sabato 29 gennaio 2011

SABATO 29 GENNAIO 2011 - MILANO - MOBILITIAMOCI PER RIDARE DIGNITA’ ALL’ITALIA




Manifestazione
sabato 29 gennaio
2011
ore 15 - Piazza della
Scala

MOBILITIAMOCI
PER RIDARE

DIGNITA’

ALL’ITALIA


Continua a crescere nel Paese l’indignazione per lo spettacolo di mercimonio e attacco alla dignità delle donne messo in atto dal Presidente del Consiglio difeso da una pletora di corifei.















Per dare voce alla dissociazione da questa Italia e testimoniare che la coscienza sociale e civile di questo paese è lontanissima da quanti in questo momento la rappresentano al Governo, è stato



lanciato un appello dal titolo “MOBILITIAMOCI PER RIDARE DIGNITA’ ALL’ITALIA” ed è stata indetta una manifestazione a Milano per

SABATO 29 gennaio ’11
alle ore 15

in Piazza della Scala

venerdì 28 gennaio 2011

SCIOPERO, ATTO PRIMO




SCIOPERO, ATTO PRIMO

di Guido Viale


Il referendum di Mirafiori è stato un esempio importante di resistenza operaia a un diktat imposto in nome della globalizzazione. Lo sciopero di oggi indetto dalla Fiom sarà una prima, difficile, verifica di un confronto che investe ormai tutto il paese. L’elaborazione a cui il seminario di Uniticontrolacrisi ha dato inizio vuole essere sia un contributo alla definizione di una alternativa concreta alle imposizioni di una competitività globale e senza sbocco che sta portando il mondo verso il baratro, sia l’inizio di un collegamento operativo tra le principali componenti che hanno dato vita all’incontro: la Fiom, in rappresentanza del mondo del lavoro che resiste e rivendica salvaguardia e sviluppo dei diritti del lavoro; il movimento di studenti e ricercatori, che oggi è la parte più organizzata di un esercito precari o di giovani a cui è stato rubato il futuro, ma che racchiude tutte le potenzialità di un collegamento tra quella resistenza e il mondo dei saperi tecnici, scientifici e sociali; i centri sociali, in rappresentanza dell’universo di coloro che precari lo sono già e che su questo hanno creato forme autonome di aggregazione sul territorio. Di qui nasce il dibattito su beni comuni e riconversione del sistema produttivo e dei modelli di consumo.L’aggressione alle condizioni e ai diritti dei lavoratori della Fiat e delle maestranze di molte altre aziende è il modo in cui vengono fatti pagare al mondo del lavoro i costi della crisi, i vincoli della globalizzazione e della sua competizione sfrenata; nel caso specifico, quella dell’industria automobilistica. Perciò anche la risposta – la difesa a oltranza dei diritti e la tutela della salute e della vivibilità degli ambienti di lavoro – non può essere disgiunta dalla ricerca di modelli di consumo e da un’organizzazione della produzione alternativi a quelli attuali – nel caso dell’industria dell’auto, da modelli di mobilità sostenibile – non più fondati su una competizione che intende arruolare le maestranze di un’azienda in una guerra permanente, e sempre perdente, contro quelle di tutte le altre aziende; bensì su rapporti di cooperazione in cui che cosa, come, dove e per chi produrre possano essere scelte condivise.La ricerca di questa alternativa deve misurarsi però con la crisi ambientale e con i rischi imposti dall’attuale sistema di produzione e consumo: cosa che nei governi, nell’imprenditoria o nella finanza, sia nazionali che globali, non trova alcun ascolto.Molti dei beni e degli stili di vita – sia di chi vi ha accesso che di chi soltanto vi aspira – come molte delle attuali produzioni dovranno prima o poi essere dismesse; meglio farlo prima, in forma graduale e concertata, che poi, in forme improvvise, catastrofiche, e sotto l’incalzare della crisi economica e di quella ambientale. Non si deve temere di individuare, ovviamente attraverso il più ampio dibattito, i consumi e le produzioni insostenibili; né di dirlo apertamente, anche quando ciò sembra mettere in discussione la temporanea collocazione e la provvisoria sicurezza di chi è impegnato in quelle produzioni o di chi considera irrinunciabili quei consumi. Il problema è coinvolgere questi soggetti in un percorso concreto e condiviso verso condizioni, lavori e stili di vita più liberi e sicuri. Viceversa, per sostituire alla devastazione dell’ambiente, della convivenza e della salute pratiche più sostenibili dovranno essere promosse e incentivate altre forme di consumo, altre scelte produttive, altre modalità di cooperazione: sia all’interno di uno stesso impianto che tra aziende, enti o territori diversi. Non si tratta di fantasie; sono già oggi oggetto di pratiche, sperimentazioni, ricerche cui non viene data la visibilità dovuta.L’intensificazione dello sfruttamento e la compressione dei diritti dei lavoratori, sia alla Fiat che in altre aziende grandi, medie o piccole, avvicina la condizione dei lavoratori a tempo indeterminato – i cosiddetti “garantiti” – all’esercito dei precari e dei giovani a cui né scuola né mondo del lavoro offrono più un futuro. La ricerca di una via di uscita è ormai un obiettivo e un compito comune. Si aggiunga che per trent’anni il “pensiero unico” che ha guidato e giustificato una globalizzazione predatoria e autoritaria ha potuto colonizzare le menti di milioni e forse miliardi di persone sulla base dell’assunto che a governare sia il mondo che l’esistenza di ciascuno devono essere gli interessi privati. Perché privato vuol dire efficiente e ciò che non è privato non può che essere statale e inefficiente: sottratto al “libero” gioco di un mercato ormai controllato da poche centrali della finanza internazionale, per essere predato dalle burocrazie o dalle cosche degli Stati. Promotori e artefici della conversione ambientale devono lasciarsi dietro le spalle la falsa alternativa tra privato e statale, imboccando il percorso difficile e graduale – perché fondato su una sperimentazione continua – verso la condivisione dei beni comuni; beni e attività da sottrarre al controllo sia degli interessi privati che delle diverse articolazioni del potere statale, per promuoverne la gestione in forme trasparenti di autogoverno.
Gli ambiti a cui fa riferimento questa prospettiva sono due: il primo è costituito da esperienze di lotta e organizzazione già in corso, con obiettivi chiari e definiti – anche se suscettibili di continui approfondimenti e ampliamenti – e che hanno accumulato grandi patrimoni di buone pratiche, di legami sociali, di saperi pratici e teorici, come le lotta della Val di Susa, il comitato No Dal Molin, la campagna contro la privatizzazione dei servizi idrici, le mobilitazioni dei pendolari, molte lotte contro gestioni o progetti scellerati nel campo dei rifiuti, molte iniziative per il controllo di scuole, nidi, attività culturali, servizi sanitari. Ma anche molte esperienze “molecolari” come quella dei Gas, gruppi di acquisto solidale, suscettibili di un’enorme espansione sia numerica – già in corso – che tematica: sono infiniti gli acquisti solidali che possono essere gestiti, a partire da quelli energetico.Il secondo ambito è dato da quei movimenti che si impongono sulla scena sociale con la loro urgenza, anche se la formulazione di obiettivi e strategie, quand’anche circostanziata, è lungi dall’aver esaurito le loro potenzialità: innanzitutto la resistenza dei lavoratori della Fiat e le lotte di tutte le aziende in crisi o sottoposte a processi di ridimensionamento, ristrutturazione o delocalizzazione; poi il movimento degli studenti, dei ricercatori e di quei docenti che hanno solidarizzato con loro; infine le prime, embrionali, mobilitazioni dei lavoratori migranti e le iniziative di coloro che promuovono per loro accoglienza e sostegno.Lungo il percorso di cui lo sciopero di oggi costituisce una prima importantissima tappa, non solo i soggetti che fanno capo a Uniticontrolacrisi, ma tutti coloro che avvertono l’urgenza di difendere, insieme ai diritti del lavoro, i cardini della vita democratica e la necessità di politiche orientate alla sostenibilità, possono riconoscersi in un’agenda comune. I suoi punti cardine sono l’aggregazione di soggetti e componenti diverse, con storie e culture differenti, con obiettivi e prospettive per ora scollegate; lo sviluppo congiunto di progetti condivisi: dagli ambiti più semplici, ma irrinunciabili, quali informazione e sensibilizzazione delle persone e delle reti che ciascuno è in grado di raggiungere, a quelli più complessi, quali la messa a punto di rivendicazioni, di nuove pratiche, o di iniziative di autorganizzazione sul modello dei Gas e dei centri sociali.Fondamentale in questa congiuntura sociale è la combinazione delle pratiche di lotta o di autorganizzazione con i saperi che il movimento universitario, il mondo della ricerca e quello della cultura possono mobilitare e mettere a disposizione degli altri movimenti, in modo che il tema della conversione ambientale diventi il centro di un nuovo sentire, contrapposto al “pensiero unico” e in grado di sgomberare il campo dai residui con cui, in misura maggiore o minore, esso continua a intasare le menti di ciascuno di noi. Ma, soprattutto, in modo da promuovere, partendo dall’università, una vera riforma dei saperi: che investa non solo l’organizzazione del mondo accademico, l’entità e le fonti del suo finanziamento, ma soprattutto i contenuti della cultura che in esso si elabora e si trasmette. Questo nuovo rapporto tra lotte, movimenti e saperi potrà dare forma, in ogni ambito territoriale o settoriale raggiungibile, a istituti di consolidamento e di autogestione delle nuove aggregazioni; cioè a embrionali organi di autogoverno dei beni comuni.

