mercoledì 23 dicembre 2015

BUONE FESTE, BUON ANNO NUOVO E BUONA SOTTOSCRIZIONE PER IL PRC DI VIMODRONE


ANALISI DI RAMON MANTOVANI SULLE ELEZIONI IN SPAGNA

Le elezioni spagnole del 20 dicembre

Pubblicato il 22 dic 2015

di Ramon Mantovani



Per capire i risultati delle elezioni spagnole del 20 dicembre è necessario conoscere, almeno sommariamente, il sistema elettorale. Altrimenti si può incorrere in gravi fraintendimenti ed errori interpretativi.

Il territorio dello stato spagnolo è diviso in 52 circoscrizioni elettorali provinciali.

Non esiste un collegio unico nazionale (come esisteva in Italia ai tempi del proporzionale) per attribuire ai partiti anche i seggi corrispondenti ai voti che non hanno concorso ad eleggere direttamente nelle circoscrizioni.

Essendo le circoscrizioni disomogenee dal punto di vista della popolazione e del rapporto seggi elettori sono sempre stati avvantaggiati i due grandi partiti (PP e PSOE) e i partiti nazionalisti catalani, baschi e galiziani. E svantaggiati i partiti presenti su tutto il territorio ma non abbastanza grandi per eleggere direttamente nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni.

In altre parole, che gli esempi concreti parlano da soli, nelle elezioni del 20 dicembre i seggi dei partiti presenti su tutto il territorio hanno un rapporto con il numero di elettori molto diverso. Un seggio del PP rappresenta 58mila voti. Del PSOE 61mila. Di PODEMOS 75mila. Di CIUDADANOS 87mila. Di IZQUIERDA UNIDA 460mila (!!!).

Quanto alla differenza fra i partiti presenti solo in poche circoscrizioni rispetto a quelli presenti in tutte basti l’esempio che segue.

Il PARTITO NAZIONALISTA BASCO con 300mila voti elegge 6 deputati e IZQUIERDA UNIDA con 900mila voti ne elegge due. Il PNV con un terzo dei voti di IU elegge il triplo di deputati. Un deputato di IU rappresenta 460mila elettori e uno del PNV 50mila.

Questo sistema, come è evidente, ha sempre prodotto un effetto preciso: il bipartitismo e con esso il voto “utile”.

Nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni gli elettori di IZQUIERDA UNIDA sapevano, legislatura dopo legislatura, che il loro voto sarebbe andato disperso, e quindi molti di loro hanno optato per votare per il PSOE contro il PP.

Questo effetto è stato moltiplicato in queste elezioni dalla presenza di PODEMOS accreditato nei sondaggi della possibilità di competere per vincere le elezioni.

Fino a qui la descrizione oggettiva del sistema elettorale e delle storture che produce nella rappresentanza.



Ora passiamo alle questioni politiche.

Prima dell’analisi del voto vero e proprio è necessario esaminare, sommariamente anche in questo caso e con particolare attenzione per la sinistra, le questioni politiche in ballo in questa tornata elettorale.

I temi centrali della campagna elettorale sono stati tre: le questioni economico sociali, la crisi del bipartitismo insieme al tema della corruzione e del “nuovo contro il vecchio”, la questione indipendentista catalana ed insieme le riforme costituzionali, federali o meno.

Il PP ha affrontato la campagna vantando la crescita economica del 3 % e la creazione di un milione di posti di lavoro negli ultimi due anni, attribuendoli all’efficacia della propria riforma del mercato del lavoro. Ha tentato di apparire come scevro da corruzione per aver espulso gli innumerevoli suoi dirigenti (anche di primissimo piano) accusati e condannati. Si è eretto come difensore strenuo della costituzione negando ogni possibilità di procedere a riforme in senso federale e tantomeno di riconoscere il diritto all’autodeterminazione dei catalani.

Il PSOE ha contestato i dati economici vantati dal PP e si è perfino lievemente autocriticato per aver promosso con l’ultimo governo Zapatero, ottenendo il voto del PP, la riforma costituzionale che ha introdotto il pareggio di bilancio in costituzione. Ha correttamente ricordato che i posti di lavoro sono tutti precari (il 50 % dei contratti sono di durata inferiore alla settimana) dimenticando che la maggior precarizzazione del mercato del lavoro fu operata dal governo Zapatero. Ha proposto di introdurre in costituzione i diritti sociali, ma senza rimuovere il pareggio di bilancio. Ha attaccato il PP sulla corruzione, salvo sentirsi elencare gli analoghi ed innumerevoli casi di corruzione del PSOE. Ha proposto una riforma federale della costituzione, senza toccare la monarchia, e negando il diritto all’autodeterminazione dei catalani.

CIUDADANOS è un partito nuovo per la Spagna. Nato in Catalogna una decina di anni fa come piattaforma civica contro l’insegnamento prevalente della lingua catalana nelle scuole, e presente fino ad ora solo nel parlamento catalano. Quando la crisi del sistema bipartitico è stata evidente e PODEMOS era accreditato di poter vincere le elezioni, alcuni potentati economici e i loro mezzi di informazione hanno esplicitamente e dichiaratamente sponsorizzato un “necessario” PODEMOS di destra.

La sua campagna elettorale è stata incentrata su proposte ancor più liberiste di quelle del PP circa economia e lavoro, sulla retorica anticasta ed anticorruzione come uniche e vere responsabili della crisi, sul “nuovo contro il vecchio” e contro ogni aspirazione indipendentista e comunque all’autodeterminazione del popolo catalano.

Passiamo ora alle complicate vicende della sinistra.

Dentro la crisi e fino alle elezioni europee del 2014 IZQUIERDA UNIDA era, nei sondaggi, accreditata di crescite spettacolari. Era accreditata di raccogliere gran parte dei voti del movimento degli “indignados” essendo il suo programma coincidente con le rivendicazioni del movimento. Ristrutturazione del debito e non pagamento degli interessi sullo stesso. Disobbedienza ai trattati neoliberisti europei. Rottura con l’assetto costituzionale post franchista e processo costituente di una repubblica federale. Cancellazione della “riforma” costituzionale del pareggio di bilancio. Cancellazione delle riforme del mercato del lavoro dei governi di PP e PSOE. Contrarietà alla NATO e alle missioni militari spagnole in Afghanistan e seguenti. Riforma del sistema elettorale in senso strettamente proporzionale. Pieno riconoscimento della natura plurinazionale dello stato e diritto all’autodeterminazione per ognuna delle nazionalità. Sono questi punti programmatici sostanzialmente gli stessi con i quali IZQUIERDA UNIDA si è presentata alle elezioni del 20 dicembre.

Ma alle elezioni europee dell’anno scorso si presentò PODEMOS.

Un gruppo di professori (prevalentemente politologi e diversi esponenti di una formazione politica (IZQUIERDA ANTICAPITALISTA) fuoriuscita da IU proposero una lista elettorale richiamandosi esplicitamente al movimento degli indignados.

Il nome “podemos” (in italiano possiamo) deriva dallo slogan del movimento “si se puede” a sua volta copiato dallo slogan “yes we can” di Obama, ed usato soprattutto durante gli impedimenti degli sfratti dal forte movimento contro gli sfratti (PAH).

Questa nuova lista aveva lo stesso programma di IZQUIERDA UNIDA. Quasi identico.

Ma ebbe molto successo massmediatico (IZQUIERDA ANTICAPITALISTA aveva tentato già in proprio una presentazione elettorale ottenendo nel 2011 nelle circoscrizioni dove si era riuscita a presentare sempre meno del 0,5 % dei voti) solo ed esclusivamente per il capolista Pablo Iglesias. Fondatore di una TV digitale collegata ad un quotidiano e da tre anni presente in tutti i dibattiti televisivi come opinionista. Personaggio dalla forte retorica anticasta ed antisistema. Non privo di stravaganze, come una difesa apologetica del diritto democratico (sic) dei cittadini statunitensi a comprare e portare armi.

La lista di PODEMOS ottenne un ottimo 8% dei voti, contro il 10% di IZQUIERDA UNIDA e 5 deputati europei contro i 6 di IU.

Da quel momento Iglesias moltiplicò ancor di più le sue presenze televisive.

In pochi mesi fu fondato il partito. La struttura del quale è ultraverticistica. Segretario generale con enormi poteri. Segreteria omogenea scelta dal leader. Decisioni importanti prese sottoponendo a referendum fra gli iscritti (in internet senza pagamento di nessuna quota) le proposte del leader ed eventuali altre alternative. Nei diversi referendum fatti non hanno mai votato più del 20 % degli “iscritti” con successo plebiscitario delle proposte di Iglesias.

Il partito venne fondato in una kermesse (sei settemila partecipanti) con una forte retorica anticasta, con la ostentazione della volontà di conquistare la “centralità” della scena politica e di non confinarsi nella logica destra-sinistra.

PODEMOS sui territori verrà costituito in seguito con una attenta selezione dei gruppi dirigenti operata dalla squadra centrale di Iglesias.

IZQUIERDA UNIDA, sempre più ignorata dai mass media, reagisce a tutto ciò proponendo unità. Dichiarandosi disposta a rinunciare alla propria stessa presenza elettorale in favore di una lista unitaria costruita dal basso, capace di agglutinare tutto ciò che fosse antiliberista e concorde con i programmi di IU e di PODEMOS, ancora sostanzialmente uguali. E indica come responsabile della costruzione dell’unità e come proprio eventuale candidato (da sottoporre a primarie) a capeggiare tale lista Alberto Garzon, il 29enne deputato eletto da IU alle politiche del 2011 come espressione diretta del movimento degli indignados, di cui era esponente di primo piano.

Ma ormai i sondaggi cominciano a dire che PODEMOS è il primo partito, e che Iglesias sarà il nuovo capo del governo.

Intanto sorgono, sull’esempio di Barcellona dove la PAH locale lo propone prima della fondazione di PODEMOS, in diverse città della Spagna esperienze unitarie che raccolgono movimenti sociali e partiti della sinistra radicale. Esperienze alle quali PODEMOS si accoderà buon ultimo, non foss’altro che perché costituitosi dopo che erano già ampiamente avviate.

Queste liste vincono le elezioni in molte città. IZQUIERDA UNIDA partecipa a quasi tutte. E dove le sue organizzazioni locali non lo fanno, come a Madrid, vengono sconfessate dalla direzione nazionale già in campagna elettorale, e poi espulse da IU.

Ma i mass media, nonostante i risultati delle contemporanee elezioni regionali deludenti rispetto alle aspettative (PODEMOS è sempre terzo o quarto o quinto partito e sempre dietro al PSOE), attribuiscono il successo delle liste unitarie cittadine unicamente a PODEMOS.

