martedì 30 aprile 2013

BUON 1 MAGGIO A TUTTE E TUTTI


IL 1 MAGGIO E LA FESTA DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI MA ANCHE DI CHI IL LAVORO NON CE L'HA.
BUON 1 MAGGIO A TUTTE E TUTTI




UNIRE L’OPPOSIZIONE DI SINISTRA
CONTRO LA RESTAURAZIONE MODERATA


Il governo Letta è nato, con la stessa maggioranza e sulle stesse basi del governo Monti. Proponiamo - a tutte le forze che in parlamento come nel paese si oppongono da sinistra - di coordinarsi per costruire un movimento di massa contro questo governo e le sue politiche neoliberiste.

Primo appuntamento il 18 maggio con la Fiom.

mercoledì 24 aprile 2013

25 APRILE 2013

ORA E SEMPRE RESISTENZA



La giornata della Liberazione dal nazifascismo sarà celebrata a Vimodrone con una serie di iniziative. Giovedì 25 aprile, l’Amministrazione comunale e l’Anpi danno appuntamento a tutti i cittadini, alle ore 9.15, di fronte al comune per il tradizionale corteo per le vie del centro fino ai monumenti ai caduti. Nel pomeriggio la manifestazione nazionale a Milano.

domenica 21 aprile 2013

NO ALL'ACCORDO PD-PDL TUTTI IN PIAZZA CON LA FIOM IL 18 MAGGIO


Adesso dopo la conferma del Presidente garante dell'accordo tra PD e PDL avremo un Presidente del Consiglio della Trilateral Commission.
Questa era la vera posta in gioco dopo le elezioni e la domanda di cambiamento che li si è espressa: la prosecuzione del Commissariamento dell'Italia da parte dei poteri forti. Per rovesciare questa rivoluzione passiva che stiamo subendo occorre costruire un efficace conflitto sociale,



 occorre costruire un coordinamento di mobilitazione tra tutte le forze di opposizione, occorre costruire l'unità a sinistra.


il 18 maggio tutti in piazza con la FIOM.












Lettera di Rodotà a 'la Repubblica': Sono e resto un uomo di sinistra


CARO direttore, non è mia abitudine replicare a chi critica le mie scelte o quel che scrivo. Ma l’articolo di ieri di Eugenio Scalfari esige alcune precisazioni, per ristabilire la verità dei fatti.

E, soprattutto, per cogliere il senso di quel che è accaduto negli ultimi giorni. Si irride alla mia sottolineatura del fatto che nessuno del Pd mi abbia cercato in occasione della candidatura alla presidenza della Repubblica (non ho parlato di amici che, insieme a tanti altri, mi stanno sommergendo con migliaia di messaggi). E allora: perché avrebbe dovuto chiamarmi Bersani? Per la stessa ragione per cui, con grande sensibilità, mi ha chiamato dal Mali Romano Prodi, al quale voglio qui confermare tutta la mia stima. Quando si determinano conflitti personali o politici all’interno del suo mondo, un vero dirigente politico non scappa, non dice «non c’è problema », non gira la testa dall’altra parte. Affronta il problema, altrimenti è lui a venir travolto dalla sua inconsapevolezza o pavidità. E sappiamo com’è andata concretamente a finire.

La mia candidatura era inaccettabile perché proposta da Grillo? E allora bisogna parlare seriamente di molte cose, che qui posso solo accennare. È infantile, in primo luogo, adottare questo criterio, che denota in un partito l’esistenza di un soggetto fragile, insicuro, timoroso di perdere una identità peraltro mai conquistata. Nella drammatica giornata seguita all’assassinio di Giovanni Falcone, l’esigenza di una risposta istituzionale rapida chiedeva l’immediata elezione del presidente della Repubblica, che si trascinava da una quindicina di votazioni. Di fronte alla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, più d’uno nel Pds osservava che non si poteva votare il candidato “imposto da Pannella”. Mi adoperai con successo, insieme ad altri, per mostrare l’infantilismo politico di quella reazione, sì che poi il Pds votò compatto e senza esitazioni, contribuendo a legittimare sé e il Parlamento di fronte al Paese.

Incostituzionale il Movimento 5Stelle? Ma, se vogliamo fare l’esame del sangue di costituziona-lità, dobbiamo partire dai partiti che saranno nell’imminente governo o maggioranza. Che dire della Lega, con le minacce di secessione, di valligiani armati, di usi impropri della bandiera, con il rifiuto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con le sue concrete politiche razziste e omofobe? È folklore o agire in sé incostituzionale? E tutto quello che ha documentato Repubblica nel corso di tanti anni sull’intrinseca e istituzionale incostituzionalità dell’agire dei diversi partiti berlusconiani? Di chi è la responsabilità del nostro andare a votare con una legge elettorale viziata di incostituziona-lità, come ci ha appena ricordato lo stesso presidente della Corte costituzionale? Le dichiarazioni di appartenenti al Movimento 5Stelle non si sono mai tradotte in atti che possano essere ritenuti incostituzionali, e il loro essere nel luogo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, e il confronto e la dialettica che ciò comporta, dovrebbero essere da tutti considerati con serietà nella ardua fase di transizione politica e istituzionale che stiamo vivendo.

