venerdì 28 febbraio 2014

MILANO 1 MARZO ANTIRAZZISTA – MANIFESTAZIONE NAZIONALE P.LE LORETO

MILANO 1 MARZO ANTIRAZZISTA – MANIFESTAZIONE NAZIONALE P.LE LORETO – 1 marzo Antirazzista I DIRITTI PER LE/I MIGRANTI = DIRITTI PER TUTTE E TUTTI Manifestazione cittadina a Milano partenza da Piazzale Loreto/arrivo in Duomo Concentramento alle ore 14,30 Europa: un muro per molti un privilegio per pochi Sono trascorsi quasi 5 mesi dall’ecatombe di Lampedusa in cui in pochi attimi, 369 persone, uomini, donne e bambini hanno perso la vita a due passi dalla salvezza. Nel Mediterraneo, quello che, dagli albori della civiltà, ha rappresentato il ponte naturale fra culture, in pochi anni oltre 20 mila profughi da guerre e dittature hanno incontrato la morte. Il Mediterraneo è oggi un cimitero a cielo aperto. Accade perché entrare regolarmente in Europa è impossibile, perché è impossibile veder applicato il diritto di asilo, perché si spendono centinaia di milioni di euro in dispositivi volti a contrastare gli arrivi. Il Mediterraneo è oggi un mare totalmente militarizzato, dalle navi dell’agenzia europea Frontex, dalle missioni dei singoli Paesi il cui compito è scoraggiare gli arrivi e solo in subordine salvare chi rischia la vita. E non solo il Mediterraneo, ma quanto accade nel Mar Egeo in Grecia, le mura costruite in Turchia, le sparatorie nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco, non c’è angolo di confine che non veda repressione e violenza. Da anni si costruiscono centri di detenzione per migranti provenienti dall’Africa Sub Sahariana in Paesi in cui non sono garantiti i più elementari diritti umani, se ne finanzia la realizzazione i paesi europei, si formano gli agenti di polizia, funzionari anche italiani. Eppure si continua a partire, affidandosi nelle mani di trafficanti senza scrupoli che non fanno altro che aumentare le loro tariffe e chi ha la fortuna di arrivare, sfuggendo a guerre note come il conflitto siriano o a tensioni dimenticate come quelle che attraversano l’intero Corno d’Africa, si ritrova con un sistema di falsa accoglienza in cui le immense risorse di cui l’Italia usufruisce vengono gestite in modo approssimativo, clientelare e disarticolato. E i numeri lasciano il posto alle storie di singole persone che, dopo aver attraversato un deserto, aver lavorato come schiavi magari in Libia, essersi imbarcati sfidando il mare, si ritrovano a dormire in una tendopoli senza avere prospettive di futuro. La legislazione italiana, come quelle di ambito europeo, poco offre come possibilità reali mentre ci sono cooperative, società, consorzi anche con finalità apparentemente umanitarie, che lucrano su tante tragedie. C’è una ragione per cui questo accade. Non è vero che si vuole impedire totalmente l’ingresso di questi uomini e di queste donne. Una parte di loro deve poter entrare in Europa per vivere e lavorare da irregolare, manodopera ricattabile, invisibile, schiavizzata e perennemente in bilico. Su questi uomini e queste donne, impiegati in numerosi comparti, dall’agricoltura al lavoro domestico, dall’edilizia alla logistica, si fonda una catena di sfruttamento senza fine che nessuno osa combattere fino in fondo. Per alcuni non avviene così. Numerosi Paesi europei si stanno attrezzando con dispositivi che consentono di acquistare direttamente la cittadinanza o la residenza permanente a costo di cifre enormi. Malta vende 1800 cittadinanze a persone provenienti da ogni angolo del mondo al costo di 650 mila euro, l’Ungheria vende la residenza in cambio dell’acquisto di titoli di Stato, in Spagna si vorrebbe concedere il certificato di residenza a chi acquista uno dei tanti appartamenti invenduti frutto della bolla speculativa degli scorsi anni. Entrano i ricchi insomma con i loro capitali, soprattutto dalla Cina e dalla Russia, capitali di cui nessuno controlla la provenienza perché alle persone si chiede un permesso di soggiorno mentre ai soldi è dato libero accesso. Una frontiera di classe per una Europa di classe insomma, che mente quando parla di diritti e di sicurezza da tutelare e ragiona solo in termini di mercato e di profitto. Una frontiera che per troppi significa morte, violenza, sfruttamento e che per alcuni significa la libertà di fare affari col mondo intero. Non è questa l’Europa per cui battersi. Noi vogliamo un’altra Europa.

RENZI, GIRO DI BOA PER IL PD - ROSSANDA DA "SBILANCIAMOCI"

RENZI, GIRO DI BOA PER IL PD Di Rossana ROSSANDA da “SBILANCIAMOCI” Affermare – come ha fatto Matteo Renzi nell'introduzione alla nuova edizione di "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio – che il Pd non intende più collocarsi a sinistra conclude l'ultimo giro di boa del partito democratico. Simbolico, ma fa impressione che questo arrivi proprio quando in Italia si superano i 4 milioni di senza lavoro. Si conclude, con il nuovo governo e la sua carta di identità allegata su Repubblica da Matteo Renzi, l’ultimo giro di boa simbolico del Pd. Simbolico, perché nelle scelte concrete era già consumato da un pezzo, ma dare il vero nome ai fatti non è cosa da poco (non è passatempo da giorni festivi, come verseggia Eliot a proposito del nome da dare al proprio gatto). Che il Pd precisi come la sua immagine non debba più essere a sinistra, o di sinistra, riconoscendo come sola discriminante culturale e sociale “il nuovo e il vecchio” non è una gran novità, il concetto ci svolazza attorno da un bel pezzo, ma affermare che il Pd non intende più collocarsi a sinistra resta uno scatto simbolico rilevante. Non solo infatti, come taluni vagheggiavano, non è più in grado di compiere scelte di sinistra, poniamo, da Monti, ma neppure mira più a farle e a questo scopo ha scelto come proprio leader “Matteo” per chiarirlo una volta per tutte. Non in parlamento – nessuno, a cominciare da Giorgio Napolitano ha tempo da perdere – ma su un giornale amico e a governo varato. Lo fa prendendosi qualche licenza culturale, come citare Norberto Bobbio contro Bobbio esempio di chi, se aveva ragione in passato, non l’avrebbe più oggi, quando la distinzione tra destra e sinistra non avrebbe più senso. Pazienza, oggi ne vediamo di ben altre. Fra le innovazioni trionfanti c’è che ciascuno riveste o spoglia dei panni che più gli aggrada il defunto scelto come ispiratore. Più significativo è che il concetto archiviato indicava il peso assegnato da ogni partito alla questione sociale e dichiararla superata proprio mentre si sfiorano e forse si superano i quattro milioni di senza lavoro, fa impressione. Forse per questo l’ex sindaco di Firenze si era scordato di informarci su quel job act che doveva presentare entro gennaio; ma in primo luogo non risulta che durante le consultazioni qualcuno glielo abbia ricordato, in secondo luogo nel governo se ne occuperà la ministra Guidi, donna imprenditrice esperta in quanto allevata dal padre confindustriale. Sappiamo dunque che dobbiamo attenderci con il nuovo esecutivo e dobbiamo al Pd tutto il peso, visto che né la sua presidenza né la sua minoranza gli hanno opposto il proprio corpo, al contrario hanno sgombrato il campo sussurrando come il melvilliano Bartleby “preferirei di no”. Della stessa pasta la stampa, affaccendata dal sottolineare lo storico approdo delle donne a metà del governo sottolineando il colore delle giacche e il livello dei tacchi, cosa che dovrebbe far riflettere le leader di “Se non ora quando”. Eccola qui l’Ora, ragazze, non si vede dove stia la differenza. Il nuovo che avanza ha rilanciato anche Berlusconi, primo interpellato da Renzi per incardinare tutta l’operazione. Condannato da mesi per squallidi reati contro la cosa pubblica ad astenersi dalla politica è stato ricevuto non già dai giudici di sorveglianza, bensì dal capo dello stato per illustrargli quello che pensa e intende fare sul futuro del paese. Per ora appoggia Renzi, rassicurando i suoi che non è un comunista. Rossana Rossanda, www.sbilanciamoci.it