Da quel momento però, PODEMOS, comincia a calare nei sondaggi. Forse a causa di polemiche interne che ovviamente trovano ampio eco sui mass media. Forse a causa del sostegno che PODEMOS da, ancorchè dall’esterno, a diversi governi locali del PSOE. Forse a causa delle accuse di estremismo che gli vengono rivolte da più parti per la natura antisistemica del suo programma. Ma certamente a causa del primo successo di CIUDADANOS alle regionali. E dalla competizione di CIUDADANOS su un terreno che fino a quel momento era stato esclusivo di PODEMOS: la retorica anticasta e anticorruzione.

IZQUIERDA UNIDA insiste nella costruzione di una lista unitaria sul modello di Barcelona en Comù in tutta la Spagna. A sostegno di questa proposta si schiera un appello per una lista di unità popolare firmata da centinaia di intellettuali, artisti, dirigenti sindacali ed anche da molti esponenti locali di PODEMOS.

Ma PODEMOS inizia un processo di scivolamento verso posizioni moderate.

Alle richieste unitarie di IU risponde che non vuole somme di sigle. Nonostante IU non le proponga affatto è Iglesias in TV a rappresentare così la proposta unitaria di IU.

Poi vengono le elezioni catalane. La lista unitaria CATALUNYA SI QUE ES POT ha un pessimo risultato. Principalmente dovuto all’inconsistenza della proposta politica federalista in elezioni polarizzate sul tema dell’indipendenza, al grande successo della lista indipendentista di estrema sinistra CUP, ma anche al settarismo di Iglesias che si rifiuta di comparire in pubblico con Garzon, nonostante PODEMOS e IU nazionali sostengano la stessa lista, e a gravi errori dello stesso Iglesias che non trova di meglio da fare che insultare la CUP e appellarsi al voto degli immigrati spagnoli in Catalogna contro i catalani.

Tutte cose che provocano le dimissioni della segretaria di PODEMOS in Catalogna.

Nei mesi successivi PODEMOS continua a calare nei sondaggi.

La proposta di IU sembra prendere quota. In Catalunya, Pais Valencià e Galicia, si discute di liste unitarie con le forze locali, compresi PODEMOS e IZQUIERDA UNIDA. Liste che saranno collegate ad una sola lista in tutto lo stato in caso di accordo fra IU e PODEMOS. O che saranno indipendenti da entrambi nel caso in tutto il resto della Spagna ci siano le due liste di PODEMOS e IU. E che quindi in parlamento formeranno gruppi autonomi. La legge lo permette visto che non esiste un collegio unico nazionale.

Nella discussione fra la segreteria di PODEMOS e IU, mantenuta rigorosamente riservata, IU accetta che non si faccia un accordo generale e pubblico e che la lista unitaria sorga come accordo in ognuna delle province.

Ma neppure questo basta perché inusitatamente PODEMOS, con un improvviso comunicato stampa dichiara chiuso ogni dialogo con IU. Ed accusa Alberto Garzon di aver rifiutato di far parte delle liste di PODEMOS. Come se per IU fosse possibile accettare di avere un solo candidato indipendente nelle liste di PODEMOS senza nemmeno poter discutere del programma.

Da quel momento la deriva moderata di PODEMOS pare inarrestabile.

La discussione programmatica di PODEMOS approda a non parlare più delle cause strutturali della crisi a cominciare dal debito. Niente più ristrutturazione del debito e tanto meno non pagamento degli interessi. Niente più disobbedienza ai trattati europei e alla troika. Niente più No alla NATO e per giunta Iglesias annuncia la candidatura dell’ex capo di stato maggiore del governo Zapatero (campione della guerra in Afghanistan), niente più rottura con la monarchia e la costituzione postfranchista bensì “nuova transizione”. Ormai il profilo programmatico di PODEMOS è sempre più vicino a quello del PSOE che a quello di IU. Ed infatti il leit motiv della campagna di PODEMOS è stato l’appello agli elettori socialisti delusi dalla corruzione, il nuovo contro il vecchio (con grandi riconoscimenti a CIUDADANOS in questo senso), e i temi della casta.

Perfino sul tema catalano la prima versione presentata all’opinione pubblica non parla di “referendum di autodeterminazione” come concordato dalla lista catalana in cui PODEMOS è presente insieme a Esquerra Unida i Alternativa e alle forze locali. PODEMOS è costretto ad aggiungere il referendum e a scusarsi per la “dimenticanza”.

A tutto ciò va aggiunto il profilo sempre più da marketing elettorale di Iglesias.

I sondaggi dicono che il nuovo re è popolare presso gli strati meno acculturati della società? Ecco che Iglesias partecipa ad incontri e ricevimenti (sempre disertati dalle forze della sinistra) omaggiandolo di regali (raccolte di serie televisive) in modo da comparire sui rotocalchi rosa come simpatico amico del re. O dice che gli piacerebbe vedere il re candidarsi a presidente della repubblica e che è sicuro che vincerebbe (presidenzialismo monarchico?). Il rivale Albert Rivera (CIUDADANOS) spopola nelle trasmissioni di intrattenimento? E allora si va a cantare e a suonare la chitarra nelle stesse trasmissioni. E a raccontare episodi gustosi della propria vita privata. Per la prima volta in Spagna i candidati principali dei partiti partecipano a questo tipo di trasmissioni, chi ballando, chi cantando, chi giocando a ping pong con un cantante, chi esibendosi in paracadute, chi portando i figli piccoli alle trasmissioni, e così via… (Italia docet!). L’unico a non farlo è Alberto Garzon. Che ovviamente per questo risulta molto meno visibile e conosciuto degli altri.

Insomma, a sinistra alla fine il quadro politico alla vigilia delle elezioni era questo.

Non si può dire, ovviamente, come sarebbero andate le cose in caso di lista unica. Ma certamente non ci sarebbe stata la deriva moderata di PODEMOS.

Perché si possono conquistare voti d’opinione sulla base dell’immagine rassicurante e sorridente, omettendo di dire cose troppo “radicali” e puntando ad incrementare la credenza che la crisi si risolva tagliando gli stipendi alla casta e mettendo in galera i corrotti. Utilizzando le categorie del nuovo e del giovane contro il vecchio. Ma è difficile sostenere che si possa fondare su questo una alternativa di governo.

Mi spiace, ma è più o meno il contrario dello spirito del movimento degli indignados.

Ed è, senza ombra di dubbio, vergognoso che la stampa italiana, compresa quella sedicente di sinistra, presenti PODEMOS come se fosse la SYRIZA spagnola, o ignori (consapevolmente o meno) la complessità del risultato elettorale, come vedremo tra pochissimo.

A questo link si può trovare la tabella dei risultati ufficiali:

http://resultadosgenerales2015.interior.es/congreso/#/ES201512-CON-ES/ES

Come si può osservare PODEMOS ha ottenuto 3 milioni 181mila voti. Pari al 12,67 % dei voti e a 42 seggi.

Per il semplice motivo che le liste EN COMU’ PODEM (Catalogna), EN MAREA (Galizia) e COMPROMIS-PODEMOS-ES EL MOMENT (Comunidad Valenciana) sono liste unitarie comprendenti forze locali (ben superiori a PODEMOS locale) e IU (Catalogna e Galizia). E che queste liste avranno diritto a gruppi parlamentari propri, avendo superato gli sbarramenti dei 5 deputati e il 15 % dei voti nella propria regione. Queste tre liste sono andate molto bene, tutte e tre sul 25 % dei voti nei propri territori, e sono tutte o primo (Catalogna) o secondo partito, comunque davanti al PSOE.

Ancora una volta IU è stata penalizzata dai mass media che hanno attribuito sic et simpliciter a PODEMOS tutti i voti e i seggi di queste tre liste. Compresi i voti e gli eletti di IU in Catalogna e Galizia. Quelli di Barcelona en comù e Iniciativa per Catalunya in Catalogna e quelli di IU e dei nazionalisti galiziani di sinistra in Galizia.

In questo modo IU appare come quasi sparita nonostante i 920mila voti a cui si dovrebbero sommare almeno una parte, difficile se non impossibile da quantificare ma non certo irrilevante, del milione e 400mila voti ottenuti dalle liste unitarie in Catalogna e Galizia.

Del resto uno studio fatto dal quotidiano digitale “El Diario” dice che sommando i voti di PODEMOS, delle tre liste unitarie regionali, e di IU una lista unica avrebbe superato il PSOE di più di 500mila voti ed ottenuto 14 deputati in più.

È pur vero che è arbitrario fare questa somma. Però se le liste unitarie nei territori dove si sono fatte sono andate molto bene, e comunque molto meglio delle liste di PODEMOS nel resto della Spagna, bisognerebbe tenerne conto. Soprattutto per il futuro.

Forse non è detto che la sinistra reale o radicale che dir si voglia debba, per conquistare voti nella speranza di governare, diventare sempre più moderata fino a confondersi con i socialisti liberisti. E diventare sempre più spregiudicata conducendo campagne elettorali americane. E puntare sulla demagogia e sulla retorica anticasta non in aggiunta bensì in sostituzione della critica alle vere cause della crisi. E costruire partiti dalla incerta ideologia (il neopopulismo di Laclau) e con un leader proprietario che decide tutto con il consenso plaudente di miriadi di individui soli davanti al computer.

Forse.

La sconfitta dei due partiti maggiori è tale che sembra impossibile che si possa formare un governo. CIUDADANOS ha già detto che favorirà la stabilità permettendo con i suoi voti di astensione l’investitura del presidente del governo del PP, ma che rimarrà all’opposizione (in Spagna è possibile eleggere il presidente del governo con una maggioranza semplice in seconda votazione e poi governare in minoranza). Però anche con l’astensione di CIUDADANOS il PP non avrebbe la maggioranza semplice. Quindi il PP tenterà di ottenere altri voti di astensione. Ma ogni strada sembra preclusa. A parte pochissimi deputati di formazioni locali di centro o di destra delle Canarie e di altre Comunità Autonome, sembra impossibile che il PSOE possa disporsi a permetterlo. E lo stesso dicasi per i partiti nazionalisti catalani e baschi, con cui ormai il PP è ai ferri corti sulla questione dell’autodeterminazione.

I socialisti hanno già annunciato il voto contrario all’investitura di Mariano Rajoi, e sono alla ricerca di eventuali alleati per tentare di formare governo nel caso Rajoi non venga investito. Ma PODEMOS ha posto la condizione impossibile da accettare per il PSOE per cui il governo dovrebbe impegnarsi a permettere referendum di autodeterminazione nelle Comunità dove esistono nazioni (Catalogna, Paese Basco, Galizia). È vincolato a questa posizione dalle liste unitarie catalane e galiziane nelle quali è presente al pari di IU. CIUDADANOS potrebbe astenersi anche sulla investitura di Pedro Sanchez del PSOE, ma ha avvertito che non lo farà insieme a PODEMOS.

Insomma, la situazione sembra bloccata.

Vedremo come evolverà nelle prossime settimane e forse mesi. Lo scioglimento del parlamento per impossibilità di formare un governo ed elezioni anticipate non sono una prospettiva improbabile.