Peraltro, una analisi seria del modo in cui si è arrivati alla mia candidatura, che poteva essere anche quella di Gustavo Zagrebelsky o di Gian Carlo Caselli o di Emma Bonino o di Romano Prodi, smentisce la tesi di una candidatura studiata a tavolino e usata strumentalmente da Grillo, se appena si ha nozione dell’iter che l’ha preceduta e del fatto che da mesi, e non soltanto in rete, vi erano appelli per una mia candidatura. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come mai persone storicamente appartenenti all’area della sinistra italiana siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano, invece, sollecitato l’attenzione del Movimento 5Stelle. L’analisi politica dovrebbe essere sempre questa, lontana da malumori o anatemi.

Aggiungo che proprio questa vicenda ha smentito l’immagine di un Movimento tutto autoreferenziale, arroccato. Ha pubblicamente e ripetutamente dichiarato che non ero il candidato del Movimento, ma una personalità (bontà loro) nella quale si riconoscevano per la sua vita e la sua storia, mostrando così di voler aprire un dialogo con una società più larga. La prova è nel fatto che, con sempre maggiore chiarezza, i responsabili parlamentari e lo stesso Grillo hanno esplicitamente detto che la mia elezione li avrebbe resi pienamente disponibili per un via libera a un governo. Questo fatto politico, nuovo rispetto alle posizioni di qualche settimana fa, è stato ignorato, perché disturbava la strategia rovinosa, per sé e per la democrazia italiana, scelta dal Pd. E ora, libero della mia ingombrante presenza, forse il Pd dovrebbe seriamente interrogarsi su che cosa sia successo in questi giorni nella società italiana, senza giustificare la sua distrazione con l’alibi del Movimento 5Stelle e con il fantasma della Rete.

Non contesto il diritto di Scalfari di dire che mai avrebbe pensato a me di fronte a Napolitano. Forse poteva dirlo in modo meno sprezzante. E può darsi che, scrivendo di non trovare alcun altro nome al posto di Napolitano, non abbia considerato che, così facendo, poneva una pietra tombale sull’intero Pd, ritenuto incapace di esprimere qualsiasi nome per la presidenza della Repubblica.

sabato 20 aprile 2013

mercoledì 17 aprile 2013

SUBITO IL REDDITO MINIMO

Subito il Reddito Minimo


Chiediamo che il Parlamento avvii subito la discussione della proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo, consegnata martedì 16 aprile 2013 con le oltre 50mila firme raccolte, che Rifondazione Comunista ha sostenuto con forza in questi mesi, per arrivare al più presto all’approvazione della legge.

E’ una priorità assoluta per dare risposte alla disperazione crescente di tante persone che perdono il lavoro, ed è un tassello decisivo per una riforma universalistica del welfare che estenda il sostegno al reddito a chi oggi è privo di qualsiasi forma di copertura: 600 euro al mese per disoccupati, inoccupati e precariamente occupati, con reddito annuo inferiore agli 8mila euro.

E’ una proposta di riforma vera che chiede risorse reali per essere attuata. Risorse che possono essere reperite con una patrimoniale sulle grandi ricchezze.

Questo è infatti il paese in cui il 10% più ricco della popolazione possiede quasi metà della ricchezza e in cui i dieci italiani più ricchi posseggono una ricchezza pari a quella dei tre milioni di italiani più poveri, secondo i dati della Banca d’Italia.

Un paese incivile per livello delle disuguglianze.

Una riforma fiscale equa potrebbe eliminare l’Imu sulla prima casa e colpendo i grandi patrimoni, reperire quanto serve per finanziare il Reddito Minimo Garantito.

Non solo si darebbe una risposta di giustizia sociale, ma questa misura redistributiva contribuirebbe a riattivare l’economia e ad uscire dalla crisi, causata dalla crescita delle disuguaglianze degli ultimi decenni. Serve solo la volontà di farlo.

Ci batteremo per questo.

