giovedì 28 luglio 2011

LA BORSA E LA VITA, LE DUE CRISI SI TOCCANO



LA BORSA E LA VITA, LE DUE CRISI SI TOCCANO

dal manifesto del 28/07/2011 di Galapagos

Il comunismo è morto, il capitalismo trionfa, si sosteneva alcuni anni fa. I più intelligenti aggiungevano: il capitalismo (o se preferite, il libero mercato) è il sistema economico meno imperfetto. Oggi abbiamo la certezza che questo sistema fa schifo. Dal 2008 è avvitato in una crisi spaventosa generata da una speculazione selvaggia alla quale nessuna organizzazione internazionale o stati nazionali è riuscita a porre argini. Una crisi costata migliaia di miliardi che sembrava risolta: l'economia aveva ripreso a crescere e le previsioni erano ottimiste. Ma quello al quale stiamo assistendo smentisce ogni previsione.
Il sistema globale è nel vortice di una nuova crisi finanziaria che rischia di produrre effetti disastrosi, peggiori di quella iniziata oltre 3 anni fa alla quale sono state messe «toppe» gigantesche che hanno contribuito a destabilizzare i conti di molti stati. Il salvataggio delle grandi banche - troppo grandi per essere lasciate fallire - e il loro temporaneo passaggio alla proprietà pubblica non è servito a nulla. O meglio è servito unicamente a riarmare la speculazione a darle certezza dell'impunità e la convinzione che i profitti erano destinati a tornare privati e le perdite a essere socializzate.
Quella che abbiamo di fronte è una crisi fiscale degli stati: l'impossibilità di onorare i debiti sovrani. È una crisi che coinvolge il centro dell'impero (gli Usa), le medie potenze (Italia e Spagna) e soprattutto piccoli paesi come Irlanda, Portogallo e Grecia. E su questi paesi si accaniscono le società di rating (sostanzialmente tre colossi statunitensi) che danno - non richieste - giudizi feroci su i paesi che sono nei guai. Mentre in passato avevano fatto finta di non vedere che banche e società di grido erano sull'orlo del fallimento e ne suggerivano acquisti di azioni e prestiti di capitali. Ma sarebbe assurdo ridurre questa crisi a un fatto unicamente finanziario. Da un punto di vista ideologico la crisi nasce dall'anarchia del capitalismo e, in pratica. dall'incapacità degli stati di eliminare, o quantomeno ridurre, le sperequazioni nella distribuzione dei redditi. Che, anzi, con l'ultima crisi sono peggiorate. Di più: stiamo assistendo a una crescita sempre più condizionata dalle lobby delle imprese produttrici di armi che sottraggono risorse, pubbliche, a una crescita diversa. Quello che è peggio che tutte le soluzioni per uscire dalla crisi puntano non su una distribuzione dei redditi, ma su un peggioramento delle condizioni del lavoro e di vita di chi è già strangolato. Degli indici di borsa ci interessa poco, ma le condizioni di vita, degli italiani come dei greci, non possono essere decise dagli apologeti del capitalismo.

lunedì 25 luglio 2011

ENNESIMA MORTE DI UN MILITARE IN AFGANISTAN



ENNESIMA MORTE DI UN MILITARE IN AFGANISTAN

di Paolo Ferrero

Per l'ennesima volta faccio le mie condoglianze alle famiglie, e dico alla Lega Nord: Basta parlare a vanvera, la Lega voti contro il rifinanziamento delle missioni.
Non si può continuare a chiacchierare sulla pelle delle persone continuando una guerra ingiusta ed inutile.

