che separa radicalmente chi ha il diritto di prendersi tutto da chi non deve aver diritto a nulla. Chi deve continuamente temere di essere
*Resp Pace,
Movimenti e Immigrazione (PRC-S.E.)
P.S. per
ulteriori adesioni 10novembre18@gmail.com Per informazioni ulteriori Pagina fb
indivisibili o mail a stefano.galieni@rifondazione.it
SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA COSTITUZIONE
SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA
COSTITUZIONE
Dl sicurezza. Il decreto è una summa
di incostituzionalità che potrebbe essere portato ad esempio di ciò che non può
essere fatto in materia di migrazioni
Il voto del
Senato sul decreto sicurezza è uno sfregio alla costituzione. Il governo,
scegliendo di porre la fiducia, ha persino impedito al Parlamento di discutere
delle palesi incostituzionalità delle norme che si dovranno obbligatoriamente
votare nella versione imposta dal Consiglio dei ministri. Se neppure alla
Camera verrà concesso di discutere modifiche al testo predisposto, sarà
evidente la crisi del nostro sistema parlamentare. Che accadrà dopo la
conversione in legge del decreto?
Spetterà
prima al capo dello Stato, in sede di promulgazione, poi alla Consulta, in sede
di sindacato incidentale, esprimersi sulla manifesta incostituzionalità delle
norme. Non è detto dunque che la ferita inferta dal Senato alla costituzione
non possa essere almeno in parte riassorbita, sempre che i garanti sappiano far
sentire con coraggio e rigore la loro voce. Rimane in ogni caso il fatto
inquietante che l’attuale maggioranza non sembra preoccuparsi minimamente dei
limiti che la costituzione impone.
Eppure il
decreto sicurezza è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere portato
ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di migrazioni. Anzitutto
lo stesso strumento prescelto vìola la costituzione e la giurisprudenza
costituzionale in materia. Illegittimo è infatti l’uso del decreto legge per
regolare fenomeni – quali le migrazioni – di natura strutturale che non
rivestono alcun carattere di straordinarietà ed urgenza. Né può farsi valere in
questa materia un’interpretazione estensiva dei presupposti costituzionali, che
altre volte ha portato ad abusare dello strumento del decreto legge, poiché i
dati relativi al calo dell’80 % degli sbarchi, vanto dell’attuale governo, in
caso dimostrano la cessazione dell’emergenza. Si deve anche dubitare che siano
stati rispettati due altri caratteri ritenuti essenziali dalla Corte
costituzionale e dalla legge 400 del 1988: l’omogeneità e l’immediata
applicabilità di tutte le disposizioni del decreto.
Ma è nel
merito del provvedimento che si riscontrano le più insidiose
incostituzionalità. In materia di migrazioni la nostra costituzione pone un
principio fondamentale che non può essere in nessun caso disconosciuto:
l’articolo 10 assicura allo straniero il diritto d’asilo. Secondo la
consolidata giurisprudenza dei giudici ordinari esso si configura come diritto
soggettivo perfetto attribuito direttamente dalla costituzione. Un Parlamento
costituzionalmente orientato dovrebbe dare la massima attuazione del principio
costituzionale, ma con i tempi che corrono ci si accontenta di molto meno. Ecco
perché, in assenza di una normativa adeguata, la Cassazione ha indicato nella
misura del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la «forma di
attuazione» del principio costituzionale (da ultimo sez. I, n. 4445/18). Una
soglia minima, dunque.
Non si può
certo impedire che la normativa vigente sia precisata e, magari, migliorata;
quel che si deve però senz’altro escludere è che essa possa essere eliminata.
Ebbene il primo articolo del decreto sicurezza invece proprio questo fa: abroga
la protezione umanitaria, sostituita da casi tassativi di permessi di
protezione speciale. In tal modo si viola l’articolo 10.
Quante volte
abbiamo sentito ripetere da esponenti politici di ogni tendenza che un’indagine
giudiziaria non può essere pregiudizievole. La presunzione di non colpevolezza
è un principio di civiltà, prima ancora che giuridico, di enorme valore,
scolpito nel testo della nostra legge suprema all’articolo 27. E la nostra
costituzione non fa certo differenza tra cittadini e stranieri (si riferisce in
generale all’«imputato»).
