martedì 26 febbraio 2019

DOVE VA L'ITALIA?


DOVE VA L'ITALIA?

DERIVA POLITICA E CULTURALE, RAZZISMI, OMOFOBIA, ATTACCHI AI DIRITTI E LIBERTA' DELLE DONNE, NEOFASCISMO

NE PARLIAMO CON LE ASSOCIAZIONI, I MOVIMENTI LOCALI E

SAVERIO FERRARI DELL'OSSERVATORIO DEMOCRATICO SULLE NUOVE DESTRE

GIOVANNI RUSSO SPENA EX SENATORE E GIURISTA DEL P.R.C.

CARLOTTA COSSUTTA DI "NON UNA DI MENO" COAUTRICE DEL LIBRO "SE IL MONDO TORNA UOMO".

MERCOLEDI' 27 FEBBRAIO 2019 ORE 21

PRESSO LA SALA "CAMERANI"

VIA FATEBENEFRATELLI

BIBLIOTECA DI CERNUSCO SUL NAVIGLIO




martedì 19 febbraio 2019

INTERVISTA A PAOLO FERRERO DE L'INCHIESTA



Regioni, Fca e Pd, parla Paolo Ferrero: il regionalismo differenziato sara' un disastro
— Lunedì 18 febbraio 2019
Sta girando l’Italia per presentare il suo ultimo libro - “Marx oltre i luoghi comuni”- (ricavato al partito): l'ex segretario di Rifondazione Paolo Ferrero ieri era a Cassino ed ha fatto visita alla nostra redazione centrale.
Ferrero è nato a Pomaretto (Torino) nel 1960. Operaio e poi cassaintegrato Fiat, è stato Ministro della Solidarietà sociale nel secondo governo Prodi e segretario nazionale di Rifondazione comunista. Oggi è vicepresidente del Partito della Sinistra europea.
A proposito di solidarietà, qui - in provincia di Frosinone - viviamo sulla linea di confine tra l’Italia ricca e quella disperata: cosa prevede possa accadere con l’autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna?

«Succede un disastro e chi lo fa è un criminale. Perché le regioni più povere le immiserisci ulteriormente e sono destinate a degradare ancor di più. E’ criminale perché il mon­do ha già un mucchio di diseguaglianze e il fatto di suddividere l’Italia vuol dire aumentare le disparità e crearne di nuove. Noi stiamo discutendo di Salvini e del suo “aiutiamoli a casa loro”: ma qui questo non vuol neanche aiutare gli italiani. Questo è un crimine organizzato, sono lazzaroni. Non so più quali parole usare. In questa cosa c’è veramente malafede, perché è chiaro che lucrano sulle paure ma sono i primi costruttori di paura».

C’è un pezzo di meridione che vota Carroccio ed è diventato classe politica col salvinismo. Come lo spiega?

«Intanto l’innamoramento per Salvini di una parte di destra meridionale, è avvenuto prima che fosse chiara questa cosa dell’autonomia. La Lega di Bossi, ad esempio, faceva comprendere con evidenza che si basava sull’elemento della spaccatura dell’Italia e non è che pigliasse voti al Sud. Salvini, invece, sembrava una destra estrema ma nazionale. Adesso, però, diventa palese che racconta balle e resta segretario della Lega Nord, a  favore del Nord ed usa il Sud contro gli altri poveri, per cercare di avere più voti senza restituire niente. Quelli che l’hanno eletto in Calabria e non raccoglieranno alcunché. Ci metteranno un po’ ad accorgersene. Ma lo capiranno».

Altro capitolo incerto è quello di Fca, col piano industriale sospeso, il ricorso continuo alla cassa integrazione, gli ex internali rimasti a casa. Cosa succede nel dopo Marchionne? Ce lo spiega lei che è piemontese?

«E sono anche un ex dipendente Fiat. Secondo me Siamo alle conseguenze del fatto che alla Fiat nessun governo ha chiesto niente. Tutti osannavano Marchionne mentre lui spostava la sede legale fuori dall’Italia ed anche il baricentro produttivo negli Stati Uniti. Adesso l’Italia è un paese come gli altri senza grandi costruttori, non ha niente di più. Questa è la situazione disastrosa. Avevamo un’azienda aveva cuore e cervello qui e adesso non c’è più. Il governo dovrebbe darsi da fare pesantemente nei confronti della Fiat. Altrimenti rischiamo che, se decidono che spostano pezzi di produzione magari negli Usa, chiudono da un giorno all’altro a Cassino e Pomigliano. Del resto la capacità produttiva installata è maggiore di quel di cui hanno bisogno ed alla famiglia Agnelli interessa solo che le arrivino i soldi. I nostri governanti, poi, hanno l’ideologia della libertà di mercato come i predecessori. Se uno pensa che il padrone di Fiat possa fare quel che vuole come un qualsiasi privato, non abbiamo speranza. L’Italia produce un terzo delle auto che consuma: siamo importatori netti ed è una follia per cui bisognerebbe che il governo si ponesse il problema».

Lo chiedono in tanti, anche dal nostro territorio...

«C’è però una differenza tra noi ed il resto del mondo, dal Pd alla Lega. Gli altri ritengono che l’impresa la gestisce e fa le scelte la proprietà. Invece bisogna impedire questa cosa e mettere la mordacchia alle grandi imprese. E chiaro che non mi riferisco alle Pmi, agli artigiani. Ma le grandi non possono fare i loro comodi e prendere decisioni che non coincidono col bene del Paese. Ma questo governo è totalmente liberista, non ha fatto nulla su tante questioni, come sulla libertà di licenziamento».

Il reddito di cittadinanza vi piace, però.

«Siamo a favore del “reddito” ma le modalità con cui verrà erogato non ci convincono. Dovrebbe costituire un diritto ma sembra che ti facciano un favore. Sta cosa del “restar seduti sul divano” non ha senso. Lo Stato o ti dà il lavoro o ti dà i soldi per campare. Se ci fossero tutti questi posti, oltretutto, non avrebbe senso dare il “reddito”. Se ci sono tre occasioni a testa per ogni disoccupato che senso ha pensare ad altro? Basta dare lavoro. Invece dà fastidio l’ideologia. Penso ci sia un diritto al lavoro. Non ti fanno lavorare? Allora un reddito per sostenerti ti spetta e non devi essere considerato con schifo perché lo percepisci. In più questa roba che loro hanno annunciato non si regge su nessuna legge stabile. Neanche i provvedimenti sulle pensioni. Sono robe per due o tre anni ed i soldi ci sono solo per quest’anno. L’anno prossimo viene molto da pensare che questo governo non ci sarà più. Sono tutte misure per andare al voto delle europee. La Lega per prendere voti in più, l’M5S per evitare il tracollo. Poi... chi s’è visto, s’è visto».

Veniamo al suo libro sull’attualità del pensiero di Marx: colpisce la considerazione che il capitalismo non c’entri più niente con l’umanità: non è esagerato davvero?