IL NUOVO ORGANIGRAMMA DELLA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA



IL NUOVO ORGANIGRAMMA DELLA
FEDERAZIONE DELLA SINISTRA


Portavoce nazionale
Massimo Rossi
Presidente
Cesare Salvi
Coordinamento
Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto, Gianpaolo Patta, Rosa Rinaldi, Cesare Salvi, Luca Cangemi, Orazio Licandro, Concetta Masseria, Delfina Tromboni.
Presidente collegio di Garanzia
Bruno Rastelli
Tesoriere
Roberto Soffritti
Sono stati inoltre varati forum tematici: Lavoro, Democrazia, Migranti, Beni comuni, Saperi. Composti da esponenti dei soggetti fondatori della Federazione e da esponenti esterni, come ad esempio Gianni Ferrara per il Forum Democrazia ed Emilio Molinari per quello sui Beni Comuni.

mercoledì 20 luglio 2011

GENOVA 2001-2011 IL FUTURO DEL MOVIMENTO ALTERMONDIALISTA



GENOVA 2001-2011 IL FUTURO DEL MOVIMENTO ALTERMONDIALISTA

Incontro-dibattito


Porto Alegre 2001-2011 – Genova 2001-2011


IL FUTURO DEL MOVIMENTO ALTERMONDIALISTA


TERRA, ACQUA, CIBO, ENERGIA, BENI COMUNI, PACETEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE, L'AMERICA LATINA


Una lectio magistralis che intende offrire la riflessione attuale di uno dei più autorevoli esponenti del movimento altermondialista.


I temi e i contenuti, la cultura e la politica, di ciò che sostanzia l'agire emancipativo e alternativo dei movimenti e delle forze politiche su scala mondiale.


GENOVA – SABATO 23 LUGLIO 2011 – ore 18.45-20.45


PALAZZO DUCALE (SOTTOPORTICATO) – PIAZZA MATTEOTTI


Incontro con


FRANÇOIS HOUTART


(teologo e sociologo, fondatore del Forum Mondiale delle Alternative e promotore dei Forum Sociali Mondiali)



introduce e coordina



GIORGIO RIOLO



(Associazione Culturale Punto Rosso)


organizzano


Associazione Culturale Punto Rosso


Forum Mondiale delle Alternative
















domenica 17 luglio 2011

FERRERO SU MANOVRA ECONOMICA

FERRERO SU MANOVRA DICHIARAZIONE DEL 18 LUGLIO 2011

Abbiamo ragione noi: il governo favorisce la speculazione e massacra il paese
L’aumento dello spread odierno tra BTP e BUND tedeschi dimostra inequivocabilmente che abbiamo ragione noi: la manovra fatta dal governo e benedetta dal Capo della Stato non serve assolutamente a bloccare la speculazione per la elementare ragione che non contiene nessuna misura contro la speculazione.
Si tratta di una manovra identica a quelle fatte in Grecia per un anno: manovre di massacro sociale che difendono gli interessi degli speculatori, dei ricchi, della casta e sono destinate a produrre ulteriore recessione economica. Ribadiamo che le misure da assumere per bloccare la speculazione sono poche e semplici: occorre fare una legge che blocchi la vendita allo scoperto dei titoli.
Occorre tassare le transazione finanziarie speculative.
Occorre che la BCE acquisti direttamente i titoli degli stati sottoposti ad attacchi speculativi esattamente come fa la Federal Reserve negli Stati Uniti.
Se queste misure non vengono assunte significa solo che – al di la delle chiacchiere – il governo italiano ed europeo, favorisce gli speculatori e massacra il paese.




Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista ha dichiarato:

“Sulla manovra il governo ha un atteggiamento assolutamente ipocrita perché usa lo spauracchio della speculazione per tagliare la spesa sociale.
Dice di volersi difendere dai lupi ma in realtà uccide gli agnelli! Perché il governo non combatte gli speculatori mettendo fuorilegge le vendite allo scoperto? Perché invece di tagliare la spesa sociale non mette una tassa sui grandi patrimoni al disopra del milione di euro?
In Italia l’1% più ricco della popolazione possiede una ricchezza pari al 60% più povero della popolazione.
Uno scandalo che il governo concorre ad aggravare”.