sabato 15 febbraio 2014

mercoledì 12 febbraio 2014

I DIECI PUNTI DI TSIPRAS

I DIECI PUNTI DI TSIPRAS


Il partito della Sinistra Europea mi ha eletto come candidato per la presidenza della Commissione dell’Unione Europea nel quarto congresso il 13-15 Dicembre a Madrid.

È un onore e un onere.

L’onore non è solo personale. La candidatura del leader del partito di opposizione in Grecia simboleggia il riconoscimento dei sacrifici del popolo greco. Simboleggia anche la solidarietà per tutti i popoli del Sud dell’Europa che hanno subito le catastrofiche conseguenze sociali dei Memoranda di austerità e recessione.

Ma, più che una candidatura, è un mandato di speranza e cambiamento in Europa. È un appello per la Democrazia a cui ogni generazione merita di partecipare, e in cui ogni generazione ha il diritto di vivere. È una lotta per il potere di cambiare la vita quotidiana della gente ordinaria. Per citare Aneurin Bevan, un vero social-democratico e il padre del Servizio Sanitario Nazionale Britannico, il potere per noi significa “l’uso di un’azione collettiva con lo scopo di trasformare la società e innalzare tutti noi, insieme”.

Io non sono un candidato del Sud dell’Europa. Sono un candidato di tutti cittadini, indipendentemente dal loro indirizzo, sia del Nord sia del Sud, che vogliono un’Europa senza austerità, recessione e Raccomandazioni. La mia candidatura aspira a raggiungere tutti voi, senza distinzioni di ideologie politiche e di voti nelle elezioni nazionali. Unisce gli stessi popoli che sono divisi dalla gestione neolìberista della crisi economica. Integra l’indispensabile allenza anti- Memoranda del Sud in un ampio movimento Europeo contro l’austerità – un movimento per la ricostruzione democratica dell’unione monetaria.

La mia candidatura si rivolge soprattutto i giovani. Per la prima volta nell’Europa del dopoguerra una giovane generazione ha aspettative peggiori rispetto a propri genitori. I giovano vedono le proprie aspirazioni bloccate dall’elevata disoccupazione e la prospettiva di crescere senza lavoro o sottopagati. Dobbiamo agire - non per loro ma con loro – e dobbiamo agire ora!

Dobbiamo urgentemente superare la divisione tra Nord e Sud dell’Europa e demolire il “muro monetario” che separa gli standard e le possibilità di vita nel continente.

L’Eurozona è sull’orlo di un collasso. Questo non è dovuto all’Euro in se, ma al neoliberismo – alle politiche di austerità che, anziché supportare la moneta unica, l’hanno indebolita. Ma, insieme alla moneta unica, hanno indebolito anche la fiducia dei cittadini nell’Unione Europea e il supporto per avanzare e approfondire l’integrazione in Europa. È per questa ragione che crediamo che il neo-liberismo non fa altro che stimolare l’euro-scetticismo. E che dovremmo abbandonare l’austerità e recuperare la Democrazia.

Quello che è successo negli anni della crisi è che l’estabishment politico ha colto l’opportunità di riscrivere la politica economica del dopoguerra. La gestione politica della crisi del debito dell’Eurozona è inserito nel processo di trasformazione istituzionale dell’Eurozona Sud sul modello del Capitalismo neo-liberista Anglo-Sassone. La diversità nelle istituzioni nazionali non è tollerata. L’imposizione delle regole è la pietra fondante delle leggi recentemente approvate dalla Commissione Europea per incrementare il controllo economico sull’Eurozona. La Cancelliera Merkel in Germania, insieme all’élite burocratica neo-liberista in Bruxelles, tratta la solidarietà sociale e la dignità umana come ostacoli economici e la sovranità nazionale come un fastidio. L’Europa è costretta a indossare la camicia di forza dell’austerità, delle disciplina e della deregolamentazione . Peggio ancora, l’Europa rischia una “generazione perduta” della sua popolazione più giovane e talentuosa.

Questa non è la nostra Europa. È solo l’Europa che vogliamo cambiare. Al posto di un’Europa piena di paura della disoccupazione, della disabilità, della vecchiaia e della povertà; al posto di un’Europa che ridistribuisce i guadagni ai ricchi e la paura ai poveri; al posto di un’Europa che serve le necessità dei banchieri, vogliamo un’Europa al servizio dei bisogni umani.

Il cambiamento è possibile e avverrà! Coloro che dicono che l’Europa in cui viviamo non può cambiare, lo dicono perché non vogliono che l’Europa cambi. Perché hanno interessi a non voler cambiare l’Europa. Dobbiamo riunire l’Europa e ricostruirla su basi democratiche e progressive. Dobbiamo riconnettere l’Europa con le sue origini Illuministiche e dare priorità alla Democrazia. Perché l’Unione Europea sarà democratica o cesserà di esistere. E per noi, la Democrazia non è negoziabile.