Le forze indipendentiste catalane hanno dichiarato di voler procedere con il processo unilaterale di costruzione di una Repubblica Catalana e si appellano alla lista EN COMU’ PODEM affinché constati che nel parlamento di Madrid non esiste nessuna maggioranza che possa permettere un referendum vincolante in Catalogna, e si aggiunga quindi nel processo di “disconessione” progressiva della Catalogna dallo stato spagnolo. Dopo tre mesi di trattative il 27 dicembre l’assemblea delle CUP (Candidature d’Unità Popolare, formazione indipendentista di estrema sinistra che non si presenta per scelta alle elezioni spagnole e i cui voti sono probabilmente andati in buona parte a EN COMU’ PODEM) dovrà decidere se i suoi dieci deputati catalani permetteranno la formazione di un governo di stretta osservanza indipendentista e con un programma fortemente segnato da misure progressiste di stampo sociale, ma guidato da un esponente della destra liberale catalana, Artur Mas.

Infine, IZQUIERDA UNIDA insiste sulla necessità di “ripensare” tutta la sinistra sul modello delle liste unitarie che hanno dimostrato che l’unità di tutte le forze di sinistra, politiche e sociali, su programmi radicali è in grado di sfondare e di proporsi seriamente per un’alternativa alle politiche liberiste.

C’è da sperare che PODEMOS capisca che l’alternativa, soprattutto in tempi di buia crisi sociale, è possibile con l’unità su un programma coerente e non a colpi di marketing elettorale e moderazione programmatica.

Per il momento, purtroppo, si tratta solo di una speranza.

martedì 22 dicembre 2015

SINISTRA, LETTERA APERTA DI PIPPO CIVATI E PAOLO FERRERO

SINISTRA, LETTERA APERTA DI PIPPO CIVATI E PAOLO FERRERO La primavera prossima si andrà al voto in molte importanti città. Occasione imperdibile per la costruzione di un’alternativa politica, morale e sociale al governo del Partito Nazione: in quasi tutte le realtà si sta lavorando in questa direzione. Chi parla di “eccezioni locali” sta sbagliando: non esistono un Pd nazionale “cattivo” e un Pd locale “buono” con cui invece si possono stringere alleanze. Si tratta ovunque dello stesso Pd e delle stesse politiche. Precarietà, nuove povertà, marginalità sociale, dramma abitativo: gli effetti di Jobs act, “buona” scuola, finanza fantasiosa (dopo quella creativa di Tremonti) si manifestano dolorosamente e con chiarezza proprio a livello locale, ed è con l’impatto delle politiche nazionali che i nuovi sindaci si troveranno a fare i conti. A Milano si avvia alla conclusione la stagione della giunta arancione. L’”anomalia” sta per essere normalizzata. Gli ultimi mesi di giunta Pisapia costituiscono con ogni evidenza l’antipasto di questa normalizzazione, dalle primarie “di coalizione” che sono una faccenda tutta interna al Pd, alla recente vicenda degli scali ferroviari, che smonta definitivamente la retorica della partecipazione: una gestione dirigista che non garantisce nemmeno il coinvolgimento del Consiglio Comunale e l’ordinario esercizio di democrazia. Da sempre Milano è il laboratorio politico del Paese. Qui sono cominciati molti processi di valenza generale, nel bene e nel male. Ed è da Milano che si può partire per costruire una solida alternativa al Partito Nazione. Per una città più moderna e più giusta. La partecipatissima assemblea di martedi 15 alla Camera del Lavoro di Milano ha manifestato una forte domanda in questa direzione. Si tratta di costruire risposte autenticamente partecipate, a cominciare da un’attenta analisi -luci e ombre- degli ultimi 5 anni di giunta, mettendo in rete realtà che non si parlano o hanno smesso di parlarsi e superando la certezza di essere sufficienti a noi stessi. Nuovi legami solidificati da un programma di governo fatto di proposte e soluzioni in grado di parlare a tutta la Milano possibile, con una coalizione ampia e plurale, dalle forze di sinistra, ambientaliste, laiche, libertarie e riformiste al civismo democratico e dei beni comuni. La politica già vivente delle moltissime associazioni, dei comitati, delle buone pratiche nate spontaneamente dalle donne e dagli uomini che vivono quotidianamente la città, deve aspirare a diventare programma di governo alternativo a quello del partito Expo, versione milanese e smart del partito Nazione. Contro la logica illusoria dell’uomo solo al comando o degli scioglimenti palingenetici, questo nuovo inizio non può che assumere la forma del dialogo e della coalizione tra soggetti che, pur nelle loro differenze, sappiano lavorare insieme per favorire la costruzione di un processo unitario, offrendosi come facilitatori e catalizzatori e non come titolari della proposta: la sinistra è fuori di se! E’ il tempo giusto per restituire vero protagonismo politico a quel grande e composito movimento – dai referendum sulla cosa pubblica, sull’acqua, sul nucleare e su problematiche cittadine, al movimento delle donne, i militanti per i diritti civili, le associazioni ambientaliste, le lotte del e per il lavoro, per l’abitare, per gli spazi sociali, per una scuola davvero buona, per i diritti di cittadinanza dei migranti- che con un vero e proprio moto “di liberazione” nel 2011 diede avvio all’alternativa milanese, e che non ha mai smesso di esistere nonostante la progressiva disillusione, dal restringimento degli spazi di partecipazione all’irruzione normalizzatrice del Pd renziano. Quegli umori, quei desideri, quelle aspirazioni politiche restano vive, e attendono di prendere corpo in una proposta di governo davvero nuova, inclusiva e più giusta. Questo è quello di cui abbiamo bisogno, e questo quello che dobbiamo realizzare. Tutte e tutti insieme. Pippo Civati - Paolo Ferrero

lunedì 21 dicembre 2015

CAMPAGNA PER LO SCIOGLIMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI NEOFASCISTE

Campagna per lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste e neonaziste che è partita il 12 dicembre scorso. E' possibile firmare on line la petizione ospitata sulla piattaforma change.org.


martedì 15 dicembre 2015

CORDOGLIO PER MORTE ARMANDO COSSUTTA

FERRERO: CORDOGLIO PER MORTE ARMANDO COSSUTTA. FONDATORE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA E FEDELE AI SUOI IDEALI PER TUTTA LA VITA «E’ morto Armando Cossutta. Il nostro cordoglio ai figli Anna, Dario e Maura, ai nipoti, a tutti e tutte coloro che lo piangono. Cossutta è stato Presidente di Rifondazione Comunista. Senza di lui Rifondazione Comunista forse non sarebbe nata. Cossutta mostrò in quell’occasione una grande capacità di innovazione e di rottura in nome della fedeltà agli ideali. Cossutta infatti non esitò a rompere il dogma dell’unità del partito e non esitò a mischiarsi con compagni di strada per lui molto strani – come erano quelli come me che provenivano da Democrazia Proletaria – per rilanciare la presenza comunista in Italia. I dissensi e le rotture successive non cancelleranno mai questo grande merito storico di Cossutta così come credo vada riconosciuto a Cossutta una coerenza di ragionamento e di cultura politica tanto nella fondazione di Rifondazione quanto nella sua scissione. Per Cossutta la presenza autonoma dei comunisti era necessaria ma altrettanto necessario era evitare la rottura da parte dei comunisti con quello che lui riteneva essere lo schieramento progressista. Una vita lunga quella di Armando Cossutta, dalla parte dei lavoratori e della lotta per la libertà. Una vita degna di essere vissuta. La terra di sia lieve caro Armando». Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea 15 dicembre 2015

sabato 12 dicembre 2015

15 DICEMBRE A MILANO IN CAMERA DEL LAVORO ALLE 20.30


Il 15 Dicembre ore 20.30 Camera del Lavoro. Voci per una Milano in Comune...con Civati, Revelli e Ferrero, parleremo anche di sinistra e del senso che ha questa parola. Come costruire anche a Milano un nuovo corso e del perché non si può predicare bene e razzolare male.


UNANIMITA' DEL CONSIGLIO COMUNALE CONTRO TERRORISMO E GUERRA

venerdì 11 dicembre 2015

12 DICEMBRE A MILANO - RICORDARE LE STRAGI DI IERI, FERMARE LE GUERRE DI OGGI





RICORDARE LE STRAGI DI IERI, FERMARE LE GUERRE DI OGGI Il 12 dicembre 1969, una bomba scoppiava in Piazza Fontana. Una bomba, che facendo 17 morti e decine di feriti unita alla morte di Giuseppe Pinelli assassinato tre giorni dopo nella Questura di Milano, inaugurava la “Strategia della Tensione”, ovvero la costruzione sistematica di paura volta a criminalizzare i movimenti sociali e le richieste di diritti e libertà che in quegli anni riempivano le strade. Oggi, 46 anni dopo, vediamo come, in Italia e in altre parti del mondo, la strategia della paura, della criminalizzazione verso chi pretende diritti per un futuro e una vita migliore, non sia cambiata: dalle piazze xenofobe di Salvini & co, ai muri di Orban, alle sparizioni forzate in Messico, alle stragi ad Ankara, Suruç e Dyarbarkir. Come 46 anni fa, i poteri politici, economici e militari hanno tutto l’interesse a bloccare ogni spinta e autorganizzazione dal basso che metta ulteriormente in crisi un modello economico globale basato sulle speculazioni, l’espropriazione di terre e diritti, lo sfruttamento di miliardi di persone e territori in tutto il mondo.

 Oggi come ieri, ciò che vediamo attuarsi non è altro che uno status quo che cerca di rimanere inalterato: alle destabilizzazione di intere aree del pianeta fatta dalla speculazione economica e dai bombardamenti della guerra di turno, si risponde con nuove guerre e vendite di armamenti; alle lotte dei contadini e delle popolazioni locali per l’autodeterminazione dei territori si risponde con il landgrabbing, l’espropriazione di terre, le coltivazioni terminator, lo sfruttamento; a quante e quanti si spostano dalle loro terre alla ricerca di un futuro più degno, rivendicando un diritto alla mobilità che sia di tutte/i a prescindere dal passaporto, si risponde con muri, eserciti alle frontiere e respingimenti… quando non direttamente con il bombardamento dei barconi.