G8 DI GENOVA - LIBRO DI AGNOLETTO E GUADAGNUCCI





L'eclisse della democrazia
Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova



Vittorio Agnoletto
Lorenzo Guadagnucci

martedì 12 luglio 2011

CON I REFERENDUM PER DIFENDERE LA DEMOCRAZIA




CON I REFERENDUM PER DIFENDERE LA DEMOCRAZIA



di Massimo Rossi



La Federazione della Sinistra sostiene attivamente la raccolta firme a favore dei quesiti referendari per una legge elettorale di stampo proporzionale volta al superamento del bipolarismo.
Una ‘porcata’ di bipolarismo in cui si governa anche senza la maggioranza, si esclude dalle istituzioni la rappresentanza di parti significative della società e si allontanano dal voto un terzo degli elettori.
Riprendendendo le parole d’ordine di migliaia di indignados scesi in piazza in tutto il continente contro un’Europa tecnocratica, nella quale sempre meno cittadini si sentono rappresentati, e raccogliendo il forte segnale arrivato dai referendum del 12 e 13 Giugno, vogliamo batterci anche in questa campagna per il rilancio della democrazia e della partecipazione.
Tra i promotori dei quesiti vi sono compagni fondatori della Federazione della Sinistra come Gianni Ferrara e l’Associazione per la Democrazia costituzionale che ci ricordano l’importanza dello spirito e della lettera della Costituzione repubblicana.
Faremo la nostra parte coinvolgendo tutte le strutture territoriali per ridare credibilità alle istituzioni largamente vilipese da un Parlamento di nominati, senza relazioni con i bisogni dei cittadini.

PERCHE’ I CATTOLICI.








DAL SITO DI RANIERO LA VALLE

Resta da chiedersi come mai tra il maggio e il giugno di quest’anno c’è stato il grande ritorno dei cattolici alla politica, quale si è manifestato sia nei sorprendenti risultati delle elezioni amministrative sia nel quadruplice voto referendario. Ciò che è accaduto è che mentre nelle ultime sciagurate elezioni politiche il voto cattolico si era ripartito tra gli schieramenti e i partiti esattamente nelle stesse proporzioni in cui si era distribuito il voto degli italiani in generale, risultando perciò irrilevante, ora invece l’elettorato cattolico si è polarizzato nel voto “di liberazione” di città come Milano, Napoli, Cagliari e altre città del Nord, e si è concentrato nella valanga dei “sì”. L’imponente spostamento di voti dalla Lega e dal Popolo della Libertà alle posizioni opposte, è spiegabile solo col mutato atteggiamento dei cattolici praticanti, del resto anticipato da un sondaggio commissionato dai “cristiano-sociali” alla SWG, da cui risultava che il 57-59 per cento dei cattolici praticanti provavano “disgusto per il comportamento di Berlusconi” o lo ritenevano “una vergogna per l’immagine del Paese” non potendosi separare vita
privata e funzione pubblica, che dal novembre 2010 al gennaio 2011 il gradimento del governo presso gli elettori cattolici era sceso dal 42 al 33 per cento e che la quota di quelli che avendolo votato non lo avrebbero votato più raggiungeva il 22 per cento.

Una simile vitalità della componente cattolica nella vita politica non si registrava da anni. La stagione d’oro della partecipazione politica dei cattolici ha coperto molti decenni del Novecento, dalla straordinaria scelta laica e popolare di don Sturzo all’antifascismo della Resistenza, dalle “idee ricostruttive della Democrazia Cristiana “ di De Gasperi all’apporto decisivo dato alla concezione e alla formulazione della Carta Costituzionale, dal baliatico della Repubblica e della ripresa economica esercitato dalla DC alla nuova creatività di forme politiche e di lotte per i diritti indotta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, fino alla vetta della strategia innovatrice di Moro, violentemente interrotta col suo sequestro ed assassinio. Da allora è scesa la notte ed altri protagonisti, altri gestori, altri progetti e altri metodi hanno invaso l’Italia per farne una cosa del tutto diversa. Fino alla fiammata di ora. Come si spiega?

