lunedì 30 novembre 2015

LA LEGGE DI STABILITA' 2016: UN INNO AL NEOLIBERISMO

 
 

LEGGE DI STABILITÀ 2016: UN INNO AL NEOLIBERISMO Continuano le operazioni di propaganda e manipolazione del governo sulla Legge di Stabilità. Ma la Legge di stabilità per il 2016 è un inno al neoliberismo: prodiga verso le imprese e i ceti abbienti, a cui destina una gran quantità di risorse in tutti i modi possibili, mentre accelera la distruzione di ogni comparto e funzione pubblica con l’eccezione della spesa militare, favorisce l’evasione fiscale, e non dà che qualche mancia per la condizione di disagio sociale dei più deboli. 1. IL RAPPORTO CON I VINCOLI EUROPEI: L’AUSTERITÀ “FLESSIBILE” E IL NEOLIBERISMO La comunicazione pubblica del governo è tutta centrata alla descrizione di una manovra che finalmente dà e non toglie. Una manovra espansiva con cui si cerca di accreditare anche l’immagine di un premier che mette in discussione le politiche europee. Non è così. Come viene riaffermato in ogni documento, il governo si muove “nel pieno rispetto delle regole di bilancio adottate dall’Unione Europea”. Nessuna vertenza viene aperta per modificare il quadro delle politiche di austerità, i vincoli su deficit e debito del Fiscal Compact. Il governo sfrutta invece, concentrandoli nel 2016, i margini di manovra concessi dalla cosiddetta “austerità flessibile”, cioè dalla possibilità di spostare nel tempo il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla UE. Deve essere evidenziato come la flessibilizzazione dell’austerità, cioè delle politiche restrittive sia vincolata ad un di più di neoliberismo, perché ad essa si può accedere solo nella misura in cui si fanno le cosiddette “riforme strutturali”. E’ in nome del Jobs Act, della controriforma costituzionale, del taglio della Pubblica Amministrazione e delle privatizzazioni, in sostanza, che la legge di stabilità del 2016 beneficia della “flessibiità” che consente di disinnescare per il 2016 la clausola di salvaguardia. Le clausole di salvaguardia restano per il 2017 e 2018 rispettivamente per 15,1 e 19,6 miliardi di euro, con l’aumento dell’Iva che viene soltanto posticipato, così come è soltanto posticipato, dal 2017 al 2018, il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale. Nel frattempo le risorse liberate per il 2016 finiscono in larga parte nel taglio rilevantissimo di tasse sulle imprese come nell’eliminazione delle Tasi, e per citare le Corte dei Conti, dato “il carattere temporaneo di alcune coperture e il permanere di clausole di salvaguardia rinviate al futuro”, questo comporterà per il “loro riassorbimento nel 2017 e nel 2018… l’ individuazione di consistenti tagli di bilancio o aumenti di entrate”. Il governo in sostanza sfrutta la flessibilità nel 2016 approvando provvedimenti che hanno effetti permanenti ma con coperture temporanee, preparando in tal modo tagli supplementari, già chiarissimamente indirizzati nell’ulteriore attacco a tutto ciò che è servizio o patrimonio pubblico. La manovra non è comunque tecnicamente una manovra espansiva. L’indebitamento netto passa dal 2,6% del 2015 al 2,4% del 2016 (“clausola migranti” compresa), cioè diminuisce. Il saldo primario passa dall’1,7 del 2015 al 2% del 2016, con la previsione di crescere costantemente per arrivare al 4,3% nel 2019 cioè con la previsione di reperire risorse per ulteriori quaranta miliardi attraverso tagli o aumenti di entrate ed arrivare ad un avanzo di 80 miliardi. Un obiettivo folle e insostenibile, che dovrebbe coesistere con una crescita dell’1,6% del Pil nel 2017 -18 e dell’1,3% nel 2019! La crescita del Pil, determinata da diverse variabili esterne (come la svalutazione dell’euro sul dollaro a seguito del quantitative easing e la diminuzione strutturale del prezzo del petrolio) viene come sempre sovrastimata per far quadrare i conti. Nè il governo tiene alcun conto della consapevolezza crescente, nel dibattito sulle politiche economiche, per cui tagli delle tasse hanno effetti espansivi inferiori agli effetti depressivi del taglio della spesa pubblica. Dal punto di vista politico è invece evidente come concentrare la “flessibilità” nel 2016 assolva per Renzi ad una funzione di primaria importanza: rafforzarsi nel passaggio delle elezioni amministrative di primavera, assai rilevanti per numero di elettori e realtà interessate, rimontando la crisi di consensi degli ultimi passaggi elettorali. 2. I SOLDI CI SONO: PER LE IMPRESE, I CETI ABBIENTI, LE SPESE MILITARI. IRES, decontribuzione, super-ammortamento… Vale 2,6 miliardi per il 2016 e 4 miliardi a regime nel 2017 il taglio dell’IRES, cioè della tassa sui profitti. La sua applicazione nel 2016 è subordinata all’approvazione in sede europea della cosiddetta “clausola migranti”, quella per cui in nome dei costi dell’accoglienza per “l’emergenza migranti” si tagliano per l’appunto le tasse all’imprese! Ma nel 2017 il taglio dell’Ires ci sarà comunque e le risorse saranno reperite “da tagli alla parte corrente delle spese della Pubblica Amministrazione”, come recita la relazione tecnica. 580 milioni sono destinati al superammortamento al 140% per gli investimenti attuati entro il 2016, che diventano 1 miliardo negli anni dal 2017 al 2021. 831 milioni sono destinati alla reiterazione, ridotta al 40%, degli sgravi contributivi per le assunzioni o le trasformazioni di contratti preesistenti nel “contratto a tutele crescenti”, che diventano 2,1 miliardi per il 2017. Solo per queste misure si va dai 4 miliardi aggiuntivi nel 2016 agli oltre 7 miliardi nel 2017. Ma accanto alle voci principali ci sono una miriade di altri micro provvedimenti che o stanziano direttamente risorse per le imprese o come nel caso della detassazione dei premi di produttività (quasi 600 milioni a regime) e del sostegno al cosiddetto welfare aziendale, mirano tanto a promuovere la sostituzione della contrattazione collettiva nazionale con quella aziendale e territoriale, quanto all’aziendalizzazione delle prestazioni sociali mentre si smantella il welfare pubblico e universalistico. Si deve inoltre avere presente che la scorsa legge di stabilità (come anche le leggi di stabilità dei governi Letta e Monti) aveva già significativamente ridotto il prelievo fiscale sulle imprese con i 5 miliardi di riduzione dell’IRAP per il 2015 (4,3 a regime dal 2016) ed ulteriori 4 miliardi nel triennio 2015-2017attraverso una serie di provvedimenti minori. Mentre per la decontribuzione decisa sempre dalla scorsa legge di stabilità, estrapolando dai dati forniti dalla relazione tecnica, le risorse pubbliche utilizzate ammontano a 2,5 miliardi per il 2015 e 6,3 miliardi per il 2016 (4,6 se si considerano le stime su quanto dovrebbe rientrare per le tasse sulla nuova occupazione che tuttavia valgono solo per l’occupazione aggiuntiva) . Risorse molto ingenti che sono servite e serviranno per promuovere il contratto “a tutele crescenti”, cioè nella maggior parte dei casi per finanziare la trasformazione di vecchi contratti a termine, in nuovi contratti a termine, dato che il Jobs Act ha sancito la possibilità di licenziare arbitrariamente sempre e comunque. Dunque sono tanti i soldi per le imprese, dati “a pioggia” cioè senza finalizzazione alcuna: dagli oltre 8 miliardi (tra Irap, decontribuzione e altre misure) del 2015, ai circa 15 miliardi per il 2016, complessivi degli interventi della legge di stabilità dello scorso anno e di quella attuale. E’ invece totalmente assente qualsiasi strategia di politica industriale, e si prevede addirittura una contrazione degli investimenti pubblici. Questo a fronte di una riduzione complessiva degli investimenti nel periodo 2008-2014 del 30%. Dal punto di vista dell’occupazione, va sottolineato, come le continue dichiarazioni del governo, sugli effetti benefici delle proprie politiche nella creazione di lavoro, vadano demistificate per quella che sono: un’operazione di propaganda. L’Italia vede una crescita dell’occupazione inferiore rispetto al resto d’Europa. Con le risorse ingentissime mobilitate con la legge di stabilità 2015 nel mentre che si faceva tabula rasa dei diritti per in neo assunti, l’occupazione aggiuntiva “permanente” a settembre 2015 rispetto a settembre 2014 è di sole 113.000 unità, mentre sono 192.000 gli occupati complessivi in più (dati Istat): davvero poca cosa considerando l’esplosione di forme iper-precarizzanti come i voucher. Restano oltre i 3 milioni i disoccupati ufficiali, mentre sono il doppio quelli effettivi, considerando cioè coloro che non ricercano attivamente lavoro perché scoraggiati, ma che sarebbero disponibili a lavorare se un lavoro ci fosse. Il governo peraltro non ritiene un problema che nei propri stessi documenti il tasso di disoccupazione sia anche nel 2019 sopra il 10% con la disoccupazione giovanile intorno al 40%. TASI-IMU Accanto a questi provvedimenti l’altro piatto forte come è noto è l’eliminazione della TASI-IMU per l’abitazione principale (3,7 miliardi). 