giovedì 28 novembre 2013

30 NOV. 2013 - 1 DIC. 2013 CONGRESSO PROVINCIALE MILANESE PRC


30 NOVEMBRE – 1 DICEMBRE PRC CONGRESSO PROVINCIALE DI MILANO

Sabato 30 novembre e domenica 1 si svolgerà a Milano il IX Congresso Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista. Sala della Provincia di Milano – Via Corridoni 16 Milano Sabato 30 novembre 2013 ore 9.30 accredito dei delegati ore 10.00 elezione presidenza Introduzione del Segretario Provinciale ore 10.30 intervento di saluto degli ospiti ore 11.30 elezioni commissioni ore 12.00 inizio dibattito ore 13.30 intervallo ore 14.30 ripresa dibattito ore 18.30 fine lavori della giornata Domenica 1 dicembre 2013 ore 9.30 continuazione dibattito ore 13.00 conclusione delegato nazionale Votazioni ordini del giorno, relazioni delle commissioni Elezioni delegati Congresso Nazionale e Regionale, elezione organismi dirigenti ore 16.30 Convocazione Comitato Politico Federale ed elezione segretario e organismi dirigenti esecutivi.

lunedì 25 novembre 2013

NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

No alla violenza sulle donne 25 nov 2013 • 12:07 Nessun CommentoNella giornata internazionale contro la violenza sulle donne vogliamo dire che la violenza maschile va contrastata ogni giorno, deve essere una priorità quotidiana per i governi e le istituzioni. In Italia abbiamo contestato e continuiamo a criticare il decreto Alfano sul femminicidio, che è in realtà un provvedimento sull’ordine pubblico e sulla sicurezza. Serve un cambio di passo prima di tutto culturale, per prevenire e lottare contro un fenomeno odioso che in Italia affonda le sue radici nella cultura machista e sessista dilagante in questo Paese e sdoganata da politici come Berlusconi.

sabato 23 novembre 2013

mercoledì 20 novembre 2013

INTERVISTA A L. GALLINO: SENZA LAVORO COME SI FA A PARLARE DI RIPRESA???