«Il capitalismo è nato disumano: marchiando a fuoco i disoccupati, facendo lavorare i bambini, grondando sangue. Ma quel capitalismo dell’inizio produceva una ricchezza enorme. Quindi rappresentava sia la storia dello sfruttamento ma anche di uno sviluppo economico, sociale e civile innegabile. Questa è la storia intimamente contraddittoria del capitalismo. Questa ricchezza ha avuto una fase in cui funzionava ma, poi, l’appropriazione privata del profitto è entrata in contrasto col benessere potenzialmente prodotto. Questa frizione produce la rovina di entrambe le classi in lotta: produce la barbarie. Siamo arrivati a questo punto. La ricchezza non è mai stata così grande ma si presenta alla massa come scarsità, mentre c’è la sovrapproduzione. Perché i ricchi son troppo ricchi e la gente comune non arriva a fine mese. La tecnologia, che ci consentirebbe di lavorare di meno e di vivere meglio tutti, non viene utilizzata in questo senso. Invece qualcuno lavora fino a 70 anni come un pazzo e milioni di giovani restano disoccupati. La stessa cosa sta avvenendo con lo sfruttamento dell’ambiente ed il riscaldamento del pianeta che porterà ad avere 150 milioni di profughi dalle terre che saranno sommerse. I nazisti sono al 20% con 5 milioni di immigrati, pensate cosa succederà con 150 milioni. Il capitalismo s’è tramutato in sfruttamento dell’uomo e della natura. All’idea sfruttamento-concorrenza va sostituito il binomio realizzazione umana-cooperazione.  Chi dice che non è possibile perché sarebbe il regno dei cieli, noi rispondiamo che è possibilissimo. Basta andare a prendere i soldi a chi ne ha troppi».

Lei ha detto che il modello Sardegna con la lista unitaria di sinistra può essere un buon auspicio anche per le vicende italiane. E’ così? O non ci sarà alternativa a questa schiacciante supremazia gialloverde?

«La tendenza in atto è come l’influenza. La gente è delusa, le ha provate tutte, è alla ricerca miracolistica dell’uomo della provvidenza. L’M5S dopo un anno sta già perdendo molto. La Lega è nella fase di crescita ma l’illusione nel miracolo svanirà. Quanto alla sinistra, con De Magistris stia­mo mettendo insieme la sinistra italiana, Potere al Popolo, Prc. Spero si  faccia una lista per le europee di sinistra alternativa che diventi nazionale e abbia una ferma proposta politica. La cui tesi sostanziale è: i soldi ci sono e bisogna prenderli a chi ne ha troppi e non ai poveri».

Zingaretti può ricucire qualche strappo tra voi ed il Pd?

«No. Come si vede dal governo della Regione Lazio, si può tranquillamente concludere: sotto il vestito niente».

giovedì 14 febbraio 2019

16 FEBBRAIO ORE 14.30 PIAZZA PIOLA MILANO - MANIFESTAZIONE CONTRO IL DECRETO SALVINI E I CPR




● Il 16 febbraio saremo in piazza, di nuovo a Milano per continuare a costruire insieme l’opposizione dal basso all’apertura dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), a partire da quello di via Corelli a Milano, e alle politiche razziste e repressive che hanno trovato la loro massima espressione, oggi, nel DL Salvini.
● Sarà un corteo che intende snodarsi per le vie e il quartiere che abbiamo già attraversato il 1 dicembre, un’altra tappa di un percorso di allargamento che vuole parlare alla città, fatto di azioni che coinvolgano i territori e che tramutino in fatti e pressione sulle istituzioni i punti di rivendicazione contenuti nell’appello elaborato, condiviso e pubblicato dalla Rete Mai più Lager – No ai CPR.
● Vogliamo porre l’attenzione sulla molteplicità dei risvolti che il DL avrà sulle vite di tutte e tutti (che richiede ferme prese di posizione e provvedimenti concreti alle amministrazioni territoriali, modifiche legislative e inversioni di rotta al governo centrale, e sovvertimenti delle politiche migratorie alla UE), e non solo su temi strettamente di immigrazione.
● Una data che impone peraltro di non relegare l’intervento della Rete, anche per il prosieguo, al solo tema del CPR, e tanto meno solo a quello di Milano, inducendo ad avere invece orizzonti più ampi e sfidanti. E ciò avrà riflesso anche sull’iniziativa del 16 febbraio, che non avrà come meta via Corelli.
● Durante l’assemblea generale del 19 gennaio, abbiamo siglato un patto di unità e responsabilità collettiva: decine e decine di realtà sono arrivate da tutta Italia per rilanciare con vigore la necessità di una strategia di lungo termine in cui convergano le energie e le intelligenze che si sono già espresse e quelle che si stanno attivando, anche in altri ambiti, apparentemente distanti.
Dalla discussione è scaturita una ferma volontà di interporsi con proposte, voci, azioni legali e non solo, con una mobilitazione diffusa e continua, una resistenza civile su più livelli e in più ambiti, che si intersechino con le tante altre in giro per l’Italia.
● Non c’è più spazio per le ambiguità, è tempo di scegliere da che parte stare, e noi abbiamo scelto: stiamo dalla parte dei diritti, delle persone migranti, e non solo.














mercoledì 13 febbraio 2019

ACERBO: «BASTA RIFUGIARSI NEL PD, ORA SINISTRA ITALIANA STIA CON NOI»



Acerbo: «Basta rifugiarsi nel Pd, ora Sinistra italiana stia con noi»

Intervista con Maurizio Acerbo (Prc): In Abruzzo SINISTRA ITALIANA ha fatto la ruota di scorta e ha fatto eleggere un renziano. Calenda e Zingaretti due minestre riscaldate, alle europee uniti anche con Pap, Diem e De Magistris

Daniela Preziosi – “IL MANIFESTO” - EDIZIONE DEL 13.02.2019

Dico a Sinistra italiana: valeva la pena rinunciare a una lista con noi per imboscarsi nella lista di Legnini e fare eleggere un renziano doc? Nella campagna abruzzese la sinistra è stata invisibile. Ha solo detto che Legnini è abruzzese e invece Marsilio vive a Roma».

Maurizio Acerbo (segretario Prc, ndr), oltre a essere romano il neopresidente Marsilio è un ex Msi di Fratelli d’Italia.
Non calcato neanche su questo perché Legnini aveva dei supporter di destra.

Perché non avete corso?

Lavoravamo a una lista con SINISTRA ITALIANA ma il 28 dicembre hanno cambiato idea e deciso di rifugiarsi da Legnini. Non siamo riusciti a raccogliere le firme, da noi la legge fatta da PD e destre ne prevede un numero altissimo.

Poi non avete votato?

Il PRC non ha dato indicazioni di voto. Io per la prima volta nella vita non ho votato.

Mi costringe a citare un suo vecchio segretario: per lei Legnini o Marsilio pari sono?

