giovedì 21 ottobre 2010

ddl lavoro - La destra riscrive il diritto del lavoro.

ddl lavoro - La destra riscrive il diritto del lavoro.

Da ieri la possibilità offerta ai padroni di ricattare i lavoratori per ottenere deroghe alla legge e ai contratti collettivi in cambio dell’assunzione è legge dello stato.
E’ la via maestra al contratto individuale.
Introdotto l’arbitrato (coatto) extragiudiziale nei contenziosi di lavoro.
Inoltre, dopo 15 anni, l’apprendistato varrà come completamento dell’obbligo scolastico.
E’ la modernità secondo Sacconi.
Invece è la barbarie.
Per Bonanni (Cisl) va tutto bene.
Fantozzi (PRC): “INCOSTITUZIONALE”.

Piccolissime tracce sui giornali, qualcosina di più - ma parliamo sempre di poche decine di righe - sui siti Web di informazione. Che invece sono stracolmi di notizie e commenti sul lodo Alfano, sulle diatribe dentro la maggioranza. Eppure, l’altra sera - quando questo giornale aveva già chiuso in tipografia - la Camera ha approvato, in via definitiva, un disegno di legge destinato a cambiare profondamente la Costituzione. Destinato a cambiare le condizioni di lavoro di centinaia di migliaia di persone. Peggiorandole, e di molto. Lasciandole senza protezione.Cos’è successo? E’ accaduto che la Camera ha approvato, in seconda lettura, il testo di quello che tutti chiamano ”ddl lavoro”. L’ha approvato a stragrande maggioranza, con un voto che ha rimesso insieme i pezzi della destra. Con in più - dato rilevante - tutti i deputati dell’Udc, nessuno escluso. Contro, solo i democratici e l’Idv.Che però - a differenza di quanto hanno annunciato a proposito del Lodo Alfano - in questo caso non hanno promesso di fare «le barricate». E dire, invece, per usare le parole di Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro del Prc, che si tratta di «uno degli atti più gravi di questa legislatura».Tanto grave che il Presidente Napolitano aveva già mosso dei rilievi, a marzo, alla prima stesura del testo. La maggioranza di destra e il «centro» - in questa inedita alleanza che può contare, naturalmente, anche sul sostegno di Bonanni e Angeletti - l’hanno invece riproposto sostanzialmente identico.Ma ecco di che si tratta, in pillole. La misura più allarmante è quella che introduce nuove norme sull’«arbitrato». Si limita - e notevolmente - la sfera di competenza dei giudici e soprattutto si introduce il cosiddetto «canale della conciliazione». Per essere ancora più chiari: d’ora in poi per le nuove assunzioni sarà possibile firmare una clausola in cui il lavoratore e azienda affidano le loro controversie ad un «arbitro» e non più ad un giudice. Un «arbitro» che potrà decidere anche in deroga rispetto ai contratti di lavoro. Tradotto: significa che le nuove assunzioni - è facile prevedere: tutte le nuove assunzioni, nessuna esclusa - avverranno con questa clausola. Che di fatto lascerà i nuovi occupati senza più alcuna tutela. Hanno riscritto lo Statuto, insomma senza neanche discuterne. E senza neanche troppi clamori. E ancora, non è finita. Grazie ad un emendamento proposto dal deputato Cazzola, del Pdl, il pacchetto di norme arriva ad eliminare anche una delle poche - se non l’unica - realizzazione dei governi di centrosinistra: l’innalzamento a sedici anni dell’obbligo scolastico. Ora invece si torna indietro: già a quindici anni sarà possibile entrare al lavoro. Naturalmente, a patto, che tutto sia mascherato da «apprendistato».Nel raccontare le norme previste dalla legge si usa il verbo al presente, visto che il ddl è stata approvato e sta per entrare in vigore. Forse però sarebbe meglio utilizzare il condizionale. Perché sono evidenti - un po’ a tutti, anche a molti ambienti lontani dalla sinistra - che le nuove norme contengono tanti aspetti anticostituzionali. Come il divieto - per i neo assunti che firmino la clausola ricattatoria - di poter poi ricorrere ad un giudice.Ed è proprio sul terreno giuridico che la Cgil - che l’altra sera, appena s’è sparsa la notizia dell’approvazione, era già sotto Montecitorio coi cartelli di protesta - ha deciso di cominciare la sua battaglia. Fulvio Fammoni, segretario confederale, annuncia che la Cgil, da subito, procederà con un ricorso alla consulta. A cui seguirà un appello con firme di magistrati, costituzionalisti, per bloccare l’applicazione delle norme. «In ogni caso - dice Fammoni - sapremo come difenderci da queste norme».Questo sul versante giuridico. Ma le organizzazioni dei lavoratori - la parte maggioritaria delle organizzazioni dei lavoratori - è decisa a condurre una battaglia politica e sociale per impedirne l’applicazione. Semplicemente perché - come sostiene ancora il dirigente della Cgil - «sovverte il diritto del lavoro, così come è esistito fino ad ora in Italia». Su questa linea anche le opposizioni della sinistra fuori dal Parlamento. Paolo Ferrero, segretario del Prc, interpellato dai giornalisti a Bologna ai margini di un convegno della Fiom, ha detto che probabilmente lo schieramento contrario alla legge avrebbe potuto fare di più in Parlamento. «Ci si poteva svegliare prima - ha risposto il segretario - Per riuscire a farla rimandare alle Camere - ha aggiunto - ho dovuto fare uno sciopero della fame e chiederlo io a Napolitano. Forse si poteva fare di più». La battaglia, comunque, è appena cominciata.