Il decreto,
invece, in evidente violazione con la richiamata disposizione costituzionale,
permette la lesione dei diritti degli stranieri relativi alla difesa e impone
l’obbligo di lasciare il territorio nazionale qualora essi siano sottoposti a
procedimento penale per una serie di reati. Come se si fossero riscritti in un
colpo solo tre articoli della costituzione (24, 27 e 113) ritenendo che tutti
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, senza poter essere
considerati colpevoli prima della sentenza definitiva e senza limitazioni
particolari per determinate categorie di atti. Tutti, salvo gli stranieri.
D’altronde
la discriminazione nei confronti degli stranieri nel decreto non viene meno
neppure quando questi abbandona il proprio status. Anche qualora riuscisse ad
ottenere la cittadinanza italiana, non sarà mai considerato alla pari degli
altri, a rischio di revoca nei casi di condanna definitiva per alcuni reati.
Questa previsione appare in contrasto con due principi. Quello d’eguaglianza,
introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione tra
cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto della perdita
della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22)
Potrei
continuare a lungo, esaminando tutte le altre disposizioni del decreto, dal
prolungamento della detenzione amministrativa nei centri di permanenze per il
rimpatrio in contrasto con le garanzie legate alla libertà personale, alle
diverse previsioni che confliggono con il principio di solidarietà, che vengono
spazzate via dalla cancellazione dei sistemi di accoglienza pubblica (Sprar).
Lo spazio di un articolo non consente di andare oltre. Il tempo della
democrazia lo pretende.
GAETANO AZZARITI da “il manifesto”
mercoledì 31 ottobre 2018
PRC - COMITATO POLITICO NAZIONALE - DOCUMENTO APPROVATO
CONTRO COMMISSIONE
EUROPEA, BCE E TRATTATI UE
CONTRO IL GOVERNO DI
DESTRA
PER UN’ALTERNATIVA
POPOLARE E DI SINISTRA
IN ITALIA E IN EUROPA
Lo scontro che si è aperto tra Commissione Europea e governo
italiano riproduce su scala più larga quello già in corso con l’opposizione in
parlamento. Il dibattito continua a essere polarizzato tra un governo
“populista” che non mette in discussione il neoliberismo e chi lo attacca da
posizioni di destra economica.
La Commissione Europea boccia la manovra del governo italiano
in nome della prosecuzione dell’austerity neoliberista. Si tratta di politiche
e diktat che – al contrario della Lega – abbiamo sempre contrastato e che hanno
reso il nostro paese più povero e ingiusto.
Rivendichiamo la nostra opposizione ai trattati europei, al
fiscal compact e all’insieme di misure attraverso le quali sono state imposte
politiche antipopolari e il deficit democratico che caratterizza negativamente
l’UE.
Siamo contro scelte e metodi della Commissione Europea e
della BCE senza se e senza ma.
Questo non ci induce però a esaltare la manovra di un governo
che premia gli evasori con un nuovo condono, diminuisce ancora le imposte sui
profitti mentre non dà nulla alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti, fa
nuovi e pesanti tagli che vanificano la propaganda sugli investimenti, non si
preoccupa in nessun modo di creare nuova occupazione.
Persino il “reddito” diventa una misura che obbliga ad
accettare qualsiasi lavoro e che forse si tradurrà in ulteriori ingenti
trasferimenti di risorse alle imprese.
Mentre sulle pensioni, in attesa di conoscere il merito
effettivo dei provvedimenti ad oggi ignoti, quota 100 non è l’abolizione della
Fornero e non dà soluzioni né alle donne, né ai giovani.
Il governo cerca lo scontro con l’UE per accrescere il
proprio consenso come presunto difensore della sovranità nazionale e degli
interessi popolari. Operazione che risulta favorita dall’ottusità di
un’opposizione Pd che invoca la troika e la fedeltà ai vincoli europei
confermandosi come la migliore alleata di un governo egemonizzato da un partito
di estrema destra.
Come accade su scala globale l’estrema destra si appropria in
apparenza della critica alla globalizzazione neoliberista della sinistra
radicale e dei movimenti cercando di accreditarsi come forza antisistemica e
popolare.
Quanto sia poco credibile e contraddittoria questa operazione
lo si constata dal fatto che in continuità con i precedenti governi Lega e M5s
di fatto non mettono in discussione la precarizzazione restituendo potere
contrattuale a lavoratrici e lavoratori e propongono la flat tax invece della
patrimoniale e di una tassazione progressiva.