530 milioni sono destinati alla riduzione dell’IMU sugli “imbullonati”, 405 milioni per l’IMU agricola. L’eliminazione generalizzata dell’imposta sull’abitazione principale, va a vantaggio dei più ricchi con 1,4 miliardi regalati a chi possiede abitazioni di pregio maggior, che pur essendo solo il 10% del totale concorrevano per il 37%al gettito complessivo. Questi proprietari godranno di uno sgravio in proporzione maggiore di chi ha una casa più modesta, mentre persino chi ha ville e castelli (su cui alla fine la Tasi resta perché il governo ha fatto retromarcia per puri motivi di immagine), in virtù della diminuzione dell’aliquota massima godrà di uno sconto medio di 1.000 euro. Il taglio indiscriminato della Tasi mette inoltre i Comuni nella condizione di dipendere dai finanziamenti centrali, e non è davvero esercizio di fantasia prevedere che quelle risorse saranno oggetto di contrattazioni continue e di ulteriori riduzione. LE SPESE MILITARI I soldi ci sono anche per le spese militari. Nonostante la risoluzione approvata dal Parlamento nel settembre 2014 che poneva l’obiettivo di dimezzare lo stanziamento per gli F35, la legge di stabilità conferma i 13 miliardi per il programma pluriennale di acquisto dei 90 cacciabombardieri da attacco in grado di trasportare ordigni nucleari. Sono incrementati i fondi Mise per Fremm, Vbm, Eurofighter. Non viene mantenuto l’impegno ad aumentare le risorse per il servizio civile. I tagli che investono pesantemente ogni funzione pubblica, lasciano indenne il comparto militare. 3. I SOLDI NON CI SONO: COME TAGLIARE TUTTO CIÒ CHE È PUBBLICO A fronte delle cospicue risorse destinate a imprese e ricchi, spesa militare, stanno nuovi pesantissimi tagli a tutto ciò che è funzione pubblica: dalla sanità, alle regioni, a ministeri e società pubbliche, al pubblico impiego, che vede una mancia scandalosa invece del rinnovo del contratto, e un nuovo blocco del turn over. Complessivamente le “minori spese” ammontano a 8,4 miliardi nel 2016, 8,6 miliardi nel 2017 e 10,6 nel 2018. E’ evidente la volontà di distruggere la funzione pubblica ed insieme i diritti sociali. I tagli alla sanità. Il finanziamento per il Servizio Sanitario Nazionale viene rideterminato in 111 miliardi, ivi compresi gli 800 milioni finalizzati all’aggiornamento dei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Il Patto per la salute siglato da governo e regioni poco più di un anno fa (luglio 2014) prevedeva in 115,4 miliardi il finanziamento per il 2016. Il decreto legge 78/2015 aveva già ridotto il finanziamento di 2,352 miliardi portandolo a 113,097. Ora la riduzione ulteriore è di 2,097 miliardi. In sostanza in poco più di un anno i finanziamenti previsti a luglio 2014 sono stati tagliati di 6,7 miliardi. In questo modo la spesa pubblica per la sanità si collocherà al 6,6% del Pil, cioè ad uno dei livelli più bassi in assoluto in Europa. Va ricordato che, anche prima degli ultimi tagli, quando la spesa pubblica per la sanità era al 7% del Pil, questo livello era inferiore di 1,7 punti di Pil e di 632 euro in termini di spesa pro-capite (1793 euro contro 2425) rispetto alla media dell’Unione Europea a 15. Dopo di noi ci sono solo Spagna, Grecia e Portogalllo (Rapporto sullo Stato Sociale 2015). Gli ulteriori tagli alla sanità, in un paese in cui, come conferma l’ultimo rapporto del Censis, in quasi la metà dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto fare a meno di una prestazione medica per l’insostenibilità delle liste d’attesa o/e per l’onerosità dei ticket, rende evidente la volontà di distruggere la sanità pubblica ed universalistica e di spingere progressivamente verso modelli assicurativi. Una regressione sociale gravissima ed inaccettabile. I tagli a regioni, ministeri, società pubbliche. Il quadro diventa più grave se ai tagli al finanziamento del servizio sanitario nazionale si sommano quelli alle regioni, che hanno nella sanità, la voce di intervento e di spesa di gran lunga prevalente. La Legge di stabilità prevede tagli alle regioni per 3,98 miliardi di euro nel 2017, 5,48 miliardi nel 2018 e 2019. Non sono compresi in questi tagli gli effetti del blocco del turn-over di cui si dirà più avanti, mentre è compresa la riduzione di spesa derivante dalla centralizzazione dell’acquisto di beni e servizi che pesa tuttavia per soli 480 milioni . Come sottolineato in sede di audizione parlamentare della presidenza delle regioni, tuttavia, il quadro diventa drammatico se alle misure previste dalla attuale Legge di Stabilità, si sommano le misure derivanti dalle passate finanziarie e da diversi tagli di settore. In questo modo “nel 2016 l’insieme dei tagli che cadono sul sistema Regioni, ordinarie e straordinarie, derivanti da tutte le leggi di stabilità del passato e anche da leggi di settore, ammontano a circa 9 miliardi e mezzo, se si esclude il pareggio di bilancio di quest’anno, e che arrivano a più di 11 se si include il miliardo e 850 milioni di risparmio del sistema Regione che viene trattenuto come copertura a livello dello Stato… La situazione sul pluriennale è poi particolarmente preoccupante con altri cinque miliardi nel 2017 e sette nel 2018. Ormai i margini di manovra delle Regioni si vanno esaurendo”. E’ evidente che sulla sanità e sui trasporti pubblici in particolare, ma più complessivamente sul sistema regionale siamo ad una destrutturazione complessiva di diritti e possibilità di intervento. Anche i tagli a ministeri e società pubbliche, sono pesanti. Ammontano a 3,1 miliardi nel 2016, 2,4 nel 2017, 1,7 nel 2018, di cui per il 2016 1,6 miliardi di riduzione delle spese in conto capitale, cioè degli investimenti. Anche in questo caso al netto della riduzione di spesa derivante dalla centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, che vale circa 160 milioni l’anno, e dei “risparmi” derivanti dal blocco del turn-over. Proseguono dunque massicciamente i tagli, la riduzione del perimetro e la destrutturazione complessiva della funzione pubblica. A tutto questo va aggiunto da un lato quanto previsto nelle stessa legge di stabilità per il pubblico impiego, con il blocco del turn-over e della contrattazione, dall’altro il programma di privatizzazioni programmate dal DEF con introiti previsti per lo 0,41 % del Pil nel 2015, lo 0,5 nel 2016 e 2017 e 0,3 nel 2018, pari complessivamente a quasi 30 miliardi. Il nuovo blocco del turn-over e della contrattazione nel pubblico impiego. Sotto il titolo di involontario (o volontario?) scherno “esigenze indifferibili”, la Legge di Stabilità si occupa del contratto delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici. Nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, per il “rinnovo” del contratto vengono stanziati 219 milioni di euro per 1,3 milioni di lavoratori contrattualizzati a livello centrale (circa 12 euro mensili lorde di incremento), 81 milioni di euro per i 500.000 lavoratori del comparto sicurezza, mentre per altri 1,2 milioni di lavoratori le risorse per il “rinnovo” contrattuale sono in carico alle singole amministrazioni! Questo dopo 6 anni di blocco della contrattazione! Le risorse stanziate sono poco più della metà di quanto destinato alla riduzione dell’IMU sugli imbullonati, meno di un dodicesimo di quanto varrà a regime la nuova riduzione delle tasse sulle imprese… e si potrebbe continuare. Ma c’è di più: a fronte di pochissime e settoriali assunzioni è previsto un nuovo blocco del turn-over. Per le amministrazioni dello Stato, le agenzie, gli enti di ricerca, le regioni e