dal manifesto 28 gennaio 2011












NON

DIMENTICARE...

MAI

lunedì 24 gennaio 2011

SCIOPERO - L'ITALIA CHE NON SI PIEGA - 28 GENNAIO 2011





SCIOPERO







L'ITALIA







CHE







NON







SI







PIEGA







28 GENNAIO 2011









































VIMODRONE: IN PIAZZA PER LO SCIOPERO DEL 28 GENNAIO


VIMODRONE 23 GENNAIO 2011 ore 10/12 - ARANCIA METALMECCANICA
A SOSTEGNO DELLE LOTTE DEI
METALMECCANICI DELLA FIOM - CGIL.

Le arance verranno distribuite domenica 23 gennaio mattina dalle 10 alle 12 in Piazza V. Veneto a Vimodrone.

A sostegno delle lotte per la difesa dei DIRITTI dei lavoratori.

Il senso di questa iniziativa, è quello di sostenere lo SCIOPERO DEL 28 GENNAIO e dare un aiuto concreto ai lavoratori in lotta , ma anche quello di, unita' e solidarieta' tra le classi lavoratrici, nell'ottica di un blocco sociale in grado di opporsi concretamente alle politiche liberiste basate sulla speculazione economica e sullo sfruttamento di classe, a beneficio di pochissimi e a danno di tutti gli altri.

Le arance biologiche distribuite, sono state acquistate da produttori siciliani ad un prezzo concordato aiutandoli a non essere strozzati dai prezzi capestro imposti dalla grande distribuzione (12 cent €./Kg).