A livello europeo gli alleati di Salvini – dagli austriaci ai
tedeschi – invocano il rigore contro la manovra italiana sulla base della
medesima impostazione che caratterizza la Commissione a dimostrazione che non
sono i nazionalisti xenofobi la risposta alla crisi dell’UE e del capitalismo
neoliberista.
Le contraddizioni della maggioranza non ne riducono la
capacità di raccogliere consenso intorno a un discorso che accompagna
l’enunciazione della necessità di protezione sociale a un feroce programma
razzista, sciovinista e anti-immigrati. E diventa sempre più evidente l’effetto
del messaggio del M5S sull’irrilevanza della distinzione tra destra e sinistra
o dell’antifascismo nel creare il terreno favorevole alla convergenza dei due
elettorati.
In questo quadro emerge la necessità di un’alternativa
popolare e di sinistra in Europa e in Italia, unico antidoto efficace contro
l’avanzare delle destre e alla prosecuzione delle politiche devastanti sul
piano sociale condivise da “socialisti”, popolari e liberali.
COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE SOCIALE E POLITICA
Sul piano sociale, dobbiamo lavorare tenacemente per la
costruzione di un’opposizione a questo governo. Non sarà per nulla facile
perchè questo governo si regge su un mix di xenofobia, razzismo e su una
politica sociale intrisa d’interclassismo e di populismo. Si tratta di una
formula che sarebbe ingenuo sottovalutare, pensando che questa coalizione di
governo imploda per le sue intime contraddizioni. Occorre svelarne l’ambiguità
e pericolosità avanzando proposte su cui costruire alleanze ed iniziativa, che
il CPN individua prioritariamente in:
-progressività fiscale che alleggerisca il peso del prelievo
per le fasce medio basse (di lavoratori sia dipendenti, sia autonomi) e lo
accresca nelle fasce di reddito elevato (si veda fra l’altro l’esperienza in
corso in Spagna);
- rilancio della proposta di un piano per il lavoro, in
connessione con un programma di risanamento ambientale e la sicurezza reso
sempre più urgente dai fatti di Genova e prevedendo un rilancio del ruolo
pubblico in economia a partire dal Mezzogiorno e della ripubblicizzazione di
servizi, infrastrutture e aziende strategiche;
- difesa dello stato sociale, dalla scuola alla sanità, che
non sono per nulla sostenuti dalla manovra governativa;
- rilancio della rivendicazione dell’abolizione della legge
Fornero, dell’introduzione di un vero reddito minimo garantito, della riduzione
dell’orario di lavoro, di abolizione del Jobs Act e reintroduzione
dell’articolo 18;
- contrastare le richieste di autonomia regionale rilanciate
da governatori leghisti che penalizzano le regioni del meridione e
accrescerebbero il già enorme divario tra il nord e il sud del paese;
- richiedere riduzione delle spese militari e una politica di
pace e disarmo a partire dalla ratifica del Trattato ONU per la messa al bando
delle armi nucleari e dalla presenza nel nostro paese di testate;
-difesa intransigente della democrazia e dei diritti contro
ogni provvedimento securitario, sessista, antidemocratico, razzista e
autoritario.
C’è bisogno di una opposizione di natura radicalmente diversa
da quella del PD e dell’establishment. Un’opposizione alternativa a chi difende
i provvedimenti e le “riforme strutturali” antipopolari dei governi precedenti,
il rigore dei conti pubblici e la fedeltà a UE e NATO e così facendo rafforza
il consenso popolare verso questo presunto “governo del cambiamento” che cambia
poco e a volte pure in peggio.
Ma al tempo stesso non è introiettando le argomentazioni che
hanno spostato a destra il senso comune di settori larghissimi del paese che si
contrasta la deriva in corso e la saldatura di un blocco sociale dai contenuti
reazionari.
Bisogna farlo senza cedimenti sul piano dei principi e dei
valori alla disumana agenda politica di Salvini e dei suoi complici
pentastellati e alle becere teorizzazioni che attribuiscono alle lotte per i
diritti civili o in difesa dei migranti la responsabilità dello sfondamento
della Lega tra i ceti popolari.
La mobilitazioni per la Diciotti e in difesa delle ong, a
sostegno dell’esperienza di Riace e del compagno Mimmo Lucano o la solidarietà
concreta a bambine/i di Lodi e più in generale quelle per e con i migranti sono
state finora – insieme al movimento delle donne –le principali e più visibili
opposizioni al governo.