Basta con la politica chiusa nelle alchimie di palazzo mentre il paese va a rotoli!

domenica 14 aprile 2013

LETTERA APERTA ALLE COMPAGNE E AI COMPAGNI DELLA SINISTRA

Lettera aperta
alle compagne e
ai compagni
della sinistra

Care compagne e compagni,
le frammentazioni e la divisione della sinistra italiana sono l’esito della radicale sconfitta sociale e politica degli ultimi decenni, ma anche dei nostri errori soggettivi.
La ristrutturazione capitalistica prima e la crisi economica poi hanno causato un’impressionante regressione delle condizioni di vita delle persone, una crisi sociale che – al contrario di quanto accade in altri paesi europei e nonostante l’aggressione a diritti fondamentali conquistati in un secolo di lotte – non ha prodotto un conflitto sociale adeguato alla fase, anzi, si è determinata una vera e propria eclissi delle organizzazioni di massa. Solitudine, isolamento e un profondo sentimento di impotenza delle lotte difensive costrette a manifestarsi nelle forme più estreme, ne sono la conseguenza.
La medesima ristrutturazione ha investito il sistema politico-istituzionale: l’introduzione del sistema maggioritario e del bipolarismo ha condannato le forze e le culture di sinistra, a dover scegliere ad ogni appuntamento elettorale tra l’impotenza dentro il centrosinistra egemonizzato dal pensiero neoliberista e la testimonianza ininfluente all’opposizione, in un processo di continua erosione della propria credibilità.
Per altro verso i tentativi di riaggregazione che in questi anni abbiamo insistito a promuovere sono stati viziati da limiti soggettivi relativi alla natura stessa dei processi unitari messi in campo. Non si può costruire l’unità a partire da accordi di vertice fra organizzazioni ed aggregazioni che nel corso del tempo si sono divise, senza percorsi reali di condivisione democratica e partecipata di contenuti e priorità. Non si può costruire l’unità solo sulla base delle scadenze elettorali e meno ancora con l’unico obiettivo di superare quorum e sbarramenti con liste improvvisate ed espressione di equilibri incomprensibili ai più. Non si può costruire l’unità sulla base di pregiudiziali ideologiche od organizzative tese a pretendere scioglimenti, abiure ed ulteriori divisioni nelle già troppe organizzazioni esistenti.
Riteniamo sia necessario fare un salto di qualità che non ripeta gli errori del passato.
Per questi motivi la Direzione del PRC ritiene – autocriticamente e conscia dei propri limiti e della propria non autosufficienza – di offrire ad una libera discussione, non predefinita negli esisti, alcune idee che ritiene utili per poter determinare il salto di qualità che tutte e tutti sentono necessario.
1. sarebbe necessario avviare un processo fondativo di un soggetto politico unitario della sinistra sulla base della costruzione di una piattaforma antiliberista che delinei l’uscita a sinistra dalla crisi, che si connoti per l’autonomia e l’alterità rispetto al centrosinistra, per l’esplicito collegamento con tutto il sindacalismo di classe e i movimenti di trasformazione, per il riferimento in Europa alla Sinistra Europea e al GUE.
2. sarebbe importante che tale soggetto assumesse come centrale una piattaforma per la ricostruzione della sovranità popolare e la rifondazione democratica di ogni ambito della vita sociale e politica. Dalla democrazia nei luoghi di lavoro, allo sviluppo della democrazia partecipativa e diretta, alla ripresa di un’iniziativa costante per il sistema proporzionale sul terreno della democrazia rappresentativa.
3. è indispensabile che il processo di costruzione di tale soggetto, non avvenga in modo verticista e pattizio ma attraverso il coinvolgimento democratico e partecipato di tutte le persone concordi con gli obiettivi unitari, sulla base del principio una testa un voto. Che il soggetto unitario abbia piena titolarità sulla rappresentanza elettorale. Che le forze organizzate, locali e nazionali, che scelgano di attivarsi per il processo unitario senza sciogliersi, si impegnino a non esercitare vincoli di mandato ed a garantire la libera scelta individuale nell’adesione al nuovo soggetto politico da parte dei propri iscritti e iscritte.
E’ questa la proposta che mettiamo a disposizione del confronto a sinistra, nella convinzione che il popolo della sinistra debba e possa costruire un nuovo soggetto politico unitario per la lotta, la partecipazione, la trasformazione.


CHI E' CASALEGGIO?



martedì 9 aprile 2013

INTERESSANTE ASSEMBLEA SUL DOPO ELEZIONI IL 10 APRILE A MILANO...

Mercoledì 10 aprile 2013 alle 20.30 alla Camera del Lavoro di Corso di Porta Vittoria è programmata l'Assemblea Pubblica sul dopo elezioni e per riprendere un percorso di impegno per l'eguaglianza e la solidarietà sociale.