 Oggi la tensione e la paura sono esportate a livello globale per coprire la crisi economica che il neoliberismo stesso ha creato e per cui adesso cerca nuovi capri espiatori: diventano così il nemico da additare i kurdi in Turchia che combattono contro una discriminazione decennale e la repressione del governo Erdogan, i Palestinesi adesso colpevoli addirittura (in una totale riscrittura della storia) di aver istigato la Soluzione Finale di Hitler e l’Olocausto, mentre nelle strade della “democratica” Europa continua la caccia al migrante, all’uomo nero accusato di “rubare la casa e il lavoro”, alimentando così la guerra tra poveri. Ancora, a 46 anni di distanza, vediamo come anche gli attori non siano poi molto cambiati: nel 1969 i fascisti armati da CIA e servizi segreti con la complicità della Democrazia Cristiana, oggi sempre i fascisti che siano di Casapound o della Lega di Salvini in Italia, del Front National della Le Pen in Francia, di Alba Dorata in Grecia, quando non sono direttamente coinvolti nel governo come in Ungheria, Polonia, Austria… Lo stesso vale anche per il Medio Oriente e il Nord Africa, dove i servizi segreti di mezza NATO e le petromonarchie del golfo loro alleate hanno finanziato organizzazioni come Daesh e Al-Nusra per anni, armandoli, addestrandoli e utilizzandoli per i propri fini, salvo poi dover fare i conti con le mostruosità prodotte, come ha ricordato la strage di Parigi.
 L’Europa bombarda in Africa e Medio Oriente da decenni e oggi si arma per difendere le proprie frontiere dai migranti che essa stessa ha contribuito a creare. Pur di fermare con ogni mezzo chi scappa da guerra e miseria, l’Europa cerca l’accordo con governi come quello di Erdogan, che Daesh non l’ha mai combattuto, ma in cambio bombarda i curdi che lottano contro Daesh. Ricordare la Strage di Piazza Fontana, oggi come ieri, non è un semplice esercizio di memoria. È una scelta partigiana, di rifiuto della paura e della guerra tra poveri che ci vengono proposte, e di lotta per i diritti, per un futuro degno, libero e sostenibile per tutte e tutti.

 Rifiutiamo la retorica del mostro sbattuto in prima pagina: ricordiamo bene Valpreda e Giuseppe Pinelli, il primo rimasto in galera innocente per anni, il secondo assassinato nei locali della Questura di Milano la notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969. Ricordiamo anche Saverio Saltarelli ucciso un anno dopo mentre manifestava per affermare che Piazza Fontana fu una strage di Stato e che Pinelli era stato assassinato. Scegliamo di essere ancora oggi nelle strade e nei quartieri della nostra città, tessendo reti solidali, antirazziste ed antifasciste; scegliamo di essere complici con quante e quanti in ogni angolo del globo resistono alla paura, alle speculazioni, alle dittature, alle guerre, proponendo pratiche di organizzazione dal basso, pratiche che rifiutano ogni confine, sia esso fisico o mentale. Licia Pinelli - Pia Valpreda - Claudia Pinelli - Silvia Pinelli - Memoria Antifascista - Ponte della Ghisolfa - Comunità Curda Milanese - Rete Kurdistan - ZAM Zona Autonoma Milano - Csoa Lambretta - CS Cantiere - Soy Mendel - Sinistra Anticapitalista – Milano - Partito della Rifondazione Comunista – Fed. Di Milano - Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre - Amici e Compagni di Luca Rossi - Associazione Amici e Familiari di Fausto e Iaio - Associazione Per Non Dimenticare Claudio Varalli e Giannino Zibecchi - Associazione di Amicizia Italia – Cuba - Teatro della Cooperativa - Zona 3 per la Costituzione - CASC Lambrate - Rete Studenti Milano - Collettivo Bicocca - Collettivo Universitario the Take – CUT - Coordinamento dei Collettivi Studenteschi – CCS - LUME - Dillinger Project - Rojava Calling Milano - Spazio di Mutuo Soccorso – SMS - Comitato Abitanti San Siro - Adesso Basta - Fronte Palestina di Milano - PRC sez.Casaletti di Paderno Dugnano - Redazione di Lotta Continua - SI Cobas - Rete della Conoscenza - Unione degli Studenti - Link – Sindacato Universitario - Fronte Popolare - Centro Culturale Concetto Marchesi - ANPI Crescenzago - Comitato NO Muos milano - Parallelo Palestina - Associazione antirazzista Le Radici e Le Ali - Sondrio Antifascista - Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito - Sestodemocratica - Collettivo Berchet - Rete Milano senza frontiere - Collettivo Controvento - L’Altra Europa con Tsipras - Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 30 novembre 2015

LA LEGGE DI STABILITA' 2016: UN INNO AL NEOLIBERISMO

 
 