La scomparsa dei cattolici organizzati dalla scena politica (pur essendo rimasta la loro presenza individuale nei diversi partiti) è essenzialmente legata al venir meno degli strumenti attraverso cui si era esercitata la loro azione, prima di tutto la DC ma anche le organizzazioni “collaterali” (ACLI, associazioni, sindacati) e, sull’altro versante, la Sinistra Indipendente. A questa causa strutturale si è aggiunto il passaggio del sistema politico italiano dal pluralismo al bipolarismo maggioritario, con la conseguente perdita del concetto di bene comune, che è la ragione stessa del cattolicesimo politico, e si è unito il fatto che la Chiesa dei vescovi si è assunta direttamente la gestione dei rapporti col potere, mettendo fuori gioco e rendendo superfluo, se non fastidioso, il laicato. Questo pertanto si è confinato nel volontariato, nell’azione sociale, nel “progetto culturale” e, nei casi migliori, nella “scelta religiosa”.





È molto significativo che il ritorno della fiamma politica sia avvenuto nel momento in cui la Chiesa dei vescovi è sembrata ritornare sui suoi passi e prendere qualche distanza dal potere politico, e che i cattolici si siano mobilitati non per le questioni a cui la Chiesa ha finito per ridurre tutta la “dottrina sociale cristiana”, cioè bioetica, matrimonio e scuola, ma per altri grandi temi cristiani e umani universali come la rivendicazione di legalità ed eguaglianza contro i prìncipi arroganti e ingiusti, la difesa del povero, dello straniero, del musulmano, la tutela dell’acqua, simbolo pasquale e battesimale di una vita non statica ma che sempre rinasce, il lavoro come “bene divino” (lo ha detto Benigni) da mettere a frutto e da trasmettere alle future generazioni, l’uso mite dell’energia, la cura dei beni comuni e la salvaguardia del creato.

Ora si tratta di non lasciare più queste cose, ma di rimetterle dentro una robusta e costante azione politica perché non si debba aspettare, per una significativa riapparizione dei cattolici, la fine della legislatura per il giorno del giudizio taumaturgico delle urne, o un altro referendum (e già si annuncia, come da non perdere, quello sul risanamento della legge elettorale).

Ma una costante ed efficace azione politica dei cattolici è possibile solo se non è impedita dalla Chiesa, e se ne vengono inventati e approntati gli strumenti, che per i cristiani devono essere strumenti laici, sempre disponibili al dialogo, al negoziato e alla fecondazione reciproca con tutte le culture politiche e con tutti i cittadini.

Raniero La Valle




sabato 2 luglio 2011

FERRERO (PRC): PRIMARIE SUL PROGRAMMA








«Primarie sul programma: questo serve al cambiamento»

di Tonino Bucci su Liberazione del 02/07/2011

Intervista a Paolo Ferrero.
Per una Costituente dei beni comuni


Qual è il giudizio sull'accordo tra Confindustria e sindacati confederali?

Penso che vada preso sul serio il quotidiano di Confindustria, il Sole 24 ore, che da un giudizio entusiastico dell'accordo. L'accordo sposta il baricentro della contrattazione sulle posizioni tenute dalla Cisl e dalla Uil negli ultimi anni. Per la Cgil non è una mediazione, ma un cambio di linea. L'accordo indebolisce il contratto nazionale e quindi riduce la capacità dei lavoratori di organizzarsi in una situazione di crisi, in cui i padroni mettono i lavoratori in concorrenza gli uni contro gli altri. In secondo luogo viene marginalizzato il referendum, finora lo strumento principale di battaglia politica dal basso utilizzato dai lavoratori. Inoltre il criterio della maggioranza sindacale necessaria per rendere valido un accordo ingabbierà la Cgil anche nelle situazioni in cui non condividerà l'esito di un negoziato. Insomma, un patto neocorporativo, che conferma l'impianto di Cisl e Uil, mette al centro le organizzazioni sindacali e marginalizza la partecipazione i lavoratori.