gli enti locali, le assunzioni a tempo indeterminato possono avvenire solo entro la misura del 25% del budget derivante dalle cessazioni di personale con la medesima qualifica avvenute nell’anno precedente. La norma è sospesa per regioni ed enti locali per 2017 e 2018 per riassorbire il personale delle province, ma la nuova stretta è pesantissima. I “risparmi” complessivi previsti per il blocco del turn over, vanno dai 44 milioni del 2016 a quasi 1 miliardo (919 milioni) nel 2019, 3 volte quanto stanziato per il “rinnovo” del contratto. Come sottolinea il dossier del servizio studi del Senato “andrebbero richieste adeguate rassicurazioni in merito alla effettiva e piena sostenibilità dell’irrigidimento del blocco parziale del turn over, dal momento che negli anni più recenti le amministrazioni hanno subito già un blocco drastico dei reclutamenti che potrebbe averle già messe nella condizione di non poter assicurare i livelli minimi di servizio.” Va ricordato anche che dal 1 gennaio 2017 non sono più attivabili contratti di collaborazione e che nel 2018 scadranno i circa 80.000 contatti a tempo determinato di durata ultratriennale. Va ricordato più in generale come il numero di dipendenti pubblici ogni 100 abitanti in Italia nel 2010, prima dei tagli e del blocco del turn-over degli ultimi anni, fosse abbondantemente sotto la Francia e l’Inghilterra (5,9 contro 8,5 della Francia e 9,2 del Regno Unito – dati della Ragioneria Generale dello Stato). La vulgata di un settore pubblico ipertrofico nel nostro paese è totalmente falsa. Accanto a perduranti elementi di inefficacia che certo non si affrontano con nuovi tagli, in generale siamo alla messa in discussione della capacità di erogare i minimi servizi essenziali. 4. QUALCHE MANCIA PER GLI ESODATI, LE POVERTÀ, LA CONDIZIONE DI DISAGIO SOCIALE. Se per quel che riguardava imprese e ricchi, gli interventi sono in termini di miliardi sonanti, per esodati, povertà, disagio sociale, le risorse sono pochissime, centellinate solo per le emergenze, e spesso coperte da tagli all’interno dello stesso comparto. Le pensioni La legge di stabilità non contiene nessuna misura di flessibilizzazione della controriforma Fornero. I provvedimenti previsti riguardano il varo della settima salvaguardia per gli esodati, la cosiddetta “opzione donna” e il modestissimo aumento della no-tax area, le cui coperture sono interne al comparto, in particolare attraverso un nuovo intervento sulle rivalutazioni delle pensioni medie rispetto al costo della vita o attraverso l’accesso a fondi come quello per i lavori usuranti. La settima salvaguardia per gli esodati copre 26.300 lavoratori, mentre secondo i dati Inps le lavoratrici e i lavoratori da garantire sono 49.500. Ne restano scoperti oltre 23.000. Restano esclusi tanto i cosiddetti quota 96 della scuola, quanto i macchinisti. Per quel che riguarda “opzione donna” si prevede, a chiusura della sperimentazione, che l’opzione (cioè la possibilità di andare in pensione con 57 anni e 3 mesi, se lavoratrici dipendenti, e 58 anni e 3 mesi, se lavoratrici autonome, con 35 anni di contributi versati ed accettando il ricalcolo della pensione con il solo metodo contributivo) sia estesa alle donne che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015 anche se la decorrenza del trattamento pensionistico è successivo a quella data. Per quel che riguarda l’estensione della no-tax area, da 7500 a 7750 euro per i pensionati sotto i 75 anni e da 7750 a 8000 per i pensionati sopra i 75 anni, questa scatta soltanto dal 2017 ed è di portata assai modesta (intorno ai 5 euro mensili). Come è modestissima la sperimentazione del part-time in uscita per i lavoratori che maturano entro il 2018 i requisiti per la pensione di vecchiaia con risorse previste per 60 milioni nel 2016. La copertura di queste misure è comunque tutta interna al comparto pensionistico. Proviene dalla riduzione delle rivalutazione delle pensioni superiori a 4 volte il minimo, dalle somme non spese del Fondo Esodati, dall’indecente saccheggio del Fondo per i lavori usuranti. Come afferma la relazione tecnica si tratta di un fondo sottoutilizzato. Il che è certamente vero dopo che la controriforma Fornero ha peggiorato in modo gravissimo la condizione di questi lavoratori! Va ricordato anche in questo caso il dato di fondo. I contributi pensionistici vengono usati da anni in Italia per finanziare il bilancio dello stato e non viceversa. Dal 1996 ad oggi il saldo tra contributi versati e pensioni erogate al netto delle ritenute fiscali (che rientrano nelle casse dello stato ) è sempre stato in attivo. Nell’ultimo anno l’attivo è stato di 21 miliardi di euro. Qualche mancia per le povertà Gli interventi per il contrasto alle povertà sono totalmente inadeguati rispetto alla situazione di sofferenza sociale cresciuta esponenzialmente in questi anni. Secondo i dati Istat relativi al 2014, infatti, sono 1 milione e 470 mila le famiglie in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone, 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone sono invece in condizione di povertà relativa. I dati sono stabili rispetto all’anno precedente e concentrati geograficamente: la povertà assoluta si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all’8,6% nel Mezzogiorno. A fronte di questa situazione il governo stanzia 600 milioni aggiuntivi per il 2016 portando le risorse complessive a 1,6 miliardi e 1 miliardo per il 2017 portando le risorse complessive per quell’anno a 1,5 miliardi. Dei 600 milioni aggiuntivi 220 sono destinati a finanziare l’Asdi, l’assegno di disoccupazione, e 380 il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva, misura attivata dal governo Letta e rivolta esclusivamente ai nuclei familiari con un minore). Il finanziamento complessivo per il Sia raggiunge complessivamente la cifra di 750 milioni per il 2016 (tra quanto era stato già stanziato e le nuove risorse) e di 1 miliardo per il 2017. Se fossero distribuiti sulla sola platea dei poveri assoluti, non dando nessuna risposta alla condizione di povertà relativa, le risorse stanziate dal governo comporterebbero 15 euro lorde mensili, conteggiando invece la sola platea dei nuclei familiari in povertà con un minore che sono circa 600.000, questo significa 104 euro mensili lorde per nucleo familiare. Va ricordato che la proposta di reddito di inclusione sociale avanzata dall’Alleanza contro la Povertà (Acli e Caritas) prevede risorse per 7 miliardi, mentre il reddito di dignità sostenuto da Libera per quanto non quantificato precisamente, nel prendere a riferimento le proposte esistenti in Parlamento (quella del Movimento 5 Stelle e quella di iniziativa popolare proposta da Bin, Sel, Prc ed altri, quantificate dall’Istat rispettivamente in 14,9 e 23,5 miliardi) si situa approssimativamente sulla cifra di 20 miliardi. La miseria delle risorse stanziate per il contrasto alla povertà è ancora più grave considerati i tagli complessivi a cui è sottoposto il sistema di welfare, l’assenza di un piano per il lavoro, l’assenza di un piano per il Sud. 5. L’EVASIONE ED ELUSIONE FISCALE La legge di stabilità 2016 prevede una serie di misure che favoriscono l’evasione fiscale. Con la scusa di sostenere i consumi, il governo ha innalzato l’uso del contante da 1000 a 3000 euro, invece di agire per rendere più semplice e meno costoso l’uso di carte e bancomat. Una scusa evidentemente giacchè nessuno va in giro con 3000 euro in contanti per poter meglio acquistare un televisore o una lavatrice. La volontà di favorire l’evasione è resa evidente dal fatto di aver innalzato l’uso del contante anche per il pagamento dei canoni di locazione e nella filiera dei trasporti, dove la tracciabilità è un elemento decisivo per prevenire e reprimere attività legate a traffici illegali: dal caporalato al riciclaggio. Il governo con i decreti di settembre scorso in attuazione della cosiddetta delega fiscale ha peraltro depenalizzato l’elusione fiscale praticata soprattutto dalle grandi imprese. Ricordiamo che l’Italia con un’evasione fiscale pari a circa 130 miliardi l’anno è il paese con la più alta evasione in Europa: il recupero soprattutto della grande evasione ed elusione dovrebbe essere un obiettivo prioritario.