domenica 17 ottobre 2010

IL 16 OTTOBRE QUALCOSA E' CAMBIATO

BEL LAVORO



Qualcosa è cambiato


Dino Greco



L'impressione è davvero profonda. Non si vedeva da tempo una partecipazione così grande e, in essa, una così forte consapevolezza, che emanava da ogni spezzone dell'interminabile serpentone che si è snodato per le vie di Roma senza riuscire, in buona parte, a penetrare in una piazza San Giovanni gremita sino all'inverosimile. Vi rimandiamo all'ampia cronaca, nelle pagine interne, che dà conto - a chi non l'avesse vissuta in prima persona o a chi volesse rinnovarne le emozioni - di questa straordinaria giornata di lotta, pacifica e serena: persino irridente l'allarmismo strumentale del ministro degli Interni, campione di pelosa disinformazia, che alla vigilia aveva annunciato possibili infiltrazioni di guastatori. Non è accaduto, con buona pace di quanti si auguravano di poter macchiare quella che si è rivelata una limpida prova di democrazia. Oggi - ha ragione Maurizio Landini - la percezione è che qualcosa è già cambiato. Qualcosa di difficilmente esorcizzabile nell'atmosfera rarefatta del gioco politico che si consuma stancamente nelle manovre di palazzo.Quando ieri abbiamo titolato la prima di questo giornale con un esplicito «Siamo tutti metalmeccanici» volevamo dire essenzialmente due cose sulle quali non è superfluo tornare. La prima, di immediata comprensione, è che la Fiom rappresenta il punto più alto e organizzato di coagulo dell'opposizione sociale. Non per caso attorno ad essa si è aggregata una moltitudine di soggetti collettivi, di movimenti, diversi fra loro e tutti fortemente connotati per i temi che ne costituiscono tratto identitario e scopo perseguito. La rivendicazione di condizioni di vita, di lavoro, di studio dignitose, di irrinunciabili diritti di cittadinanza si è saldata ad un bisogno di democrazia che non si rassegna all'oscena, caricaturale rappresentazione che di essa offre la politica-politicante. La seconda è che questo concerto articolato di soggettività ritrova (il prefisso "ri" non è casuale) il proprio centro di annodamento nel lavoro, proponendo un racconto lungamente revocato e ancora oscurato dalle forze politiche "riformiste", che credono di potere combattere il governo liberticida e ripristinare la democrazia senza rovesciare rapporti sociali fondati sullo sfruttamento e sull'unilateralità del comando d'impresa; che pensano, in altri termini, si possa sconfiggere Berlusconi e contemporaneamente ammiccare a Marchionne.Può dunque solo far bene, innanzitutto alla sinistra, rimettere un po' d'ordine nella confusione che regna sovrana e riappropriarsi di alcuni fondamentali strumenti di interpretazione della realtà.A maggior ragione di fronte alla recidivante refrattarietà del Pd ad ogni lettura che si smarchi dall'ideologia interclassista e dal mercatismo, neppure troppo temperato, che sono la cultura di riferimento di quel partito. A nome del quale, il suo responsabile economico, Stefano Fassina, è riuscito a spiegare la mancata adesione dei Democratici alla manifestazione di ieri con il fatto che ad un