Ma per quale motivo la Fiat continua a lamentarsi?

La posizione della Fiat è ancora più estremistica e contiene persino violazioni costituzionali. Questo accordo va in direzione della Fiat, ma non include la sua posizione. Per questo Marchionne continua a dare battaglia. Non è per nulla escluso che oltre al danno ci sarà pure la beffa: potrebbe arrivare dal governo una legge che garantisca anche i diktat della Fiat.

C'è chi tira in ballo l'analogia con l'accordo del '93. Eppure quell'accordo - contestabile su molti punti - perlomeno andava in direzione delle Rsu, organi eletti dai lavoratori...

Qui c'è una rivalutazione delle Rsa che come sappiamo sono nominate dai sindacati ma non elette dai lavoratori. E' passata la linea della Cisl che mette la priorità sulle organizzazioni e non sulla partecipazione democratica. L'accordo indebolisce la soggettività dei lavoratori e la loro capacità di resistenza in una fase in cui il capitale finanziario gioca tutte le sue carte sulla guerra tra i poveri.

Questo accordo la dice lunga sull'assenza di strategie industriali del padronato italiano per reggere alla crisi della globalizzazione. Non credi?

Nulla di nuovo. Per ora è una Grecia al rallentatore. Il padronato italiano non investe, la produttività è bassa - e non per responsabilità dei lavoratori. Non c'è una politica industriale. E poi si scarica tutto sul lavoro. Purtroppo questo accordo conferma i padroni nella validità della loro linea che scarica tutto verso i piani bassi dell'edificio sociale.

Anche la riforma fiscale del governo riflette l'assenza di un piano industriale per il paese. La manovra regala ai ceti sociali benestanti una redistribuzione di ricchezza al contrario, dal basso verso l'alto. Ma non si vede una risposta funzionale - neppure in termini capitalistici - per uscire dalla crisi economica e produttiva dell'Italia. Non credi?

Il grosso dell'operazione è sul fisco e sul taglio dei trasferimenti agli enti locali. Riduzione delle aliquote fiscali, a partire da quelle più alte, aumento della tassazione indiretta - quella che pagano tutti allo stesso modo, ricchi e poveri indifferentemente - e tagli agli enti locali con conseguente aumento dei costi dei servizi: tutto questo combinato funziona come una redistribuzione dal basso verso l'alto. Non solo: si tratta anche di una manovra recessiva perché colpisce i consumi e, nella fattispecie, il potere d'acquisto di lavoratori e pensionati. In fondo siamo di fronte a una gestione neocorporativa che porta all'impoverimento del paese e dei lavoratori.

Dici che a passi lenti ci avviciniamo allo scenario greco. La manovra prevede in futuro il blocco degli stipendi nel pubblico impiego e l'intervento sulle pensioni...

Speculazione internazionale permettendo, tutto accade al rallentatore ma la direzione è quella. Questa manovra non ci fa uscire dalla crisi: c'è solo la gestione degli interessi di parte, che vengono garantiti a spese dell'intera società, ma senza alcuna prospettiva. Si mira al puro e semplice mantenimento delle posizioni di rendita delle classi agiate. E' un meccanismo di impoverimento del paese che erode, poco a poco, le proprie basi.

Fin qui l'analisi. Ora veniamo alla proposta politica. Per fortuna non siamo in un deserto. La società si muove. Ma come si può costruire un'opposizione sociale che non rimanga confinata entro singoli temi e che abbia, contemporaneamente, un'efficacia politica?

