lunedì 25 gennaio 2021

RIFONDAZIONE COMUNISTA: SIAMO IL 4° PARTITO NEL 2×1000 MA INVISIBILI SUI MEDIA

 

Rifondazione Comunista: siamo il 4° partito nel 2×1000 ma invisibili sui media

Alla vigilia del centenario di Livorno ci arriva una bella notizia dal sito del Ministero delle Finanze: il nostro partito risulta al quarto posto nelle indicazioni dei contribuenti italiani nel 2020, dietro soltanto a Pd, Lega e Fratelli d’Italia.

Inoltre, il nostro dato continua a essere in aumento rispetto agli anni precedenti.

Ringraziamo i 53.800 contribuenti che hanno scelto di indicare il Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea nella loro dichiarazione dei redditi.

Altri partiti pur raggiungendo un numero di sottoscrizioni di gran lunga inferiore al nostro, ottengono contributi in misura molto più alta di noi. Questo perché i contribuenti che hanno deciso di sostenere Rifondazione Comunista, appartenendo ai ceti popolari, dispongono di un reddito medio molto più basso di quelli che si rivolgono ad altri partiti che, in tutta evidenza, non rappresentano come noi le classi lavoratrici.

È un fatto che ci rende orgogliosi.


Da questo dato emerge però che in Italia il livello di oscuramento che subiamo è degno del periodo maccartista.

Esistiamo nel paese molto più di altri partiti ma siamo assolutamente invisibili sulla grande stampa e sulle televisioni.

Un oscuramento che dovrebbe indignare qualsiasi democratico.

Questo dato, che è frutto di un miracolo di militanza e lavoro volontario, ci incoraggia a continuare nel nostro impegno per ricostruire una sinistra degna di questo nome nel nostro paese.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale

Vito Meloni, tesoriere

Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea


 

NON E' ANDATO TUTTO BENE: CAMBIAMO TUTTO! COMMISSARIARE LA SANITA' LOMBARDA! FONTANA DIMETTITI!






 

domenica 17 gennaio 2021

LA LORO CRISI, LE NOSTRE PROPOSTE - Documento approvato dalla direzione nazionale.


 

 LA LORO CRISI, LE NOSTRE PROPOSTE

Documento approvato con tre astensioni dalla direzione nazionale del 14 gennaio 2021.

La crisi di governo rappresenta un’ennesima pagina della degenerazione del sistema politico del nostro paese, ancora più grave perché si innesta in un quadro di crisi, gravissima, sia sanitaria che sociale, con milioni di lavoratrici e lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, che vivono con poche centinaia di euro al mese o sono addirittura senza alcun reddito, con la prospettiva fra qualche mese di doversi confrontare con la fine del blocco dei licenziamenti e degli sfratti.

Dopo due decenni di leggi elettorali incostituzionali, adesione al pensiero unico neoliberista di tutti gli schieramenti, celebrazione del leaderismo e della spettacolarizzazione siamo giunti a una crisi di cui la maggior parte delle italiane e degli italiani non capisce nemmeno l’oggetto.

Chi nella maggioranza critica la deriva personalistica di Renzi dovrebbe riflettere sulle proprie responsabilità. Mentre il “pilota automatico” decide sull’essenziale, la dialettica politica scade nella faziosità e nella polemica becera in cui i vari personaggi e soggetti politici devono ritagliarsi uno spazio che non possono conquistare con la forza della prospettiva ideale e di impianti programmatici alternativi.

Il risultato degli apprendisti stregoni dell’attuale maggioranza è che la vittoria delle destre in caso di elezioni anticipate sarebbe di dimensioni enormi per effetto della legge elettorale in vigore e del taglio del numero dei parlamentari e consentirebbe ai trumpiani nostrani di eleggere il Presidente della Repubblica e di stravolgere la Costituzione con il presidenzialismo e un ancor più forte “regionalismo differenziato”.