I produttori raccolgono le arance senza fare uso di lavoro nero e nel rispetto della dignità dei lavoratori.

ARANCIA METALMECCANICA è UNA CAMPAGNA DOPPIAMENTE UTILE: EQUA CON I COLTIVATORI E SOLIDALE CON I LAVORATORI METALMECCANICI IN LOTTAI.

Nei banchetti le arance sono distribuite in retine da 2,5 Kg. Al costo di 4 €.

SOSTIENI ARANCIA METALMECCANICA
SOSTIENI I LAVORATORI CHE LOTTANO PER DIFENDERE I DIRITTI NEI LUOGHI DI LAVORO
CONTRIBUISCI ALLO SCIOPERO DEL 28 GENNAIO 2011 DEI METALMECCANICI.

FIRMA ANCHE TU L'APPELLO DI CAMILLERI ED ALTRI A SOSTEGNO DELLA FIOM – CGIL

L'APPELLO (sito MICROMEGA)

"Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici.
Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.
Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori
metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti".

Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack



Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa, don Paolo Farinella.




LA CARAMBOLA DEL FEDERALISMO


LA CARAMBOLA DEL FEDERALISMO

di Matteo Bartocci
Bossi lo dice a modo suo: «Ho visto Berlusconi un po’ gibollato (ammaccato, ndr)», racconta dopo il lungo vertice notturno tra Carroccio e premier. In effetti il Cavaliere sostituisce il cerone con i colori di guerra ma attorno a lui, pretoriani a parte, ci si prepara al diluvio. Alle camere si lavora con i motori al minimo. E negli uffici – il termometro vero della vita politica – di fatto non si lavora più per nulla. Del resto il governo va avanti a strappi da più di un anno, «gibollato» prima dalla scissione di Fini e poi dagli scandali a ripetizione sul presidente del consiglio.
Il Pdl non ha nulla da chiedere a questa legislatura se non un po’ di vitalizi per i peones e la salvezza del suo padrone. La Lega prova a salvare il federalismo prima del naufragio. Il Carroccio conosce bene rischi e vantaggi del voto. E non a caso insiste: «Federalismo o morte», scherza Bossi.
La sicurezza del senatur si infrange sulla forza dei numeri. L’ultima bozza di Calderoli sul fisco municipale viene bocciata dal presidente dell’Anci Sergio Chiamparino in un incontro riservato tra il ministro, il sindaco di Torino e il presidente della «bicameralina» Enrico La Loggia. Il no dei comuni è il segnale che si attendeva: terzo polo e Pd chiedono al governo le modifiche necessarie altrimenti voteranno no. In cambio, prima il terzo polo e poi il Pd offrono alla maggioranza un salvacondotto per la legislatura: la proroga di alcuni mesi alla delega sul federalismo fiscale che scade il 21 maggio. Una mossa clamorosa (e di difficile attuazione) che Calderoli proverà a discutere oggi in consiglio dei ministri.
Sul federalismo dunque si ripete il copione sulla sfiducia a Bondi: il terzo polo rompe gli indugi e annuncia il no al ministro se non farà i cinque interventi a favore della cultura richiesti dai centristi. Il Pd segue a ruota, schiacciato tra Udc, Idv e sinistre e ormai incapace di una linea autonoma.
Bondi e federalismo, due cerini accesi sono meglio di uno. L’incidente parlamentare o l’assenza sospetta sono sempre possibili. Stando al calendario attuale, entrambi i voti potrebbero verificarsi alla camera mercoledì 26 gennaio, che così potrebbe diventare un’altra data chiave della legislatura come il 14 dicembre. A riprova del momento delicato, la riunione dei gruppi Pd di camera e senato che Bersani ha convocato per la sera del 25. Nei fatti, è un invito a Bossi a staccare la spina al governo e a trattare con l’opposizione. Su Bondi, del resto, si vota a scrutinio segreto. E sul federalismo è difficile andare avanti senza il sì delle autonomie (furiose anche al Nord per i tagli di Tremonti).Pd e centristi devono affondare Berlusconi senza affondare anche la legislatura. E l’accoppiata ministro-riforme è un capolavoro tattico che equivale a un tiro di carambola a tre sponde. Prima di colpire la boccia-premier, infatti, c’è il voto sul federalismo municipale nella «bicameralina» (prima sponda). I numeri dicono 15 pari tra maggioranza e opposizioni. Dunque il decreto sarebbe bocciato. Ma il presidente della commissione (La Loggia-Pdl), che per prassi non vota stavolta avverte che sarà costretto e lo farà. Pd e terzo polo allora prepareranno un testo alternativo. Un documento su cui, hai visto mai, l’altoatesina della Svp potrebbe pure passare con l’opposizione chiudendo la partita. Sapendo che anche se questa manovra dovesse fallire per la Lega si tratta di attraversare indenne anche la seconda sponda: il voto nelle commissioni Bilancio. A meno di un’epidemia improvvisa, in quella della camera la maggioranza non è più autosufficiente.
Ufficialmente il Carroccio stoppa le manovre con le cattive: se non passa il federalismo si va a votare. Ma in privato Tremonti, come un vero premier ombra, chiama Chiamparino e prova a ragionare su cifre e compensazioni per i comuni tartassati. La trattativa è appesa a un filo ma c’è. Se dovesse naufragare resta infine l’ultima sponda da colpire prima del tocco al premier: il voto su Bondi.Difficile sparigliare le carte nella maggioranza. Ma certo è che il Carroccio, più di tutti, è consapevole che con questi numeri contro il Quirinale (oltre al Csm, il Vaticano e la presidenza della camera) non si governa a lungo. Bossi non a caso elogia Napolitano, invita tutti tenere i toni bassi.Anche per questo Casini, Fini e Bersani sono sicuri: se il governo cadesse per un incidente parlamentare un minuto dopo si fa un altro esecutivo di transizione. Il problema è che la guida sarebbe sempre del Pdl.
Pd e terzo polo sperano ancora in un «ribaltone» vecchio stile, che tiri fuori Pisanu dall’ombra. «Ormai Berlusconi e il suo governo sono ai titoli di coda. È clamoroso che i partiti di opposizione si prodighino per salvarlo allungando l’agonia del paese, anziché impegnarsi in modo unitario per cacciarlo seduta stante», commenta con ampie ragioni Paolo Ferrero del Prc.