LEGGE DI STABILITÀ 2016: UN INNO AL NEOLIBERISMO Continuano le operazioni di propaganda e manipolazione del governo sulla Legge di Stabilità. Ma la Legge di stabilità per il 2016 è un inno al neoliberismo: prodiga verso le imprese e i ceti abbienti, a cui destina una gran quantità di risorse in tutti i modi possibili, mentre accelera la distruzione di ogni comparto e funzione pubblica con l’eccezione della spesa militare, favorisce l’evasione fiscale, e non dà che qualche mancia per la condizione di disagio sociale dei più deboli. 1. IL RAPPORTO CON I VINCOLI EUROPEI: L’AUSTERITÀ “FLESSIBILE” E IL NEOLIBERISMO La comunicazione pubblica del governo è tutta centrata alla descrizione di una manovra che finalmente dà e non toglie. Una manovra espansiva con cui si cerca di accreditare anche l’immagine di un premier che mette in discussione le politiche europee. Non è così. Come viene riaffermato in ogni documento, il governo si muove “nel pieno rispetto delle regole di bilancio adottate dall’Unione Europea”. Nessuna vertenza viene aperta per modificare il quadro delle politiche di austerità, i vincoli su deficit e debito del Fiscal Compact. Il governo sfrutta invece, concentrandoli nel 2016, i margini di manovra concessi dalla cosiddetta “austerità flessibile”, cioè dalla possibilità di spostare nel tempo il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla UE. Deve essere evidenziato come la flessibilizzazione dell’austerità, cioè delle politiche restrittive sia vincolata ad un di più di neoliberismo, perché ad essa si può accedere solo nella misura in cui si fanno le cosiddette “riforme strutturali”. E’ in nome del Jobs Act, della controriforma costituzionale, del taglio della Pubblica Amministrazione e delle privatizzazioni, in sostanza, che la legge di stabilità del 2016 beneficia della “flessibiità” che consente di disinnescare per il 2016 la clausola di salvaguardia. Le clausole di salvaguardia restano per il 2017 e 2018 rispettivamente per 15,1 e 19,6 miliardi di euro, con l’aumento dell’Iva che viene soltanto posticipato, così come è soltanto posticipato, dal 2017 al 2018, il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale. Nel frattempo le risorse liberate per il 2016 finiscono in larga parte nel taglio rilevantissimo di tasse sulle imprese come nell’eliminazione delle Tasi, e per citare le Corte dei Conti, dato “il carattere temporaneo di alcune coperture e il permanere di clausole di salvaguardia rinviate al futuro”, questo comporterà per il “loro riassorbimento nel 2017 e nel 2018… l’ individuazione di consistenti tagli di bilancio o aumenti di entrate”. Il governo in sostanza sfrutta la flessibilità nel 2016 approvando provvedimenti che hanno effetti permanenti ma con coperture temporanee, preparando in tal modo tagli supplementari, già chiarissimamente indirizzati nell’ulteriore attacco a tutto ciò che è servizio o patrimonio pubblico. La manovra non è comunque tecnicamente una manovra espansiva. L’indebitamento netto passa dal 2,6% del 2015 al 2,4% del 2016 (“clausola migranti” compresa), cioè diminuisce. Il saldo primario passa dall’1,7 del 2015 al 2% del 2016, con la previsione di crescere costantemente per arrivare al 4,3% nel 2019 cioè con la previsione di reperire risorse per ulteriori quaranta miliardi attraverso tagli o aumenti di entrate ed arrivare ad un avanzo di 80 miliardi. Un obiettivo folle e insostenibile, che dovrebbe coesistere con una crescita dell’1,6% del Pil nel 2017 -18 e dell’1,3% nel 2019! La crescita del Pil, determinata da diverse variabili esterne (come la svalutazione dell’euro sul dollaro a seguito del quantitative easing e la diminuzione strutturale del prezzo del petrolio) viene come sempre sovrastimata per far quadrare i conti. Nè il governo tiene alcun conto della consapevolezza crescente, nel dibattito sulle politiche economiche, per cui tagli delle tasse hanno effetti espansivi inferiori agli effetti depressivi del taglio della spesa pubblica. Dal punto di vista politico è invece evidente come concentrare la “flessibilità” nel 2016 assolva per Renzi ad una funzione di primaria importanza: rafforzarsi nel passaggio delle elezioni amministrative di primavera, assai rilevanti per numero di elettori e realtà interessate, rimontando la crisi di consensi degli ultimi passaggi elettorali. 2. I SOLDI CI SONO: PER LE IMPRESE, I CETI ABBIENTI, LE SPESE MILITARI. IRES, decontribuzione, super-ammortamento… Vale 2,6 miliardi per il 2016 e 4 miliardi a regime nel 2017 il taglio dell’IRES, cioè della tassa sui profitti. La sua applicazione nel 2016 è subordinata all’approvazione in sede europea della cosiddetta “clausola migranti”, quella per cui in nome dei costi dell’accoglienza per “l’emergenza migranti” si tagliano per l’appunto le tasse all’imprese! Ma nel 2017 il taglio dell’Ires ci sarà comunque e le risorse saranno reperite “da tagli alla parte corrente delle spese della Pubblica Amministrazione”, come recita la relazione tecnica. 580 milioni sono destinati al superammortamento al 140% per gli investimenti attuati entro il 2016, che diventano 1 miliardo negli anni dal 2017 al 2021. 831 milioni sono destinati alla reiterazione, ridotta al 40%, degli sgravi contributivi per le assunzioni o le trasformazioni di contratti preesistenti nel “contratto a tutele crescenti”, che diventano 2,1 miliardi per il 2017. Solo per queste misure si va dai 4 miliardi aggiuntivi nel 2016 agli oltre 7 miliardi nel 2017. Ma accanto alle voci principali ci sono una miriade di altri micro provvedimenti che o stanziano direttamente risorse per le imprese o come nel caso della detassazione dei premi di produttività (quasi 600 milioni a regime) e del sostegno al cosiddetto welfare aziendale, mirano tanto a promuovere la sostituzione della contrattazione collettiva nazionale con quella aziendale e territoriale, quanto all’aziendalizzazione delle prestazioni sociali mentre si smantella il welfare pubblico e universalistico. Si deve inoltre avere presente che la scorsa legge di stabilità (come anche le leggi di stabilità dei governi Letta e Monti) aveva già significativamente ridotto il prelievo fiscale sulle imprese con i 5 miliardi di riduzione dell’IRAP per il 2015 (4,3 a regime dal 2016) ed ulteriori 4 miliardi nel triennio 2015-2017attraverso una serie di provvedimenti minori. Mentre per la decontribuzione decisa sempre dalla scorsa legge di stabilità, estrapolando dai dati forniti dalla relazione tecnica, le risorse pubbliche utilizzate ammontano a 2,5 miliardi per il 2015 e 6,3 miliardi per il 2016 (4,6 se si considerano le stime su quanto dovrebbe rientrare per le tasse sulla nuova occupazione che tuttavia valgono solo per l’occupazione aggiuntiva) . Risorse molto ingenti che sono servite e serviranno per promuovere il contratto “a tutele crescenti”, cioè nella maggior parte dei casi per finanziare la trasformazione di vecchi contratti a termine, in nuovi contratti a termine, dato che il Jobs Act ha sancito la possibilità di licenziare arbitrariamente sempre e comunque. Dunque sono tanti i soldi per le imprese, dati “a pioggia” cioè senza finalizzazione alcuna: dagli oltre 8 miliardi (tra Irap, decontribuzione e altre misure) del 2015, ai circa 15 miliardi per il 2016, complessivi degli interventi della legge di stabilità dello scorso anno e di quella attuale. E’ invece totalmente assente qualsiasi strategia di politica industriale, e si prevede addirittura una contrazione degli investimenti pubblici. Questo a fronte di una riduzione complessiva degli investimenti nel periodo 2008-2014 del 30%. Dal punto di vista dell’occupazione, va sottolineato, come le continue dichiarazioni del governo, sugli effetti benefici delle proprie politiche nella creazione di lavoro, vadano demistificate per quella che sono: un’operazione di propaganda. L’Italia vede una crescita dell’occupazione inferiore rispetto al resto d’Europa. Con le risorse ingentissime mobilitate con la legge di stabilità 2015 nel mentre che si faceva tabula rasa dei diritti per in neo assunti, l’occupazione aggiuntiva “permanente” a settembre 2015 rispetto a settembre 2014 è di sole 113.000 unità, mentre sono 192.000 gli occupati complessivi in più (dati Istat): davvero poca cosa considerando l’esplosione di forme iper-precarizzanti come i voucher. Restano oltre i 3 milioni i disoccupati ufficiali, mentre sono il doppio quelli effettivi, considerando cioè coloro che non ricercano attivamente lavoro perché scoraggiati, ma che sarebbero disponibili a lavorare se un lavoro ci fosse. Il governo peraltro non ritiene un problema che nei propri stessi documenti il tasso di disoccupazione sia anche nel 2019 sopra il 10% con la disoccupazione giovanile intorno al 40%. TASI-IMU Accanto a questi provvedimenti l’altro piatto forte come è noto è l’eliminazione della TASI-IMU per l’abitazione principale (3,7 miliardi). 530 milioni sono destinati alla riduzione dell’IMU sugli “imbullonati”, 405 milioni per l’IMU agricola. L’eliminazione generalizzata dell’imposta sull’abitazione principale, va a vantaggio dei più ricchi con 1,4 miliardi regalati a chi possiede abitazioni di pregio maggior, che pur essendo solo il 10% del totale concorrevano per il 37%al gettito complessivo. Questi proprietari godranno di uno sgravio in proporzione maggiore di chi ha una casa più modesta, mentre persino chi ha ville e castelli (su cui alla fine la Tasi resta perché il governo ha fatto retromarcia per puri motivi di immagine), in virtù della diminuzione dell’aliquota massima godrà di uno sconto medio di 1.000 euro. Il taglio indiscriminato della Tasi mette inoltre i Comuni nella condizione di dipendere dai finanziamenti centrali, e non è davvero esercizio di fantasia prevedere che quelle risorse saranno oggetto di contrattazioni continue e di ulteriori riduzione. LE SPESE MILITARI I soldi ci sono anche per le spese militari. Nonostante la risoluzione approvata dal Parlamento nel settembre 2014 che poneva l’obiettivo di dimezzare lo stanziamento per gli F35, la legge di stabilità conferma i 13 miliardi per il programma pluriennale di acquisto dei 90 cacciabombardieri da attacco in grado di trasportare ordigni nucleari. Sono incrementati i fondi Mise per Fremm, Vbm, Eurofighter. Non viene mantenuto l’impegno ad aumentare le risorse per il servizio civile. I tagli che investono pesantemente ogni funzione pubblica, lasciano indenne il comparto militare. 3. I SOLDI NON CI SONO: COME TAGLIARE TUTTO CIÒ CHE È PUBBLICO A fronte delle cospicue risorse destinate a imprese e ricchi, spesa militare, stanno nuovi pesantissimi tagli a tutto ciò che è funzione pubblica: dalla sanità, alle regioni, a ministeri e società pubbliche, al pubblico impiego, che vede una mancia scandalosa invece del rinnovo del contratto, e un nuovo blocco del turn over. Complessivamente le “minori spese” ammontano a 8,4 miliardi nel 2016, 8,6 miliardi nel 2017 e 10,6 nel 2018. E’ evidente la volontà di distruggere la funzione pubblica ed insieme i diritti sociali. I tagli alla sanità. Il finanziamento per il Servizio Sanitario Nazionale viene rideterminato in 111 miliardi, ivi compresi gli 800 milioni finalizzati all’aggiornamento dei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Il Patto per la salute siglato da governo e regioni poco più di un anno fa (luglio 2014) prevedeva in 115,4 miliardi il finanziamento per il 2016. Il decreto legge 78/2015 aveva già ridotto il finanziamento di 2,352 miliardi portandolo a 113,097. Ora la riduzione ulteriore è di 2,097 miliardi. In sostanza in poco più di un anno i finanziamenti previsti a luglio 2014 sono stati tagliati di 6,7 miliardi. In questo modo la spesa pubblica per la sanità si collocherà al 6,6% del Pil, cioè ad uno dei livelli più bassi in assoluto in Europa. Va ricordato che, anche prima degli ultimi tagli, quando la spesa pubblica per la sanità era al 7% del Pil, questo livello era inferiore di 1,7 punti di Pil e di 632 euro in termini di spesa pro-capite (1793 euro contro 2425) rispetto alla media dell’Unione Europea a 15. Dopo di noi ci sono solo Spagna, Grecia e Portogalllo (Rapporto sullo Stato Sociale 2015). Gli ulteriori tagli alla sanità, in un paese in cui, come conferma l’ultimo rapporto del Censis, in quasi la metà dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto fare a meno di una prestazione medica per l’insostenibilità delle liste d’attesa o/e per l’onerosità dei ticket, rende evidente la volontà di distruggere la sanità pubblica ed universalistica e di spingere progressivamente verso modelli assicurativi. Una regressione sociale gravissima ed inaccettabile. I tagli a regioni, ministeri, società pubbliche. Il quadro diventa più grave se ai tagli al finanziamento del servizio sanitario nazionale si sommano quelli alle regioni, che hanno nella sanità, la voce di intervento e di spesa di gran lunga prevalente. La Legge di stabilità prevede tagli alle regioni per 3,98 miliardi di euro nel 2017, 5,48 miliardi nel 2018 e 2019. Non sono compresi in questi tagli gli effetti del blocco del turn-over di cui si dirà più avanti, mentre è compresa la riduzione di spesa derivante dalla centralizzazione dell’acquisto di beni e servizi che pesa tuttavia per soli 480 milioni . Come sottolineato in sede di audizione parlamentare della presidenza delle regioni, tuttavia, il quadro diventa drammatico se alle misure previste dalla attuale Legge di Stabilità, si sommano le misure derivanti dalle passate finanziarie e da diversi tagli di settore. In questo modo “nel 2016 l’insieme dei tagli che cadono sul sistema Regioni, ordinarie e straordinarie, derivanti da tutte le leggi di stabilità del passato e anche da leggi di settore, ammontano a circa 9 miliardi e mezzo, se si esclude il pareggio di bilancio di quest’anno, e che arrivano a più di 11 se si include il miliardo e 850 milioni di risparmio del sistema Regione che viene trattenuto come copertura a livello dello Stato… La situazione sul pluriennale è poi particolarmente preoccupante con altri cinque miliardi nel 2017 e sette nel 2018. Ormai i margini di manovra delle Regioni si vanno esaurendo”. E’ evidente che sulla sanità e sui trasporti pubblici in particolare, ma più complessivamente sul sistema regionale siamo ad una destrutturazione complessiva di diritti e possibilità di intervento. Anche i tagli a ministeri e società pubbliche, sono pesanti. Ammontano a 3,1 miliardi nel 2016, 2,4 nel 2017, 1,7 nel 2018, di cui per il 2016 1,6 miliardi di riduzione delle spese in conto capitale, cioè degli investimenti. Anche in questo caso al netto della riduzione di spesa derivante dalla centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, che vale circa 160 milioni l’anno, e dei “risparmi” derivanti dal blocco del turn-over. Proseguono dunque massicciamente i tagli, la riduzione del perimetro e la destrutturazione complessiva della funzione pubblica. A tutto questo va aggiunto da un lato quanto previsto nelle stessa legge di stabilità per il pubblico impiego, con il blocco del turn-over e della contrattazione, dall’altro il programma di privatizzazioni programmate dal DEF con introiti previsti per lo 0,41 % del Pil nel 2015, lo 0,5 nel 2016 e 2017 e 0,3 nel 2018, pari complessivamente a quasi 30 miliardi. Il nuovo blocco del turn-over e della contrattazione nel pubblico impiego. Sotto il titolo di involontario (o volontario?) scherno “esigenze indifferibili”, la Legge di Stabilità si occupa del contratto delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici. Nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, per il “rinnovo” del contratto vengono stanziati 219 milioni di euro per 1,3 milioni di lavoratori contrattualizzati a livello centrale (circa 12 euro mensili lorde di incremento), 81 milioni di euro per i 500.000 lavoratori del comparto sicurezza, mentre per altri 1,2 milioni di lavoratori le risorse per il “rinnovo” contrattuale sono in carico alle singole amministrazioni! Questo dopo 6 anni di blocco della contrattazione! Le risorse stanziate sono poco più della metà di quanto destinato alla riduzione dell’IMU sugli imbullonati, meno di un dodicesimo di quanto varrà a regime la nuova riduzione delle tasse sulle imprese… e si potrebbe continuare. Ma c’è di più: a fronte di pochissime e settoriali assunzioni è previsto un nuovo blocco del turn-over. Per le amministrazioni dello Stato, le agenzie, gli enti di ricerca, le regioni e gli enti locali, le assunzioni a tempo indeterminato possono avvenire solo entro la misura del 25% del budget derivante dalle cessazioni di personale con la medesima qualifica avvenute nell’anno precedente. La norma è sospesa per regioni ed enti locali per 2017 e 2018 per riassorbire il personale delle province, ma la nuova stretta è pesantissima. I “risparmi” complessivi previsti per il blocco del turn over, vanno dai 44 milioni del 2016 a quasi 1 miliardo (919 milioni) nel 2019, 3 volte quanto stanziato per il “rinnovo” del contratto. Come sottolinea il dossier del servizio studi del Senato “andrebbero richieste adeguate rassicurazioni in merito alla effettiva e piena sostenibilità dell’irrigidimento del blocco parziale del turn over, dal momento che negli anni più recenti le amministrazioni hanno subito già un blocco drastico dei reclutamenti che potrebbe averle già messe nella condizione di non poter assicurare i livelli minimi di servizio.” Va ricordato anche che dal 1 gennaio 2017 non sono più attivabili contratti di collaborazione e che nel 2018 scadranno i circa 80.000 contatti a tempo determinato di durata ultratriennale. Va ricordato più in generale come il numero di dipendenti pubblici ogni 100 abitanti in Italia nel 2010, prima dei tagli e del blocco del turn-over degli ultimi anni, fosse abbondantemente sotto la Francia e l’Inghilterra (5,9 contro 8,5 della Francia e 9,2 del Regno Unito – dati della Ragioneria Generale dello Stato). La vulgata di un settore pubblico ipertrofico nel nostro paese è totalmente falsa. Accanto a perduranti elementi di inefficacia che certo non si affrontano con nuovi tagli, in generale siamo alla messa in discussione della capacità di erogare i minimi servizi essenziali. 4. QUALCHE MANCIA PER GLI ESODATI, LE POVERTÀ, LA CONDIZIONE DI DISAGIO SOCIALE. Se per quel che riguardava imprese e ricchi, gli interventi sono in termini di miliardi sonanti, per esodati, povertà, disagio sociale, le risorse sono pochissime, centellinate solo per le emergenze, e spesso coperte da tagli all’interno dello stesso comparto. Le pensioni La legge di stabilità non contiene nessuna misura di flessibilizzazione della controriforma Fornero. I provvedimenti previsti riguardano il varo della settima salvaguardia per gli esodati, la cosiddetta “opzione donna” e il modestissimo aumento della no-tax area, le cui coperture sono interne al comparto, in particolare attraverso un nuovo intervento sulle rivalutazioni delle pensioni medie rispetto al costo della vita o attraverso l’accesso a fondi come quello per i lavori usuranti. La settima salvaguardia per gli esodati copre 26.300 lavoratori, mentre secondo i dati Inps le lavoratrici e i lavoratori da garantire sono 49.500. Ne restano scoperti oltre 23.000. Restano esclusi tanto i cosiddetti quota 96 della scuola, quanto i macchinisti. Per quel che riguarda “opzione donna” si prevede, a chiusura della sperimentazione, che l’opzione (cioè la possibilità di andare in pensione con 57 anni e 3 mesi, se lavoratrici dipendenti, e 58 anni e 3 mesi, se lavoratrici autonome, con 35 anni di contributi versati ed accettando il ricalcolo della pensione con il solo metodo contributivo) sia estesa alle donne che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015 anche se la decorrenza del trattamento pensionistico è successivo a quella data. Per quel che riguarda l’estensione della no-tax area, da 7500 a 7750 euro per i pensionati sotto i 75 anni e da 7750 a 8000 per i pensionati sopra i 75 anni, questa scatta soltanto dal 2017 ed è di portata assai modesta (intorno ai 5 euro mensili). Come è modestissima la sperimentazione del part-time in uscita per i lavoratori che maturano entro il 2018 i requisiti per la pensione di vecchiaia con risorse previste per 60 milioni nel 2016. La copertura di queste misure è comunque tutta interna al comparto pensionistico. Proviene dalla riduzione delle rivalutazione delle pensioni superiori a 4 volte il minimo, dalle somme non spese del Fondo Esodati, dall’indecente saccheggio del Fondo per i lavori usuranti. Come afferma la relazione tecnica si tratta di un fondo sottoutilizzato. Il che è certamente vero dopo che la controriforma Fornero ha peggiorato in modo gravissimo la condizione di questi lavoratori! Va ricordato anche in questo caso il dato di fondo. I contributi pensionistici vengono usati da anni in Italia per finanziare il bilancio dello stato e non viceversa. Dal 1996 ad oggi il saldo tra contributi versati e pensioni erogate al netto delle ritenute fiscali (che rientrano nelle casse dello stato ) è sempre stato in attivo. Nell’ultimo anno l’attivo è stato di 21 miliardi di euro. Qualche mancia per le povertà Gli interventi per il contrasto alle povertà sono totalmente inadeguati rispetto alla situazione di sofferenza sociale cresciuta esponenzialmente in questi anni. Secondo i dati Istat relativi al 2014, infatti, sono 1 milione e 470 mila le famiglie in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone, 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone sono invece in condizione di povertà relativa. I dati sono stabili rispetto all’anno precedente e concentrati geograficamente: la povertà assoluta si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all’8,6% nel Mezzogiorno. A fronte di questa situazione il governo stanzia 600 milioni aggiuntivi per il 2016 portando le risorse complessive a 1,6 miliardi e 1 miliardo per il 2017 portando le risorse complessive per quell’anno a 1,5 miliardi. Dei 600 milioni aggiuntivi 220 sono destinati a finanziare l’Asdi, l’assegno di disoccupazione, e 380 il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva, misura attivata dal governo Letta e rivolta esclusivamente ai nuclei familiari con un minore). Il finanziamento complessivo per il Sia raggiunge complessivamente la cifra di 750 milioni per il 2016 (tra quanto era stato già stanziato e le nuove risorse) e di 1 miliardo per il 2017. Se fossero distribuiti sulla sola platea dei poveri assoluti, non dando nessuna risposta alla condizione di povertà relativa, le risorse stanziate dal governo comporterebbero 15 euro lorde mensili, conteggiando invece la sola platea dei nuclei familiari in povertà con un minore che sono circa 600.000, questo significa 104 euro mensili lorde per nucleo familiare. Va ricordato che la proposta di reddito di inclusione sociale avanzata dall’Alleanza contro la Povertà (Acli e Caritas) prevede risorse per 7 miliardi, mentre il reddito di dignità sostenuto da Libera per quanto non quantificato precisamente, nel prendere a riferimento le proposte esistenti in Parlamento (quella del Movimento 5 Stelle e quella di iniziativa popolare proposta da Bin, Sel, Prc ed altri, quantificate dall’Istat rispettivamente in 14,9 e 23,5 miliardi) si situa approssimativamente sulla cifra di 20 miliardi. La miseria delle risorse stanziate per il contrasto alla povertà è ancora più grave considerati i tagli complessivi a cui è sottoposto il sistema di welfare, l’assenza di un piano per il lavoro, l’assenza di un piano per il Sud. 5. L’EVASIONE ED ELUSIONE FISCALE La legge di stabilità 2016 prevede una serie di misure che favoriscono l’evasione fiscale. Con la scusa di sostenere i consumi, il governo ha innalzato l’uso del contante da 1000 a 3000 euro, invece di agire per rendere più semplice e meno costoso l’uso di carte e bancomat. Una scusa evidentemente giacchè nessuno va in giro con 3000 euro in contanti per poter meglio acquistare un televisore o una lavatrice. La volontà di favorire l’evasione è resa evidente dal fatto di aver innalzato l’uso del contante anche per il pagamento dei canoni di locazione e nella filiera dei trasporti, dove la tracciabilità è un elemento decisivo per prevenire e reprimere attività legate a traffici illegali: dal caporalato al riciclaggio. Il governo con i decreti di settembre scorso in attuazione della cosiddetta delega fiscale ha peraltro depenalizzato l’elusione fiscale praticata soprattutto dalle grandi imprese. Ricordiamo che l’Italia con un’evasione fiscale pari a circa 130 miliardi l’anno è il paese con la più alta evasione in Europa: il recupero soprattutto della grande evasione ed elusione dovrebbe essere un obiettivo prioritario.