ROSSANA ROSSANDA - SE LA GUERRA POSSA ESSERE INGIUSTA MA UTILE


SE LA GUERRA POSSA ESSERE INGIUSTA MA UTILE di Rossana Rossanda da SBILANCIAMOCI INFO Vedo che la «guerra giusta» di Norberto Bobbio, contro la quale ci eravamo battuti, riappare travestita da guerra «utile», ma non è una gran trovata. Utile per chi? Ogni guerra è sempre utile a una delle due parti in causa, almeno a breve termine, quindi il giudizio di valore va sempre spostato sulla causa del conflitto, mentre il metodo di risolverlo con una guerra va sempre rifiutato. Ricordiamoci di come apparve la seconda guerra mondiale a Gandhi e a molte parti del mondo non occidentale; se si è contro la guerra, non è possibile una guerra giusta, la guerra va misurata non nei termini dei rapporti di forza che ha prodotto, ma va rifiutata sempre per la quantità di vittime che produce. Non è semplice, perché - per esempio - io non tendo a definire «ingiusta » la seconda guerra mondiale perché i milioni di morti da ambedue le parti l’hanno subita; eppure, per la mia generazione, sulla vita dei cittadini i governi non dovrebbero aver potere di vita o di morte (come nel caso della soppressione della pena di morte). In verità, per le guerre questo potere gli è lasciato - e non dovrebbe esserlo - con l’argomento per cui Daesh non si potrebbe danneggiare o sconfiggere in altro modo, anche perché si tratta di un nemico diffuso e meno esposto di quanto non sia un paese con il suo stato, con un territorio preciso dove si dispiegano eserciti, fortificazioni, industrie militari, sistemi di trasporto. In realtà, anche Daesh è più presente e concentrato in certi territori e, soprattutto, i mezzi militari gli sono forniti nientemeno che dall’Occidente, al più attraverso la mediazione di un altro paese. Nel caso della Turchia questa mediazione non è necessaria perché nella coalizione internazionale contro Daesh nessun altro stato partecipa alla guerra contro i curdi, che per Ankara sono il principale nemico. Il lancio di un missile turco contro l’aereo militare della Russia, che è in guerra contro Daesh ma non contro i curdi, ne è un segnale minaccioso, tranquillamente sopportato dall’Occidente. In verità, la guerra nel Medio Oriente ha presentato e presenta sovente, a partire dall’Afghanistan, diversi fronti, anche in parte nascosti, aspetto che non è l’ultima delle sue specificità; essa mette in rilievo le ragioni per cui il più vasto movimento pacifista dei tempi recenti le è nato contro. E non solo i civili ne sono regolarmente le vittime (a ogni attacco, specie aereo) ma, come in tutti i conflitti con una forte componente ideologica, le parti non corrispondono nettamente a un territorio ben definito. Insomma, il carattere particolarmente brutale e non giustificabile delle guerre è qui singolarmente evidente. La Francia, non contenta del disastro senza via di uscita provocato in Libia dall’ignoranza di Sarkozy, reitera errore e vittime in Siria attirandosi addosso – a proposito di guerre «utili» - l’attacco di quella parte del Daesh come movimento che filtra anche sul territorio dell’Europa occidentale, figlio non soltanto (anche se in buona parte) del disagio sociale, ma di una disperazione più interiorizzata e profonda che ha portato sinora giovani francesi e belgi a concludere le azioni omicide attivando le cinture esplosive e togliendosi la vita. Non ci si racconti che attendevano di essere accolti nell’aldilà da centinaia di vergini vogliose, disperavano della vita in terra, senza nulla che le dia un senso umano o sovrumano. Manca nel nostro mondo il solo elemento in grado di sconfiggere Daesh, cioè un senso umano o oltre umano che non sia il successo nel denaro, che non a caso essi bruciano, o lo spettacolo inteso in senso proprio come distrazione dal reale. Fonte: sbilanciamoci.info

mercoledì 25 novembre 2015

CAMBIA IL LAVORO - COME GARANTIRE I DIRITTI

CAMBIA IL LAVORO - COME GARANTIRE I DIRITTI Giovedì 26 novembre 2015, ore 20.30, Spazio Arte Quali sfide deve affrontare la Sinistra per essere strumento utile per i lavoratori? La crescita della disoccupazione, in particolare per i giovani, la perdita del valore sociale del lavoro, la cancellazione dei diritti che garantivano dignità e l'aumento della povertà. Su questi temi serve un cambio di passo. Immediato. Concreto. Efficace. Ne discutiamo con Sergio COFFERATI, Stefano FASSINA, Paolo FERRERO e Arturo SCOTTO; Giovedì 26 novembre 2015, ore 20.30, Spazio Arte Sesto San Giovanni Porterà i saluti Antonio Pizzinato. Organizza: Sinistra Nord Milano

lunedì 23 novembre 2015

venerdì 20 novembre 2015

CON LA FIOM CONTRO IL GOVERNO RENZI E CONTRO GUERRA E TERRORISMO!