Non si può usare sempre il ricatto della vittoria della destra. Se Salvini è il fascismo il Pd aveva il dovere di fare il governo con il  M5S. Legnini o Marsilio, gli ospedali si chiudono e si fanno gli interessi delle cliniche private. Rifiuto il tentativo di usare i POP CORN per poi ricostruire la dialettica centrodestra – centrosinistra per cui tutta la sinistra deve votare il Pd, senza che il Pd cambi in nulla. Dico ai compagni di S.I.: sarebbe stato meglio esserci, l’obiettivo era a portata di mano. Invece hanno fatto le ruote di scorta. Non hanno neanche eletto nessuno.

Con queste ’ruote di scorta’ però farà la lista alle europee.

Se non costruiamo un progetto autonomo rischieremo sempre di trovarci come in Abruzzo. E sarà facile per il Pd recuperare i voti di sinistra di chi è spaventato da Salvini. Quelli che condividono un programma e una visione antiliberista, che non sono nazionalisti ma neanche per la troika, si ritrovino insieme. Per questo lavoriamo con De Magistris, Dema, S.I., Diem, Potere al popolo. Siamo tutti No tav, per la patrimoniale, contro il jobs act, per la Costituzione.

Sull’Europa tutti d’accordo?

Siamo tutti contro i trattati europei. Con la lente di ingrandimento abbiamo qualche differenza come c’è in Unidos podemos, in Bloco de Esquerda, nella Linke, ma è nulla rispetto all’alterità dal PD.

Nel 14 l’Altra Europa per Tsipras univa gli ’antiliberisti’. Poi è esplosa lo stesso.

Ma tutti gli eletti sono stati ottimi parlamentari nel GUE. L’Altra Europa non è proseguita perché non avevamo la stessa idea sul centrosinistra. Ma Eleonora Forenza è stata un punto di riferimento per tutti.

Stavolta resterete uniti?

Ormai tutti, anche S.I., sono contrari al centrosinistra. E stiamo discutendo con De Magistris per costruire una coalizione che non sia un autobus ma un punto di riferimento lontano da Calenda e dal PD, e cioè dall’eutanasia della sinistra.

Voi e Pap vi siete già scissi una volta.

Lenin consigliava ai giovani comunisti di Livorno di lavorare con Serrati (Giacinto Menotti, socialista corrente ’terzina’, ndr). Bando ai rancori. Siamo uniti sul 99 per cento, se stanno insieme i compagni di Barcellona non vedo perché non possiamo farlo noi. Unità e umiltà.

Di questa lista perno indispensabile è De Magistris. Ma si è davvero convinto a farlo?

Un sindaco che guida da sette anni un’amministrazione ribelle contro tutti (contro Pd, 5 stelle e destre) vuole accertarsi della ampia unità e della possibilità di proseguire dopo le europee. Ma stiamo facendo un buon lavoro. Faccio una proposta.

Prego.

Mai più Abruzzo. Daremo la possibilità di usare il simbolo della Sinistra Europea, consentirà in ogni caso la presentazione della lista. La sinistra non sarà costretta a votare il caravanserraglio di Calenda e la minestra riscaldata del Pd per paura di Salvini.

Zingaretti per lei è una minestra riscaldata?

Conosco Zingaretti da anni, non voglio essere irrispettoso. Però fin qui non ha detto una sola parola che lo distingua dalle precedenti stagioni del Pd. Certo ci ha messo la buona educazione e forse anche la gestione collegiale del suo partito al posto della sbruffonaggine di Renzi. Mi fa piacere per loro, qualche componente collaterale potrà trovare asilo nel Pd, ma al momento novità politiche non ci sono.


venerdì 8 febbraio 2019

L'ITALIA E' IN RECESSIONE E LA MANOVRA E' UNO SPOT ELETTORALE! IL 9 FEBBRAIO IN PIAZZA!



Nota aggiornata su “Reddito di cittadinanza” e Quota 100
NOTA AGGIORNATA SU “REDDITO DI CITTADINANZA” E QUOTA 100
(DECRETO LEGGE 28 GENNAIO 2019, N.4)
Il 28 gennaio è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge che disciplina il cosiddetto “reddito di cittadinanza” e Quota 100.   Il testo è dunque quello effettivamente definitivo, diverso in alcune parti anche rispetto alla versione approvata dal Consiglio dei Ministri (per come era stata pubblicata dalla stampa).
Ovviamente come tutti i decreti ha effetti immediati, ma deve essere convertito in legge entro 60 giorni, e nella conversione sono possibili modifiche da parte del Parlamento.
Prima di entrare nelle considerazioni specifiche relative alle due misure, va premessa una considerazione generale, dirimente per tutta la manovra di bilancio, e che ha una particolare importanza per il “reddito” e “quota 100”, che della manovra sono la parte quantitativamente più rilevante in termini di risorse.
Come abbiamo sottolineato fin dall’inizio, la manovra finale fissa clausole di salvaguardia pari a 23 miliardi per il 2020 e 29 miliardi per il 2021. La necessità di reperire quelle risorse, ingentissime, per disinnescare gli aumenti dell’IVA che altrimenti scatterebbero, fa sì che oltre a una serie di prevedibili (e previsti) tagli futuri, ogni intervento, compresi quelli su pensioni e reddito, sia sottoposto  alla possibilità molto concreta di essere rimaneggiato e rimesso in discussione, dopo le elezioni. La manovra è una manovra elettorale.
Tanto più, perché sul terreno fiscale, il governo in continuità con quelli precedenti, persegue con la pratica di condoni e sconti alle imprese, e fa la Flat-Tax per il lavoro autonomo. L’opposto di quanto sarebbe possibile e necessario mettere in campo, contrastando la grande evasione, ripristinando una reale progressività delle imposte, istituendo una patrimoniale sulle grandi ricchezze.