partito non competerebbe accodarsi a mobilitazioni promosse da altri, quanto piuttosto dedicarsi ad una sintesi superiore, «nel nome dell'interesse generale». Dunque, un partito che "non prende partito", che "non guarda al tutto dal punto di vista di una parte", che osserva dall'alto ciò che accade e poi si colloca (o, piuttosto, crede di collocarsi) sull'asse medio della curva. Una volta, l'abbiamo già detto in altre circostanze, ma non ci stanchiamo di ripeterlo, era opinione condivisa, almeno a sinistra, che l'interesse dei lavoratori, dei produttori della ricchezza sociale, corrispondesse all'interesse del Paese. Oggi, questa nozione di senso comune è stata travolta e rovesciata nel suo contrario: il dominus è l'impresa, e non ci sono diritti, libertà, ragioni sociali che non possano (debbano) essere sacrificati al dogma della competitività. Ieri, nell'inserto speciale dedicato da Liberazione ai trent'anni che separano la capitolazione del sindacato alla Fiat, nell'ottobre del 1980, dalla situazione odierna, Francesco Garibaldo ha ripercorso, passo dopo passo, il processo regressivo che ha indebolito il potere di coalizione dei lavoratori, immiserito le loro condizioni e - contemporaneamente - sfibrato la democrazia costituzionale.Oggi, mentre Bonanni prova a togliere ai lavoratori la rappresentanza sociale e il Pd nega loro quella politica, occorre lavorare al difficile ma irrinunciabile obiettivo di ricostruire l'una e l'altra. La Fiom sta ampiamente dimostrando di essere all'altezza del compito e che c'è un pezzo di sindacato vitale e carico di futuro. La sinistra alla sinistra del Pd deve ancora guadagnarsi la stessa credibilità. Ma la strada è segnata e va percorsa, senza tentennamenti, sino in fondo.

venerdì 8 ottobre 2010

16 OTTOBRE CON LA FIOM L'ITALIA CHE NON SI PIEGA


16 OTTOBRE

CON LA FIOM

L'ITALIA CHE

NON SI PIEGA


Pomigliano va ben oltre Pomigliano: quello che hanno tentato di far passare nello stabilimento campano è ciò che stanno cercando di imporre nel paese.


Ci vogliono tutte e tutti precari, ricattabili, senza diritti, senza voce. Vogliono schiavi, non lavoratori.












Vogliono sudditi, non cittadini. Vogliono comandare, non governare. Vogliono distruggere tutto ciò che è pubblico, a partire dalla scuola. Sostengono che "la sicurezza sul lavoro è un lusso che non ci possiamo permettere", lo stesso pensano della democrazia.




E' un modello di società violento quello che vogliono affermare: lo dicono chiaramente, si muovono coerentemente. Nessuno può far finta di non capire, nessuno si può più astenere.

Il tempo degli alibi è finito.

Oggi è il momento di scegliere, di schierarsi.

"Il lavoro è un bene comune: diritti, democrazia, legalità, contratto": sono le parole chiave della manifestazione promossa dalla Fiom per il 16 ottobre a Roma. Sono anche le nostre parole.

martedì 5 ottobre 2010

SALVARE L'ACQUA


EDIZIONE FELTRINELLI
SALVARE L'ACQUA
DI
EMILIO MOLINARI
E
CLAUDIO JAMPAGLIA

DIBATTITO 6 OTTOBRE 2010 PER MILANO


DIBATTITO
6 OTTOBRE 2010
PER
MILANO
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