Saremo in piazza insieme alla ‪#‎Fiom‬ per protestare contro le politiche di destra del governo Renzi, che sta facendo peggio di Monti e Berlusconi su tutti i fronti. Invece che tassare i ricchi e la finanza per creare posti di lavoro, demolisce i servizi e il welfare e precarizza quel che resta dell'occupazione. Scenderemo anche in piazza contro la guerra e il terrorismo - due facce della stessa medaglia - convinti che serva la più larga mobilitazione popolare per riaffermare l'umanità, la giustizia e la democrazia come valori fondanti della società in cui vogliamo vivere.

giovedì 19 novembre 2015

mercoledì 18 novembre 2015

ATTENTATI PARIGI: LE VERITÀ NECESSARIE (E SCOMODE) PER SCONFIGGERE L’ISIS

ATTENTATI PARIGI: LE VERITÀ NECESSARIE (E SCOMODE) PER SCONFIGGERE L’ISIS di Vittorio Agnoletto - 16 novembre 2015 Quanto accaduto a Parigi lascia senza parole, la tragedia è enorme e a pagare con la vita la ferocia dei terroristi sono vittime innocenti, uccise nel mucchio; poteva accadere a ciascuno di noi. Ed il futuro appare denso di paure, per tutti, anche in Europa. Nessuno oggi ha una soluzione pronta da proporre; non ci sono vie d’uscita semplici. Provo quindi solo a condividere alcune riflessioni e ad esplicitare cosa, a mio parere, non dovremmo fare. “Siamo in guerra” hanno titolato molti media, mostrando grande stupore; un annuncio che sembra annunciare una realtà a noi profondamente lontana. Ma se riusciamo a prenderci qualche minuto di riflessione, ci rendiamo conto di quanto quei titoli alla fine non comunichino altro che un dato di fatto, qualcosa che ormai da anni è oggettivamente una realtà. Pubblicità La Francia, ma anche molti altri Paesi europei, sono in guerra ormai da anni, da quando hanno partecipato alle guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in Mali… senza peraltro aver mai formalmente dichiarato lo stato di guerra. Non sono videogiochi, sono guerre a tutti gli effetti, fatte con soldati, con armi di ogni genere, con bombe e droni che bombardano e uccidono. Come tutti i conflitti moderni il maggior numero di vittime sono tra i civili, tra persone innocenti che erano sedute a banchetti nuziali, tra bambini che giocavano all’aria aperta o tra feriti ricoverati in ospedale, giusto per ricordare solo alcuni degli ultimi “effetti collaterali”. L’Occidente è in guerra, solo che pensava di potere condurre questi conflitti senza che i propri cittadini nemmeno se ne accorgessero. La guerra ci sarebbe stata, ma solo a casa del nemico, nulla avrebbe interrotto la vita quotidiana di noi europei. Ora sappiamo che non è così. Questa è la novità, non l’essere in guerra. E’ acclarato che le ragioni vere dell’interesse occidentale per l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria ecc. siano il petrolio, il gas, gli oleodotti, i gasdotti, il controllo delle vie di comunicazione… Se l’esportazione della democrazia fosse al primo posto, avremmo vista da tempo i droni attaccare l’Arabia Saudita. E’ anche facilmente verificabile che in nessuno tra i Paesi coinvolti nelle guerre la democrazia sia subentrata alle precedenti dittature. Papa Francesco nel settembre 2013 aveva invitato tutto il mondo ad una veglia per convincere i leader a rinunciare alla guerra in Siria, ma non ottenne alcun risultato. Gli effetti di tali scelte sono sotto gli occhi di tutti: condizioni di vita disastrose per le popolazioni, aumento della povertà, crollo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, aumento vertiginoso dei morti da un lato, rafforzamento dell’integralismo islamico grazie alle armi destinate dagli alleati a chi avrebbe dovuto combattere i dittatori in nome della democrazia e grazie al sostegno fornito da Arabia Saudita, Emirati e Turchia, tutti fedeli alleati dell’Occidente. Il minimo che si può dire è che gli strateghi Usa, e le leadership politiche e militari europee, abbiano sbagliato i propri conti. Se invece l’obiettivo era il controllo delle risorse energetiche, l’aumento dei profitti dell’industria bellica (grande supporter di politici su ambedue le sponde dell’Atlantico) e l’avanzare sullo scacchiere politico nel confronto con la Cina e la Russia allora il bilancio è certamente diverso. Basta essere chiari sulle ragioni delle guerre. Cosa possiamo fare a questo punto? Non credo ci siano soluzioni facili e comunque io non ne ho. Mi limito a dire cosa dovremmo evitare di fare. Evitiamo di partecipare ad altre guerre, diamoci da fare perché non si avveri il desiderio di Renzi dell’Italia a capo di un’alleanza militare in Libia, rafforzeremmo ulteriormente i gruppi integralisti nelle loro campagne di reclutamento contro gli infedeli, diventeremmo ancor più un bersaglio da colpire, spenderemmo risorse oggi molto più utili alla sanità, al lavoro e alla scuola. Chiediamo invece che le intellingence facciano il loro lavoro e che siano sostituiti coloro che non hanno dimostrato di esserne all’altezza. Evitiamo di seguire Le Pen, Salvini e compagnia nelle loro crociate contro tutti gli immigrati e gli islamici: dal razzismo non può nascere che ulteriore violenza. Favoriamo l’integrazione ed evitiamo la formazione di ghetti, come le banlieue parigine; l’isolamento e la marginalità sono il terreno preferito dai reclutatori del terrore. La sconfitta dell’Isis è ovviamente una priorità assoluta. Questi assassini devono essere fermati. Per fare questo almeno seguiamo una regola base di tutte le guerre: isolare il nemico, “togliere ai pesci l’acqua dove stanno nuotando”. Ciò significa innanzitutto ripetere all’infinito che Islam e Isis non sono la stessa cosa, in questo modo evitiamo di regalare un miliardo di persone all’Isis. Questo ragionamento di buon senso non si può pretendere da un Salvini che per un voto è disposto a tutto, ma è legittimo richiederlo a tutti i mezzi d’informazione, per evitare un disastro. Inoltre sarebbe corretto ricordarsi che in questo momento sul campo di battaglia tra i più acerrimi nemici dell’Isis ci sono i pasdaran iraniani, gli hezbollah libanesi e i guerriglieri curdi, tutte realtà islamiche, tutti gruppi che dai governi occidentali spesso sono state considerati terroristi. Ma sono loro che ogni giorno sfidano l’Isis sul campo. Il mio non è buonismo come qualche ipocrita direbbe, ma verità e realismo necessari per battere gli assassini. P.S.: ormai il Giubileo c’è (non se ne sentiva proprio la necessità); sarebbe bene che il Papa invitasse i fedeli a celebrarlo a casa propria, non sempre dobbiamo per forza scegliere ciò che più ci espone ai rischi e non credo che la fede possa essere misurata da un viaggio o meno nella Città eterna.

lunedì 16 novembre 2015

DI FRONTE AGLI ATTENTATI UNIAMOCI PER LA LIBERTÀ, L’UGUAGLIANZA, LA FRATERNITÀ E LA PACE.