Va respinto il riproporsi della polemica contro i “partitini” che ha già condotto dal 1994 al progressivo svuotamento del parlamento e a un sostanziale restringimento del pluralismo e della democrazia nel nostro paese. Mentre con gli sbarramenti sono state estromesse dalla rappresentanza le forze non allineate come Rifondazione Comunista, le leggi elettorali hanno amplificato il trasformismo e la fine dei partiti come organizzazioni popolari con una fisionomia ideale e programmatica e un radicamento nel paese. Il gruppo parlamentare di Italia Viva nasce da una scissione di elette/i nelle liste PD e della sua coalizione guidata dall’ex-segretario di quel partito.

Respingiamo indignati il paragone che in questi giorni è stato brandito in maniera ricorrente tra le battaglie di Rifondazione Comunista e Renzi. E’ un’analogia priva di fondamento. Il renzismo è un prodotto della lunga stagione dell’Ulivo e del centrosinistra, a Prodi ricordiamo che Renzi è figlio della sua politica non della nostra. Rifondazione Comunista ha rotto con i governi e si è scontrata col centrosinistra per dire no a guerre, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, per difendere scuola, sanità, servizi pubblici e beni comuni. Rifondazione Comunista ha difeso in parlamento gli interessi di lavoratrici e lavoratori, disoccupate/i, pensionate/i i cui diritti sono stati spesso e volentieri massacrati dal centrosinistra. C’è una differenza abissale tra chi chiede il MES e chi non votò il Trattato di Maastricht mettendo in guardia rispetto a regole europee che tutti oggi ammettono che si debbano cambiare. La nostra proposta di riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali divenne legge in Francia e anticipava un dibattito che oggi è aperto in tutto il mondo. Rifondazione Comunista ha sempre portato in parlamento le istanze dei movimenti sociali e della classe lavoratrice, Renzi è solo uno dei tanti ventriloqui di Confindustria e dei grandi gruppi capitalistici spesso parassitari e certo non ne mancano nelle forze che sostengono il governo. Basti pensare a come hanno affrontato la questione delle concessioni autostradali dopo la strage del Ponte Morandi.

Si esce da questa fase di confusione e trasformismo solo rimettendo al centro i problemi del paese e chiare alternative programmatiche.

Il nostro giudizio su Renzi è di lunga data e le sue proposte a partire dal MES le consideriamo dannose. Ma questo non cancella la nostra critica alla linea del governo.

Nel Palazzo oggi non c’è una proposta politica e programmatica di sinistra.

LA NOSTRA CRITICA AL RECOVERY PLAN

Oggi più che mai è indispensabile riportare l’attenzione sui problemi enormi che vive il paese.

Visto come si sono susseguite le formulazioni, un giudizio definitivo sul Recovery Plan si potrà dare solo alla fine di un percorso ancora molto incerto nelle postazioni delle risorse, nelle strutture operative e gestionali, nei tempi di completamento e nei contenuti delle “riforme” richieste da Bruxelles per la sua approvazione. Possiamo intanto rilevare alcuni gravi limiti.

Il più grave consiste nell’utilizzo di un terzo dei fondi disponibili, la metà dei prestiti, in sostituzione di risorse ordinarie per interventi già programmati invece che in nuovi investimenti. E’ una scelta in linea col pensiero economico neoliberista, clamorosamente smentito dai fatti, che da molti anni persegue la riduzione del debito attraverso i tagli con le disastrose conseguenze note sia per le gravi sofferenze sociali che per il debito e per l’insieme dell’economia.

I fondi già scarsi vanno assolutamente utilizzati tutti per nuovi investimenti se vogliamo cominciare a sanare i danni prodotti dalla pandemia e soprattutto i gravissimi ritardi e storture economiche e sociali prodotti da decenni di politiche neoliberiste.

La destinazione delle risorse poi, fatto salvo il rispetto delle grandi linee indicate dalla Commissione europea, viene fatta in assenza di una politica industriale che definisca gli assi economici e le filiere produttive da privilegiare, confidando in quella discrezionalità dei mercati e delle imprese che sono responsabili delle difficoltà del sistema economico e produttivo italiano.