ROSSANA ROSSANDA - SE LA GUERRA POSSA ESSERE INGIUSTA MA UTILE


SE LA GUERRA POSSA ESSERE INGIUSTA MA UTILE di Rossana Rossanda da SBILANCIAMOCI INFO Vedo che la «guerra giusta» di Norberto Bobbio, contro la quale ci eravamo battuti, riappare travestita da guerra «utile», ma non è una gran trovata. Utile per chi? Ogni guerra è sempre utile a una delle due parti in causa, almeno a breve termine, quindi il giudizio di valore va sempre spostato sulla causa del conflitto, mentre il metodo di risolverlo con una guerra va sempre rifiutato. Ricordiamoci di come apparve la seconda guerra mondiale a Gandhi e a molte parti del mondo non occidentale; se si è contro la guerra, non è possibile una guerra giusta, la guerra va misurata non nei termini dei rapporti di forza che ha prodotto, ma va rifiutata sempre per la quantità di vittime che produce. Non è semplice, perché - per esempio - io non tendo a definire «ingiusta » la seconda guerra mondiale perché i milioni di morti da ambedue le parti l’hanno subita; eppure, per la mia generazione, sulla vita dei cittadini i governi non dovrebbero aver potere di vita o di morte (come nel caso della soppressione della pena di morte). In verità, per le guerre questo potere gli è lasciato - e non dovrebbe esserlo - con l’argomento per cui Daesh non si potrebbe danneggiare o sconfiggere in altro modo, anche perché si tratta di un nemico diffuso e meno esposto di quanto non sia un paese con il suo stato, con un territorio preciso dove si dispiegano eserciti, fortificazioni, industrie militari, sistemi di trasporto. In realtà, anche Daesh è più presente e concentrato in certi territori e, soprattutto, i mezzi militari gli sono forniti nientemeno che dall’Occidente, al più attraverso la mediazione di un altro paese. Nel caso della Turchia questa mediazione non è necessaria perché nella coalizione internazionale contro Daesh nessun altro stato partecipa alla guerra contro i curdi, che per Ankara sono il principale nemico. Il lancio di un missile turco contro l’aereo militare della Russia, che è in guerra contro Daesh ma non contro i curdi, ne è un segnale minaccioso, tranquillamente sopportato dall’Occidente. In verità, la guerra nel Medio Oriente ha presentato e presenta sovente, a partire dall’Afghanistan, diversi fronti, anche in parte nascosti, aspetto che non è l’ultima delle sue specificità; essa mette in rilievo le ragioni per cui il più vasto movimento pacifista dei tempi recenti le è nato contro. E non solo i civili ne sono regolarmente le vittime (a ogni attacco, specie aereo) ma, come in tutti i conflitti con una forte componente ideologica, le parti non corrispondono nettamente a un territorio ben definito. Insomma, il carattere particolarmente brutale e non giustificabile delle guerre è qui singolarmente evidente. La Francia, non contenta del disastro senza via di uscita provocato in Libia dall’ignoranza di Sarkozy, reitera errore e vittime in Siria attirandosi addosso – a proposito di guerre «utili» - l’attacco di quella parte del Daesh come movimento che filtra anche sul territorio dell’Europa occidentale, figlio non soltanto (anche se in buona parte) del disagio sociale, ma di una disperazione più interiorizzata e profonda che ha portato sinora giovani francesi e belgi a concludere le azioni omicide attivando le cinture esplosive e togliendosi la vita. Non ci si racconti che attendevano di essere accolti nell’aldilà da centinaia di vergini vogliose, disperavano della vita in terra, senza nulla che le dia un senso umano o sovrumano. Manca nel nostro mondo il solo elemento in grado di sconfiggere Daesh, cioè un senso umano o oltre umano che non sia il successo nel denaro, che non a caso essi bruciano, o lo spettacolo inteso in senso proprio come distrazione dal reale. Fonte: sbilanciamoci.info

mercoledì 25 novembre 2015

CAMBIA IL LAVORO - COME GARANTIRE I DIRITTI

CAMBIA IL LAVORO - COME GARANTIRE I DIRITTI Giovedì 26 novembre 2015, ore 20.30, Spazio Arte Quali sfide deve affrontare la Sinistra per essere strumento utile per i lavoratori? La crescita della disoccupazione, in particolare per i giovani, la perdita del valore sociale del lavoro, la cancellazione dei diritti che garantivano dignità e l'aumento della povertà. Su questi temi serve un cambio di passo. Immediato. Concreto. Efficace. Ne discutiamo con Sergio COFFERATI, Stefano FASSINA, Paolo FERRERO e Arturo SCOTTO; Giovedì 26 novembre 2015, ore 20.30, Spazio Arte Sesto San Giovanni Porterà i saluti Antonio Pizzinato. Organizza: Sinistra Nord Milano

lunedì 23 novembre 2015

venerdì 20 novembre 2015

CON LA FIOM CONTRO IL GOVERNO RENZI E CONTRO GUERRA E TERRORISMO!