La sinistra Europea si sta battendo per una Europa democratica, sociale ed economica. Questo obbiettivi strategici definiscono le nostre tre priorità politiche:

1. Porre fine all’austerità e alla crisi. Un’Eurozona senza austerità è possibile. Perché l’Austerità è in sé una crisi – non è una soluzione per la crisi. Costringe l’Europa ad oscillare tra recessione e un incremento anemico del GDP. Ha gonfiato la disoccupazione registrata in Europa. È la causa dell’incremento del debito pubblico dell’Eurozona dal 70,2% nel 2008 al 90,6% nel 2012. A questo scopo, lavoreremo per una soluzione comprensiva e definita del debito dell’Eurozona. Apriremo la strada alla reflazione coordinata delle economie Europee. Perchè la deflazione minaccia la stabilità. Abbiamo riassunto il nostro piano politico contro la crisi in dieci punti, e la presenteremo nella prossima sezione.

2. Mettere in moto la trasformazione ecologica della produzione. La crisi non è solo economica. È anche ecologica, nel senso che riflette un paradigma economico insostenibile in Europa. Di conseguenza, abbiamo bisogno di una simultanea trasformazione economica ed ecologica delle società europee per emergere dalla crisi e creare una solida base per lo sviluppo con giustizia sociale, impiego stabile e decente e una migliore qualità di vita per tutti. Abbiamo bisogno di questa trasformazione adesso! La gestione della crisi nell’Eurozona Sud attraverso le famigerate “Troika” ha aggiunto una crisi ambientale alla crisi fiscale di quelle nazioni, rinforzando la divisione tra il Nord e il Sud. Inoltre, col pretesto della crisi e la ricerca di una soluzione rapida alla situazione economica, l’Unione Europea e gli stati membri hanno rilassato le proprie politiche ecologiche e limitato la sostenibilità, nel migliore dei casi, a misure di efficienza energetica e di materie prime. Un caso tra tutti, anche se l’Europa abbonda di casi simili, e il supporto dato dal governo greco alla multinazionale mineraria Eldorado Gold, che ha iniziato operazioni minerarie su larga scala nella foresta primordiale di Skouries in Halkidiki.

L’Europa ha bisogno di un cambio di paradigma a favore della sostenibilità. A questo scopo, abbiamo bisogno di una politica pubblica ecologica che sia priorità alla sostenibilità e qualità, cooperazione e solidarietà. Per esempio, una politica pubblica ecologica pianificherebbe, incoraggerebbe e finanzierebbe un’istruzione a favore della sostenibilità e indirizzerebbe verso carriere in settori sostenibili. La trasformazione ecologica della produzione include un’ampia gamma di settori politici, quali: Riforma delle tasse, che cambierebbe la logica della tassazione spostando il suo peso sul consumo di risorse piuttosto che sull’impiego, l’eliminazione di sovvenzioni a imprese nocive per l’ambiente, la preservazione della biodiversità, la sostituzione dell’energia convenzionale con risorse rinnovabili, l’investimento nella ricerca ambientale e lo sviluppo di coltivazione organica e trasporto sostenibile, insieme al rifiuto di qualsiasi accordo commerciale trans-atlantico che non garantisca alti standard sociali ed ambientali.

3. Riformare la struttura dell’immigrazione in Europa. La ricerca umana di una vita migliore è inarrestabile. I confini bloccano i diritti umani, non le persone. Finché rimane la differenza tra i guadagni e le prospettive dei pesi d’origine e quelli dell’Unione Europea rimane enorme o continua ad aumentare l’immigrazione in Europa continuerà. L’Unione Europea dovrebbe dimostrare doppia solidarietà: esterna, verso i paesi d’emigrazione, e interna, con un giusto collocamento geografico degli immigrati. In particolare, l’Unione Europea dovrebbe prendere l’iniziativa politica per una nuova relazione con questi paesi, migliorando l’assistenza allo sviluppo e la capacità per lo sviluppo endogeno con pace, democrazia e giustizia sociale. In parallelo, è necessario cambiare l’architettura istituzionale per l’asilo e l’immigrazione. Dobbiamo assicurare la protezione dei diritti umani nel territorio europeo e pianificare misure per salvare i migranti in mare aperto, per organizzare centri di accoglienza e adottare nuove leggi che regolino l’accesso dei migranti ai Paesi europei in modo giusto e proporzionato, prendendo in considerazione, per quanto possibile, i desideri individuali. I fondi dell’Unione dovrebbero essere distribuiti in modo più sensato; le recenti tragedie di Lampedusa e Farmakonisi dimostrano che sia il Patto Europeo per l’Immigrazione e l’Asilo e la Regolazione Dublino II [Regulation (EC) 343/2003 and Regulation (EU) 604/2013] devono essere corretti immediatamente. Soggetti a semplici e trasparenti criteri, i migranti dovrebbero avere la possibilità di chiedere asilo direttamente allo stato membro a loro scelta e non al Paese attraverso cui entrano nell’Unione Europea. Il paese d’ingresso dovrebbe fornirgli documenti di viaggio che permettano di raggiungere la loro destinazione. Rifiutiamo la “Fortezza Europa” che non fa altro che promuovere xenofobia, razzismo e fascismo. Lavroiamo per un’europa che sia inattaccabile dall’estrema destra e dal neo-nazismo.

Ma l’Europa non sarà ne sociale ne ecologica se non è democratica. E so non è democratica, alienerà i suoi cittadini proprio come succede oggi. Perché, in questo momento cruciale, l’Unione Europea è decaduta in un’oligarchica e anti-democratica industria al servizio delle banche, delle multinazionali e dei ricchi. La Democrazia, in Europa, è in ritirata. E non c’è dubbio che dobbiamo prre fine all’austerità per recuperare la Democrazia. Questo perché l’austerity neo-liberista è stata imposta ai Paesi del Memorandum per mezzo di misure legislative che indeboliscono i parlamenti nazionali; ha rimosso diritti sociali ed economici dei cittadini mediante misure proprie degli stati di polizia. Allo stesso tempo, la struttura e le operazioni delle istituzioni europee, alle quali sono state trasferite le competenze e i diritti nazionali sono prive di legittimità democratica e trasparenza. Burocrati anonimi al di sopra della legge non possono sostituire i politici eletti.

Ma, perché la discussione della democrazia in Europa sia significativa, l’unione Europea necessita di un budget significativo e di un Parlamento Europeo che ne decida l’allocazione e che insieme ai Parlamenti nazionali decida l’esecuzione e controlli la sua efficienza. La riorganizzazione democratica dell’Unione Europea è l’obbiettivo politico per eccellenza. A questo scopo, dovremmo estendere la partecipazione del pubblico e l’interesse dei cittadini nello sviluppo delle politiche e dei servizi europei. In parallelo, dovremmo potenziare la istituzioni che hanno una legittima base democratica, come il parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Questo implica iniziative politiche concrete, come primo passo nel restituire ai parlamenti nazionali il ruolo centrale nella legislazione e nelle decisioni sul budget nazionale. Questo significa la sospensione degli articoli 6 e 7 della Regolazione (EU) 473/2013 (il secondo dei due pacchetti di atti legislativi nell’Eurozona) riguardo al monitoraggio e la valutazione dei piani economici nazionali, che danno alla Commissione Europea il diritto di controllare e modificare i budget nazionali prima dei rispettivi parlamenti. Secondariamente, come è stato già detto, implica che sia il Parlamento Europeo che i Parlamenti nazionali abbiano maggior controllo sul budget europeo. Implica anche che il parlamento europeo sia un meccanismo democratico di controllo sul Consiglio Europeo e la Commissione Europea. Ma un’Europa democratica non può essere democratica e consensuale entro i propri confini e arrogante, militaristica e guerrafondaia all’estero. Per questa ragione, abbiamo bisogno di un sistema di sicurezza europeo fondato sul negoziato e sul disarmo. Nessun soldato europeo dovrebbe operare al di fuori dell’Europa.