DI FRONTE AGLI ATTENTATI UNIAMOCI PER LA LIBERTÀ, L’UGUAGLIANZA, LA FRATERNITÀ E LA PACE. di Pierre Laurent, segretario nazionale del Partito Comunista Francese e presidente del partito della Sinistra Europea Il nostro paese ha appena vissuto uno dei peggiori avvenimenti della sua storia. Gli attacchi terroristici simultanei della notte scorsa a Parigi e Saint-Denis, rivendicati da DAESH (Isis), che hanno provocato finora 127 morti e 200 feriti, sono spaventosi. La Francia è in lutto. All’indomani di questa carneficina i nostri primi pensieri sono indirizzati alle vittime, alle loro famiglie, ai loro amici, ai testimoni e a tutti coloro la cui vita è stata minacciata. Per tutti il dolore è immenso. Ognuno in Francia ne è profondamente colpito. Salutiamo l’azione delle forze dell’ordine, dei soccorritori, del personale sanitario e degli agenti territoriali la cui mobilitazione é stata esemplare così come la solidarietà degli abitanti che si è manifestata immediatamente. Meno di un anno dopo gli attentati di gennaio scorso, la Repubblica é colpita al cuore. Mentre lo stato di emergenza é stato appena decretato dal governo, è imperativo rinforzare i mezzi di polizia e di giustizia. Lo Stato deve trovare i mezzi adatti per garantire la sicurezza di tutte e tutti. Invito il nostro popolo a non cedere alla paura, a riunirsi per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, e per la pace. Dobbiamo rifiutare le generalizzazioni e le stigmatizzazioni. Insieme dobbiamo respingere fermamente l’odio e i razzismi La Francia è segnata dalla guerra e dalla destabilizzazione che minano il Vicino e Medio Oriente. La lotta contro il terrorismo invita ad una mobilitazione rafforzata e a delle soluzioni internazionali. Essa non potrà trionfare se non con la mobilitazione per un progetto di società solidale che mette al primo posto di tutte le scelte l’emancipazione umana, i valori della Repubblica e la pace. Il PCF, i suoi rappresentanti e i suoi eletti saranno per tutte le iniziative che nei prossimi giorni permetteranno ai nostri concittadini di riunirsi per far fronte a questa prova e aprire un cammino di speranza per il nostro popolo. In questo momento tragico il PCF ha interrotto ogni attività di campagna elettorale.

GINO STRADA: “IN 15 ANNI DI GUERRA SOLO DANNI. BASTA BALLE, SI SONO INVENTATI PURE LA PROVETTA DI PISCIO”

GINO STRADA: “IN 15 ANNI DI GUERRA SOLO DANNI. BASTA BALLE, SI SONO INVENTATI PURE LA PROVETTA DI PISCIO” “La guerra non solo è uno strumento stupido e crudele, non funziona neanche”. A dirlo è Gino Strada, fondatore di Emergency, nel corso di un’intervista a In Mezz’Ora, su Raitre, per criticare gli ultimi 15 anni di gestione delle crisi internazionali. “Questa guerra è incominciata poco dopo l’11 settembre. È stato detto, a noi cittadini, che era cominciata la guerra al terrorismo e sarebbe durata 50 anni. Bene, 15 sono già passati. E con quali risultati?”. Strada evidenzia che “si sono distrutte intere nazioni, scardinata la struttura sociale, non solo politica. E l’Isis nasce proprio da lì. Davvero un grande successo … e nessuno dice niente. Serve la guerra o ha prodotto ulteriore guerra, ulteriore terrorismo? Ce li ricordiamo i talebani? Nessuno se li ricorda più, ma controllano oggi molto più di quello che controllavano prima dell’ingresso in guerra in Afghanistan”. Il fondatore di Emergency non accetta di parlare di errori del passato, “non ci sto a liquidare 15 anni di storia così. Prima bisogna ammettere gli errori del passato. Quante balle sono state raccontate ai cittadini del mondo – prosegue Strada – Mi sono visto sventolare perfino una provetta con piscio di laboratorio per giustificare una guerra. E oggi ammettono di aver detto bugie, perfino Tony Blair”. Gino Strada non riesce a trattenere l’emozione, poche parole per ricordare Valeria Solesin, per anni volontaria di Emergency e unica vittima italiana delle stragi di Parigi. “Siamo addolorati. Purtroppo, è un’altra vittima del terrorismo. Non mi sento di dire di più per rispetto del dolore della famiglia”.

lunedì 9 novembre 2015

RIFONDAZIONE COMUNISTA E NUOVO SOGGETTO UNITARIO DELLA SINISTRA

 

 

 

 

Rifondazione Comunista e soggetto unitario della sinistra: il documento approvato dal CPN