Saremo in piazza insieme alla ‪#‎Fiom‬ per protestare contro le politiche di destra del governo Renzi, che sta facendo peggio di Monti e Berlusconi su tutti i fronti. Invece che tassare i ricchi e la finanza per creare posti di lavoro, demolisce i servizi e il welfare e precarizza quel che resta dell'occupazione. Scenderemo anche in piazza contro la guerra e il terrorismo - due facce della stessa medaglia - convinti che serva la più larga mobilitazione popolare per riaffermare l'umanità, la giustizia e la democrazia come valori fondanti della società in cui vogliamo vivere.

giovedì 19 novembre 2015

mercoledì 18 novembre 2015

ATTENTATI PARIGI: LE VERITÀ NECESSARIE (E SCOMODE) PER SCONFIGGERE L’ISIS

ATTENTATI PARIGI: LE VERITÀ NECESSARIE (E SCOMODE) PER SCONFIGGERE L’ISIS di Vittorio Agnoletto - 16 novembre 2015 Quanto accaduto a Parigi lascia senza parole, la tragedia è enorme e a pagare con la vita la ferocia dei terroristi sono vittime innocenti, uccise nel mucchio; poteva accadere a ciascuno di noi. Ed il futuro appare denso di paure, per tutti, anche in Europa. Nessuno oggi ha una soluzione pronta da proporre; non ci sono vie d’uscita semplici. Provo quindi solo a condividere alcune riflessioni e ad esplicitare cosa, a mio parere, non dovremmo fare. “Siamo in guerra” hanno titolato molti media, mostrando grande stupore; un annuncio che sembra annunciare una realtà a noi profondamente lontana. Ma se riusciamo a prenderci qualche minuto di riflessione, ci rendiamo conto di quanto quei titoli alla fine non comunichino altro che un dato di fatto, qualcosa che ormai da anni è oggettivamente una realtà. Pubblicità La Francia, ma anche molti altri Paesi europei, sono in guerra ormai da anni, da quando hanno partecipato alle guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in Mali… senza peraltro aver mai formalmente dichiarato lo stato di guerra. Non sono videogiochi, sono guerre a tutti gli effetti, fatte con soldati, con armi di ogni genere, con bombe e droni che bombardano e uccidono. Come tutti i conflitti moderni il maggior numero di vittime sono tra i civili, tra persone innocenti che erano sedute a banchetti nuziali, tra bambini che giocavano all’aria aperta o tra feriti ricoverati in ospedale, giusto per ricordare solo alcuni degli ultimi “effetti collaterali”. L’Occidente è in guerra, solo che pensava di potere condurre questi conflitti senza che i propri cittadini nemmeno se ne accorgessero. La guerra ci sarebbe stata, ma solo a casa del nemico, nulla avrebbe interrotto la vita quotidiana di noi europei. Ora sappiamo che non è così. Questa è la novità, non l’essere in guerra. E’ acclarato che le ragioni vere dell’interesse occidentale per l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria ecc. siano il petrolio, il gas, gli oleodotti, i gasdotti, il controllo delle vie di comunicazione… Se l’esportazione della democrazia fosse al primo posto, avremmo vista da tempo i droni attaccare l’Arabia Saudita. E’ anche facilmente verificabile che in nessuno tra i Paesi coinvolti nelle guerre la democrazia sia subentrata alle precedenti dittature. Papa Francesco nel settembre 2013 aveva invitato tutto il mondo ad una veglia per convincere i leader a rinunciare alla guerra in Siria, ma non ottenne alcun risultato. Gli effetti di tali scelte sono sotto gli occhi di tutti: condizioni di vita disastrose per le popolazioni, aumento della povertà, crollo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, aumento vertiginoso dei morti da un lato, rafforzamento dell’integralismo islamico grazie alle armi destinate dagli alleati a chi avrebbe dovuto combattere i dittatori in nome della democrazia e grazie al sostegno fornito da Arabia Saudita, Emirati e Turchia, tutti fedeli alleati dell’Occidente. Il minimo che si può dire è che gli strateghi Usa, e le leadership politiche e militari europee, abbiano sbagliato i propri conti. Se invece l’obiettivo era il controllo delle risorse energetiche, l’aumento dei profitti dell’industria bellica (grande supporter di politici su ambedue le sponde dell’Atlantico) e l’avanzare sullo scacchiere politico nel confronto con la Cina e la Russia allora il bilancio è certamente diverso. Basta essere chiari sulle ragioni delle guerre. Cosa possiamo fare a questo punto? Non credo ci siano soluzioni facili e comunque io non ne ho. Mi limito a dire cosa dovremmo evitare di fare. Evitiamo di partecipare ad altre guerre, diamoci da fare perché non si avveri il desiderio di Renzi dell’Italia a capo di un’alleanza militare in Libia, rafforzeremmo ulteriormente i gruppi integralisti nelle loro campagne di reclutamento contro gli infedeli, diventeremmo ancor più un bersaglio da colpire, spenderemmo risorse oggi molto più utili alla sanità, al lavoro e alla scuola. Chiediamo invece che le intellingence facciano il loro lavoro e che siano sostituiti coloro che non hanno dimostrato di esserne all’altezza. Evitiamo di seguire Le Pen, Salvini e compagnia nelle loro crociate contro tutti gli immigrati e gli islamici: dal razzismo non può nascere che ulteriore violenza. Favoriamo l’integrazione ed evitiamo la formazione di ghetti, come le banlieue parigine; l’isolamento e la marginalità sono il terreno preferito dai reclutatori del terrore. La sconfitta dell’Isis è ovviamente una priorità assoluta. Questi assassini devono essere fermati. Per fare questo almeno seguiamo una regola base di tutte le guerre: isolare il nemico, “togliere ai pesci l’acqua dove stanno nuotando”. Ciò significa innanzitutto ripetere all’infinito che Islam e Isis non sono la stessa cosa, in questo modo evitiamo di regalare un miliardo di persone all’Isis. Questo ragionamento di buon senso non si può pretendere da un Salvini che per un voto è disposto a tutto, ma è legittimo richiederlo a tutti i mezzi d’informazione, per evitare un disastro. Inoltre sarebbe corretto ricordarsi che in questo momento sul campo di battaglia tra i più acerrimi nemici dell’Isis ci sono i pasdaran iraniani, gli hezbollah libanesi e i guerriglieri curdi, tutte realtà islamiche, tutti gruppi che dai governi occidentali spesso sono state considerati terroristi. Ma sono loro che ogni giorno sfidano l’Isis sul campo. Il mio non è buonismo come qualche ipocrita direbbe, ma verità e realismo necessari per battere gli assassini. P.S.: ormai il Giubileo c’è (non se ne sentiva proprio la necessità); sarebbe bene che il Papa invitasse i fedeli a celebrarlo a casa propria, non sempre dobbiamo per forza scegliere ciò che più ci espone ai rischi e non credo che la fede possa essere misurata da un viaggio o meno nella Città eterna.

lunedì 16 novembre 2015

DI FRONTE AGLI ATTENTATI UNIAMOCI PER LA LIBERTÀ, L’UGUAGLIANZA, LA FRATERNITÀ E LA PACE.


DI FRONTE AGLI ATTENTATI UNIAMOCI PER LA LIBERTÀ, L’UGUAGLIANZA, LA FRATERNITÀ E LA PACE. di Pierre Laurent, segretario nazionale del Partito Comunista Francese e presidente del partito della Sinistra Europea Il nostro paese ha appena vissuto uno dei peggiori avvenimenti della sua storia. Gli attacchi terroristici simultanei della notte scorsa a Parigi e Saint-Denis, rivendicati da DAESH (Isis), che hanno provocato finora 127 morti e 200 feriti, sono spaventosi. La Francia è in lutto. All’indomani di questa carneficina i nostri primi pensieri sono indirizzati alle vittime, alle loro famiglie, ai loro amici, ai testimoni e a tutti coloro la cui vita è stata minacciata. Per tutti il dolore è immenso. Ognuno in Francia ne è profondamente colpito. Salutiamo l’azione delle forze dell’ordine, dei soccorritori, del personale sanitario e degli agenti territoriali la cui mobilitazione é stata esemplare così come la solidarietà degli abitanti che si è manifestata immediatamente. Meno di un anno dopo gli attentati di gennaio scorso, la Repubblica é colpita al cuore. Mentre lo stato di emergenza é stato appena decretato dal governo, è imperativo rinforzare i mezzi di polizia e di giustizia. Lo Stato deve trovare i mezzi adatti per garantire la sicurezza di tutte e tutti. Invito il nostro popolo a non cedere alla paura, a riunirsi per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, e per la pace. Dobbiamo rifiutare le generalizzazioni e le stigmatizzazioni. Insieme dobbiamo respingere fermamente l’odio e i razzismi La Francia è segnata dalla guerra e dalla destabilizzazione che minano il Vicino e Medio Oriente. La lotta contro il terrorismo invita ad una mobilitazione rafforzata e a delle soluzioni internazionali. Essa non potrà trionfare se non con la mobilitazione per un progetto di società solidale che mette al primo posto di tutte le scelte l’emancipazione umana, i valori della Repubblica e la pace. Il PCF, i suoi rappresentanti e i suoi eletti saranno per tutte le iniziative che nei prossimi giorni permetteranno ai nostri concittadini di riunirsi per far fronte a questa prova e aprire un cammino di speranza per il nostro popolo. In questo momento tragico il PCF ha interrotto ogni attività di campagna elettorale.