Il movimento spontaneo cresciuto intorno alle proiezioni del
film dedicato alla tragica storia di Stefano Cucchi dimostra che c’è in questo
paese anche tra le giovani generazioni che non si lascia incantare dalla
forsennata campagna sicuritaria.
La costruzione di un largo di opposizione ha bisogno del
contributo politico, organizzativo e programmatico di Rifondazione, ma anche
del suo ruolo di riconnessione dei soggetti. Proprio l’urgente necessità di
costruire mobilitazioni di massa impone un atteggiamento teso a superare in
avanti ogni settarismo e una frammentazione che persino sul terreno sociale
impedisce una positiva cooperazione e ricombinazione tra soggettività
differenti come accadde nella stagione del “movimento dei movimenti”. Non vi
sono solo occasioni di conflitto diffuse, esiste l’emergere di movimenti anche
nuovi con cui dialogare (si pensi alle iniziative e mobilitazioni messe in atto
dagli studenti e dalle donne). Esistono non solo organizzazioni politiche ma
anche e soprattutto reti, associazioni, movimenti, organizzazioni di massa come
l’Anpi, l’Arci e la Cgil, la pluralità dei sindacati di base. Vi sono una
pluralità di luoghi e di soggettività con cui bisogna sviluppare
interlocuzione, rapporto, confronto, e verificare possibilità di mobilitazioni
e iniziative.
POTERE AL POPOLO
Potere al popolo doveva essere uno spazio e una soggettività
che alla connessione delle lotte e al conflitto sociale dava la massima
centralità unendo sui territori attiviste/i provenienti da storie e
organizzazioni diverse. Per questo avevamo deciso di proseguire il percorso
dopo le elezioni del 4 marzo.
Abbiamo dolorosamente dovuto prendere atto dell’involuzione
che è stata impressa al processo da una parte dei soggetti politici che con noi
avevano promosso un anno fa la lista. Si è scientemente perseguito l’obiettivo
di trasformare quello che doveva essere un movimento politico sociale unitario
in un partito caratterizzato da una linea settaria di autosufficienza. Lo si è
fatto attraverso una campagna sotterranea di attacco politico a Rifondazione
Comunista e modalità di scontro che rappresentano l’opposto dello sforzo di
costruire un contesto di lavoro unitario tra militanti e attiviste/i di diversa
provenienza che aveva suscitato entusiasmo in una difficilissima campagna
elettorale. Simile attacco è stato rivolto a tutte quelle forze organizzate e a
soggetti collettivi o individuali che rivendicavano la necessità di mantenere
un processo plurale e una democratizzazione a livello locale e nazionale di
PaP. E’ stato un percorso che ha sottoposto il corpo militante del partito a
uno sfibramento rilevante che non abbiamo saputo cogliere a sufficienza. Si
tratta di una responsabilità che gli organismi dirigenti collegialmente si
assumono.
Rifondazione Comunista – nonostante tutte le difficoltà, gli
attriti e i limiti emersi nel corso del percorso – ha lavorato con la massima
generosità per portare avanti il progetto prefigurato nel manifesto fondativo
di costruire “Un movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati
e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone
impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di
attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della
sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista,
socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria,
meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono
arresi”.
Questo progetto originario non c’è più. Siamo di fronte a un
progetto politico diverso che intende usare la stessa sigla che ha ottenuto
visibilità presentandosi alle elezioni politiche anche e soprattutto grazie
all’impegno di Rifondazione Comunista.
Il CPN conferma il giudizio espresso nel documento approvato
dalla Direzione Nazionale del 13 ottobre riguardo alle forzature
antidemocratiche e alle violazioni palesi delle più elementari regole di
correttezza che hanno reso impraticabile una già di per sé assurda
consultazione su due statuti contrapposti. In qualità di soggetto co-fondatore
di Potere al popolo non riconosciamo la legittimità di una consultazione
falsata, di uno statuto che è stato bocciato dalla maggioranza degli aderenti
che non hanno partecipato al voto, e degli organismi che verranno eletti su
questa base.
Giudichiamo positivamente l’appello “Compagne e compagni” per
rilanciare un percorso di confronto e attivazione di chi non ha condiviso la
deriva di Pap.