I. UN PIANO IN 10 PUNTI CONTRO LA CRISI, PER LA CRESCITA CON GIUSTIZIA SOCIALE E IMPIEGO PER TUTTI.

L’Eurozona è il livello ideale per implementare politiche progressiste finalizzate alla crescita, alla redistribuzione delle ricchezze e alla creazione di posti di lavoro. Questo è perchè l’unione monetaria ha maggiore libertà di ciascuno dei suoi costituenti presi separatamente ed è meno esposta alla volatilità e instabilità dell’ambiente esterno. Ma il cambiamento richiede sia un piano politico fattibile che un’azione collettiva.

Per concludere la crisi Europea, è necessario un cambi dratico di regime. Questa priorità serve il nostro piano politico di dieci punti:



1. Immediata fine dell’austerità. L’Austerità è una medicina nociva somministrata al momento sbagliato con devastanti conseguenze per la coesione della società, per la democrazia e per il futuro dell’Europa. Una delle cicatrici lasciate dall’austerità che non mostra segni di guarigione è la disoccupazione – in particolare tra i giovani. Oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupati nell’Unione Europea, di cui più di 19 milioni nell’Eurozona. La disoccupazione ufficiale nell’Eurozona è salita dal 7,8% nel 2008 al 12,1% nel Novembre 2013. In Grecia, dal 7,7% al 24,4% e in Spagna dal 11,3% al 26,7% nello stesso periodo. La disoccupazione giovanile in Grecia e Spagna si aggira intorno al 60%. con 4,5 milioni di under-25 disoccupati, l’Europa firma la sua condanna a morte.



2. Un New Deal europeo. L’economia europea ha sofferto 6 anni di crisi, con disoccupazione media sopra il 12% e il rischio di una depressione pari a quella degli anni 30. l’Europa potrebbe e dovrebbe prendere in prestito denaro a basso interesse per finanziare un programma di ricostruzione economica focalizzato sull’impiego, sulla tecnologia e sull’infrastruttura. Il programma aiuterebbe le economie colpite dalla crisi ad emergere dal circolo vizioso di recessione e incremento del debito, creare posti di lavoro e sostenere il recupero economico. Gli Stati Uniti ce l’hanno fatta. Perché non noi?



3. L’espansione dei prestiti alla piccola e media impresa. Le condizioni dei prestiti in Europa è nettamente deteriorata. Le piccole e medie imprese sono state colpite ancora più duramente. Migliaia di queste, soprattutto nelle economie in crisi del Sud dell’Europa sono state costrette a chiudere, non perché non erano sostenibili, ma perché il credito era esaurito. Le conseguenze per i posti di lavoro sono state terribili. I tempi straordinari richiedono misure straordinarie: la banca centrale europea dovrebbe seguire l’esempio delle Banche Centrali degli altri paesi e fornire prestiti a basso interesse alle banche se queste accettano di di fare credito a piccole e medie imprese.



4. Sconfiggere la disoccupazione. La disoccupazione media europea è la più alta mai registrata. Molti dei disoccupati rimangono senza lavoro per più di un anno e molti giovano non hanno mai avuto l’opportunità di ricevere un salario per un impiego decente. La maggior parte della disoccupazione è il risalutato dello scarso o nullo sviluppo economico, ma anche se la crescita riprende, l’esperienza ci insegna che sarà necessario molto tempo perché la disoccupazione torni al livello di prima della crisi. L’Europa non può permettersi aspettare così a lungo. Lunghi periodi di disoccupazione sono devastanti per le abilità dei lavoratori, specialmente i giovani. Questo nutre l’estremismo di destra, indebolisce la democrazia e distrugge l’ideale europeo. L’Europa non dovrebbe perdere tempo, dovrebbe mobilitarsi e ridirigere i Fondi Strutturali per creare significative possibilità d’impiego per i cittadini. Laddove i limiti fiscali degli stati membri sono stretti, i contributi nazionali dovrebbero essere azzerati.



5. Sospensione del nuovo sistema fiscale europeo: richiede pareggio di bilancio anno per anno, indipendentemente dalle condizioni economiche dello stato membro. Di conseguenza rimuove la possibilità di usare le politiche fiscali come uno strumento di stabilità nei momenti di crisi, quando è più necessario, mettendo in pericolo la stabilità economica. In breve, è un’idea pericolosa. L’Europa necessita di un sistema fiscale che assicuri la responsabilità fiscale sul medio termine e allo stesso tempo permetta agli stati membri di usare lo stimolo fiscale durante una recessione. Una politica modificata ciclicamente che esenti gli investimenti pubblici è necessaria.



6. Una vera e propria banca europea che possa prestare denaro come ultima risorsa per gli stati-membri e non solo per le banche. L’esperienza storica suggerisce che le unioni monetarie di successo necessitano di una banca centrale che adempia a tutte le funzioni di una banca e non serva solo a mantenere la stabilità dei prezzi. Il prestito a uno stato bisognoso dovrebbe essere incondizionato e non dipendente dall’accettazione di un programma di riforme con il Meccanismo di Stabilità Europea. Il fato dell’Euro e la prosperità dell’Europa dipende da questo.



7. Aggiustamento macroeconomico: i paesi in surplus dovrebbero lavorare quanto i paesi in deficit per correggere il bilanciamento macroeconomico all’interno dell’Europa. L’Europa dovrebbe monitorare valutare e richiedere azione dai Paesi in surplus sotto forma di stimolo, per alleviare la pressione unilaterale sui Paesi in deficit. L’attuale asimmetria non danngiia solo i paesi in deficit. Danneggia l’intera Europa.