 
Il Comitato Politico Nazionale ribadisce la necessità di proseguire sulla strada del rilancio politico e organizzativo del Partito della Rifondazione Comunista e nella costruzione di una sinistra antiliberista e alternativa al Partito Democratico e al governo Renzi.
Il rilancio e il rafforzamento del partito, a partire dal recupero dell’orgoglio e del senso di appartenenza a Rifondazione Comunista e del ruolo che ha svolto e svolge “in direzione ostinata e contraria”, non ha nulla di conservatore né di burocratico ma nasce dalla consapevolezza che c’è più che mai bisogno del contributo delle comuniste e dei comunisti per contrastare il capitalismo globalizzato, la crescita delle disuguaglianze, lo svuotamento delle conquiste sociali e democratiche, il dilagare di guerre, xenofobia, razzismi.
Le grandi difficoltà incontrate in questi anni non ci hanno piegati, e in questi mesi abbiamo registrato segnali positivi, di vitalità e di ripresa. Di questo ci parlano lo straordinario risultato della campagna del 2 per mille unito all’ottimo risultato delle Feste di Liberazione, ed in particolare di quella nazionale, che costituiscono un forte incoraggiamento a generalizzare in tutti i territori e a tutti i livelli l’impegno per il rilancio del partito sul piano dell’organizzazione, dell’elaborazione, della formazione e del radicamento sociale.
Il Comitato Politico Nazionale chiede a tutte le strutture del partito il massimo impegno e la massima mobilitazione nella campagna “I soldi ci sono“, con l’obiettivo di rendere, socialmente e politicamente percepibile il PRC su quei contenuti e quelle parole d’ordine. Si tratta di una campagna di lungo periodo, che non si esaurisce in qualche settimana, ovvero si tratta di rendere riconoscibile la nostra proposta politica, almeno come è stato sulle 35 ore, sul piano sociale.
Dobbiamo essere chiaramente il partito che disvela che la crisi, i cui effetti drammatici ricadono sui ceti popolari, non è data dalla scarsità, ma è una crisi di sovraccapacità produttiva, di un’inedita concentrazione di ricchezze e di poteri in poche mani. Spiegare che “I soldi ci sono” significa contrastare l’egemonia sulle cause della crisi che è stata imposta come senso comune e narrazione dominante, e al tempo stesso avanzare proposte concrete che parlino alla condizione dei nostri soggetti sociali di riferimento. Uscire dalle politiche di austerità e dei sacrifici è possibile, ma soltanto mettendo in discussione le politiche neoliberiste portate avanti dall’UE e dai governi italiani.
La costruzione, di un profilo politico e sociale che ci renda riconoscibili e identificabili, quanto la partecipazione e l’internità ai movimenti e alle lotte, deve andare di pari passo con la prosecuzione del rilancio anche organizzativo del nostro partito. In questi mesi, in attuazione della scorsa Conferenza di Organizzazione, abbiamo compiuto i passi primi avanti a partire dalla costituzione dell’ufficio organizzativo che ha ripreso un sistematico lavoro di riorganizzazione e verifica in rapporto con le istanze regionali e provinciali del partito secondo gli obiettivi definiti nel documento “Ripartiamo” approvato dalla direzione nel settembre scorso. Abbiamo la consapevolezza che ancora tanti sono i passi da compiere per la costruzione di un partito all’altezza dei compiti e del progetto della rifondazione comunista.
Ci sono, oggi, le condizioni per rilanciare anche sul piano dell’adesione al partito e del tesseramento: nel corso di quest’anno è stato raggiunto l’obiettivo della distribuzione di 20.000 tessere pagate dalle strutture territoriali, e in occasione di questo Comitato Politico Nazionale abbiamo avviato la distribuzione delle tessere del 2016. L’obiettivo è quello di chiudere al 31 dicembre il tesseramento 2015 avviando immediatamente e con il massimo slancio il tesseramento del 2016 con la determinazione a conseguire un’inversione di tendenza e l’aumento degli iscritti.
Rifondazione Comunista deve proseguire e rafforzare il proprio impegno nei conflitti e nelle lotte sociali, sia attraverso la presenza concreta sia attraverso le pratiche sociali mutualistiche cresciute in questi anni in diversi territori. Le nostre intuizioni sul “partito sociale” sono entrate oggi nella sensibilità diffusa della sinistra e rappresentano un patrimonio che va generalizzato e rilanciato.
Aspetto altrettanto decisivo della nostra linea politica è la costruzione di una sinistra antiliberista e alternativa al Partito Democratico che sia in grado di dare una risposta alla domanda viva, anche se frammentata, di unità e di opposizione incisiva alle politiche di austerità neoliberista, una domanda che viene da gran parte delle persone che continuano a sentirsi di sinistra, ma soprattutto da classi lavoratrici e ceti popolari che sono oggetto da troppo tempo di un attacco sistematico.
Il documento Noi ci siamo, lanciamo la sfida, che convoca per il 15-16-17 gennaio un’assemblea nazionale aperta, è un importante passo avanti nella direzione di quanto sostenuto da Rifondazione Comunista in questi anni, spesso in solitudine: le forze della sinistra aderenti al documento muovono infatti dalla condivisione dell’esaurimento e del fallimento della stagione del centrosinistra. La nostra proposta di costruire un soggetto politico unitario e plurale della sinistra chiaramente autonomo e alternativo al Pd comincia a diventare realtà. Ribadiamo, per quanto ci riguarda, che questo impianto vive indipendentemente dalla legge elettorale e dalle sue eventuali modifiche. Per noi la sinistra è alternativa al PD perché non ne condivide le politiche. Non ci sentiamo orfani di un centrosinistra che ha prodotto il renzismo come fase terminale di una lunga mutazione genetica.
Il documento “Noi ci siamo, lanciamo la sfida” va considerato, perciò, come un punto di partenza. Rifondazione Comunista è impegnata per lo sviluppo di tale percorso nella direzione del pieno coinvolgimento dei soggetti e delle forze sociali, dei settori più larghi possibile di movimenti e società che quotidianamente lottano e costruiscono esperienze di alternativa, della partecipazione e dell’inclusività; della collocazione del soggetto plurale che intendiamo costruire all’interno del Gue e della Sinistra Europea; di una caratterizzazione forte di alternativa al Partito Democratico. Se siamo consapevoli dell’articolazione di posizioni e di sensibilità diverse presenti, siamo anche consapevoli di quanto le nostre coordinate politiche siano potenzialmente maggioritarie a sinistra. L’impegno di tutto il partito nel processo unitario è essenziale per determinarne uno sviluppo positivo e un carattere di radicale alternativa. Abbiamo la convinzione che tale processo debba assumere una caratterizzazione larga e popolare, tesa a ricostruire un tessuto di pratiche sociali che si insediano nel territorio a partire dalle periferie, anche per evitare i populismi della destra, pratiche e ricostruzioni che non si esauriscono e non si agiscono soltanto nei luoghi istituzionali.
La sinistra si ricostruisce in primo luogo sulle strade, nei quartieri, nei luoghi di lavoro e della vita quotidiana.
In questo senso la continuità e la coerenza con la linea politica congressuale di Perugia, relativamente al rafforzamento e al rilancio del Prc unitamente all’obiettivo della costruzione di una sinistra più ampia, partecipata e alternativa al Pd continua a essere la bussola della nostra iniziativa politica.
Riteniamo in questo passaggio importante coinvolgere direttamente le iscritte e gli iscritti al partito sul risultato del nostro lavoro e – alla luce di quanto avvenuto – proporre di proseguire, secondo le coordinate scelte al congresso, chiedendo una verifica del mandato ricevuto al congresso. Nel congresso di Perugia abbiamo messo al centro il nodo della democrazia delle iscritte e degli iscritti, sottolineando come il nostro obiettivo fosse quello di coinvolgere il corpo del partito nei passaggi più rilevanti e non solo nelle scadenze congressuali. Per questo proponiamo una consultazione delle iscritte e degli iscritti del Prc.
Il Comitato Politico nazionale chiama quindi a esprimersi nella consultazione sul seguente testo:
“il nostro obiettivo è mettere al centro, in continuità e in attuazione del linea politica stabilita al congresso di Perugia, la strada del rafforzamento e del rilancio del Partito della Rifondazione Comunista e della costruzione attraverso un processo unitario, partecipato e democratico, del nuovo soggetto della sinistra in Italia. Questo processo che vedrà una prima tappa positiva nella convocazione dell’assemblea del 15/17 gennaio 2016 convocata sulla base del documento “Noi ci siamo, lanciamo la sfida” deve essere finalizzato a costruire un soggetto unitario e plurale della sinistra antiliberista, chiaramente alternativo al Pd e collocato in Europa nell’ambito del GUE e della Sinistra Europea”
La consultazione avverrà nel periodo 1-19 dicembre attraverso l’organizzazione e la convocazione di attivi territoriali degli iscritti e delle iscritte del singolo circolo o di circoli convocati congiuntamente. Le Federazioni hanno il compito di far sì che tutte le strutture si attivino. Ha diritto di voto chi ha la tessera 2015. Utilizzando appositi moduli predisposti dal nazionale, i garanti – indicati dalle Federazioni – registrano l’esito della votazione (favorevoli, contrari, astenuti), palese e per alzata di mano, e dovranno fare un report dell’esito complessivo.