 IL “REDDITO DI CITTADINANZA” O LA SOCIETA’ DELLA COAZIONE
LA POVERTA’ IN ITALIA E Il VINCOLO DELLE RISORSE
Secondo l’Istat nel 2017 in Italia c’erano 1 milione e 778mila famiglie residenti in condizioni di povertà assoluta, corrispondenti a 5 milioni e 58mila persone. Le famiglie in condizione di povertà relativa erano invece 3 milioni 171mila pari a 9 milioni 368mila persone.
Per quanto il Ministro Di Maio affermi che il reddito si rivolge a 5 milioni di persone, le stime dell’Istat indicano una platea assai più limitata, 1 milione 308 mila famiglie, per 2 milioni e 706 mila persone. La misura quindi non solo non coprirebbe tutta l’area della povertà, assoluta e relativa, ma risponderebbe a poco più della metà della stessa condizione di povertà assoluta.
Per quanto le risorse stanziate siano significativamente superiori a quelle del REI, va sottolineato come il “reddito di cittadinanza” venga erogato non in relazione al numero di coloro che rientrano nei requisiti di reddito e patrimonio e che abbiano ovviamente fatto domanda, ma fino al tetto delle risorse stanziate. Se le domande superano le risorse, il sussidio viene rimodulato e ridotto.
10 ANNI DI RESIDENZA
Per garantire il più possibile che il provvedimento venga riservato agli “italiani”, per cui come ha detto Di Maio “è stato concepito”, l’RdC sarà fruibile solo da chi sia residente nel paese da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo.
Si raddoppiano  in questo modo i 5 anni previsti per l’ottenimento del permesso  di soggiorno UE di lungo periodo. Una previsione discriminatoria e soggetta ad essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale – che con una recente sentenza ha stabilito l’irrazionalità di norme che mettano in correlazione il soddisfacimento di bisogni primari con la lunga permanenza su un territorio -  ma intanto utile alla propaganda razzista e sempre meno distinguibile di Lega e 5Stelle.
IL REDDITO E LA FAMIGLIA
L’RdC non sarà una misura individuale – come dovrebbe essere -  ma familiare. Non solo nel senso che il reddito viene erogato ai nuclei familiari, ma nel senso che le varie condizionalità impegnano ogni membro della famiglia e nel caso in cui un singolo membro non le rispetti, la ritorsione (la decadenza) colpisce tutti.  Anche in questo caso è tutta da verificare la costituzionalità della norma. Di certo per gli estensori, il principio di responsabilità individuale va a farsi benedire, in un disegno in cui il disciplinamento esterno del mercato del lavoro e delle leggi che lo regolano, si intreccia con quello interno della famiglia, sempre più concepita come unità coattiva: dal reddito al ddl Pillon.
I REQUISITI DI REDDITO E PATRIMONIO
Potranno accedere all’RdC, i nuclei familiari che rispettino congiuntamente i requisiti di un valore ISEE inferiore a 9.360 euro;  un patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ai 30mila euro;  un patrimonio mobiliare non superiore ai 6mila euro (accresciuto di 2mila euro per ogni componente della famiglia fino ad un massimo di 10mila e di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo); un valore del reddito familiare di 6mila euro per i singoli, moltiplicato per la scala di equivalenza secondo il numero dei componenti (+0,4 dal secondo membro maggiorenne in poi, + 0,2 per i minori).
La scala di equivalenza è ridotta rispetto a quella dell’Isee, il che determina una penalizzazione per le famiglie numerose, in particolare se con minori.
Per l’accesso alla pensioni di cittadinanza il valore del reddito soglia è incrementato a 7.560 euro.
Nessun componente della famiglia dovrà possedere auto nuove acquistate 6 mesi prima, o con cilindrata superiore a 1600 cc, o moto superiori a 250 cc immatricolati due anni prima.
Nessun componente della famiglia dovrà aver dato dimissioni volontarie nell’anno precedente, senza nessuna analisi delle motivazioni specifiche nei diversi casi.
Il sussidio sarà corrispondente alla differenza tra il reddito percepito e la soglia di 780 euro mensili. Non potrà in ogni caso superare i 6mila euro annui per un singolo che non abbia alcun reddito (moltiplicato per la scala di equivalenza per più componenti) e di una ulteriore quota fino ad un massimo di 3360 euro per chi vive in affitto.
Sarà corrisposto per 18 mesi, e potrà essere rinnovato dopo la sospensione di un mese.
IN CASO DI FALSE DICHIARAZIONI sono previste pene da 2 a 6 anni con la restituzione di quanto ricevuto (aumenta di un anno rispetto alla prima versione la durata minima della detenzione).
IL PATTO PER IL LAVORO E IL PATTO PER L’INCLUSIONE SOCIALE
Tutti i maggiorenni dovranno dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, al percorso di formazione o riqualificazione, e alle attività al servizio della comunità ( 8 ore settimanali gratuite nei progetti dei comuni). Dovranno svolgere attività di ricerca di lavoro definite e documentate settimanalmente, fare colloqui psico-attitudinali, accettare una delle tre offerte di lavoro congrue nei primi dodici mesi. Dopo il primo anno o in caso di rinnovo, dovranno accettare la prima offerta utile. Come già detto, nel caso in cui uno dei componenti non sottoscriva entrambe i Patti, l’RdC decade per tutto il nucleo familiare. Nel caso di assenze ingiustificate alle convocazioni dei Centro per l’Impiego anche di un solo membro invece, scattano  le decurtazioni (un mese per un’assenza, due mesi per due, la decadenza per tre assenze).
LA CONGRUITÀ DELL’OFFERTA DI LAVORO
Nei primi 12 mesi è definita congrua un’offerta di lavoro entro 100 chilometri dalla residenza se si tratta della prima offerta, 250 chilometri se è la seconda offerta, ovunque nel territorio nazionale se è la terza offerta.  Oltre il dodicesimo mese è congrua un’offerta entro i 250 chilometri se è la prima o la seconda offerta, ovunque se è la terza.  In caso di rinnovo, vale un’offerta ovunque nel territorio nazionale. Solo nel caso in cui nel nucleo familiare vi siano persone con disabilità, la distanza massima resta a 250 chilometri. Viene richiamata la definizione di congruità di uno decreti attuativi del Jobs Act, ma non il successivo decreto Poletti dell’aprile 2018. Va ricordato che secondo questo decreto (che il testo del RdC peggiora nettamente rispetto alla distanza dal luogo di residenza), viene definita congrua un’offerta anche a tempo determinato, purché non inferiore ai 3 mesi di durata.  In sostanza ci si dovrebbe spostare ovunque nel territorio nazionale per non perdere un lavoro che dura un trimestre.