venerdì 14 gennaio 2011

VIA LIBERA AI REFERENDUM SU ACQUA E NUCLEARE








VIA LIBERA AI REFERENDUM SU ACQUA E NUCLEARE

Il via libera ai referendum sull’acqua e il nucleare consente di prefigurare un rovesciamento delle politiche liberiste con cui è stata affrontata finora la crisi.

La decisione della Consulta consente di avviare da subito una grande campagna referendaria che prefiguri un superamento in senso democratico delle politiche relative alla crisi.


La campagna per il referendum è lo strumento con cui si può realizzare attraverso la demercificazione e il rilancio del valore di bene comune dell’acqua pubblica intraprendendo la strada delle energie alternative che potrà aprirsi col sì al quesito contro il nucleare.

“BRIANGHETA” – LA NDRANGHETA IN BRIANZA


«Anche nel Nord politica e mafia vanno a braccetto»

Liberazione del 07/01/2011

Intervista a Marco Fraceti direttore dell'Osservatorio antimafia di Monza e Brianza e autore del libro "Briangheta"

"Briangheta" (Edizioni Punto Rosso, pp. 134, euro 7,00), è il primo lavoro fatto sulla 'ndragneta in Brianza. L'autore è Marco Fraceti, 55 anni, nato a Milano. Da sempre impegnato in politica: prima in Avanguardia Operaia, poi in Democrazia Proletaria e in Rifondazione Comunista. Ora collaboratore della rete antimafia nazionale attraverso l'Osservatorio sulle mafie nella Provincia di Monza e Brianza. Con altri ha scritto Quel Marx di San Macuto, dedicato all'indimenticato compagno Luigi Cipriani, deputato di Dp e componente la Commissione Parlamentare sulle Stragi e sulla P2.

Marco, quale nuovo nesso c'è tra politica e criminalità per l'esperienza che sta maturando in Lombardia?

Con questo libro entro nel merito di alcune questioni di malapolitica confermate da inchieste che da quattro o cinque anni hanno interessato la Brianza. Ci sono finiti dentro soggetti legati alla 'ndrangheta ma anche politici brianzoli, intercettati ma non indagati. Il tentativo Briangheta è di informare i cittadini della Brianza che non è assolutamente vero che la 'ndrangheta prolifera in territori sottosviluppati. E poi c'è la questione dell'intreccio con la politica. Enzo Ciconte, in 'Ndrangheta padana spiega molto bene il nesso che gli uomini della ndrangheta, la terza generazione, hanno con la politica. Se non ci fosse la politica la "ndrangheta" non avrebbe avuto la possibilità di attecchire come ha attecchito. Un solo soggetto è stato al confino, ma i comuni interessati da fatti di 'ndrangheta sono una quindicina. Così appare strano che né la politica né le istituziuoni se ne siano accorti.

Tra i comuni interessati c'è quello di Desio...

A Desio i fatti risalgono al 2004. Tutti sapevano cosa stava succedendo. Nonostante questo la Provincia di Monza e Brianza non vuole istituire la commissione antimafia. Il comune di Monza ha votato un ordine del giorno un anno fa e non è ancora successo niente. Tutti si dissociano dai fatti di criminalità e sembrano ogni volta cadere dal pero. Ci sono politici intercettati, un ex assessore della giunta Formigoni, che non è stato più ricandidato ma ancora ricopre il ruolo di segretario del consiglio regionale.

Insomma, la classica situazione in cui il "lasciar fare" di fatto favorisce la crescita del cancro. E la Lega Nord che dice?

La Lega sostiene che non hanno uomini indagati e dunque non possono essere soggetti coinvolti. Il problema è un altro: loro stanno al governo delle città più importanti, da Desio, Arcore, Lissone e Monza, dove succedono fatti che riguardano uomini del Pdl e loro assistono senza dire nulla. Nel comune di Monza ci sono per esempio due soggetti, uno intercettato nell'inchiesta "Tenace" sulle macchine movimento terra (azienda Perego) e viene definito un "soggetto a disposizione". Un altro, transfugo della politica monzese, oggi area Udc, sotto processo per truffa in quanto ha rilasciato assegni a vuoto che rientrerebbero in una inchiesta sulla camorra. Dunque gli uomini della Lega Nord se non direttamente coinvolti sono "complici" come denunciato da Roberto Saviano. Su questo c'è un capitolo del libro intitolato "le tre scimmiette della Lega Nord". C'è stato recentemente a Limbiate un convegno leghista dal quale è scaturito che la funzione della Lega nel rapporto con il PdL è quello di aiutarli a "disintossicarsi" da soggetti legati alla 'ndrangheta. Ogni commento diventa superfluo.