Sono totalmente insufficienti le risorse destinate al Pubblico nel suo insieme, alla sanità e alla scuola in particolare, che richiederebbero risorse ben più significative sia per le strutture che per il personale.

Manca totalmente un piano per il lavoro che proprio nell’assunzione di almeno 500 mila nuovi dipendenti pubblici avrebbe un punto di forza cui aggiungere almeno:

– la creazione di lavoro in un grande piano di risanamento idrogeologico del territorio,

– la subordinazione dell’erogazione delle risorse alle aziende a precisi vincoli occupazionali in connessione con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, in sostituzione di politiche attive da rivedere insieme al reddito di cittadinanza e agli incentivi alle imprese che producono impatti negativi in campo ambientale. E’ gravissima la distribuzione non equilibrata dei trasferimenti e degli investimenti tra nord e sud.

Un punto di particolare gravità del Recovery Plan, evidenziato anche dalla scomparsa della parità di genere dalle linee strategiche dell’ultima bozza, riguarda la mancanza di un piano vero per l’incremento della quota di donne occupate per il quale ci si affida a quella che in una sottomissione viene definita inclusione sociale che come è ovvio riguarda sia gli uomini che le donne. Mentre il fatto che i fondi dedicati siano quelli del “react eu” destinati a copertura di misure urgenti per i danni della pandemia nel sud conferma la mancanza di una prospettiva strategica che sarebbe necessaria.

Manca totalmente un piano per le case popolari la cui urgenza è drammaticamente sottolineata dai numeri allarmanti degli sfratti esecutivi momentaneamente bloccati, delle procedure in corso e delle domande di casa popolare senza risposta.

Un capitolo rilevante, soprattutto per la gestione inaccettabile che si intende farne, è quello che riguarda le infrastrutture idriche cui sono destinate risorse per circa 4 miliardi ma senza ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. L’uso delle risorse destinate in gran parte al sud è legato infatti all’affidamento del servizio a gestori idrici integrati dotati di una organizzazione industriale adeguata con l’obiettivo, sottolinea l’Arera, della “prosecuzione del processo di razionalizzazione e consolidamento del panorama gestionale”. Lo scopo è un ulteriore attacco all’acqua pubblica sottraendo la sua gestione anche ai comuni del sud per affidarla alle grandi multiutility del nord e inferendo nuove gravissime lesioni alla democrazia e alla volontà popolare.

Riteniamo infine gravissimo che in un documento che spende moltissime parole sulle disuguaglianze non ci sia nulla su quella legata alla distribuzione del reddito di cui i salari italiani, tra i più bassi d’Europa, sono la componente principale, quella che deprimendo pesantemente la domanda è la principale responsabile del rallentamento economico.

A questo riguardo riteniamo indispensabile l’avvio di un percorso complesso in cui si intreccino vincoli precisi alle imprese che ricevono risorse, tra cui i rinnovi contrattuali, lotta vera alla precarietà, all’economia illegale e ai contratti pirata con un provvedimento immediato: l’introduzione di un salario minimo legale di dieci euro al netto di ferie, tredicesima/quattordicesima  e festività.

Nei mesi scorsi abbiamo indicato una serie di misure indispensabili per affrontare l’emergenza sociale e la pandemia.

Ribadiamo la nostra denuncia della gravità di un piano pandemico che esplicitamente legittima la selezione dei pazienti da assistere mentre si ignorano gli appelli a misure coerenti di contenimento del contagio. Riteniamo indecente che si continuino a spendere miliardi in spese militari mentre emerge gravissima la carenza di personale e strutture nella sanità, nella scuola e in tutto il settore pubblico.

In questa situazione mentre in parlamento e sui media si sviluppa una crisi incomprensibile riteniamo doveroso che il nostro partito si mobiliti in tutto il paese avanzando le nostre proposte per affrontare la crisi sociale e sanitaria e difendere la democrazia.