L'esigenza è quella di un confronto ampio, di un reciproco ascolto che sono condizione per una ricerca comune.

sabato 6 aprile 2013

IL 18 MAGGIO CON LA FIOM CONTRO LE POLITICHE NEOLIBERISTE



Grillo dice giustamente che di fronte ad un accordo Pd-Pdl vi sarà la rivolta. Noi lavoriamo affinché la rivolta non resti tale ma diventi lotta per la giustizia sociale, per la rivoluzione. Lavoriamo quindi per la piena riuscita della manifestazione della Fiom del 18 maggio, primo momento di lotta nazionale contro le politiche neoliberiste dopo le elezioni.
 La cosa che Grillo non dice è che ha fatto tutto quanto è in suo potere per determinare questo sciagurato accordo, perseguendo la logica del tanto peggio tanto meglio, che non ha mai portato risultati per i lavoratori e i disoccupati. Non a caso il primo effetto della sua azione è il mantenimento in carica del devastante governo Monti che continua imperterrito ad applicare le criminali politiche europee.

giovedì 4 aprile 2013

DA CHI VIENE (E PER FARE COSA) IL "TESORO" DI RENZI

Da chi viene (e per fare cosa) il "tesoro" di Renzi

E bravo Renzi! Il sindaco di Firenze, taumaturgico guaritore degli italici mali, aspirante al radioso futuro di presidente del Consiglio, “rottamatore” della gerontocrazia che affolla i partiti e moralizzatore di una politica spendacciona e corrotta, ha ieri reso pubblici i nomi dei suoi finanziatori privati (con i relativi importi).

Lo ha fatto con plateale orgoglio: "L'elenco dei finanziatori del comitato per le primarie e della Fondazione BigBang è online. Un impegno che avevo preso e che ho mantenuto”. Poi ha aggiunto: “Spero che questo esempio sia seguito da altri, così abbiamo dimostrato che si può fare politica anche senza finanziamento pubblico ai partiti. Prima lo aboliamo, rispettando il referendum e dunque il volere dei cittadini, meglio è...". E se ne capisce la ragione. Basta dare un’occhiata ai nomi e alla “caratura” economica dei personaggi che hanno versato a Renzi il proprio generoso ma, beninteso, privato obolo.

Tra i finanziatori, almeno tra quelli che hanno autorizzato la pubblicazione del proprio nome, ve ne sono diversi che fanno capire bene chi si fila l’enfant prodige della politica italiana.

C’è David Serra, bocconiano, finanziere d’assalto, già collaboratore di Morgan Stanley, fondatore, insieme al francese Erich Halet, di un hedge found (fondo speculativo). “Aria da bravo ragazzo e gergo anglofinanziario di rigore - raccontano Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini -, per lui il rialzo è upside, lo stipendio è la compensation, si punta su un titolo perché c’è high convinction. Il regalino suo e di sua moglie, Anna Barassi, è di 100mila euro. Poi troviamo l’imprenditore Guido Ghisolfi, vicepresidente del gruppo Mossi&Ghidolfi, artefice del più grande impianto al mondo di bioetanolo di seconda generazione a Crescentino (Vercelli) e ideatore dell’implementazione degli impianti di produzione di pet (la plastica delle bottiglie per acque minerali e soft drink). Si prosegue con Paolo Fresco, presidente della Fiat fino al gennaio del 2003 e oggi nel Consiglio d’amministrazione di Capitalia; fu lui a negoziare il famoso scambio con General Motors che portò nelle casse dell’azienda torinese due miliardi di dollari. Anche da lui, e dalla moglie Edmée Jacquelin, sono arrivati 25mila euro. Quindi c’è la Isvafim spa, società che fa capo ad Alfredo Romeo (lui ha donato 60mila euro), a buon titolo nel gotha degli immobiliaristi italiani: Consigliere di presidenza di Assoimmobiliare, Consigliere nazionale di Ifma (International facility management association), Consigliere nazionale Aici (Associazione nazionale consulenti immobiliari). Il gusto del lusso è una costante della sua vita: una villa a Posillipo, un eden a sei piani con giardino sulla spiaggia, prato inglese, piante grasse bordure fiorite. Tanto sulla spiaggia che nel 2008 l’antiabusivismo aprì un procedimento e sequestrò l’area. Sfogliando i nomi si trova anche Simon fiduciaria, (20 mila euro anche da lì) che vuol dire Grande Stevens, cospicuo beneficiario dello scudo fiscale con cui Berlusconi e Tremonti hanno “ripulito” i capitali esportati nei forzieri svizzeri. E ancora, Jacopo Mazzei, presidente della Cassa di risparmio di Firenze e azionista di Intesa Sanpaolo; e Renato Giallombardo, esperto in fusioni, ristrutturazioni, acquisizioni societarie, operazioni di private equity, join venture nazionali e internazionali (da loro, 10mila euro a testa).

Il totale dà la non disprezzabile cifra di 814mila euro.

Eccola qui la via maestra che ripulisce la politica dei suoi vizi, quella indicata da Grillo e che furoreggia da destra a sinistra. Il futuro radioso che è davanti a noi dice che la politica, ma anche l’informazione, saranno sempre più un privilegio dei ricchi i quali, come è noto, non fanno del filantropismo e sanno scegliere con chirurgica precisione i propri beneficiati. Come negli Stati Uniti, dove questa selezione censitaria è ampiamente collaudata, e dove la metà dei parlamentari che giungono a fine mandato diventano, ufficialmente, lobbisti delle potenti multinazionali che li hanno foraggiati e fatti eleggere anche prima.