Su questo terreno Rifondazione comunista cosa sta facendo?

A Monza per esempio il sindaco sta svendendo il patrimonio cittadino per fare cassa. Sin dal mese di aprile abbiamo fatto un esposto in Procura sulla questione della svendita ai privati della Villa Reale (30.000 euro all'anno di affitto e una concessione trentennale). Nel consiglio comunale non è successo niente sino a quando è nato un comitato che ha raccolto più di 10.000 firme contro la svendita. Solo dopo è venuta a galla tutta la vicenda che altrimenti sarebbe rimasta sotto traccia. Da maggio giugno di quest'anno abbiamo chiesto in commissione sicurezza e viabilità il problema dei certificati antimafia delle imprese che lavorano nei cantieri pubblici, ancora oggi aspettiamo risposte. Stiamo ancora aspettando già da diversi mesi gli atti che riguadano le imprese che lavorano nei cantieri di viale Lombardia e del polo istituzionale. Non è sufficiente ai fini politici che la capofila dell'Ati risponda che va tutto bene. Se ci fosse una commissione antimafia con i poteri giusti allora le cose sarebbero più chiare. Per ora ci dobbiamo accontentare delle autocertificazioni di Impregilo.

L'ambiente politico-istituzionale non è certo favorevole alle indagini della magistratura.

I politici, in particolare quelli della Lega Nord, se la cavano dicendo che è tutta colpa o del soggiorno obbligato o dei "terroni". I fatti che nel libro vengono elencati dimostrano l'esatto contrario. Quando arrivò da queste parti Natale Iamonte, l'unico soggetto sottoposto al soggiorno obbligato in Brianza a Desio nel 1994, siamo nel pieno della tangentopoli brianzola. Non passava giorno che un politico brianzolo non finisse in carcere.

Quale è il grosso degli affari che ha messo sullo stesso percorso politica e criminalità?

Gli affari stanno intorno alle bonifiche non fatte e le grandi opere infrastrutturali come TAV lombarda e quarta corsia della A4. Stiamo parlando della Sisas di Pioltello e della città residence Santa Giulia a Rogoredo di Milano. Lì c'era una società che ha ricevuto milioni di euro dalla regione Lombardia, la SADI srl di Giuseppe Grossi, per bonifiche mai fatte (Sisas) o non fatte o fatte male (Santa Giulia). Nelle società di Grossi ci stava Rossana Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, senatur del Pdl lombardo soprannominato "sua sanità". La signora Gariboldi però era contemporaneamente socia di Massimo Ponzoni nella Pellicano SrL per la quale Ponzoni stesso ha ricevuto un avviso di garanzia per truffa e bancarotta fraudolenta; insieme alla Gariboldi e a Ponzoni c'erano anche Pozzi e Buscemi, ora ex assessori. All'epoca dei fatti, oggetto dell'indagine sulle sue società, Ponzoni era assessore all'ecologia in regione, e per le indagini di Santa Giulia era solo persona informata dei fatti ma non indagata. Con l'inchiesta su Santa Giulia scoppia il verminaio delle discariche abusive in Lombardia. Ma già dal 2008 tre discariche abusive (Briosco, Desio e Seregno) erano già state oggetto di una inchiesta "star wars". In una di queste cave vengono intercettati ndranghetisti poi arrestati, che parlano e uno dei due rassicura l'altro dicendogli: che «ci pensa Massimo». Massimo Ponzoni era l'assessore all'Ecologia della Regione Lombardia. Ponzoni ha seguito la linea del "far finta di niente". Alle ultime elezioni regionali però è stato quello che ha preso più preferenze, e tutte in Brianza. La storia intera è ben raccontata nel libro. Proprio nell'ultima puntata di Annozero è stato mandato un servizio proprio su queste discariche. L'Osservatorio Antimafia di Monza e Brianza, che mi onoro di dirigere, è stato querelato proprio dal signor Cannarozzo, quello che nel servizio prende a calci il giornalista che lo vuole intervistare, per la stessa denuncia fatta da noi già da novembre ma oggetto di iniziative e di interventi fatti da esponenti del Pd di Desio e da altri colleghi giornalisti in tempi meno sospetti. Ma gli affari non sono solo quelli che hanno fatto, sono quelli in divenire: la Pedemontana e le infrastrutture di EXPO 2015, un maloppo da 10/15 miliardi di euro. E a quanto pare la 'ndrangheta è già in prima fila per l'arrembaggio.

E la Compagnia delle Opere?

In questa settimana è arrivata l'avviso di garanzia al direttore degli ospedali di Desio e Vimercate Maurizio Amigoni con l'accusa di turbativa d'asta. Pietrogino Pezzano direttore generale dell'Asl Brianza è stato intercettato nell'inchiesta "infinito". Tutti e due sono comodamente al loro posto senza fare una piega e tutti e due ciellini. La questione della Cdo si potrà affrontare solo se ci sarà un "pentito" o un collaboratore di giustizia, da dentro, pronti a denunciare le malefatte di questa congrega che in nome di Cristo fanno solo affari. Vi sarebbero delle inquietanti analagie fra il sistema familistico della 'ndrangheta e il sistema clientelare della Cdo; una su tutte: il silenzio.

Quali sviluppi dobbiamo attenderci?