La Direzione Nazionale impegna, in particolare, tutte le federazioni e i regionali in una giornata di mobilitazione nazionale per il prossimo 23 gennaio con presidi e iniziative.

Il 18 gennaio si terrà un presidio a Roma in Piazza Montecitorio a partire dalle ore 14.

 



 

L’APPELLO DELL’ A.N.P.I. E NOI - di Maurizio Acerbo - Segretario Nazionale P.R.C. - S.E.

 

L’appello dell’ANPI e noi

di Maurizio Acerbo - Segretario Nazionale PRC - SE

Abbiamo aderito all’appello proposto dall’ANPI “Uniamoci per salvare l’Italia” perché condividiamo da sempre l’impegno per la difesa e l’attuazione della Costituzione repubblicana del 1948, il rifiuto di ogni forma di razzismo e discriminazione, la lotta contro i nuovi fascismi, le idee che il testo propone come base indispensabile per affrontare la crisi che viviamo.

L’ANPI e le altre associazioni che salvaguardano la memoria della Resistenza e della deportazione sono per noi la casa comune di tutte le antifasciste e gli antifascisti. All’ANPI va riconosciuto che ha sempre coniugato la tensione unitaria propria della tradizione antifascista all’autonomia dai governi e dai partiti, come ha dimostrato negli ultimi due referendum costituzionali o nel mese di novembre con la netta presa di posizione contro l’autonomia differenziata.

Oserei dire che tra i soggetti politici che hanno sottoscritto l’appello forse siamo gli unici che possono dire forte di essere stati sempre schierati dalla parte della Costituzione e che hanno un programma che va nella direzione proposta.

Proprio per la nostra fedeltà a quei principi abbiamo scelto una linea di alternativa ai poli politici esistenti, alla destra come a quelli che compongono l’attuale coalizione di governo. 

La nostra alterità non ci ha mai impedito e non ci impedisce la convergenza unitaria in tutte le mobilitazioni antifasciste e antirazziste, in tutte le iniziative volte a trasmettere la memoria in un paese in cui è costante il tentativo di riabilitare il fascismo. Sono di altri le contraddizioni tra quel che si dice il 25 aprile e quel che si fa e vota durante l’anno.

Le nostre compagne partigiane Lidia Menapace, Tina Costa e Bianca Braccitorsi hanno mostrato come si possa essere sempre in prima fila in ogni mobilitazione unitaria senza mai cedere di un millimetro rispetto alle proprie posizioni.

Il documento proposto dall’ANPI non riguarda il terreno elettorale e i rapporti tra i partiti, terreni che esulano dai compiti dell’associazione. Altrimenti essa stessa diverrebbe fattore di divisione e non luogo in cui si incontrano e convivono tantissime/i cittadine e cittadini che si riconoscono nell’eredità della Resistenza che fu, soprattutto per iniziativa del Partito Comunista Italiano, un grande movimento unitario e plurale.

Nella lunga stagione del bipolarismo si è abusato della strumentalizzazione dell’antifascismo e dell’appello contro la destra. Un richiamo sempre agitato da chi ha voluto quei sistemi elettorali maggioritari che i costituenti avevano rigettato. A questo ricatto qualsiasi democratico dovrebbe rispondere: se la destra è così pericolosa perché avete voluto i premi di maggioranza che le consentirebbero di stravincere? Questa logica tra l’altro ha contribuito a spostare a destra metà del paese invece di isolare le componenti neofasciste come accadeva fino ai primi anni ’90.

L’unità a cui ci ha chiamato l’ANPI confidiamo innanzitutto che si traduca in un sempre più forte impegno comune per la messa al bando delle organizzazioni neofasciste che era stato oggetto di un precedente appello “Mai più fascismi” su cui sono state raccolte poi centinaia di miglia di firme.

Fu la scomparsa compagna Carla Nespolo a proporre appello e tavolo unitario a partiti, sindacati e associazioni per confrontarsi e condividere le iniziative su questi grandi temi. Il nuovo presidente Gianfranco Pagliarulo, a cui rinnoviamo i nostri auguri di buon lavoro, prosegue su quella strada.

