10 novembre,
una piazza di cui avevamo bisogno
Stefano
Galieni*
Quante/i
eravamo? 50 mila? 70 mila?, 40 mila come scrive il Manifesto o 100 mila o come
riporta un giornale di solito non totalmente affine come Repubblica? Importa
poco. Importa il fatto che, nonostante le numerose difficoltà organizzative,
gli scarsi mezzi (le grandi organizzazioni si sono ben guardate dal sostenere
una manifestazione incontrollabile e plurale), nonostante i blocchi dei
pullman, con le forze dell’ordine impegnate anche a perquisire i panini, a
identificare e fotosegnalarer i manifestanti, rallentandone inutilmente
l’arrivo a Roma, la piazza si è riempita. Le strade sono state invase da un
pezzo di paese nuovo, meticcio, plurale, che spesso non ha ancora appartenenza
ma che non vuole il decreto Salvini come rifiutava quello del suo predecessore
Minniti, che non vuole gerarchie stabilite sulla base della provenienza che
spesso celano pi profonde di classe e di genere. Le oltre 450 realtà che hanno
aderito e partecipato non hanno faticato a trovare, in piazza, un minimo comune
denominatore che non si basa solo sul rifiuto di razzismo, fascismo,
sfruttamento, patriarcato e omofobia, ma che provano a immaginare idee (il
plurale è fondamentale) diverse di società in cui vivere.
La manifestazione
degli “indivisibili” del 10 novembre stata una tappa, un primo risultato
tangibile di come ci si possa unire senza dovere rinunciare alle proprie
specificità ma in cui ci si possa contaminare e crescere. Ne avevamo bisogno
noi, ne hanno bisogno estremo coloro che più subiscono le politiche repressive
e fascistoidi imperanti, ne ha bisogno anche quella gran parte di paese che
sabato in piazza non c’era e che di questa energia dispiegata non saprà mai
nulla. Si perché gli “indivisibili” sono diventati “invisibili” per gran parte
del circo mediatico nostrano (rare le
eccezioni), meglio parlare di destra e sinistra borghese che si incontra per
affermare l’importanza del business della TAV (chissà se i pullman dei loro
manifestanti sono stati sottoposti a controlli), meglio parlare delle love
story nel jet set, meglio distrarre e disinformare piuttosto che raccontare di
un paese che è con Mimmo Lucano, con i bambini di Riace, con le Ong, per
l’accoglienza e contro il razzismo. Curioso come abbiano trovato spazio per
parlarne su Le Monde e meno sui nostri mezzi di comunicazione. Ma in fondo ci
siamo abituati e forse anche rassegnati a questa narrazione distorta.
Ma fra gli
indivisibili / invisibili scesi in piazza a Roma c’eravamo anche noi ed è
giusto parlarne. Credo che questa manifestazione sia stata per noi, per il
nostro travagliato partito, un toccasana. Ci ha ridato orgoglio, ci ha fatto
sentire un corpo solido, restituito il senso di comunità, complessa,
tormentata, a tratti disorientata ma ci siamo stati con tutte le nostre forze e
la nostra voglia, le nostre competenze e la nostra storia.
Dovremmo ragionarne
meglio. Era da tempo che non eravamo così tante/i dietro il nostro striscione o
dispersi, con le nostre bandiere nel corteo, tanto tempo che non ci
ritrovavamo, dal nord est alla Sicilia, non per discussioni e analisi ma per
assolvere al nostro ruolo di Partito della Rifondazione Comunista capace di
suscitare allegria con la musica trascinante sparata dai giovani, carica e
voglia di agire, connessione sentimentale, verrebbe da dire – scomodando i giganti
– con chi in piazza c’era e si è accorto di noi. Ci siamo stati e ci siamo,
necessari e indispensabili ma non sufficienti a riempire quel bisogno di
rappresentanza di classe che questo paese richiede. Ci siamo stati e sappiamo
esserci quando siamo in grado di capire quale è l’elemento dominante su cui
concentrare la nostra attenzione e il nostro agire. Rifondazione Comunista è
ancora questo, orgoglio e non boria, voglia di futuro e non reducismo
identitario, capacità di connettersi con la realtà rifiutando di cadere nella
ricerca di facile consenso e voglia di misurarsi senza crollare in forme
inutili di politicismo. Rifondazione, nella sua pluralità di sguardi e di
vedute, è anche e soprattutto questo, mantiene la voglia di sperimentarsi con
generosità e contemporaneamente riconosce le proprie caratteristiche
strutturali che non sono solo di partito ma e soprattutto di storia comune
condivisa.
La piazza del 10 novembre ci ha dato una risposta interessante,
altre piazze ci aspettano, magari non ci vedranno presenti con le stesse modalità, mobilitazioni studentesche, contro
la violenza sulle donne o ci rimetteranno visibilmente in gioco, si pensi a quelle in programma contro i nuovi
CPR per migranti o alle giornate No TAV come alle tante occasioni che avremo
per riproporci a livello locale e nazionale, contro questo governo, contro i
diktat europei per proporre una idea diversa e possibile di società.
Ricordiamola la piazza del 10 novembre perché, con tutti i nostri limiti, in
questa giornata, come tante altre volte in passato, siamo stati percepiti come
utili e necessari. Per questo dobbiamo tutte/i ringraziarci a vicenda, per
averci creduto, aver faticato ed averci messo la faccia. Anche questo ci fa
bene.
*Responsabile
Pace, Immigrazione e Movimenti PRC-S.E.
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