Con l'inchiesta "Infinito" è venuto fuori che a comandare sono le teste pensanti che stanno in Calabria. Il tentativo di fare una 'ndrangheta autoctona è fallito. Secondo, nella crisi economica prende sempre più piede l'economia illegale, nel senso più tradizionale, come il terreno della crisi del credito. Molte imprese sane vessate dal sistema bancario rischiano di finire nelle mani degli usurai pur di salvarsi; ma così facendo non capiscono che si infilano in un vicolo cieco. Per questo già dal 2008 l'ex Procuratore del Tribunale di Monza Pizzi denunciava che pur essendoci il pizzo e l'usura in Brianza non c'erano però l'abitudine a denunciare. Così ci troviamo di fronte a una situazione che oggettivamente favorisce l'intreccio criminale fra affari, politica e criminalità. A Monza dove ci sono 120mila abitanti ci sono 140mila titolari di un conto corrente. Siamo nella vetta delle città con più conti correnti. L'elemento innovativo è che a fare queste operazioni criminalì non sono uomini con la coppola ma laureati e manager capaci di relazionarsi con uomini politici privi di ideali e senza scrupoli. Una delle novità, che la politica potrebbe portare a supporto dei taglieggiati, sarebbe l'isitituzione del fondo antiusura; oppure un serio lavoro per il recupero dei beni confiscati. Ma come detto all'inizio dell'intervista da luglio, oltre alle roboanti dichiarazioni sul versante della politica brianzola tutto tace. Gli imprenditori sani sono lasciati da soli, la buona politica è un'eccezione e le seconde linee della 'ndrangheta brianzola, venute avanti dopo la decapitazione delle prime, continuano imperterrite i loro sporchi affari e la politica non fa un plisse.

martedì 11 gennaio 2011

OGGI ALLA FIAT, DOMANI IN TUTTI I LUOGHI DI LAVORO


OGGI ALLA FIAT, DOMANI IN TUTTI I LUOGHI DI LAVORO


Il diktat che Marchionne ha imposto a Mirafiori e Pomigliano, con l’accordo di Fim, Uilm, Fiesmic,Ugl rappresenta il più grave attacco al lavoro e alla democrazia del dopoguerra. Il peggioramento pesantissimo delle condizioni di vita e di lavoro va di pari passo con un attacco a diritti garantiti dalla Costituzione di una gravità senza precedenti.

E’ la volontà di riportare il lavoro ad una condizione servile, è la volontà di distruggere la Fiom per fare in modo che nei luoghi di lavoro esistano solo sindacati asserviti ai comandi dell’impresa.

- Si cancella il Contratto Nazionale per imporre condizioni di lavoro pesantissime:
per i ritmi, il taglio delle pause, il lavoro notturno, gli straordinari comandati senza contrattazione, il rifiuto dell’azienda di pagare i giorni di malattia a suo carico.

- Si cancella il diritto di sciopero, stabilendo che chi viola le clausole dell’accordo è passibile di “infrazione disciplinare” e quindi di licenziamento.

- Si elimina la possibilità per le lavoratrici e i lavoratori di poter eleggere i propri rappresentanti sindacali e si stabilisce che solo le organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l’accordo separato, abbiano diritto ad esistere in fabbrica, eliminando per chi dissente ogni agibilità sindacale.

E’ il lavoro schiavistico, la cancellazione della democrazia e della COSTITUZIONE. E’ un modello che non rimarrà confinato alla Fiat, ma che se non sarà contrastato e battuto diventerà il modello generale dei rapporti di lavoro nel nostro paese.

NON CI STIAMO!

E’ necessario che tutte le forze che non ci stanno, le forze di sinistra, si oppongano unitariamente a quanto sta avvenendo.

E’ necessaria l’unità dei movimenti, per i diritti del lavoro, per la scuola e l’università pubblica, per la difesa dell’ambiente e dei beni comuni.

E’ necessario lo sciopero generale.

Il 28 gennaio con la Fiom, per i diritti di tutte/i

sabato 8 gennaio 2011

Intervista a Landini



Intervista a Landini: "Il modello Fiat colpisce tutti"


(Il Manifesto, 05/01/2011)