8. Una Conferenza del Debito Europeo. La nostra proposta è ispirata ad uno dei più lungimiranti momenti nella storia politica Europea. Questo è l’Accordo di Londra sul Debito del 1953, che alleviò il peso economico della Germania, aiutando a ricostruire la nazione dopo la guerra aprendo la strada per il suo successo economico. L’Accordo richiedeva il pagamento di, al massimo, la metà dei debiti, sia privati che intergovernativi. Legava i tempi del pagamento all’abilità del Paese di ripagare, diluendoli su un periodo di 30 anni. Collegava il debito allo sviluppo economico, seguendo una implicita clausola di crescita: nel periodo tra il 1953 e 1959 gli unici pagamenti dovuti erano gli interessi del debito. Questo ritardo nei pagamenti aveva lo scopo di concedere alla Germania il tempo di recuperare. A partire dal 1958, l’Accordo prevedeva pagamenti annuali che diventarono sempre meno significativi con la crescita dell’economia. L’accordo prevedeva che la riduzione dei consumi della Germania, quello che oggi chiamiamo “devalutazione interna”, non era un metodo accettabile di assicurare il pagamento dei debiti. I pagamenti erano condizuionati dalla possibilità di pagare. L’Accordo di Londra è in diretto contrasto con l’erronea logica dei pagamenti richiesti dal trattato di Versailles, che ostacolava la ricostruzione dell’economia tedesca e creava dubbi sulle intenzioni degli Alleati. L’Accordo di Londra rimane un piano d’azione utilizzabile anche oggi. Non vogliamo una Conferenza del Debito Europeo per il Sud dell’Europa. Vogliamo una Conferenza del Debito Europeo per l’Europa. In questo contesto, si dovrebbero usare tutti gli strumenti politici disponibili, inclusi i prestiti dalla Banca Europea come ultima risorsa oltre alla istituzione di un debito sociale europeo, come gli Eurobond, per sostituire i debiti nazionali.



9. Un Atto Glass-Steagall Europeo. L’obbiettivo è separare le attività commerciali e gli investimenti bancari per prevenire la loro unificazione in un’entità incontrollabile.



10. Una legislazione Europea effettiva per tassare l’economia e le attività imprenditoriali offshore .



II. Questo è il momento di cambiare!

Per rendere possibile questo cambiamento, dobbiamo influenzare in modo decisivo la vita dei cittadini europei. Non vogliamo semplicemente cambiare la attuali politiche ma anche estendere l’interesse e la partecipazione del pubblico nella politica e nella scrittura delle leggi europee. Di conseguenza, dobbiamo creare la più ampia possibile alleanza politica e sociale.

Dobbiamo alterare l’equilibrio del potere politico per poter cambiare l’Europa. Il neo-liberismo non è un fenomeno naturale ne qualcosa di invincibile. È solo il prodotto di scelte politiche in un particolare equilibrio storico di forze. Deve la sua longevità come paradigma economico a politiche socio-democratiche risalenti agli anni ’90. Queste hanno favorito i principi neo-liberisti in corrispondenza a una progressiva deriva verso destra. Per molti Europei, i socio-democratici sembrano l’eco di un’era passata. Non per noi! Ma il disagio sociale dell’attuale crisi e lo scetticismo dell’elettorato verso lo status quo politico hanno condotto le loro strategia ad uno stallo. I socio-democratici non possono permettersi di perdere tempo. Qui ed ora, devono fare uno storico passo in avanti per ridefinirsi nella percezione e nella coscienza pubblica come una forza della sinistra democratica. Ridefinendosi in opposizione al neo-liberismo e alle fallimentari politiche del Partito Popolare Europeo e dell’Alleanza Liberale. O, come è stato accuratamente detto, diventando una forza politica “disposta ad essere tanto radicale quanto la stessa realtà”.

L’Europa è arrivata ad un bivio critico. Nelle elezioni europee del 25 Maggio, due chiare alternative per il presente ed il futuro sono sul tavolo: o rimaniamo immobili con i conservatori e i liberisti, o ci muoviamo avanti con la Sinistra Europea. O acconsentiamo allo status quo neo-liberista – fingendo che la crisi si possa risolvere con le stesse politiche che l’hanno causata- o guardiamo al futuro rappresentato dalla Sinistra Europea.

Ci rivolgiamo soprattutto all’ordinario cittadino europeo che tradizionalmente ha votato per i socio-democratici: per prima cosa, perché eserciti il suo diritto di voto il 25 Maggio, anziché astenersi e lasciare che gli altri votino al suo posto, e che voti per la speranza ed il cambiamento – votando la Sinistra Europea. Possiamo ricostruire la nostra Europa di lavoro, cultura ed ecologia. Ancora una volta nella storia della nostra casa comune- che è l’Europa – dobbiamo ricostrirla come un insieme di società democratiche e giuste. Per ricostruire l’Europa è necessario cambiarla. E dobbiamo cambiarla adesso, perché sopravviva.

Mentre le politiche neo-liberisti trascinano indietro la ruota della Storia, è il momento che la sinistra spinga avanti l’Europa.

Alexis Tsipras

venerdì 7 febbraio 2014

TSIPRAS ALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PRC: «CAMBIARE IL VOLTO DELL’EUROPA. SE NON NOI, CHI?»

TSIPRAS ALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PRC: «CAMBIARE IL VOLTO DELL’EUROPA. SE NON NOI, CHI?» Con il saluto alla Direzione nazionale di Rifondazione comunista è iniziato il tour italiano di Alexis Tsipras, il leader di Syriza candidato della Sinistra europea alla presidenza della Commissione Ue alle prossime elezioni di maggio. Un riconoscimento esplicito al lavoro del Prc che «unico in Italia ha avanzato la mia candidatura dentro la Sinistra Europea», come ha detto ringraziando per questo Rifondazione comunista e il suo segretario Paolo Ferrero (che ricambiano con standing ovation finale sulle note di “Avanti popolo”). Una candidatura che lo stesso Tsipras riconoscere essere nata da un impegno comune, dal fatto di aver «lottato insieme» già dai giorni del G8 del 2001, quando lui era «uno dei manifestanti cui fu impedito di arrivare a Genova». E quella, dice il leader di Syriza, era già l’Europa che volevano costruire: una «Europa autoritaria e sempre meno democratica». Un’Europa dove «il capitale può circolare liberamente, ma non le persone». Ma siccome «si può impedire alle persone di circolare, ma non alle idee», noi siamo qui a difendere «le idee e i valori della solidarietà, della democrazia reale, della coesione sociale. Questa è la nostra risposta alla crisi provocata dal neoliberismo». E’ un momento «strategico», avverte Tsipras, che richiede «cambiamenti profondi», a partire dagli accordi e dai trattati, per far nascere un’Europa «più amica delle persone», con più democrazia e protezione sociale: «Se non noi, chi?» chiede retoricamente. Tsipras resterà in Italia tre giorni, durante i quali dovrà prendere forma la lista italiana in suo sostegno. Il leader di Syriza chiede di imboccare la strada della «collaborazione per raggiungere il miglior risultato possibile non solo in Grecia». L’8 e 9 febbraio si svolgerà a Roma il meeting dell’esecutivo del Partito della Sinistra Europea (SE) che ha proposto Alexis Tsipras – che del Partito della Sinistra Europea è vicepresidente – candidato a Presidente della UE. All’ordine del giorno le prossime elezioni europee, la campagna per Tsipras Presidente e la conferenza sul debito, che si terrà a marzo a Bruxelles. Del Partito della Sinistra Europea fanno parte – tra gli altri – Rifondazione Comunista, Syriza, la Linke, Izquierda Unida, il Partito Comunista Francese, il Bloco de Esquerda. Parteciperanno all’incontro coi giornalisti, domani, sabato 8 febbraio, per presentare il progetto della Sinistra Europea per le europee 2014: Pierre Laurent, segretario del Partito Comunista Francese e presidente della Sinistra Europea, Alexis Tsipras, leader di Syriza e vice presidente della Sinistra Europea, candidato a Presidente della Commissione Ue, Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista, Maite Mola, del Partito Comunista Spagnolo-Izquierda Unida, vice presidente del Partito della Sinistra Europea, Fabio Amato, responsabile Esteri Prc, del segretariato del Partito della Sinistra Europea.