I SOLDI ALLE IMPRESE
Al datore di lavoro che assuma a tempo pieno e indeterminato il beneficiario dell’RdC, e realizzi in questo modo un incremento del numero di occupati,  è riconosciuto uno sgravio contributivo pari alla differenza tra 18 mensilità e il reddito già goduto. Lo sgravio non sarà comunque inferiore a 5 mensilità. La versione finale elimina il mese aggiuntivo (6 mesi di sgravio fisso) previsto inizialmente per le donne ed i soggetti svantaggiati.
Nel testo definitivo viene eliminata la concessione dell’incentivo anche se non c’è incremento occupazionale e semplicemente si sostituiscono i lavoratori andati in pensione. Devono essersi accorti, come avevamo segnalato commentando la versione precedente, che dare contributi anche per la semplice sostituzione di chi va in pensione con lavoratori che già costano meno, in quanto neo assunti, e già hanno meno diritti, dopo il Jobs Act, era davvero eccessivo!
Resta il fatto che, poiché con il Jobs Act si può licenziare praticamente sempre, senza l’obbligo della reintegra, il “reddito di cittadinanza” funzionerà esattamente come ha funzionato la decontribuzione associata al contratto a tutele crescenti del Jobs Act: una volta esauriti gli sgravi, via libera ai licenziamenti! Con buona pace del tempo indeterminato.
Non si sono eliminate le norme vessatorie sui licenziamenti previste dal Jobs Act, reintroducendo l’articolo 18, come prometteva il M5S in campagna elettorale, si è invece trasformato il “reddito di cittadinanza” in un ulteriore incentivo alle imprese, che produrrà altra occupazione precaria.
IN CONCLUSIONE
Oltre ai limiti molto pesanti di copertura della platea prima indicati, il “reddito di cittadinanza” non è un reddito di cittadinanza: il governo sovrappone totalmente il contrasto alla povertà con le politiche per il lavoro, e vara un provvedimento di workfare con condizionalità pesantissime e punitive.
Nel frattempo non fa politiche per creare lavoro, per cui, con una contraddizione macroscopica, non si riesce a comprendere da dove dovrebbero venir fuori i milioni di posti di lavoro alla cui accettazione è vincolata la concessione del reddito.
Il “reddito di cittadinanza” è un provvedimento discriminatorio per le famiglie extra-comunitarie povere. Disegna una società il cui obiettivo è quello di un disciplinamento distruttivo dell’autonomia delle persone, sottoposte nello spazio domestico ad un’idea di famiglia che è sempre più comunità coattiva, mentre fuori dallo spazio domestico, opera la “disciplina del mercato”.
Si lavora gratuitamente per il comune, mentre si bloccano le assunzioni in una pubblica amministrazione che è sempre più ridotta ai minimi termini. Ci si deve spostare fino all’intero territorio nazionale per un lavoro la cui durata può anche essere di tre mesi.
E il “reddito” alla fine non è che un’altra forma per trasferire risorse alle imprese, esattamente come ha fatto la decontribuzione prevista da Renzi per il cosiddetto “contratto a tutele crescenti” del Jobs Act.
QUOTA 100 NON E’ L’ABROGAZIONE DELLA LEGGE FORNERO
E NON RISOLVE NULLA PER LE DONNE E I LAVORATORI PRECARI
ASSENTE LA NONA SALVAGUARDIA PER GLI ESODATI
Non è prevista neppure nella versione definitiva del Decreto, la nona salvaguardia per gli esodati che avrebbe dovuto sanare la situazione di circa 6mila persone, non coperte dalle salvaguardie precedenti e rispetto alla quale erano state reiterate molte promesse da parte della maggioranza. E’ un punto grave, per cui si deve continuare a pretendere una soluzione.
UNA MISURA UNA TANTUM?
Si fissa poi il carattere “sperimentale” e non strutturale di Quota 100, la cui valenza è delimitata al  triennio 2019- 2021.  In realtà, come già detto, il meccanismo delle clausole di salvaguardia, sottopone l’intervento sulle pensioni come quello sul reddito al rischio  che si tratti di misure spot, determinate dalla propaganda in vista delle elezioni europee, persino maggiore della sperimentalità triennale.
QUOTA 100 NON E’ QUOTA 100
Si fissano poi i due requisiti:  almeno 62 anni di età e almeno 38 di contributi, che devono essere rispettati entrambi. Quota 100 non è dunque Quota 100: non si può accedere alla pensione ad esempio con 37 di contributi e 63 di età, per il doppio paletto.
L’ASPETTATIVA DI VITA
L’adeguamento all’aspettativa di vita resta come meccanismo generale per il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia: a gennaio 2019 si passa quindi da 66 anni e 7 mesi a 67 anni, e resta la previsione di ulteriori futuri aumenti.
L’adeguamento viene cancellato invece per il requisito contributivo relativo al cosiddetto accesso al pensionamento anticipato indipendente dall’età. In sostanza si blocca ai requisiti esistenti nel 2018 ( 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne ) l’anzianità contributiva necessaria per la pensione anticipata. Vengono inoltre esclusi dagli incrementi i lavoratori precoci (coloro i quali hanno svolto almeno un anno di lavoro prima dei 19 anni) equiparati in questo modo alle 15 categorie di lavori usuranti e gravosi, definite dalla legge  205/2017 (che usufruiscono delle agevolazioni se hanno almeno 30 anni di contributi ed hanno svolto quell’attività per almeno 7 anni negli ultimi 10).
LE FINESTRE. PUBBLICI E PRIVATI
Vengono reintrodotte le finestre, cioè il periodo che intercorre tra la maturazione dei requisiti e il diritto alla decorrenza della pensione. La loro reintroduzione depotenzia l’eliminazione dell’aumento legato all’aspettativa di vita per le pensioni anticipate, portando lo “sconto” rispetto alla situazione preesistente a 2 mesi.
Le finestre sono trimestrali per i lavoratori dipendenti del settore privato e semestrali per quelli del settore pubblico.
La motivazione addotta per la differenziazione tra pubblici e privati, riguarda la necessità di garantire i servizi essenziali: in palese contrasto con il nuovo blocco delle assunzioni nel pubblico fino a novembre 2019 stabilito dalla manovra.
I dipendenti pubblici sono penalizzati anche dal rinvio del pagamento del TFS che viene posticipato alla data in cui la lavoratrice o il lavoratore sarebbe andato in pensione senza quota 100, anche di 6 anni. Il testo finale fa riferimento a convenzioni con le banche per l’erogazione anticipata del TFS, con gli interessi pagati dall’Inps e trattenuti dall’importo dell’indennità di fine servizio, quindi a carico del lavoratore.