È come al solito tranquillo, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, il sindacalista più amato e odiato degli ultimi anni. Cominciamo chiedendogli lumi sui diversi interventi sui giornali di lunedì (Di Vico sul Corsera, Farina della Fim) preoccupati di trovare una soluzione per far «rientrare» la Fiom in Fiat. Come se si capisse solo ora l'enormità dello strappo sulla rappresentanza, se si tiene fuori il sindacato più rappresentativo.«È evidente che in Italia non c'è una legge sulla rappresentanza. Di fronte al pluralismo sindacale reale, se non c'è una legge che riconosce ai lavoratori il diritto di eleggere i propri delegati e poter decidere sempre sugli accordi che li riguardano, un sistema di relazioni industriali non regge. L'elemento di novità è questo: accordo separato dopo accordo separato, il sistema non tiene perché è un modello antidemocratico che cerca di realizzare un cambiamento di natura del sindacato. Marchionne e la Fiat sono andati anche oltre: siamo al cambio del modello di gestione di impresa, per cui il sindacato esiste solo se aderisce alle idee dell'azienda. Qui c'è la differenza tra un sindacato puramente aziendale o corporativo e un sindacato confederale. Il primo ha il suo orizzonte in quell'azienda lì, e si hanno diritti solo se quell'azienda funziona. Il secondo si pone il problema che un lavoratore, a prescindere da dove lavora, sia dotato di diritti. La novità dell'accordo Fiat non è che vuol lasciare fuori la Fiom e la Cgil - che è già grave - ma che le persone non abbiano dei diritti e non possano decidere. Sindacati importanti come Fim e Uilm, che insieme a noi hanno conquistato i diritti che i lavoratori ancora hanno, accettando una logica di questo genere cambiano la loro natura».
Cambiano anche le prospettive. Non servono davvero quattro sindacati per dire «sì»...
La norma in testa agli accordi di Pomigliano e Mirafiori - eventuali «parti terze» che decidessero di aderire potrebbero farlo solo se tutti i firmatari sono favorevoli - introduce, come negli Usa, il principio che il sindacato può essere presente solo se lo vuole il 50% più uno dei lavoratori. È un modello che non c'entra nulla con la storia europea. Paradossale poi che si voglia importare un modello di relazioni proprio nel momento della sua massima crisi. Una delle ragioni che ha mandato fuori mercato i produttori di auto Usa è che, non esistendo contratto nazionale né stato sociale, giapponesi o coreani hanno avuto mano libera nel produrre lì con salari più bassi. Al punto che anche negli Usa si stanno ora ponendo il problema di costruire un minimo di welfare.
Anche per questo - caso Opel - in Germania hanno respinto l'ingresso della Fiat?
Di sicuro dimostra cosa significa avere un governo che si interessa di politica industriale, che impone il rispetto di regole e leggi. Molti oggi parlano del «modello tedesco». Bene. In Italia c'è uno stabilimento che produce auto per Volkswagen: la Lamborghini. Quell'azienda, la scorsa settimana, ha fatto un accordo con le Rsu che accetta il contratto metalmeccanico del 2008 (l'ultimo firmato da tutti i sindacati, ndr). I tedeschi, qui, per continuare a costruire auto, non hanno scelto il «modello Marchionne», ma il sistema esistente in Italia.
Sembra in discussione anche la credibiltà di Confindustria. Non tutte le imprese possono dire «o si fa come dico io o me ne vado»...
Di sicuro c'è un «rischio imitazione», che può svilupparsi in due direzioni. «Imprese» che non si associano e non applicano nessun contratto, in Italia, già ci sono; è un punto su cui farebbero bene a interrogarsi le forze politiche e sociali. L'apertura alle deroghe al contratto nazionale, poi, anche senza arrivare al punto di Marchionne, implica comunque imprese che ti chiedono, per farti lavorare, qualche diritto o un po' di salario in meno. Tanto più che siamo dentro una crisi che non è finita. E siccome le ragioni che l'hanno prodotta, purtroppo, non sono state affrontate, ecco che le deroghe o il «modello Fiat» indicano una falsa via d'uscita; che può però tentare molte imprese. Comunque aziende importanti hanno continuato a fare accordi con la Fiom, per esempio Indesit, che vede l'impegno dell'azienda a non licenziare nessuno. Oppure l'Ilva di Taranto, dove si sono assunti tutti i lavoratori interinali. Non è vero che in Italia per investire bisogna cancellare leggi e diritti. Viene il sospetto che chi spinge invece su questa linea stia cercando la scusa per dire che in in Italia non si può rimanere. Lo ha ammesso lo stesso Marchionne, quando ha detto che il suo obiettivo resta l'acquisizione del 51% della Chrysler. Dove li prende i soldi? A questo punto le voci sulla vendita di pezzi di marchi o rami d'impresa acquistano un altro senso. Si va verso un rafforzamento o una smobilitazione della produzione di auto in Italia? A noi sembra vera la seconda. Confindustria e Federmeccanica, ora, hanno un problema: non possono continuare a dire che va bene sia la Fiat che il contrario. Le due cose non stanno insieme. La nostra dichiarazione di sciopero generale il 28 vuol dare proprio questo segnale, oltre al sostegno ai lavoratori di Pomigliano e Mirafiori, i più esposti. Chiediamo a ogni singolo metalmeccanico di scioperare per dire con forza che lui non vuole che nella sua azienda succeda quel che sta avvenendo in Fiat. Un messaggio che deve arrivare alle controparti. Se si vuol andare su questa strada si apre un conflitto senza precedenti, sul piano sindacale e su quello giuridico.
E la Cgil? Pensionati e pubblico impiego vi hanno appoggiato, poi anche la segretaria dell'Emilia Romagna. Sta cambiando qualcosa?
Il giudizio di inaccettabilità dell'accordo è comune a tutta la Cgil. Il problema che si sta ponendo è: qual è l'azione sindacale migliore per rispondere a un attacco come quello portato dalla Fiat? Il Comitato centrale della Fiom ha deciso, senza un solo voto contrario, in presenza della segreteria Cgil, che quell'accordo non si può firmare e che il referendum voluto dalla Fiat non è legittimo. Come si tutelano quei lavoratori? Insieme ai compagni di Torino e Napoli stiamo discutendo delle azioni di lotta e legali da mettere in campo. Ma è evidente che le «forme tecniche» non esistono. Gli accordi si firmano oppure no. Lo strumento del referendum per noi deve diventare un diritto universale. Ma deve avere due caratteristiche: i lavoratori debbono poter dire liberamente sì o no (e invece qui avvertono che, se «no», si chiude la fabbrica), e dentro un quadro di regole condivise.
Ci vuole una legge sulla rappresentanza o basta un «accordo interconfederale»?
Perché un diritto sia esercitabile ci vuole una legge. Quel che sta succedendo non riguarda solo chi lavora a Mirafiori o i metalmeccanici. Serve una discussione esplicita, che faccia i conti con la novità drammatica delle scelte Fiat. Siamo davanti a un attacco senza precedenti che riguarda assolutamente tutti. Mi ha colpito molto che gli studenti, nella loro lotta, si siano resi conto che la cancellazione dei diritti del lavoro riguarda anche loro, ora e in futuro. È una novità assoluta che rimette insieme generazioni che per anni non si sono parlate. Tutta la Cgil dovrebbe essere il luogo di questa discussione. Perché queste idee divengano egemoni nel paese e portino a definire un equilibrio diverso nei rapporti sociali.
Per il 28 si segue lo schema del 16 ottobre anche quanto ad «alleanze»?
È uno sciopero di 8 ore. Una scelta impegnativa in più che chiediamo ai metalmeccanici. Dobbiamo lavorare per informare i lavoratori, essere presenti sui posti. Faremo tante manifestazioni regionali. Ci rivolgiamo però anche a tutti i soggetti che hanno condiviso con noi il 16 ottobre, alle altre categorie, studenti, movimenti per l'acqua, ecc. Insomma a tutti i cittadini che ritengono sia a rischio la Costituzione e i diritti. Vogliamo fare di quella giornata una mobilitazione che dice che un altro modello sociale è possibile e che si può uscire da questa crisi mettendo al centro il lavoro. In ogni città pianteremo delle tende in piazza come luoghi informativi. Incontriamo le forze politiche e non solo. Siamo pronti a parlare con chiunque abbia voglia di confrontarsi con noi.