Che esistano persone che possono diventare proprietari di partiti, giornali, televisioni, case editrici non provoca qui da noi significative reazioni. Tant’è che non si riesce a neppure a venire a capo del mastodontico conflitto di interessi che ammorba la nostra democrazia da un ventennio. La gente, e soprattutto i poveri cristi, sono nauseati dall’uso vergognoso che si è fatto delle risorse pubbliche, e a istinto vorrebbero lapidare chiunque si opponga alla cancellazione di qual si voglia forma di finanziamento pubblico. Come spesso accade, i guasti provocati dalla cancrena corruttiva vengono usati proprio da coloro che ne sono i responsabili per abbattere ogni forma di pluralismo e distruggere le condizioni che, pur nell’asimmetria delle forze in campo, possono rendere un pò meno impari la lotta politica.

L’egemonia delle classi dominanti si è spinta così avanti da riuscire anche in questo capolavoro: convincere i subalterni a privarsi dei mezzi per sottrarsi alla condizione di marginalità politica, oltre che di sfruttamento, che li mantiene sotto il giogo.

Renzi insiste nella sua crociata ed è felice di dimostrare che lui non mette le mani nelle tasche dei cittadini per fare politica. I soldi glie li danno i suoi amici, quelli di cui sopra. Avete capito perché?

Dino Greco dal giornale online "LIBERAZIONE"

L'ETERNO RITORNO DI BERLUSCONI. E CHI LO RENDE POSSIBILE

L’eterno ritorno di Berlusconi. E chi lo rende possibile


L’attacco a Bersani perché non si presentasse alle Camere, il “piano B” con Berlusconi tornato protagonista, secondo il copione del Quirinale. Tra una sinistra subalterna e la storica mancanza, in Italia, di una destra almeno formalmente democratica, scivoliamo lungo una deriva mortale per la nostra fragile democrazia.

Né Hollande né Bersani sono due rivoluzionari, ma non ricordo di aver assistito a una guerra più violenta di quella in atto contro di loro. Proprio guerra di classe, ha ragione Gallino: la destra proprietaria all’attacco contro chiunque non sia un liberista puro. In Francia, la sconfitta di Sarkozy è stata seguita da un’offensiva padronale durissima, chiusure, licenziamenti e delocalizzazioni che hanno aumentato di colpo la già forte disoccupazione dovuta alla crisi – oltre tre milioni di disoccupati, senza contare altri due milioni di persone che sono costrette a lavoretti senza continuità né diritti. La gente comune, il cui potere d’acquisto è decimato mese per mese , rimprovera sempre più aspramente al governo socialista di non aver tenuto le promesse. Insomma è aperto il fuoco da destra e da sinistra.

In Italia, Pier Luigi Bersani è stato oggetto di una distruzione sistematica, dal Quirinale e dalla stampa, per aver osato proporre di far verificare alle camere una proposta di programma certo modesta ma nella non infondata speranza di ottenere qualche voto dall’esercito dei deputati grillini, che sono un’armata Brancaleone senza programma, nei quali si potevano trovare una dozzina di voti come sono stati trovati per la presidenza del Senato. Il Quirinale non glielo ha permesso, come se fossimo già una repubblica presidenziale. Bersani non ha accettato, ma neppure si è ribellato alla volontà del capo dello stato. Così sta avanzando il cosiddetto “piano B”, che punta alla reintroduzione al governo di un Berlusconi più sfacciato che mai: “voglio questo, voglio quello” inossidabile, persuaso di poter proporre per il governo una maggioranza di cui lui sarebbe parte fondamentale e al Quirinale un suo uomo (“Letta o, perché no, io stesso”).

Non saprei quanto sarebbe durato un governo come quello proposto da Bersani, anche se gli fosse stato permesso di strapparlo alle Camere, ma quel che è sicuro è che il senso del divieto presidenziale è riaprire la strada a una unità nazionale di cui Berlusconi deve essere una parte determinante. In qualche modo, il fatto che Napolitano l’abbia ricevuto al Quirinale dopo che il Cavaliere aveva vomitato le sue insolenze due giorni prima in Piazza del Popolo l’ha, politicamente parlando, legittimato. E in tutta l’Italia sembra aver tirato un respiro di sollievo, basta con le interdizioni, chi propone e decide è il voto popolare – tesi che nel Novecento ha dato il potere alle dittature fasciste. Perché l’Italia non ha voluto assolutamente Bersani? Non certo, ripeto, perché avesse un programma sovversivo né estremista, e neppure antieuropeo; ma assai vagamente riformista, perché aveva dei rapporti con Vendola e la Fiom, perché aveva permesso che nel suo partito si annidassero pericolosi soggetti come Orfini e Fassina. Questo andava impedito.