PROROGA DI APE SOCIALE
Viene prorogata di un anno l’Ape Social ricalcando i termini con i quali è stata istituita. Come è noto l’AS ha previsto la possibilità per le persone che abbiano compiuto 63 anni di andare in pensione se in una delle seguenti condizioni: disoccupati che abbiano concluso l’indennità di disoccupazione da tre mesi, con almeno 30 anni di contributi; lavoratori che assistano familiari conviventi di 1°grado con disabilità grave da almeno 6 mesi e con almeno 30 anni di contributi; lavoratori con invalidità uguale o superiore al 74% con almeno 30 anni di contributi; lavoratori che svolgano un lavoro particolarmente gravoso o l’abbiano svolto per 6 anni negli ultimi 7 con 36 anni di contributi. Sono requisiti strettissimi e interpretati restrittivamente, in particolare per quel che riguarda le lavoratrici e i lavoratori disoccupati. Il che ha comportato – secondo i dati Inps del novembre 2018 – l’accoglimento di poco più di 33mila domane su un totale di oltre 87mila (il 38%), tra novembre 2017 e luglio 2018.
PROROGA DI OPZIONE DONNA
Nella decreto è prevista anche la proroga di Opzione donna, con la possibilità di accedere alla pensione per le lavoratrici dipendenti che entro il 31 dicembre 2018 abbiano maturato almeno 35 anni di contributi ed abbiano almeno 58 anni di età se lavoratrici dipendenti e almeno 59 se autonome. Opzione donna comporta come è noto il ricalcolo complessivo della pensione con il sistema contributivo, con una decurtazione media del 30%. Le finestre inoltre in questo caso continuano ad essere di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le lavoratrici autonome.
IN SINTESI
Quota 100, come il “reddito di cittadinanza” sono sottoposte al rischio molto concreto di interventi peggiorativi, passate le elezioni europee, per la pesantezza delle clausole di salvaguardia che condizionano tutta la manovra del governo.
Nel merito, è migliorativa rispetto alla disastrosa situazione esistente, conseguente alla Legge Fornero  – per la cui abrogazione, lo ricordiamo,  Rifondazione Comunista promosse un referendum nel 2012 purtroppo vanificato dallo scioglimento anticipato delle camere – ma ha carattere triennale e non rappresenta in nessun modo né la cancellazione promessa in campagna elettorale della Fornero, né una riforma organica, come testimonia il permanere di diverse misure, tutte in regime sperimentale (Quota 100, Ape Sociale, Opzione Donna…).
Vi accederanno un numero di lavoratori significativamente inferiore alla platea potenziale, anche per la riduzione della pensione conseguente ai minori anni di contribuzione.
L’adeguamento all’aspettativa di vita resta per la pensione di vecchiaia, e non è parametrato alle diverse condizioni di lavoro e di stress da lavoro, non risolte dalle limitate eccezioni previste.
Non è in nessun modo risolutiva in particolare per le donne, le più colpite dalla controriforma del 2011, che continuano ad essere gravemente penalizzate, e che anticipano le future (e più gravi) penalizzazioni dei giovani lavoratori e delle giovani lavoratrici precarie.
Il perdurante sessismo di una società che scarica sulle donne il lavoro domestico e di cura (5 ore e 13 minuti in media al giorno contro 1 ora e 50 degli uomini: 3 volte tanto1),  e insieme le discrimina nei riconoscimenti sociali, fa sì che le donne abbiamo carriere lavorative discontinue, subiscano il part-time imposto assai più degli uomini (1milione e 851mila donne contro 851mila uomini2), subiscano perduranti penalizzazioni salariali.
Nel 2011, prima dell’approvazione della Legge Fornero, le donne con 35 anni di contributi erano solo il 20,6% sul totale femminile, contro il 70,6% degli uomini sul totale maschile3. Figuriamoci 38! Ma allora era possibile utilizzare il canale della pensione di vecchiaia che prevedeva 5 anni di differenza per le lavoratrici private (mentre per le pubbliche la modalità truffaldina di relazione con la UE da parte di tutti i governi, di centrosinistra come di centrodestra, aveva già portato all’innalzamento dell’età pensionabile).
I dati recenti forniti dai sindacati parlano per le lavoratrici del settore privato di una media di 25,5 anni di contributi contro i 38,8 degli uomini.
In sostanza le donne che potranno accedere a Quota 100 saranno un’assoluta minoranza, mentre Opzione Donna comporta penalizzazioni delle pensioni fortissime, che intervengono su retribuzioni già nettamente più basse di quelle degli uomini.
I giovani
La situazione attuale delle donne non fa che anticipare la situazione futura di chi lavora oggi.
I 38 anni di contributi sono una chimera per la condizione precaria sempre più generalizzata delle lavoratrici e dei lavoratori attuali, che vede accanto alla discontinuità lavorativa condizioni salariali nettamente peggiori (il 30% in meno rispetto al tempo indeterminato).
Per questo è per noi imprescindibile una mobilitazione che si ponga l’obiettivo di una riforma organica della previdenza, e che rivendichi da subito il ripristino di una riduzione significativa dell’età pensionabile per le donne – almeno fin quando non sarà conquistata una effettiva uguaglianza nel lavoro produttivo e riproduttivo – e una pensione di garanzia per i giovani, iniziando a rimettere in discussione i meccanismi del contributivo.
Come continuiamo a evidenziare, non c’è nessun problema di sostenibilità intrinseca del sistema pensionistico. La controriforma Fornero fu imposta dentro le logiche delle politiche di austerità. Ma il saldo  tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali, al netto dell’assistenza e delle tasse, è  sempre stato in attivo a partire dal 1996: un attivo che nel 2016 è stato di circa 39 miliardi4.
Il limite di “Quota 100” è quello di tutta la manovra, di cui pure rappresenta probabilmente il provvedimento migliore: i vincoli dell’austerità UE rispetto ai quali il governo ha portato avanti un’iniziativa tanto teatrale quanto inefficace, ed insieme le politiche fiscali inique fatte di condoni e Flat Tax, piuttosto che di contrasto all’evasione, maggiore progressività, patrimoniale sulle grandi ricchezze.
1 Censis,  2016
2 Istat, terzo trimestre 2018
3 X Congresso Attuari INPS
4 F. R. Pizzuti “Pensioni: una bomba sociale pronta a esplodere”, Gennaio 2018
A cura di Roberta Fantozzi - Dip. politiche economiche e del lavoro