domenica 2 gennaio 2011

Napolitano riconosce le difficoltà ma dimentica le cause dei problemi dei giovani





Napolitano riconosce le difficoltà ma dimentica le cause dei problemi dei giovani






Abbiamo apprezzato del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica l’attenzione ai problemi dei giovani e la sottolineatura del disagio sociale del paese.


Siamo invece rimasti delusi dall’assenza del discorso del Presidente di qualsiasi cenno alle politiche che hanno prodotto questa situazione di profondo disagio.


La riproposizione acritica della globalizzazione neoliberista così come se non fosse questa ad aver determinato la crisi che viviamo costituisce un grave errore.


Nuovi traguardi per i giovani sono possibili proprio a partire dalla messa in discussione di questa globalizzazione e dei rapporti sociali ad essa connessi – a partire dalla precarizzazione integrale del lavoro – non certo dalla sua riproposizione.
Chi si ricorda dell'art. 3?

di Paolo Ferrero

Ho molto apprezzato l'attenzione del presidente della Repubblica per i giovani e la denuncia dei drammi sociali che si stanno consumando in questo nostro Paese. Nel suo discorso di fine anno è però mancato completamente ogni riferimento critico alla globalizzazione neoliberista che è esattamente la causa della crisi oggi galoppante. I giovani non sono precari, non hanno un presente e un futuro insicuri per cause naturali, ma proprio in virtù delle politiche portate avanti in questi ultimi vent'anni. Non si può pensare di uscire da questa crisi riproponendo, come ha fatto Napolitano, quelle stesse politiche di globalizzazione neoliberista di cui ora paghiamo le conseguenze. I nuovi traguardi che i giovani possono porsi non riguardano certo il rilancio della globalizzazione o della crescita. I nuovi traguardi non possono non coincidere con il mutamento deciso dei rapporti sociali, non con la loro prosecuzione.

Ma disagio e precarietà sono figli del neoliberismo

Occorre mettere in discussione l'accumulo vergognoso di ricchezza che si è consumato in questi anni; occorre mettere in discussione il neoliberismo; occorre mettere in discussione le politiche che hanno prodotto la precarizzazione del lavoro e che hanno distrutto i diritti. Avremmo voluto sentire dal Presidente parole chiare contro l'offensiva che la Fiat sta portando avanti nei confronti dei diritti dei lavoratori. Avremmo voluto sentire parole chiare contro i tagli all'informazione decisi dal governo, tagli che mettono in primo luogo in discussione la libertà di stampa. Avremmo voluto sentire sulla guerra non solo il cordoglio, ma un no deciso a tutte le guerre, Afghanistan compreso.
Avremmo voluto sentire parole chiare che non si limitassero a descrivere il problema, ma che ponessero il tema di un cambio di politiche, di un cambio di paradigma quale condizione per uscire dalla crisi.
Per questo sottolineo positivamente l'attenzione ai giovani, ma parallelamente stigmatizzo la mancata individuazione delle responsabilità che hanno determinato la situazione attuale. Così come ritengo non si possa ridurre lo spirito costituzionale unicamente all'uguaglianza dei punti di partenza.
La nostra Costituzione dice qualcosa di più e voglio citare esplicitamente l'articolo 3 che recita: «E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese».
Ecco, questo è il problema che oggi ha l'Italia: fare politiche che rimuovano quegli ostacoli di ordine economico e sociale». Questo avremmo voluto sentire dal Presidente.
Mentre è proprio della rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che noi facciamo il centro della nostra azione politica e che riteniamo possa essere il nuovo traguardo da proporre ai giovani d'oggi.



AFGHANISTAN – DICHIARAZIONE

DI

FERRERO PRC-FDS








AFGHANISTAN - FERRERO (RIFONDAZIONE COMUNISTA – FEDERAZIONE DELLA SINISTRA): RITIRARE TRUPPE DA AFGHANISTAN E’ DOVERE POLITICO E MORALE



Il cordoglio che esprimo ai famigliari del militare Matteo Miotto si accompagna alla richiesta al governo di ritirare le truppe dall’Afghanistan.




Con ogni evidenza la guerra non ha nulla a che vedere con la pacificazione dell’Afghanistan e ritirare le truppe italiane oggi non è solo un dovere politico ma morale.




Da parte del governo, proseguire la missione significa decidere che altri militari italiani verranno uccisi per nulla, ed è immorale piangere i morti quando le decisioni che si prendono porteranno ad altre morti.




Grazie per le visite!
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