RIUNIONE DIREZIONE NAZIONALE PRC, CON IL SALUTO DI ALEXIS TSIPRAS

VENERDÌ 7 FEBBRAIO RIUNIONE DIREZIONE NAZIONALE PRC, CON IL SALUTO DI ALEXIS TSIPRAS Presso la sede nazionale del Prc in Viale del Policlinico, 131, a Roma, si riunirà la Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista per discutere della costruzione della lista per Tsipras Presidente della UE nelle elezioni europee. Siamo molto contenti di annunciare che nell’ambito di un incontro degli organismi dirigenti di Rifondazione Comunista Alexis Tsipras porterà il suo saluto. La possibilità di dar vita in Italia ad una lista unitaria che sostenga Tsipras è per noi motivo di particolare orgoglio, perché Rifondazione Comunista è l’unico partito italiano che fa parte del Partito della Sinistra Europea che nel mese di dicembre ha avanzato ufficialmente la candidatura di Tsipras a Presidente della Commissione Ue.

lunedì 3 febbraio 2014

PROPORZIONALE. CHIAMIAMOLA "PERFECTUM", È LA LEGGE DELLA CORTE COSTITUZIONALE.



IL SOPRUSO DELLA MINORANZA da “il manifesto ” DEL 29 GEN 2014 DI Gianpasquale Santomassimo PROPORZIONALE E DEMOCRAZIA. CHIAMIAMOLA "PERFECTUM", È LA LEGGE DELLA CORTE COSTITUZIONALE. DALLA LEGGE ACERBO ALLA LEGGE TRUFFA: LA STORIA REPUBBLICANA, I TENTATIVI FALLITI (OGGI RIUSCITI) DEL FURTO DEMOCRATICO Nell’esperienza italiana, il proporzionale è la democrazia. Lo è sempre stato, del resto. Quando esistevano davvero dei democratici, le loro rivendicazioni fondamentali erano: suffragio universale e sistema proporzionale. Non era un metodo elettorale come un altro, ma una civiltà. Significava opporsi al sistema dei notabili, dei maggiorenti che si riunivano al Circolo dei Nobili, nella Loggia massonica o nell’ufficio del Prefetto, e designavano il candidato per il collegio, che avrebbe ottenuto il consenso dei possidenti e il sostegno delle autorità. Una minoranza che si trasformava in maggioranza escludendo le classi popolari o riducendo ai minimi termini la loro rappresentanza. Era la rivendicazione naturale dei partiti popolari con una visione nazionale (o anche internazionale) che andasse oltre la ristretta dimensione localistica, contro la piccola politica ridotta a pura gestione di clientele e favori nel proprio collegio. Nell’unica occasione in cui nel Regno d’Italia si votò con il proporzionale, imposto nel 1919 dalla situazione post­bellica, dall’ingresso forzato delle masse nella vita dello Stato e voluto anche dall’unico presidente del consiglio che si fosse autodefinito “democratico”, Francesco Saverio Nitti, il mondo rivelato da quelle elezioni sovvertiva tutte le raffigurazioni ufficiali e usuali. Era un’Italia in cui socialisti e cattolici erano la maggioranza del paese, e i liberali una minoranza. Contro quel mondo venne mossa una guerra dura e spietata, sanguinosa, e la conquista del proporzionale venne presto schiacciata. Ma va ricordato che nelle elezioni del 1924 con la fascistissima legge Acerbo entrarono comunque in parlamento il Psu con 5,90% e 24 deputati, il Psi, 5,03%, 22 deputati e il PCd’I, col 3,74% e 19 deputati. Ai reazionari seri importava prendere a tutti i costi il premio di maggioranza (con le buone e soprattutto con le cattive) ma non c’erano le soglie di sbarramento all’8% o al 12% del bipolarismo straccione del nostro tempo. Dal 1945, con la conquista della democrazia e del suffragio realmente universale (maschile e femminile) il proporzionale divenne il naturale metodo di formazione del parlamento. Non si trova indicato nella Costituzione perché implicito nella Costituzione stessa e nei suoi principi ispiratori. L’unico tentativo di stravolgere la democrazia parlamentare fu l’approvazione nel 1952 della “legge truffa”, definita tale per tre motivi: 1) non voleva assicurare governabilità, ma spadroneggiamento, perché andava a chi aveva già rag­giunto la maggioranza assoluta; 2) era possibile da conseguire solo per il blocco di centro, perché le opposizioni socialcomuniste e fasciste non avrebbero mai potuto coalizzarsi; 3) e soprattutto dava un premio spropositato che consentiva alla maggioranza di cambiare la costituzione a suo piacimento. Fallito di misura quel tentativo, sulla civiltà del proporzionale si è retta la Repubblica italiana nell’epoca delle sue maggiori conquiste sociali, civili, culturali. Preparata da una lunghissima campagna rivolta all’opinione pubblica e da una vera e propria demonizzazione della democrazia parlamentare, nel 1993 la forma della Repubblica è stata cambiata surrettiziamente attraverso un referendum demagogico che minava alla base la struttura della nostra democrazia. Da allora i voti dei cittadini non valgono tutti allo stesso modo. Il maggioritario ha scardinato il principio della rivoluzione francese “una testa, un voto”. Il popolo è stato convinto di eleggere direttamente un governo e un pre­mier, nella “Costituzione reale” che si è sovrapposta alla Costituzione scritta. E’ una convinzione profondamente radicata, dopo vent’anni di maggioritario, di ideologia o addirittura di “religione” ad esso ispirata. Un popolo di sudditi pensa che la democrazia consista nell’investire di un potere quasi assoluto un caudillo. Tutti hanno potuto constatare il crollo verticale di credibilità e di rappresentanza che la politica ha vissuto negli ultimi vent’anni. Eppure persistono leggende radicatissime che demonizzano la “prima Repubblica”. C’erano troppi partiti, si dice. Erano mediamente sette: nulla a che fare con gli oltre quaranta raggruppamenti censiti all’epoca dei governi di Silvio Berlusconi. C’erano piccoli partiti, si dice. C’era qualche piccolo partito, dignitoso e pieno di storia, come il partito repubblicano di La Malfa: nulla a che fare con gli “amici di Mastella”, i “responsabili” di Scilipoti e via dicendo. Cambiavano troppi governi, si dice, vero, ma si dimentica la sostanziale continuità di un sistema politico che ha avuto pochissime svolte nell’arco della sua esistenza. Se si fosse voluto veramente ovviare a que­sto