Proprio perché non abbiamo abbandonato l’originaria
ispirazione di Pap non intendiamo separarci da quanti/e hanno condiviso con noi
quell’impegno e ci adopereremo per tenere in vita, in forma autonoma, la rete
di relazioni politiche e sociali che in questi mesi si sono consolidate.
Il CPN ritiene quindi che non vi sono le condizioni per
proseguire l’impegno politico diretto del nostro partito in quello che si
ostinano strumentalmente a chiamare Potere al popolo.
PER UN’ALTERNATIVA DI SINISTRA E POPOLARE
Rifondazione Comunista non abbandona l’idea e il proposito
della costruzione di una soggettività unitaria della sinistra anticapitalista e
antiliberista in Italia radicata nelle lotte e nelle pratiche sociali.
Continueremo a insistere, nel frammentato mondo della sinistra sociale e
politica, in questa direzione. Sono evidenti le difficoltà di natura diversa
che finora hanno impedito di concretizzare questo obiettivo. Nel corso degli
anni abbiamo prodotto probabilmente l’elaborazione più avanzata su questo
terreno anche grazie alla nostra internità al GUE e al Partito della Sinistra
Europea e al confronto con le esperienze di altri paesi. Abbiamo costruito e
partecipiamo a esperienze unitarie a livello nazionale e locale. Manteniamo
questo obiettivo strategico ma da tempo indichiamo anche la necessità di una
proposta politica che incida sul terreno politico ed elettorale e anche su
quello delle mobilitazioni e della costruzione dell’opposizione in termini
immediati.
Per fare un’opposizione efficace è indispensabile costruire
una proposta politica e programmatica alternativa da rivolgere al paese. E
questa proposta non può essere la riproposizione del centrosinistra.
Rilanciamo l’obiettivo di costruire uno schieramento di
sinistra e popolare alternativo a tutti i poli esistenti con le caratteristiche delineate nel
documento del CPN del luglio scorso. Lo avevamo chiamato “quarto polo” ma non
siamo affezionati alle definizioni quanto alla sostanza.
Nelle prossime elezioni regionali e amministrative – nelle
forme proprie di quel tipo di consultazioni in cui contano molto le specificità
territoriali – lavoriamo per la costruzione di liste e coalizioni alternative
alle destre e al PD.
Il nostro obiettivo è quello di concretizzare alle elezioni
europee questa proposta in una lista unitaria in Italia che raccolga tutte le
soggettività di sinistra e di movimento che si collocano sul piano della
critica radicale dei trattati europei e dell’UE. Con questo approccio
Rifondazione Comunista lavora nel Partito della Sinistra Europea e nel GUE e
sul piano nazionale.
In questi mesi abbiamo lavorato per concretizzare la proposta
politica di costruire uno schieramento della sinistra popolare, civica, di
classe, antiliberista, anticapitalista, ambientalista, femminista, civica,
autonomo e alternativo rispetto al Pd responsabile, con le sue politiche,
dell’avanzamento delle destre nel nostro paese. In questo schieramento e in
questa lista unitaria pensiamo che possano e debbano ritrovarsi formazioni
politiche come Potere al popolo, Dema, Diem, L’Altra Europa, le “Città in
comune”, Pci, Sinistra Anticapitalista, e tutte le soggettività politiche,
sociali, culturali e sindacali che sentono l’urgenza di costruire
un’alternativa al governo LEGA-M5S e agli altri poli esistenti e ad una
prospettiva comune sul piano europeo ed anche nazionale. Giudichiamo positive
le posizioni assunte da Sinistra Italiana sulla collocazione nel Gue e nella
Sinistra Europea. In questa direzione ci siamo confrontati in questi mesi con
Luigi De Magistris e tante soggettività a partire dalla comune convinzione che
nel nostro paese c’è bisogno di una proposta di netta rottura sul piano programmatico
e del profilo politico quanto capace di essere inclusiva e larga, un progetto
che sul piano europeo si collochi in alternativa tanto a nazionalisti e
razzisti quanto ai trattati UE e alla governance neoliberista.
Il CPN impegna tutto il partito al massimo impegno nella
mobilitazione e partecipazione alle manifestazioni nazionali delle prossime
settimane: manifestazione antifascista del 3 novembre a Trieste, manifestazione
antirazzista del 10 novembre a Roma, manifestazione del 24 novembre di “non una
di meno”.
Il CPM assume relazione
e conclusioni del segretario.
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