VENEZUELA, MATTARELLA STAVOLTA È IN ERRORE Luciana Castellina da “IL MANIFESTO” - 7-2-2019



Venezuela, Mattarella stavolta è in errore
Luciana Castellina da “IL MANIFESTO”  - EDIZIONE DEL - 07.02.2019

No presidente Mattarella, davvero no. Io sono fra quelli che hanno sempre avuto per lei massima stima, ma credo che questa volta lei sia davvero in errore.
Dare legittimità a Guaidò è contro ogni regola democratica, significa opporsi alla posizione assunta dalle Nazioni unite che, con tutte le sue debolezze, è però tutt’ora una delle poche istituzioni che ci garantiscono il rispetto, almeno formale, di qualche diritto internazionale.
Significa rifiutare la ragionevole proposta di dialogo avanzata da papa Francesco che è uno che l’America latina la conosce molto bene.
Temo ci sia, sul Venezuela e la sua crisi, una grande disinformazione.
Bisognerebbe forse ricordare che quelli che oggi sostengono questo signore autoproclamatosi presidente (fra cui la notoriamente pessima rappresentanza della comunità italiana) sono stati coloro che un golpe l’hanno fatto nel 2002 contro il presidente democraticamente eletto del Venezuela, Hugo Chavez. Lo arrestarono, addirittura, e c’è un bel documentario trasmesso allora dalla Bbc, che consiglierei di proiettare al Parlamento europeo a Bruxelles, in cui si vedevano i golpisti su un palchetto, un insieme che sembrava tratto dal famoso affresco di Diego Rivera nel Palazzo del governo di Città del Messico: l’oligarchia del paese, le signore in cappellino, il vescovo, gli alti gradi dell’esercito, l’ambasciatore americano, a sigillare un’altra delle consuete operazioni «nel cortile di casa» (guarda caso, affidata in questo caso proprio allo stesso uomo cui adesso è stato rinnovato l’incarico da Trump, Abrams.). In strada una immensa folla scesa dalle poverissime favelas di Caracas a difesa del loro presidente, il primo in questo disgraziato paese che avesse collocato al primo posto del suo programma la lotta alla miseria. E che così riuscirono a liberarlo. Mentre tutte le emittenti tv del paese, da sempre in mano ai golpisti, proiettavano, per occultare l’accaduto, Tom e Jerry. Già allora l’ambasciatore spagnolo, per conto dell’Ue, si era precipitato a riconoscerli.
Da allora tutte le elezioni del Venezuela sono state monitorate da commissioni internazionali, ma sui muri dei quartieri eleganti della capitale, ho avuto modo di vedere coi miei occhi le scritte insultanti contro un ex presidente degli Stati Uniti che aveva diretto una di queste missioni per conto dell’Onu e le aveva giudicate corrette: «Carter uguale Chavez, e, peggio, «Carter Kgb».
LO SCONTRO di classe in America latina è asprissimo, la sfacciataggine con cui le sue élites operano dipende dalla secolare convinzione che esse nutrono di essere padrone del continente, per discendenza imperiale. Esser stati sfidati da un povero indio, figlio di maestri elementari dell’estrema Amazonia, che ha osato bloccare la privatizzazione della Pdvsa, l’azienda petrolifera, avviare la riforma agraria e distribuire i dividendi della più importante ricchezza del paese nelle favelas (dotate anche di emittenti radio gestite localmente) è stato considerato inammissibile.
NESSUNO di chi oggi si schiera in favore di un decente dialogo fra le parti sottovaluta gli errori commessi da Maduro, un personaggio che non ha certo la statura di Chavez, purtroppo strappato alla vita ancora giovane da un maledetto cancro. Questo stesso giornale li aveva segnalati in dettaglio pubblicando un articolo (giugno 2017 ), scritto, l’indomani di una sua visita a Caracas, dal compianto Francois Houtar, lo straordinario sacerdote belga purtroppo ora defunto che da anni viveva in Amerca latina. Il quale, pur denunciando con forza le illegalità della opposizione e la sua violenza, rimproverava giustamente il presidente di aver sottovalutato il rischio di varare una nuova Costituzione, pur legittimata da un regolare voto popolare, e però senza la partecipazione dell’opposizione che aveva boicottato il voto astenendosi; la marginalizzazione dei critici della stessa propria parte; di rivolgersi solo ai propri sostenitori come un agitatore anziché parlare a tutto il paese, come è d’obbligo per un presidente, che deve cercare di interpretare le ragioni dei suoi pur ristretti ceti intermedi. E, soprattutto, di aver redistribuito la ricchezza petrolifera (l’80% della valuta straniera che entra nel paese) ma di non aver saputo impostare un diverso modello di sviluppo economico, meno dipendente dalle fluttuanti sorti dei barili di oro nero. Ma questo è, purtroppo, un problema generale di tutti i governi di sinistra che hanno tentato in questi anni di operare una svolta in America latina. Perché uscire dalle rigide regole imposte dai potenti al sistema mondo è difficilissimo.
PROPRIO Chavez ci aveva provato avviando l’Alleanza bolivariana, il tentativo di unire i paesi che stavano cercando di spezzare le catene – l’Argentina di Kirschner, la Bolivia di Morales, l’Uruguay di Vasquez, il Brasile di Lula – per acquisire la forza necessaria a resistere. Purtroppo il sistema oppressivo si è dimostrato più forte, e quei governi di sinistra sono caduti uno a uno. Salvo in Bolivia e nell’Uruguay, dove non a caso si tiene la riunione che tenta la via della mediazione nello scontro venezuelano, impegnando nel negoziato il suo leggendario ex presidente, Pepe Mujica, ex guerrigliero e anche il solo politico invitato dal papa all’ultimo raduno dei movimenti popolari, a Roma, nel 2016. Su questa vicenda la si può naturalmente pensare come si crede, ma sarebbe d’obbligo interrogarsi su quale sarebbe l’alternativa ove vincesse Guaidó. Sono davvero sicuri i parlamentari europei che, da Bruxelles, l’hanno nominato presidente del Venezuela, che nelle favelas si vivrebbe meglio se a vincere fosse lui? Basta andare addietro nella storia per sapere cosa è stato fatto, in passato, dai governi venezuelani. Persino quelli pur ipermoderati che avevano cercato di avviare qualche misura popolare sono stati travolti; oggi i partiti che li avevano incarnati sono stati spazzati via: non sono loro dietro all’opposizione attuale.
CERTO CHE c’è miseria oggi in Venezuela e che per questo parte della popolazione anche povera protesta (ma non sarebbe male se la tv italiana mostrasse anche le immagini di coloro, tutt’ora tantissimi, che manifestano a Caracas in favore di Maduro ). All’origine della crisi drammatica del paese ci sono infatti certamente gli errori di Maduro,la rozzezza della sua leadership, e anche la corruzione di troppi funzionari statali, ma il primo responsabile della crisi è proprio il boicottaggio internazionale.
HO LETTO poco fa un tweet di infervorato sostegno a chi ha adottato verso il Venezuela la posizione di Trump : di Matteo Renzi. È la posizione ufficiale del Pd? Davvero non avrei mai pensato che arrivasse ad opporsi all’attuale governo da posizioni di destra .

martedì 5 febbraio 2019

LUCANO: «UNA BUONA NOTIZIA IN UN PERIODO DI AMAREZZA» - da "IL MANIFESTO"