problema si poteva inserire in Costituzione il principio della sfiducia costruttiva, che garantisce la stabilità della più solida democrazia europea, quella tedesca, che era – con molte differenze — anche la più vicina al nostro ordinamento. E a proposito di sistema tedesco, va ricordato come, nel suo totale analfabetismo istituzionale, Matteo Renzi abbia dichiarato più volte che è inconcepibile che la Merkel pur avendo vinto le elezioni sia stata costretta a fare “inciuci” con le opposizioni. Ma si chiama democrazia parlamentare, non è la “Ruota della Fortuna”, per governare devi avere una maggioranza in parla­mento, e anche prima delle ultime elezioni la Merkel non aveva la maggioranza assoluta ma governava assieme ai liberali, ora scomparsi dal parlamento. E non è vero che “in tutto il mondo” la minoranza che prende un voto in più delle altre si prende tutto il cucuzzaro, come ritiene il politico di Rignano sull’Arno: questa assurdità esisteva solo nel nostro sistema elettorale che la Corte ha dichiarato incostituzionale. Oggi dalla fossa biologica del maggioritario si levano voci preoccupate di opinionisti che ammoniscono a non tornare nella “palude del proporzionale”. L’ideologia del maggioritario, con l’invocazione di maggiore governabilità a scapito della rappresentanza, ricorda ormai un alcolizzato all’ultimo stadio che invoca sempre più alcool di pessima qualità invece di provare a disintossi­arsi. Si usa dire, anche a sinistra, che il proporzionale renderebbe obbligatorie le larghe intese. Non è affatto vero: perché un sistema elettorale comporta scelte diverse da parte degli elettori, come si vide nell’Italia del 1919 (e come, in negativo, abbiamo visto nell’Italia del 1994), e un voto libero da assilli e ricatti di voto “utile” o coartato può finalmente rispecchiare il paese reale e dargli rappresentanza. Certo questo sistema richiederebbe comunque intese come è nella normalità della democrazia parlamentare, e richiederebbe capacità di far politica, di trovare mediazioni, di dare rappresentanza alla complessità della società. Temo che qui si aprirebbe una battaglia molto difficile, soprattutto a sinistra, dove la droga maggioritaria ha fatto perdere completamente la cognizione della realtà e dei rapporti di forza. Non riguarda solo il Pd, nato con una “vocazione maggioritaria” (che in genere è servita a creare maggioranze altrui), ma anche i cespuglietti subalterni che non sarebbero in grado di superare il quorum ma conducono vita parassitaria in simbiosi con l’organismo del partito maggiore. Basare tutte le obiezioni alla legge elettorale sul tema delle preferenze (una particolarità italiana che non esiste in quasi nessun paese europeo) rivela una debole ipocrisia, laddove sono in gioco temi molto più seri e gravi: rappresentanza della società, pluralismo politico, la stessa sopravvivenza di una democrazia parlamentare e costituzionale. Ma qui viene a galla l’equivoco che ha accompagnato tutte le mobilitazioni dell’autoproclamata “società civile” contro il Porcellum, che non si sono mosse contro lo stravolgimento della rappresentanza e il maggioritario in sé, ma in nome del ritorno al collegio uninominale dei notabili e degli accordi preventivi tra piccoli e grandi partiti. Ed è incredibile che oggi in Italia la battaglia di civiltà del proporzionale sia affidata al solo Beppe Grillo. Bisogna che qualcuno cominci a dire che non accetterà la legittimità di governi di minoranza, che i premi di maggioranza sono un furto di rappresentanza, che una legge elettorale che trasforma una minoranza in maggioranza è comunque una truffa, qualunque nomignolo latino si voglia dare a questo sopruso. I due partiti che si mettono d’accordo per spartirsi il parlamento ed escludere milioni di cittadini dalla rappresentanza mettono assieme soltanto il 45% dei voti espressi: non possono pretendere di ritagliarsi un sistema elettorale su misura che escluda il resto del paese. Andiamo verso tempi difficilissimi, forse drammatici, per tutta l’Europa e anche e soprattutto per il nostro paese. Abbiamo bisogno di istituzioni che rappresentino tutti i cittadini, che non escludano nessuno, che riattivino un tessuto di solidarietà che è stato lacerato negli ultimi decenni. Abbiamo bisogno di veri partiti e non di comitati elettorali o formazioni personali, abbiamo bisogno di vera politica dopo vent’anni di ubriacature dell’antipolitica. Una legge elettorale l’abbiamo già, ed è quella disegnata dalla Corte Costituzionale. Chiamiamola Perfectum se è obbligatorio un nome latino. Si sciolgano le Camere e si vada a votare con quella: avremo un parlamento che rispecchia realmente il paese e che sarà l’unico legittimato a cambiare la Costituzione, nelle forme previste dalla Costituzione stessa.


DEMOCRAZIA ROTTAMATA


DEMOCRAZIA ROTTAMATA


Ha fatto presto Berlusconi a innalzare il suo trofeo: queste – ha detto – non sono le riforme di Renzi, sono le mie riforme, che io perseguo da vent’anni, fin dalla mia discesa in campo. E Renzi si è vantato di aver fatto in un mese ciò che gli altri non erano riusciti a fare per vent’anni; gli altri, cioè, appunto, Berlusconi.

Sicché non a torto i costituzionalisti, criticando la legge elettorale presentata dai due, e giudicandola peggiore del “Porcellum”, hanno scritto che “l’abilità del segretario del PD è consistita nell’essere riuscito a far accettare alla destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa varata nel 2005 e oggi dichiarata incostituzionale”.

Nel trofeo innalzato dall’uno e dall’altro non c’è però solo la legge elettorale, c’è anche l’abolizione del Senato e la modifica dell’ordinamento costituzionale delle Regioni. Che poi davvero queste tre riforme vadano in porto è tutto da vedere: gli emendamenti piovono copiosi, l’accordo PD-Forza Italia è presentato come un prendere o lasciare, e con questi metodi prepotenti così lontani dalla mediazione politica, diventa molto probabile che si sfasci tutto, a cominciare dal governo.

