SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA
COSTITUZIONE
Dl sicurezza. Il decreto è una summa
di incostituzionalità che potrebbe essere portato ad esempio di ciò che non può
essere fatto in materia di migrazioni
Il voto del
Senato sul decreto sicurezza è uno sfregio alla costituzione. Il governo,
scegliendo di porre la fiducia, ha persino impedito al Parlamento di discutere
delle palesi incostituzionalità delle norme che si dovranno obbligatoriamente
votare nella versione imposta dal Consiglio dei ministri. Se neppure alla
Camera verrà concesso di discutere modifiche al testo predisposto, sarà
evidente la crisi del nostro sistema parlamentare. Che accadrà dopo la
conversione in legge del decreto?
Spetterà
prima al capo dello Stato, in sede di promulgazione, poi alla Consulta, in sede
di sindacato incidentale, esprimersi sulla manifesta incostituzionalità delle
norme. Non è detto dunque che la ferita inferta dal Senato alla costituzione
non possa essere almeno in parte riassorbita, sempre che i garanti sappiano far
sentire con coraggio e rigore la loro voce. Rimane in ogni caso il fatto
inquietante che l’attuale maggioranza non sembra preoccuparsi minimamente dei
limiti che la costituzione impone.
Eppure il
decreto sicurezza è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere portato
ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di migrazioni. Anzitutto
lo stesso strumento prescelto vìola la costituzione e la giurisprudenza
costituzionale in materia. Illegittimo è infatti l’uso del decreto legge per
regolare fenomeni – quali le migrazioni – di natura strutturale che non
rivestono alcun carattere di straordinarietà ed urgenza. Né può farsi valere in
questa materia un’interpretazione estensiva dei presupposti costituzionali, che
altre volte ha portato ad abusare dello strumento del decreto legge, poiché i
dati relativi al calo dell’80 % degli sbarchi, vanto dell’attuale governo, in
caso dimostrano la cessazione dell’emergenza. Si deve anche dubitare che siano
stati rispettati due altri caratteri ritenuti essenziali dalla Corte
costituzionale e dalla legge 400 del 1988: l’omogeneità e l’immediata
applicabilità di tutte le disposizioni del decreto.
Ma è nel
merito del provvedimento che si riscontrano le più insidiose
incostituzionalità. In materia di migrazioni la nostra costituzione pone un
principio fondamentale che non può essere in nessun caso disconosciuto:
l’articolo 10 assicura allo straniero il diritto d’asilo. Secondo la
consolidata giurisprudenza dei giudici ordinari esso si configura come diritto
soggettivo perfetto attribuito direttamente dalla costituzione. Un Parlamento
costituzionalmente orientato dovrebbe dare la massima attuazione del principio
costituzionale, ma con i tempi che corrono ci si accontenta di molto meno. Ecco
perché, in assenza di una normativa adeguata, la Cassazione ha indicato nella
misura del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la «forma di
attuazione» del principio costituzionale (da ultimo sez. I, n. 4445/18). Una
soglia minima, dunque.
Non si può
certo impedire che la normativa vigente sia precisata e, magari, migliorata;
quel che si deve però senz’altro escludere è che essa possa essere eliminata.
Ebbene il primo articolo del decreto sicurezza invece proprio questo fa: abroga
la protezione umanitaria, sostituita da casi tassativi di permessi di
protezione speciale. In tal modo si viola l’articolo 10.
Quante volte
abbiamo sentito ripetere da esponenti politici di ogni tendenza che un’indagine
giudiziaria non può essere pregiudizievole. La presunzione di non colpevolezza
è un principio di civiltà, prima ancora che giuridico, di enorme valore,
scolpito nel testo della nostra legge suprema all’articolo 27. E la nostra
costituzione non fa certo differenza tra cittadini e stranieri (si riferisce in
generale all’«imputato»).
Il decreto,
invece, in evidente violazione con la richiamata disposizione costituzionale,
permette la lesione dei diritti degli stranieri relativi alla difesa e impone
l’obbligo di lasciare il territorio nazionale qualora essi siano sottoposti a
procedimento penale per una serie di reati. Come se si fossero riscritti in un
colpo solo tre articoli della costituzione (24, 27 e 113) ritenendo che tutti
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, senza poter essere
considerati colpevoli prima della sentenza definitiva e senza limitazioni
particolari per determinate categorie di atti. Tutti, salvo gli stranieri.
D’altronde
la discriminazione nei confronti degli stranieri nel decreto non viene meno
neppure quando questi abbandona il proprio status. Anche qualora riuscisse ad
ottenere la cittadinanza italiana, non sarà mai considerato alla pari degli
altri, a rischio di revoca nei casi di condanna definitiva per alcuni reati.
Questa previsione appare in contrasto con due principi. Quello d’eguaglianza,
introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione tra
cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto della perdita
della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22)
Potrei
continuare a lungo, esaminando tutte le altre disposizioni del decreto, dal
prolungamento della detenzione amministrativa nei centri di permanenze per il
rimpatrio in contrasto con le garanzie legate alla libertà personale, alle
diverse previsioni che confliggono con il principio di solidarietà, che vengono
spazzate via dalla cancellazione dei sistemi di accoglienza pubblica (Sprar).
Lo spazio di un articolo non consente di andare oltre. Il tempo della
democrazia lo pretende.
GAETANO AZZARITI da “il manifesto”
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