È venuto il momento di smettere di domandarsi com’è che Berlusconi rispunta sempre sulla scena politica. Bisogna riconoscere che quando sembra del tutto abbattuto, c’è sempre una mano di destra o di sinistra che lo risolleva dal pantano in cui si trova. Bisogna chiedersi invece perché per la quinta volta questo scenario si ripete e se non ci sia nel paese un guasto assai profondo che ne consente la disposizione. Pare evidente la responsabilità di una sinistra – specificamente il Pci, che era stato dopo la guerra il più rilevante e interessante di tutto l’occidente – nel non aver esaminato le ragioni del crollo dell’89, quando i figli di Berlinguer si sono convertiti di colpo a Fukuyama (“la storia è finita”) con la stessa impermeabilità che avevano opposto a chi, fino a un mese prima, aveva avanzato qualche critica al sistema sovietico.

Ma, una volta ammessa questa debolezza della sinistra e dei comunisti italiani in particolare, è impossibile non chiedersi perché l’Italia sembri incapace, ormai storicamente, di darsi una destra almeno formalmente democratica, non sull’orlo dell’incriminazione in nome del codice penale. È questa una maledizione che ci perseguita fin dall’unità del paese e non sembrano certo i dieci “saggi” proposti dal Colle in grado di affrontarne le ragioni e estirparne le radici. Destra e sinistra sembrano ammalate nel loro stesso fondamento culturale e morale; la ragione di fondo per cui ci troviamo nella bruttissima situazione odierna sta, evidentemente, qui, finché questa diagnosi non viene seriamente fatta, non ne usciremo, neppure quando non mancano, come oggi, ragionevoli proposte per bloccare una deriva che appare mortale per la nostra giovane e fragile democrazia.

Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci, 2 aprile 2013

mercoledì 3 aprile 2013

LA COSTITUZIONE CONGELATA

La Costituzione congelata


di Massimo Villone

Napolitano ha surgelato la crisi. Il capo dello Stato, il governo pre-voto, il parlamento neo-eletto restano ciascuno al proprio posto. Nuovi sono solo i saggi, che dovrebbero dare a tutti lumi sul che fare. È opinabile che sia la via utile e costituzionalmente corretta.

Su una cosa Napolitano ha ragione. Un governo esiste, comunque e sempre. Allo stato, è il governo Monti. Dimissionario e senza fiducia, ma con i poteri formali necessari anche per i provvedimenti d’urgenza di cui si manifestasse la necessità. E il governo è parte necessaria anche nei lavori parlamentari, quale che sia l’opinione del M5S. Basta leggere i regolamenti di Camera e Senato per saperlo.

Ma un dubbio viene: se governo senza fiducia doveva essere, perché Monti? Se il popolo sovrano avesse voluto Monti ancora in carica, l’avrebbe votato in massa. È accaduto il contrario. Per di più, Monti ha rotto il rapporto fiduciario già prima del voto, con le dimissioni. Realizzando così la stessa situazione che sarebbe seguita al diniego della fiducia per un governo di nuova formazione, oggi. Perché allora opporre a Bersani l’ostacolo – di fatto insuperabile – di un sostegno parlamentare certo, per poi giungere a un governo per cui era ed è certa la mancanza di sostegno? Perché non puntare a un governo magari senza fiducia, ma comunque legittimato dal consenso prevalente degli italiani, come Bersani, per giungere invece a un governo parimenti senza fiducia, e in più colpito dal dissenso prevalente degli stessi italiani, come Monti?Ci si richiama al gradimento europeo e dei mercati. Ma non può essere l’unico elemento a sostegno del permanere in carica di un governo. E in specie per il costituzionalista si pongono quattro domande.

La prima: può il capo dello Stato omettere ogni iniziativa, e lasciare in carica il governo Monti, senza ulteriori formalità? A mio avviso, no. Per l’art. 94, primo comma, Cost., il governo «deve» avere la fiducia delle Camere. Ciò significa quanto meno che non si può ignorare se il governo la fiducia l’abbia o non l’abbia, né si può lasciare in carica a tempo indeterminato un governo senza fiducia. Tale è invece inevitabilmente il caso per l’attuale governo, che non ha alcun rapporto con il Parlamento espresso dal voto. Per questo, è necessaria una nuova nomina di premier e ministri, sia pure con le stesse persone. A seguire, la presentazione alle Camere e il voto di fiducia ai sensi dell’art. 94, commi 2 e 3.

La seconda domanda: laddove manchi una nuova nomina, può il governo così congelato in carica evitare un passaggio in Parlamento con voto sulla fiducia? Non può. Per gli stessi motivi di cui al punto precedente, il venire in essere di nuove Camere rende inevitabile la verifica del rapporto con il governo. Nella nostra forma di governo l’esistenza o inesistenza del rapporto fiduciario non si presume. Si certifica per il sì o per il no, con il voto sulla fiducia. L’ipotesi di un governo che rimanga in carica senza sapere se mai si giungerà a quel voto non è compatibile con l’art. 94.