In ogni caso, fatta la legge, c’è chi vorrebbe subito usarla per andare a votare; ma questa legge non lo permette, a meno di sprofondare nel caos. Ancora nessuno lo ha detto, ma finché c’è il Senato, che ha un elettorato diverso per età da quello della Camera, c’è il rischio di due risultati difformi nei due rami del Parlamento: o che il premio di maggioranza nella Camera dei deputati vada a una coalizione diversa ed opposta rispetto a quella del Senato, o che scatti al primo turno per una Camera e solo col ballottaggio per l’altra: altro che sapere la sera stessa delle elezioni chi ha vinto e governa!

A noi interessa però guardare un po’ più lontano nel futuro, e intanto cercare di capire perché Berlusconi, Renzi e il Partito Democratico abbiano concordato e fatto proprie queste tre riforme.

Per quanto riguarda Berlusconi è chiaro. Il “Porcellum” è un diritto illegittimo, perché in contrasto con la Costituzione; ma solo con un diritto illegittimo, che trasforma una minoranza nell’unica forza dominante in Parlamento, a fronte di un’opposizione ridotta di numero e resa impotente, si può realizzare il progetto di un capo populista della destra che diventa padrone di tutto lo Stato. Il cosiddetto “Italicum”, ad onta della sentenza della Corte costituzionale, riproduce, aggravato, questo modello di diritto illegittimo.

Anche nella forma esso non si presenta come una nuova legge elettorale, ma come la vecchia legge corretta per via di emendamenti; come tale lascia intatta la logica del “Porcellum”, e in particolare lascia in vigore l’art. 14 bis che tendeva a ridurre la costellazione politica, sia pure bipolare, a due soli partiti. Infatti esso pretende che i partiti che confluiscono in una coalizione perdano qualsiasi identità ed autonomia: essi devono avere lo stesso programma del partito maggiore, lo stesso capo (anche se interdetto?) e se non superano una certa soglia di voti non hanno diritto ad entrare con propri rappresentanti in Parlamento. Insomma Alfano deve avere per capo Berlusconi e Vendola Renzi.

Salvo modifiche che possano essere portate all’ultima ora (ma dai suoi proponenti il testo è stato presentato come blindato) il progetto Renzi-Berlusconi innalza la soglia di sbarramento per i partiti coalizzati dal 2 al 5 per cento[1], e quella per i partiti non coalizzati al livello proibitivo dell’8 per cento dei voti (impossibile da raggiungere anche per la Lega). Le coalizioni, poi, per essere ammesse alla ripartizione dei seggi, dovrebbero avere almeno il 12 per cento dei suffragi, che altrimenti diventano inutili.

A questa prima distorsione del risultato si aggiunge il premio di maggioranza che sarebbe dato, al primo turno o al ballottaggio, al partito o alla coalizione che abbia raggiunto il 35 per cento dei voti (che Berlusconi non vuole alzare perché conta di vincere al primo turno[2]) e che otterrebbe tra il 53 e il 55 per cento dei seggi. Ciò renderebbe del tutto sproporzionato, contro la sentenza della Corte, il rapporto tra voti conseguiti e seggi assegnati, alterando irrimediabilmente la rappresentanza. Di più, nel nuovo “Porcellum” c’è la conferma delle liste bloccate, anche se più corte, senza alcuna possibilità di scelta da parte dei cittadini.

Così configurata, la nuova legge elettorale distrugge il pluralismo politico, e cioè lo specifico della democrazia; non solo toglie i cespugli, cioè – come dice Renzi – libera i partiti maggiori dal “ricatto dei piccoli partiti”, ma toglie tutti gli alberi del bosco lasciandone solo uno a dominare il deserto e un altro, mutilato e umiliato, a riceverne l’ombra come parte di un unico sistema. In tal modo le elezioni invece che essere una scelta tra diverse opzioni politiche per il governo del Paese, si trasformano in una successione ereditaria per la quale il potere già esistente perpetua se stesso aggiornando di volta in volta per cooptazione le nomenclature al comando nei due partiti. Dopo tante invettive contro la casta una legge più castale di così non si poteva immaginare.

Quanto al Senato è evidente l’interesse di Berlusconi ad abolirlo: dal suo punto di vista non solo la Camera Alta, ma tutto il Parlamento è una spesa inutile; per la Camera aveva già detto che basterebbe che si riunissero i capigruppo per decidere ogni cosa, e quanto al rapporto di fiducia col governo non c’è nessun bisogno del Parlamento, basta la fiducia dei cittadini. Riguardo poi al titolo V della Costituzione se il Senato e i partiti sono enti inutili, figurarsi se ci si può far scrupolo delle Regioni, che di tutto il sistema sono le peggio riuscite.

Ma se per Berlusconi le ragioni di queste scelte sono chiare, non lo sono affatto per Renzi. La sua dovrebbe essere un’altra cultura; certo potrebbero influire l’inesperienza dell’età, la presunzione del narcisismo, la malagrazia nei rapporti personali, soprattutto con i dissenzienti, l’azzardo del gioco politico, ma un segretario del PD che d’accordo con Berlusconi crei le condizioni per l’instaurazione del regime berlusconiano non è spiegabile. Finora ciò è stato impedito dalla resistenza della Costituzione, dal controllo di legittimità della magistratura, dalle scelte, anche referendarie, dell’elettorato, dall’opposizione delle forze democratiche e dello stesso PD; ed ecco che ora al regime interdetto viene di nuovo spalancata la porta del potere: “con questa legge – ha detto Brunetta – stravinciamo”.

Probabilmente ciò di cui è vittima Renzi è la sindrome del Truman-show, del reality, per cui crede che quello che appare in televisione c’è nella realtà; e in televisione c’è il mito Renzi, il vincitore, e crede che questo mito non possa avere smentite.

Resta da chiedersi perché il Partito Democratico è entrato in questa fase di rottamazione. Non è vero che la sua classe dirigente anelasse da anni a queste riforme per restare sola al comando. C’era anzi l’idea di essere eredi di un’investitura nobiliare da salvatori della democrazia. Però si è aperto un vuoto. C’è stata una rottura più forte di quella provocata dalla “vocazione maggioritaria” di Veltroni, c’è stata la perdita delle sue culture. Il Partito Democratico ne aveva raccolte due: della cultura comunista aveva buttato l’acqua sporca insieme al bambino, restando privo di economia politica; della cultura cattolica aveva intercettato solo i residui della versione democristiana, restando irraggiungibile dalle novità della Chiesa conciliare e tanto più, ora dalla critica di sistema di papa Francesco.

Se queste sono le ragioni del disastro, le ragioni della rinascita possono essere solo nell’avvento di nuove culture politiche e di nuovi partiti. Senza cultura e senza partiti la democrazia non si fa. Ma essi devono essere all’altezza di una vocazione europea e mondiale e pari alla sfida della incalzante controrivoluzione postnovecentesca.

di Raniero La Valle
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