Lucano: «Una buona notizia in un periodo di amarezza»
Nobel per la pace. Raccolte oltre 90mila firme per candidare Riace. L'ex sindaco: «Chi ci governa è come Pinochet, passa con autorità sulla pelle degli esseri umani»
Gli applausi durante una conferenza stampa non capitano spesso, ma attorno alla figura di Domenico Lucano si addensano più eccezioni che consuetudini. Compresa questa. Quando arriva all’iniziativa «Riace Nobel per la pace 2019» alcuni dei presenti si alzano in piedi, chi sta parlando cede il microfono, tutti battono le mani. Ha mezz’ora di ritardo e fuori piove.
Attraversa la sala incerto, stringe qualche mano e prende posto. Si ritrova un microfono davanti e gli occhi della platea addosso. Abbassa lo sguardo, respira profondamente, farfuglia un saluto e qualche ringraziamento. Poi dice: «Questa raccolta di firme per candidare Riace al Nobel – sono oltre 90mila, tra cui 2.750 docenti e 1.250 associazioni – è una buona notizia in un periodo in cui prevale l’amarezza. Vorrei condividere questa iniziativa con tutti i rifugiati del mondo e con chi desidera una società più giusta e umana. La mia situazione personale è una cosa insignificante rispetto a quello che sta succedendo».
Mentre Lucano parla il pubblico è in silenzio, rapito da concetti semplici ma profondi pronunciati a voce bassa. Di sottofondo resta solo il rumore degli scatti delle macchine fotografiche. Tutti gli obiettivi sono puntati su di lui. «Sono diventato un personaggio improvvisamente, senza volerlo, senza alcun merito» dirà.
IN ALCUNI PASSAGGI del suo racconto la realtà assume le tinte del realismo magico. Come quando ricorda: «Non c’è alcuna premeditazione in quello che abbiamo fatto. Tutto nasce da uno sbarco avvenuto per caso. È stato il vento che un giorno di 20 anni fa ha portato un veliero pieno di curdi sulle coste di Riace. Questa storia inizia così».
La faccia del sindaco riflette i sentimenti che lo agitano, inquietudine ma anche determinazione. Sorride fissando un punto indefinito mentre parla delle case vuote degli emigranti riacesi riempite dai rifugiati. Si incupisce quando cita la situazione attuale del borgo, svuotato dai cittadini stranieri e nuovamente spopolato. Stringe le sopracciglia immaginando ciò che può ancora accadere. «Riace tornerà a vivere, sono convinto che ce la faremo. Quest’onda nera passerà» afferma.
LO SPETTRO DI MATTEO SALVINI aleggia tutto intorno. Quando viene nominato, sul volto di Lucano si disegna un sorriso di pietà o compassione. «Il ministro vuole ripopolare le aree interne del sud con gli italiani invece che con i migranti. Ma dove li prende? Lui non le conosce quelle zone, io sì». O una smorfia di rabbia: «Chi ci governa è come Pinochet, passa con autorità sulla pelle degli esseri umani, ci fa diventare ogni giorno più tristi. Guardate Siracusa». Poi afferma con un orgoglio poco comune: «Io rifarei tutto quello di cui sono accusato e per cui sto pagando. Loro quando pagheranno per i crimini contro l’umanità che continuano a commettere?».
Le frasi a volte saltano da un pensiero all’altro, ma i messaggi sono forti e chiari. Lucano è così, non ha bisogno di posare accanto a piatti di pasta posticci per sembrare genuino. «È tutto paradossale – continua – compreso il gesto dei parlamentari Pd. Non voglio fare polemica, ma sono gli stessi che hanno votato il decreto Minniti-Orlando. Per loro non è questione di sensibilità ma di interessi politici. Invece noi, che siamo persone semplici, soffriamo a Riace, a Siracusa».
DOMANI LE FIRME voleranno verso Oslo e saranno consegnate al comitato del Nobel dalla rete di comuni, municipi, associazioni e giornali che ha sostenuto l’esperienza di Riace come un simbolo che da locale può diventare globale. Poi le iniziative continueranno, «perché la candidatura è un atto politico». Il 2 marzo a Milano con l’adesione al corteo «People, prima le persone» e il 25 aprile nel borgo calabrese con una mobilitazione che si vorrebbe nazionale e sostenuta dall’Anpi. Intanto il 26 febbraio la Cassazione si pronuncerà sul divieto di dimora, con la speranza che sia finalmente revocato. «Ogni volta bisogna avere la forza per ricominciare. Senza recriminare, nonostante le difficoltà. Non abbiamo altro» conclude Lucano provando a scavalcare con le parole l’ennesimo applauso.



Perché Riace merita il Nobel

Riccardo Petrella da “IL MANIFESTO”

Ci sono comuni entrati nella memoria collettiva per lo spirito di condivisione e di solidarietà in seno alla comunità dei loro abitanti, per la capacità di apertura verso quelli della campagna e degli altri comuni vicini o lontani. Ma anche per la volontà praticata dei loro abitanti di essere parte attiva e cooperante della storia dei loro territori regionali, nazionali, continentali, per la loro disponibilità a conoscere ed aprirsi alle culture, ai modi di vita degli stranieri e degli abitanti della Terra sconosciuti.
In realtà, condivisione e solidarietà all’interno vanno di pari passo, con apertura e cooperazione verso l’esterno, diventato ai nostri giorni sempre più «interno».
La capacità utopica dei Comuni riguarda molti aspetti. Si è espressa nell’obiettivo della sicurezza di vita e della ricerca della non violenza e della pace, nel desiderio di promuovere una vita in armonia con il territorio fino al livello più vasto della comunità globale: comuni denuclearizzati, comuni virtuosi, comuni no Ogm, comuni no Ttip, comuni accoglienti, comuni per la pace.
I Comuni, da secoli, non sono più capaci, ne desiderosi di fare le guerre, di prelevare le tasse per gli eserciti. I loro abitanti, anche di grandi comuni, sono altresì portati a re-inventare il locale e il loro divenire molto di più di quanto siano disposti a fare gli Stati, specie i grandi Stati, gli Stati potenti, gli Stati che si dicono essere la veste politica delle grandi nazioni, imperiture, immortali. I municipalismi sportivi guerrieri, violenti, razzisti nel campo del calcio, esplosi negli ultimi anni, sono l’espressione barbara, malefica, di una società profondamente malata perché ha fatto della violenza economica, sociale, politica la modalità culturale patologica dei rapporti sociali con l’altro.
È in questo contesto che la storia di Riace assume un rilievo «universale». A cominciare dal 1998 con lo sbarco di duecento profughi del Kurdistan sulle sue spiagge di piccola cittadina della costa calabrese jonica sulla via dello spopolamento. I responsabili comunali e le associazioni da tempo attivi nel tentativo di arrestare l’emorragia socio-economica della cittadina, non impacchettarono le famiglie «illegali» sbarcate per darle alle cure dello Stato e del governo centrale. Decisero di accoglierle cosi come, poco a poco centinaia di altri immigranti.
Aggiustarono le case abbandonate, riaprirono le scuole, fecero venire un piccolo esercito di educatori, tutori, animatori, per accompagnare i nuovi abitanti ad aprire commerci, sviluppare l’artigianato locale e dei loro paesi di provenienza.
Per sostenere la rinascita economica furono create delle monete locali, nuove modalità di finanziamento cooperativo, nuove imprese comuni, il tutto nello spirito di una nuova avventura umana pacifica, solidale, di fraternità.
Le soluzioni si rivelarono pertinenti e efficaci. In pochi anni Riace ha accolto più di 1,270 immigrati extra-comunitari ed è rinata una nuova comunità con fini, basi e mezzi comuni ed in comune. In pieno contrasto con le politiche messe in atto dalle autorità centrali italiane ed europee in materia di economia, di sicurezza sociale e di sviluppo comunitario. E questo è stata la sua condanna, la sua perdita.
L’esperienza di Riace, per di più considerata dalla maggioranza delle forze vive dell’Italia, dell’Europa e dell’opinione pubblica mondiale, come una formidabile esperienza positiva d’integrazione/coesione plurale da tutti i punti di vista (culturale, sociale, etnico, religioso, politico, economico,….) è stata vissuta dalle forze al potere, specie con l’arrivo al governo di forze politiche e sociali profondamente xenofobe, razziste, nazional-fasciste, come un affronto, un’esperienza nemica, intollerabile.
Il resto è noto. Il governo italiano, sulla spinta rabbiosa e pervicace del nuovo Barbaro made in Italy ha dichiarato illegale e rea di delitti amministrativi-istituzionali l’esperienza di Riace. Probabilmente, le ha inferto troppe ferite gravi, letali, perché essa possa ristabilirsi e ritornare allo stato felice in cui era arrivata.
In teoria, nessuno ha il diritto di far morire una comunità umana, un comune, una città. Il Comune di Riace – i suoi abitanti a cominciare dal sindaco Mimmo Lucano – merita il premio Nobile per la pace, sarebbe un segno forte e chiaro alla comunità mondiale.


Grazie per le visite!
banda http://www.adelebox.it/