Siamo in una situazione aperta. Il successo del referendum sull'acqua ci dice di un'importante maturazione sociale contro le privatizzazioni. Poi ci sono movimenti radicali di lotta: la Val di Susa, ma non solo. L'autunno scorso è stato tutto un susseguirsi di mobilitazioni. Dobbiamo provare a unificare questi diversi movimenti perché l'avversario - che si protesti contro la privatizzazione dell'acqua o contro la Tav o contro Marchionne - è uno solo: il capitalismo finanziarizzato che si muove nell'alto dei cieli bombardando chi vive in terra. Per questo abbiamo proposto di dar vita ad una Costituente dei beni comuni - dall'acqua al lavoro al territorio - aperta a partiti e movimenti, sul modello dei social forum. L'obiettivo è quello di ottenere una legge nazionale che senza ambiguità e furbizie affermi il carattere pubblico dell'acqua. Insomma, non si tratta solo di organizzare un movimento che contenga tutte le lotte particolari, ma di costruire anche una coscienza diffusa antiliberista, di costruire una proposta di uscita dalla crisi contro il capitalismo finanziario. Lo scontro in atto non si vince solo sul terreno sindacale, c'è bisogno anche di una dimensione politica. La battaglia sindacale da sola non ce la fa. Nel paese c'è una coscienza diffusa sul versante dei beni comuni e di alcune lotte specifiche, c'è la resistenza della Fiom. Occorre connettere i movimenti, costruendo una vera sinergia tra le diverse lotte. Occorre superare i meccanismi di delega e costruire una soggettività, un movimento antiliberista strutturato, in grado di far valere le sue ragioni.

Non c'è il rischio che questo movimento rimanga separato e non influisca sul sistema politico?

Abbiamo visto con i referendum che non è così. Detto questo, di fronte alla crisi organica delle destre, noi proponiamo l'unità delle forze di sinistra e proponiamo a Sel di fare insieme il referendum contro la legge 30. Parallelamente proponiamo di iniziare subito la discussione sul programma di alternativa. Una discussione che non rimanga confinata ai soli partiti politici ma si apra ai movimenti, ai comitati, alle associazioni e sindacati che in questi anni hanno fatto opposizione nel paese. La discussione su quale programma cacciare Berlusconi non deve avvenire in un luogo separato, ma deve vedere la partecipazione di tutte le soggettività che hanno animato l'opposizione. Per questo proponiamo le primarie sul programma. Occorre aprire la discussione e poi se vi sono contrasti - sulla guerra o sulle privatizzazioni, per non fare che due esempi - occorre dirimerli in un rapporto di massa. Occorre spostare la discussione dal candidato premier a quella sul programma e sul profilo dello schieramento che si deve opporre alle destre.