Non nascondiamo che nel partecipare a questi luoghi unitari ci troviamo a volte in un certo imbarazzo perché la questione ineludibile da anni è quella della contraddizione tra i principi fondamentali della Costituzione nata dalla Resistenza e le politiche neoliberiste e sicuritarie portate avanti anche dai partiti che aderiscono all’appello.

Il testo si richiama a principi che dovrebbero essere condivisi da tutte le formazioni politiche che vogliano definirsi democratiche. Purtroppo non lo sono, apertamente da quelle della destra illiberale e xenofoba, nei fatti assai spesso da quelle ora al governo.

Auspichiamo che l’appello costituisca dunque un richiamo alla coerenza per i partiti che lo hanno sottoscritto a partire dall’approvazione di una legge elettorale proporzionale che garantisca il pluralismo e metta in sicurezza le istituzioni democratiche da nuovi tentativi di stravolgimento della Costituzione.

Antonio Gramsci ci ha insegnato che “la verità è rivoluzionaria”. Ed è doveroso ricordare che le modifiche costituzionali e le leggi elettorali che hanno svuotato il ruolo del parlamento, diviso il paese e alterato gli equilibri dei poteri sono tutte state approvate da partiti che hanno sottoscritto con noi l’appello. E la stessa responsabilità può essere individuata nel gravissimo arretramento sul piano dei diritti sociali sanciti nella Costituzione.

Alle radici della crescita di una destra mai così forte tra le classi popolari ci sono le politiche che accrescono le disuguaglianze, la precarizzazione del lavoro, la perdita di tutele e diritti per chi lavora, le privatizzazioni, lo smantellamento del ruolo del pubblico in economia, i tagli a scuola, sanità, servizi, l’abbandono delle politiche per la piena occupazione, le leggi inaccettabili sull’immigrazione e l’ordine pubblico, la crescita della spesa militare, l’assenza di politiche per la casa, il saccheggio dei beni comuni. E anche la mancata difesa della storia di chi ha dato un contributo essenziale alla nascita e allo sviluppo della nostra democrazia.

Quando cantano Bella Ciao in parlamento quelli che vogliono mandare in pensione la gente a 70 anni è davvero singolare che ci si stupisca della presa di Salvini tra lavoratrici e lavoratori.

Negli ultimi undici anni – tranne il breve anno del governo Conte1  – il PD è sempre stato al governo. Il risultato è una destra fortissima e a egemonia trumpiana.

Non si difende la democrazia e la stessa convivenza civile con politiche che ne erodono le basi di consenso e di partecipazione aprendo la strada alla peggiore demagogia di destra e all’imbarbarimento della società.

Non si difende la democrazia se si alimentano il revisionismo storico e la delegittimazione dei comunisti che furono la componente principale dell’antifascismo e della Resistenza votando risoluzioni che li equiparano ai nazisti.

E non ci stancheremo mai di ripetere che la democrazia si riduce a un misero simulacro se sulle grandi questioni decide il “pilota automatico” e si considera come proprio imperativo la zelante attuazione delle raccomandazioni arrivate per anni dalla Commissione Europea e dalla Bce e il rispetto di trattati che contraddicono la nostra carta. Tantomeno abbiamo mai smesso di ricordare che l’indignazione morale e la sensibilità per i diritti umani non possono essere intermittenti, brandite nella polemica contro Salvini e Meloni, attenuate e accantonate quando le responsabilità sono da addebitarsi a PD e M5S.

Per ricostruire l’Italia dopo la pandemia bisogna ridare centralità ai principi fondamentali della nostra Costituzione e farla finita con il neoliberismo.

L’unità più larga possibile nel riferimento ai valori dell’antifascismo va sempre salutata positivamente ma non cancella le differenze politiche che da tempo sono molto forti.

Per noi la Costituzione non è un testo da leggere a messa la domenica, ma un programma di lotta per la trasformazione della società.

 

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