sabato 7 novembre 2015

NOI CI SIAMO, LANCIAMO LA SFIDA

NOI CI SIAMO, LANCIAMO LA SFIDA Pubblicato il 6 nov 2015 Pubblichiamo il documento sul processo unitario a sinistra che è stato elaborato e condiviso da Act!, Altra Europa con Tsipras, Futuro a Sinistra, Partito della Rifondazione Comunista, Possibile, Sinistra Ecologia Libertà. Alle riunioni del tavolo hanno partecipato Sergio Cofferati e Andrea Ranieri. 1. NOI CI SIAMO, LANCIAMO LA SFIDA Riteniamo non solo necessario ma non più procrastinabile avviare ORA il processo costituente di un soggetto politico di sinistra innovativo, unitario, plurale, inclusivo, aperto alle energie e ai conflitti dei movimenti dei lavoratori e delle lavoratrici, dei movimenti sociali, dell’ambientalismo, dei movimenti delle donne, dei diritti civili, della cittadinanza attiva, del cattolicesimo sociale. Un soggetto politico in grado di lanciare in modo autorevole e credibile la propria sfida al governo Renzi e a un PD ridotto sempre più chiaramente a “partito personale del leader”, in rappresentanza del variegato universo del lavoro subordinato e autonomo, degli strati sociali che più soffrono il peso della crisi, dei loro diritti negati e delle loro domande inascoltate, orientato a valorizzare la funzione dei governi territoriali e dei corpi intermedi. Dobbiamo rispondere in modo adeguato – con la forza, il livello di unità e la chiarezza necessarie – alla domanda sempre più preoccupata di quel popolo di democratici e della sinistra che non si rassegna alla manomissione del nostro assetto democratico-costituzionale, alla liquidazione dei diritti del lavoro e alla cancellazione del residuo welfare. L’obiettivo è lavorare fin d’ORA, in un contesto di dimensione europea contro le politiche neoliberiste, all’elaborazione di un programma comune con cui candidarsi alle prossime elezioni politiche alla guida del Paese, con una proposta politica autonoma e in competizione con tutti gli altri poli politici presenti (la destra, il M5S e il PD), nella consapevolezza che in Italia la stagione del centro-sinistra è finita. In Europa è evidente la crisi profonda delle tradizionali famiglie socialiste. Ogni giorno che passa aumenta il disagio e il disastro nel Paese. Renzi ha declinato il tema della vocazione maggioritaria come politica dell’uomo solo al comando, alibi per un partito trasformista pigliatutto in realtà dominato dall’agenda liberista dell’Eurozona. Noi vogliamo al contrario costruire una sinistra in grado di animare un ampio movimento di partecipazione popolare e di realizzare alleanze sociali e politiche che mettano radicalmente in discussione le “ricette” nazionali ed europee che hanno caratterizzato il governo della crisi da parte di Popolari e Socialisti. Sappiamo perfettamente che non è sufficiente unire quel che c’è a sinistra del Partito Democratico, o autoproclamarsi alternativi, per costruire un progetto all’altezza della sfida, davvero in grado di cambiare la vita delle persone. Ma siamo altrettanto convinte/i che senza questa unità il processo nascerebbe parziale, o non nascerebbe affatto. Per questo noi questa sfida la lanciamo oggi. Insieme. 2. DEFINIZIONI DEL SOGGETTO Il Soggetto politico che vogliamo sarà: DEMOCRATICO, sia nel suo funzionamento interno (una testa un voto regola guida, strumenti e momenti di partecipazione diretta e online, pratiche di co-decisione tra rappresentanti istituzionali e cittadini, costruzione dal basso del programma politico) sia perché deve essere il punto di riferimento e di azione di tutte/i i democratici italiani DI TUTTE E TUTTI, perché deve essere il luogo in cui tutte/i coloro che si contrappongono alle politiche neoliberiste, alla distruzione dell’ambiente e dei beni comuni, alla svalutazione del lavoro, alla crescente xenofobia, alle guerre, all’attacco alla democrazia possono ritrovarsi e organizzarsi in un corpo collettivo capace di superare antiche divisioni nell’apertura e nel coinvolgimento delle straordinarie risorse fuori dal circuito tradizionale della politica. ALTERNATIVO e AUTONOMO rispetto alle culture politiche prevalenti d’impronta neoliberista che ci condannano al declino sociale e culturale, di cui oggi il PD tende ad assumere il ruolo di principale propulsore e diffusore. INNOVATIVO sia nelle forme sia per la rottura con il quadro politico precedente, così come sta avvenendo in molti paesi europei. Differente dal sistema politico corrotto e subalterno di cui siamo avversari. EUROPEO in quanto parte di una sinistra europea dichiaratamente antiliberista, che, con crescente forza e nuove forme, sta lottando per cambiare un quadro europeo insostenibile. 3. L’anno che verrà – Il 2016 Il 2016 ci presenta passaggi politici di grande importanza: le amministrative che coinvolgono le principali grandi città, il referendum sullo stravolgimento della Costituzione e la possibile campagna referendaria contro le leggi del governo Renzi. In coerenza con il nostro obiettivo principale per la scadenza delle amministrative vogliamo lavorare alla rinascita sociale, economica e morale del territorio, valutando in comune ovunque la possibilità di individuare candidati, di costruire e di sostenere liste nuove e partecipate in grado di raccogliere le migliori esperienze civiche e dal basso e di rappresentare una forte proposta di governo locale in esplicita discontinuità con le politiche dell’attuale esecutivo. Fondamentale è la costruzione di una forte campagna per il NO nel referendum sulla manomissione della Costituzione attuata dal governo Renzi e il sostegno alle campagna referendarie in via di definizione contro le leggi approvate in questi 2 anni. 4. QUINDI… Al fine di avviare il processo Costituente di questo soggetto politico, convochiamo per il 15-16-17 gennaio 2016 una assemblea nazionale aperta a tutti gli uomini e le donne interessati a costruire questo progetto politico. Da lì parte la sfida che ci assumiamo e lì definiremo la nostra carta dei valori. L’assemblea darà avvio alla Carovana dell’Alternativa, individuando le forme di partecipazione al progetto politico. Si tratta di definire il nostro programma, le nostre campagne e la nostra proposta politica in un cammino partecipato e dal basso che con assemblee popolari e momenti di studio e approfondimento coinvolga movimenti, associazioni, gruppi formali e informali unendo competenze individuali e collettive. Entro l’autunno del 2016 ci ritroveremo per concludere questa prima fase del processo e dare vita al soggetto politico della sinistra. Roma, 3 novembre 2015

venerdì 6 novembre 2015

VIMODRONE: POSSIBILE REGISTRARE IL PROPRIO TESTAMENTO BIOLOGICO

Testamento Biologico: istituito il registro comunale La dichiarazione anticipata di volontà è un documento scritto nel quale il dichiarante, capace di intendere e di volere, indica preventivamente i trattamenti medici cui essere/non essere sottoposto nel caso, in futuro, si trovasse nella condizione di incapacità e le proprie volontà anche per quanto riguarda il fine vita, la cremazione del proprio corpo o la dispersione delle ceneri. Per accedere al registro che il Comune di Vimodrone ha aperto, è necessario prima di tutto compilare il proprio testamento biologico: quando avrete deciso dove conservare il vostro “biotestamento”, potrete registrarlo presso l’Ente.
Grazie per le visite!
banda http://www.adelebox.it/