La terza domanda: qual è la posizione dei saggi nei lavori parlamentari? Nei regolamenti delle Camere, gli unici soggetti legittimati alla presenza e alla iniziativa sono i parlamentari e il governo. Salvo casi specifici come la petizione, o alcune limitate ipotesi di iniziativa legislativa, gli apporti di soggetti terzi sono eventuali e a richiesta, ed entrano nel procedimento solo se fatti propri da un soggetto legittimato. Chi si renderà portatore del prodotto dei saggi? I presidenti di commissione? I parlamentari? Il governo? Chi difenderà quel prodotto nella gestione degli emendamenti, e come? Un governo che non può mettere la questione di fiducia, perché per definizione la fiducia non l’ha, e dovrà – per il parere obbligatorio – rimettersi costantemente all’Aula? Alla fine, decideranno gruppi parlamentari e partiti. Ma allora bastava partire dalle proposte che sono state avanzate nel corso degli anni. Cosa potranno inventare di nuovo i saggi?

La quarta domanda: che fine fa la responsabilità politica? Un governo già dimissionario, imbalsamato dopo la cesura elettorale, condotto dal leader meno legittimato politicamente nel voto, senza fiducia parlamentare, a chi risponde di che? E i saggi chiamati a risollevare la repubblica, a chi rispondono a loro volta? A un presidente che nel frattempo avrà terminato il suo mandato? E se il nuovo capo dello Stato volesse dei saggi più saggi, potrebbe più o meno motivatamente licenziare i primi? Se il disastro del paese dovesse confermarsi o addirittura aggravarsi chi ne assumerebbe la responsabilità, e sulle spalle di chi cadrebbe la censura per i costi sociali, politici, economici? Quali elementi utili per il nuovo turno elettorale, comunque vicino, darà l’esperienza che ora si avvia?

In qualche punto si è smarrita la via giusta. Una lettura ci dice che il pensiero unico della governabilità a ogni costo ha prevalso, come da venti anni a questa parte, e pur essendone venuti disastri indiscutibili. Non si sfugge alla sensazione che l’Italia dei governicchi fosse alla fine più governata dell’Italia di oggi.

Si parla di soluzione olandese. Il richiamo all’esperienza straniera è sempre elegante. Ma attenzione: può accadere che partendo dai tulipani si giunga ai crisantemi.

il manifesto 2 aprile 2013

SOCIAL FORUM DI TUNISI, UN BILANCIO POSITIVO

Social Forum di Tunisi, un bilancio positivo


di Vittorio Agnoletto -

Gli anni che ci separano dal 2001 sono stati densi di eventi che hanno modificato completamente lo scenario internazionale; ma il messaggio lanciato dal primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre è risuonato in tutta la sua attualità a Tunisi, dove migliaia di giovani hanno mostrato ai movimenti di tutto il mondo come stanno cercando di costruire «un altro mondo possibile».

Tunisi è stata scelta come sede della dodicesima edizione del Forum Mondiale per due ragioni: innanzitutto per la consapevolezza che alla nascita delle rivoluzioni magrebine ha contribuito anche il lavoro che dal 2006 il Forum ha realizzato in Africa, prima con il Forum Africano a Bamako, poi con quello mondiale a Nairobi e coi forum regionali del Maghreb e del Makresh che hanno fornito agli attivisti delle realtà democratiche la possibilità d’incontrarsi sotto l’ombrello protettivo del Forum Sociale Mondiale; quindi per il desiderio di lanciare un messaggio di forte sostegno al percorso rivoluzionario in un momento estremamente complicato.

Non c’è dubbio che l’evento appena conclusosi abbia sacrificato una discussione approfondita su alcune urgenze globali, quali ad esempio la crisi finanziaria e climatica; ma la scelta è stata di rilanciare lo spirito militante di un Forum che si propone come incubatrice e partner essenziale dei processi sociali di trasformazione della realtà andando oltre l’idea originaria di un semplice spazio aperto di confronto. Ed infatti la successiva discussione del Consiglio Internazionale del Forum si è concentrata sulla necessità di aumentare l’efficacia della nostra azione collettiva fuggendo il rischio di appuntamenti autocelebrativi.

La crisi economica, vero rischio

Uno degli sforzi dei movimenti sociali tunisini è stato quello di contrastare la vulgata, ampiamente diffusa da gran parte dei media europei, secondo la quale la principale questione al centro del dibattito sulla rivoluzione sarebbe il confronto tra uno sbocco democratico e uno stato teocratico. La vicenda religiosa occupa un ampio spazio nel confronto odierno ma una sua assolutizzazione rischia di coprire l’emergenza sociale che oggi è il vero problema: dopo la rivoluzione il costo dei prodotti alimentari è aumentato anche del 25%, è cresciuta la disoccupazione, è diminuito il potere d’acquisto dei salari ed è contemporaneamente aumentata l’economia illegale collegata ai traffici transfrontalieri.