Manovra antipopolare e recessiva



Manovra antipopolare e recessiva

di Giulio Marcon *
su Liberazione del 02/07/2011

E' antipopolare perchè con una serie di misure - dalla reintroduzione dei ticket all'innalzamento dell'età pensionabile, dal congelamento dei salari dei dipendenti pubblici alla riduzione dei trasferimenti agli enti locali, dai futuri licenziamenti dei docenti nella scuola ai tagli alle spese sociali - colpisce gran parte della società italiana: non solo le fasce sociali più esposte, ma anche le classi di reddito che compongono quello che viene definito il "ceto medio".E' una manovra recessiva perchè il probabile effetto che avrà nei prossimi mesi è quello di un'ulteriore contrazione dell'economia, della produzione e dei consumi a causa della diminuzione della domanda interna: si potrebbe produrre un pericoloso mix di recessione ed inflazione con ulteriori pesanti conseguenze sulle condizioni sociali e materiali di vita di lavoratori, pensionati e giovani.Avendo un impatto recessivo la manovra potrebbe non avere alcun effetto anche sul risanamento dei conti pubblici. Infatti tagliare in ogni caso non basta se si produce una dinamica perversa di diminuzione della crescita e quindi il calo delle entrate fiscali che vanno ad alimentare le risorse necessarie per sostenere la spesa pubblica, la riduzione del debito e gli interventi necessari per rilanciare l'economia. E infatti le varie agenzie internazionali di rating (che sono come è noto il megafono degli interessi della finanza internazionale che sta giocando un gioco sporchissimo sui paesi più in difficoltà: Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia) hanno già rilevato che questi provvedimenti potrebbero non bastare, se non torna a riaumentare il Pil.Questa manovra, in realtà, non è che la logica conseguenza di tre anni di politiche economiche attendiste, inutilmente ottimiste, tendenti a minimizzare la crisi e le sue conseguenze sull'Italia. Sono stati tre anni di politiche residuali e all'insegna del marketing mentre - nel contempo - si stava producendo uno sconquasso sociale: chiusura delle fabbriche ed operai licenziati e in cassa integrazione, crescita della povertà assoluta e relativa, diminuzione del potere d'acquisto delle persone a causa dei redditi falcidiati, aumento della disoccupazione e della precarietà giovanile.Non si tratta solo di ignavia ed incapacità.Questi tre anni di politiche economiche di Tremonti hanno continuato a salvaguardare privilegi, patrimoni e redditi più alti e gli evasori (come con il provvedimento sullo scudo fiscale); in sostanza hanno garantito quella redistribuzione "a rovescio" della ricchezza dai salari ai profitti, dai redditi ai patrimoni, dal lavoro alle imprese. E sono stati anni in cui Tremonti a dosi omeopatiche ha introdotto - a colpi di bonus bebè, bonus famiglia e social card - una visione ed una realtà crescente di un welfare compassionevole fondato su interventi meramente assistenziali, oltrechè residuali e lesivi dei diritti costituzionali dei cittadini. Ecco perchè Sbilanciamoci ha prodotto una sua "contromanovra" in tre anni, dal 2012 al 2014, da 50 miliardi (si può scaricare il testo da www.sbilanciamoci.org) che capovolge totalmente la filosofia e l'indirizzo delle politiche del governo. Proponiamo di trovare 50 miliardi di euro attraverso la riduzione della spesa pubblica che non ci piace (27 miliardi di tagli dalla riduzione delle spese militari, dalla cancellazione del programma di cacciabombardieri F35, dalla cancellazione del programma delle "grandi opere" e dei finanziamenti alle scuole private, dal passaggio nella Pubblica amministrazione all'open source, ecc.) e con una politica fiscale ispirata a criteri di giustizia (23 miliardi dall'introduzione di una tassa patrimoniale, dalla tassazione delle rendite al 23%, dall'aumento dell'aliquota al 45% per lo scaglione più alto dei redditi, ecc). Questi 50 miliardi potrebbero essere investiti da una parte nella riduzione del debito (12 miliardi di euro) e dall'altra (gli altri 38) in interventi rivolti alla protezione sociale dei lavoratori e dei cittadini (ammortizzatori sociali, salvaguardia dei redditi, lotta al precariato, difesa dei servizi sociali del welfare, ecc) e nel rilancio dell'economia, della produzione e dei consumi sostenibili e di qualità. Bisognerebbe investire - come hanno fatto altri paesi - nelle produzioni della green economy, nello sviluppo locale, nell'economia sociale, nelle nuove produzioni che coniugano sostenibilità ambientale, equità e qualità sociale.La manovra di Tremonti è in realtà una manovra elettorale (nel senso che si arriverà alle elezioni del 2013 o prima, senza che ancora il grosso degli effetti sociali devastanti abbia avuto il suo corso) e a scoppio ritardato (il grosso delle misure è nel 2013-2014), fondata sull'argomentazione del pareggio di bilancio nel 2014: quella che era un'indicazione a livello europeo è stata trasformata un obbligo. In assenza di una visione di politica economica lungimirante (quello di Tremonti è una sorta di mix di liberismo, corporativismo, neo feudalesimo economico) la scelta è stata quella di un massacro della spesa pubblica ed in particolare della spesa sociale, cioè dei diritti dei cittadini. E' una scelta "di classe" che va fronteggiata e alla quale va opposta l'idea di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, la giustizia e la qualità sociale.* Portavoce di Sbilanciamoci!
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