GINO STRADA: “IN 15 ANNI DI GUERRA SOLO DANNI. BASTA BALLE, SI SONO INVENTATI PURE LA PROVETTA DI PISCIO”

GINO STRADA: “IN 15 ANNI DI GUERRA SOLO DANNI. BASTA BALLE, SI SONO INVENTATI PURE LA PROVETTA DI PISCIO” “La guerra non solo è uno strumento stupido e crudele, non funziona neanche”. A dirlo è Gino Strada, fondatore di Emergency, nel corso di un’intervista a In Mezz’Ora, su Raitre, per criticare gli ultimi 15 anni di gestione delle crisi internazionali. “Questa guerra è incominciata poco dopo l’11 settembre. È stato detto, a noi cittadini, che era cominciata la guerra al terrorismo e sarebbe durata 50 anni. Bene, 15 sono già passati. E con quali risultati?”. Strada evidenzia che “si sono distrutte intere nazioni, scardinata la struttura sociale, non solo politica. E l’Isis nasce proprio da lì. Davvero un grande successo … e nessuno dice niente. Serve la guerra o ha prodotto ulteriore guerra, ulteriore terrorismo? Ce li ricordiamo i talebani? Nessuno se li ricorda più, ma controllano oggi molto più di quello che controllavano prima dell’ingresso in guerra in Afghanistan”. Il fondatore di Emergency non accetta di parlare di errori del passato, “non ci sto a liquidare 15 anni di storia così. Prima bisogna ammettere gli errori del passato. Quante balle sono state raccontate ai cittadini del mondo – prosegue Strada – Mi sono visto sventolare perfino una provetta con piscio di laboratorio per giustificare una guerra. E oggi ammettono di aver detto bugie, perfino Tony Blair”. Gino Strada non riesce a trattenere l’emozione, poche parole per ricordare Valeria Solesin, per anni volontaria di Emergency e unica vittima italiana delle stragi di Parigi. “Siamo addolorati. Purtroppo, è un’altra vittima del terrorismo. Non mi sento di dire di più per rispetto del dolore della famiglia”.

lunedì 9 novembre 2015

RIFONDAZIONE COMUNISTA E NUOVO SOGGETTO UNITARIO DELLA SINISTRA

 

 

 

 

Rifondazione Comunista e soggetto unitario della sinistra: il documento approvato dal CPN

 
Il Comitato Politico Nazionale ribadisce la necessità di proseguire sulla strada del rilancio politico e organizzativo del Partito della Rifondazione Comunista e nella costruzione di una sinistra antiliberista e alternativa al Partito Democratico e al governo Renzi.
Il rilancio e il rafforzamento del partito, a partire dal recupero dell’orgoglio e del senso di appartenenza a Rifondazione Comunista e del ruolo che ha svolto e svolge “in direzione ostinata e contraria”, non ha nulla di conservatore né di burocratico ma nasce dalla consapevolezza che c’è più che mai bisogno del contributo delle comuniste e dei comunisti per contrastare il capitalismo globalizzato, la crescita delle disuguaglianze, lo svuotamento delle conquiste sociali e democratiche, il dilagare di guerre, xenofobia, razzismi.
Le grandi difficoltà incontrate in questi anni non ci hanno piegati, e in questi mesi abbiamo registrato segnali positivi, di vitalità e di ripresa. Di questo ci parlano lo straordinario risultato della campagna del 2 per mille unito all’ottimo risultato delle Feste di Liberazione, ed in particolare di quella nazionale, che costituiscono un forte incoraggiamento a generalizzare in tutti i territori e a tutti i livelli l’impegno per il rilancio del partito sul piano dell’organizzazione, dell’elaborazione, della formazione e del radicamento sociale.
Il Comitato Politico Nazionale chiede a tutte le strutture del partito il massimo impegno e la massima mobilitazione nella campagna “I soldi ci sono“, con l’obiettivo di rendere, socialmente e politicamente percepibile il PRC su quei contenuti e quelle parole d’ordine. Si tratta di una campagna di lungo periodo, che non si esaurisce in qualche settimana, ovvero si tratta di rendere riconoscibile la nostra proposta politica, almeno come è stato sulle 35 ore, sul piano sociale.
Dobbiamo essere chiaramente il partito che disvela che la crisi, i cui effetti drammatici ricadono sui ceti popolari, non è data dalla scarsità, ma è una crisi di sovraccapacità produttiva, di un’inedita concentrazione di ricchezze e di poteri in poche mani. Spiegare che “I soldi ci sono” significa contrastare l’egemonia sulle cause della crisi che è stata imposta come senso comune e narrazione dominante, e al tempo stesso avanzare proposte concrete che parlino alla condizione dei nostri soggetti sociali di riferimento. Uscire dalle politiche di austerità e dei sacrifici è possibile, ma soltanto mettendo in discussione le politiche neoliberiste portate avanti dall’UE e dai governi italiani.
La costruzione, di un profilo politico e sociale che ci renda riconoscibili e identificabili, quanto la partecipazione e l’internità ai movimenti e alle lotte, deve andare di pari passo con la prosecuzione del rilancio anche organizzativo del nostro partito. In questi mesi, in attuazione della scorsa Conferenza di Organizzazione, abbiamo compiuto i passi primi avanti a partire dalla costituzione dell’ufficio organizzativo che ha ripreso un sistematico lavoro di riorganizzazione e verifica in rapporto con le istanze regionali e provinciali del partito secondo gli obiettivi definiti nel documento “Ripartiamo” approvato dalla direzione nel settembre scorso. Abbiamo la consapevolezza che ancora tanti sono i passi da compiere per la costruzione di un partito all’altezza dei compiti e del progetto della rifondazione comunista.
Ci sono, oggi, le condizioni per rilanciare anche sul piano dell’adesione al partito e del tesseramento: nel corso di quest’anno è stato raggiunto l’obiettivo della distribuzione di 20.000 tessere pagate dalle strutture territoriali, e in occasione di questo Comitato Politico Nazionale abbiamo avviato la distribuzione delle tessere del 2016. L’obiettivo è quello di chiudere al 31 dicembre il tesseramento 2015 avviando immediatamente e con il massimo slancio il tesseramento del 2016 con la determinazione a conseguire un’inversione di tendenza e l’aumento degli iscritti.
Rifondazione Comunista deve proseguire e rafforzare il proprio impegno nei conflitti e nelle lotte sociali, sia attraverso la presenza concreta sia attraverso le pratiche sociali mutualistiche cresciute in questi anni in diversi territori. Le nostre intuizioni sul “partito sociale” sono entrate oggi nella sensibilità diffusa della sinistra e rappresentano un patrimonio che va generalizzato e rilanciato.
Aspetto altrettanto decisivo della nostra linea politica è la costruzione di una sinistra antiliberista e alternativa al Partito Democratico che sia in grado di dare una risposta alla domanda viva, anche se frammentata, di unità e di opposizione incisiva alle politiche di austerità neoliberista, una domanda che viene da gran parte delle persone che continuano a sentirsi di sinistra, ma soprattutto da classi lavoratrici e ceti popolari che sono oggetto da troppo tempo di un attacco sistematico.
Il documento Noi ci siamo, lanciamo la sfida, che convoca per il 15-16-17 gennaio un’assemblea nazionale aperta, è un importante passo avanti nella direzione di quanto sostenuto da Rifondazione Comunista in questi anni, spesso in solitudine: le forze della sinistra aderenti al documento muovono infatti dalla condivisione dell’esaurimento e del fallimento della stagione del centrosinistra. La nostra proposta di costruire un soggetto politico unitario e plurale della sinistra chiaramente autonomo e alternativo al Pd comincia a diventare realtà. Ribadiamo, per quanto ci riguarda, che questo impianto vive indipendentemente dalla legge elettorale e dalle sue eventuali modifiche. Per noi la sinistra è alternativa al PD perché non ne condivide le politiche. Non ci sentiamo orfani di un centrosinistra che ha prodotto il renzismo come fase terminale di una lunga mutazione genetica.
Il documento “Noi ci siamo, lanciamo la sfida” va considerato, perciò, come un punto di partenza. Rifondazione Comunista è impegnata per lo sviluppo di tale percorso nella direzione del pieno coinvolgimento dei soggetti e delle forze sociali, dei settori più larghi possibile di movimenti e società che quotidianamente lottano e costruiscono esperienze di alternativa, della partecipazione e dell’inclusività; della collocazione del soggetto plurale che intendiamo costruire all’interno del Gue e della Sinistra Europea; di una caratterizzazione forte di alternativa al Partito Democratico. Se siamo consapevoli dell’articolazione di posizioni e di sensibilità diverse presenti, siamo anche consapevoli di quanto le nostre coordinate politiche siano potenzialmente maggioritarie a sinistra. L’impegno di tutto il partito nel processo unitario è essenziale per determinarne uno sviluppo positivo e un carattere di radicale alternativa. Abbiamo la convinzione che tale processo debba assumere una caratterizzazione larga e popolare, tesa a ricostruire un tessuto di pratiche sociali che si insediano nel territorio a partire dalle periferie, anche per evitare i populismi della destra, pratiche e ricostruzioni che non si esauriscono e non si agiscono soltanto nei luoghi istituzionali.
La sinistra si ricostruisce in primo luogo sulle strade, nei quartieri, nei luoghi di lavoro e della vita quotidiana.
In questo senso la continuità e la coerenza con la linea politica congressuale di Perugia, relativamente al rafforzamento e al rilancio del Prc unitamente all’obiettivo della costruzione di una sinistra più ampia, partecipata e alternativa al Pd continua a essere la bussola della nostra iniziativa politica.
Riteniamo in questo passaggio importante coinvolgere direttamente le iscritte e gli iscritti al partito sul risultato del nostro lavoro e – alla luce di quanto avvenuto – proporre di proseguire, secondo le coordinate scelte al congresso, chiedendo una verifica del mandato ricevuto al congresso. Nel congresso di Perugia abbiamo messo al centro il nodo della democrazia delle iscritte e degli iscritti, sottolineando come il nostro obiettivo fosse quello di coinvolgere il corpo del partito nei passaggi più rilevanti e non solo nelle scadenze congressuali. Per questo proponiamo una consultazione delle iscritte e degli iscritti del Prc.
Il Comitato Politico nazionale chiama quindi a esprimersi nella consultazione sul seguente testo:
“il nostro obiettivo è mettere al centro, in continuità e in attuazione del linea politica stabilita al congresso di Perugia, la strada del rafforzamento e del rilancio del Partito della Rifondazione Comunista e della costruzione attraverso un processo unitario, partecipato e democratico, del nuovo soggetto della sinistra in Italia. Questo processo che vedrà una prima tappa positiva nella convocazione dell’assemblea del 15/17 gennaio 2016 convocata sulla base del documento “Noi ci siamo, lanciamo la sfida” deve essere finalizzato a costruire un soggetto unitario e plurale della sinistra antiliberista, chiaramente alternativo al Pd e collocato in Europa nell’ambito del GUE e della Sinistra Europea”
La consultazione avverrà nel periodo 1-19 dicembre attraverso l’organizzazione e la convocazione di attivi territoriali degli iscritti e delle iscritte del singolo circolo o di circoli convocati congiuntamente. Le Federazioni hanno il compito di far sì che tutte le strutture si attivino. Ha diritto di voto chi ha la tessera 2015. Utilizzando appositi moduli predisposti dal nazionale, i garanti – indicati dalle Federazioni – registrano l’esito della votazione (favorevoli, contrari, astenuti), palese e per alzata di mano, e dovranno fare un report dell’esito complessivo.

Grazie per le visite!
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