Le scelte del governo, dominato da Ennahda, il principale partito mussulmano, si caratterizzano per politiche economiche liberiste fondate su accordi con la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale senza alcun efficace tentativo di ridiscutere l’esorbitante debito estero che attanaglia il paese. Non a caso, i seminari di Attac sulla rinegoziazione del debito erano affollatissimi. A riprova delle consapevolezza della drammaticità della situazione.

L’incontro, ormai evidente in diversi paesi, tra il sistema liberista e le scelte dei partiti riconducibili ai Fratelli Mussulmani non è solo il risultato delle manovre dell’amministrazione americana, finalizzate a rendere compatibili con gli interessi d’oltreoceano le politiche dei nuovi governi arabi. Secondo alcuni dei nostri interlocutori la questione è ben più profonda e riguarda, semplificando al massimo con il rischio di banalizzare un ragionamento ben più complesso, la scelta dell’Islam di delegare all’obbligo della carità la soluzione delle disuguaglianze sociali.

L’Arabia Saudita ed il Qatar, piuttosto che sostenere il bilancio dello stato tunisino senza avere la garanzia di elevati ritorni economici, preferiscono finanziare le numerose associazioni islamiche impegnate nell’attività sociale e nel reclutamento religioso. Il risultato concreto è che dopo la rivoluzione è senza dubbio aumentata la libertà d’espressione, di stampa e di comunicazione, (seppure in presenza di alcuni gravi casi di repressione verso giornalisti accusati di mancanza di rispetto verso l’Islam) ma contemporaneamente sono decisamente peggiorate le condizioni di vita di ampie fasce di popolazione, con il rischio che ne risulti indebolita la prosecuzione del processo rivoluzionario.

Sinistra, un difficile equilibrio

La sinistra politica, riunita nel Fronte Popolare, è attraversata da un vivace dibattito sull’equilibrio da tenere tra la lotta per la difesa della laicità, argomento trasversale e interclassista, e le rivendicazioni sociali con precisi riferimenti di classe.

Il dibattito sul ruolo della religione nello stato è ancora aperto a soluzioni fra loro molto differenti. Il Forum è stato anche utilizzato da alcuni gruppi come opportunità per rilanciare, invocando paradossalmente la libertà conquistata durante la rivoluzione, soluzioni da tempo sostenute dai gruppi integralisti e vietate dal regime precedente, quale la possibilità di accedere alle lezioni universitarie con il Burqa.

Nonostante tutte le accuse di strumentalità che si possono rivolgere ad una simile operazione, non c’è dubbio che siano riusciti ad imporre tale argomento alla discussione collettiva.

Il Presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, durante l’incontro con il Consiglio Internazionale,ha assicurato che nella Costituzione sarà garantita la parità tra uomini e donne e che chi volesse proporre la poligamia «dovrà passare sopra il mio corpo»; affermazioni forti alle quali non è però fino ad ora corrisposto un impegno preciso: la «complementarietà» tra uomo e donna è stata rimossa dalla Costituzione solo dopo un’ampia mobilitazione di piazza e non certo per un’ iniziativa presidenziale.

Durante l’incontro ho chiesto ragione al presidente delle gravi affermazioni da lui rilasciate qualche giorno prima in Qatar nei confronti dell’opposizione; affermazioni che contenevano toni minacciosi e intimidatori, inaccettabili da parte della massima autorità istituzionale. Moncef Marzouki ha replicato che l’opposizione ha i diritti che gli competono purché agisca nei limiti di legge, in modo nonviolento e senza alcuno spirito di rivincita.

Difficile accettare simili giustificazioni, considerato che le manifestazioni poste sotto accusa come eventi sovversivi erano quelle coincidenti con il funerale di Chokri Belaid, il leader dell’opposizione assassinato il 6 febbraio.

L’ottimismo della ragione

Tra gli attivisti tunisini non vi è grande fiducia sulla possibilità di imprimere nel futuro prossimo una svolta antiliberista alle politiche economiche, ma è invece diffuso un moderato ottimismo sulla possibilità di respingere le aspirazioni integraliste.

La credibilità di Ennahda nelle prime elezioni libere sarebbe dipesa anche della lunga opposizione svolta dalle organizzazioni islamiche al regime e pagata spesso con parecchi anni di carcere dai loro dirigenti diventati in seguito i candidati di punta del partito islamico; ad esempio l’attuale ministro dei trasporti ha trascorso sedici anni in carcere.

Ma tale credibilità sarebbe ora in forte calo per il crescere della corruzione e per i tanti errori commessi nel governo seguito alla primavera tunisina.

Su un aspetto tutti i nostri interlocutori concordano: la rivoluzione è ancora in corso, sarà un processo lungo che necessiterà anche di una concreta solidarietà internazionale. E questo riguarda anche noi.

* membro del board di Flare e del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale

il manifesto 2 aprile 2013

martedì 2 aprile 2013

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