Gallino: “Senza lavoro, come si fa a parlare di ripresa imminente?” Intervista a Luciano Gallino "Ci vuole una bella dose di umorismo nero per parlare, oggi, di una ripresa imminente". Non ha dubbi Luciano Gallino, sociologo e massimo esperto italiano del mercato del lavoro. Il guaio è se a fare del "black humor" è il primo ministro di un Paese, in questo caso il nostro. Come si fa - si domanda Gallino - a parlare di ripresa con la disoccupazione a livelli record e in assenza totale di politiche per l'occupazione? Il presidente Letta ha detto che “la ripresa è a portata di mano”, anche se non si vede. È davvero così? Ci vuole una bella dose di ottimismo per fare un’affermazione del genere. I rapporti e gli studi che si possono leggere a livello internazionale dicono ben altro. È quanto meno paradossale che si parli di sintomi di ripresa con la disoccupazione in aumento. È come se ci si dimenticasse che il parametro più significativo per valutare lo stato di salute di un’economia è il tasso di occupazione. Detto sinceramente, per parlare ora di ripresa ci vuole una bella dose di umorismo nero. Dagli Stati Uniti all’Europa, in molti prevedono una jobless recovery, ossia una ripresa senza lavoro. Secondo lei, è un ossimoro? Oppure è davvero possibile una ripresa senza lavoro? Se l’occupazione non cresce, l’economia reale non può che risentirne. Chi parla di ripresa asseconda le teorie economiche neoliberali che hanno conquistato il discorso mediatico. Si guarda solo ed esclusivamente al Pil, e non al modo in cui è prodotto. E il Pil può crescere di qualche punto perché sono ripartite le attività finanziarie. Ma che ripresa è questa? Quale cambio di passo dovrebbe esserci, in Europa, per invertire la rotta? In Europa non si è intrapresa nessuna seria riforma che possa favorire l’occupazione: l’economia reale non è sostenuta, punto. Negli Stati Uniti si è fatto di più. L’Europa, con le sue politiche di austerità, non sta facendo altro che favorire la disoccupazione. Ignorando un altro aspetto fondamentale: la povertà. Ci sono, a cominciare dall’Italia, milioni di precari che guadagnano pochi euro all’anno e vivono nella disperata attesa del rinnovo di un contratto. Secondo Eurostat, ci sono in Europa più di 120 milioni di persone a rischio povertà. Si tratta di un quarto della popolazione europea. Sono questi gli indicatori che bisogna tenere a mente quando si parla. Perché le luci che si scorgono in fondo al tunnel possono anche essere i fari di un tir che arriva a tutta velocità dalla direzione opposta. Cosa dovrebbero fare, dunque, l’Europa e i singoli paesi? Il bello è che potrebbe fare molte cose. Ad esempio, l’Ue potrebbe varare un grande progetto per l’occupazione. Ma non spingiamoci troppo in là: basterebbe semplicemente richiedere un maggiore rispetto degli stessi trattati europei. L’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, ad esempio, è pura follia dal punto di vista della politica economica. L’Europa ce l’ha chiesto e noi l’abbiamo fatto, si dice… Sarebbe bastato leggere con attenzione i trattati per capire che si poteva scegliere una legge ordinaria. In tutta la loro storia gli Stati Uniti avranno rispettato il pareggio di bilancio quattro o cinque volte. Vorrà pur dir qualcosa… Invece il Parlamento italiano ha liquidato la questione in un quarto d’ora. Alla pesca del pesce azzurro nel Mediterraneo si sarebbero dedicati più tempo ed energie. Parlando della legge di Stabilità, il viceministro all'Economia Stefano Fassina ha ammesso che una terapia shock per l'Italia è impossibile per via dei vincoli imposti dall'attuale politica economica della zona Euro. Anche nel governo, dunque, c'è chi si auspica una "correzione di rotta" della politica economica dell'Eurozona. Come commenta? I nostri governanti (come quelli di altri paesi) appaiono totalmente succubi dei dettami di Bruxelles, questa è la verità. Mentre un grande Paese fondatore dovrebbe avere la forza e l'energia per chiedere - se necessario - una riforma dei trattati o quanto meno un'interpretazione meno passiva degli stessi. I nostri governi - sia quello attuale che quello precedente - non l'hanno fatto. Si sono comportanti come il militare di leva che batte i tacchi e obbedisce all'ordine. Il suo ultimo libro si intitola "Il colpo di Stato di banche e governi". Perché parla di colpo di Stato? Dal 2010 in poi è intervenuto nei Paesi dell’Unione europea un paradosso: i milioni di vittime della crisi si sono visti richiedere perentoriamente dai loro governi di pagare i danni che essa ha provocato, dai quali proprio loro sono stati colpiti su larga scala. Il paradosso è che la crisi, fino all'inizio del 2010, è stata un crisi delle banche. Poi è iniziata una straordinaria operazione di marketing: si è fatta passare l'idea che il problema fossero i debiti pubblici degli stati. Detta in parole semplici: i parlamenti hanno ceduto potere ai governi; i governi hanno ceduto alla Commissione europea e alla Bce; la Bce e la Commissione europea hanno assecondato Fmi e Banca Mondiale, e tutti insieme hanno ceduto alle grandi istituzioni finanziarie, che hanno bilanci superiori a quelli degli stati nazionali.

CILE - CAMILA VALLEJO ELETTA PER IL PARTITO COMUNISTA - PORTERO' LA VOCE DELLA PIAZZA

In Cile vincono i movimenti degli studenti: “Siamo i nipoti della dittatura militare” di Moisés Paredes* Il risultato delle urne, vincente per tutti i leader studenteschi che si sono presentati alle elezioni, lo dimostra: la gran parte delle richieste avanzate dai diversi movimenti e organizzazioni è penetrata in profondità nella nostra società, dando senso a un gran numero di cileni i quali vedono giorno per giorno come gli enormi artigli del neoliberismo impongano un sistema che attribuisce garanzie e opportunità sulla base del potere d’acquisto delle persone. A vent’anni dalla fine della dittatura, il Cile è gravato da pesanti zavorre. A livello politico, c’è tuttora una Costituzione le cui pagine sono state scritte con il sangue di migliaia di cileni vittime delle violenze, una Costituzione che fu approvata con l’inganno più grande della nostra storia. E abbiamo un sistema elettorale binominale, lo strumento perfetto per permettere a una minoranza di calpestare costantemente i sogni della maggioranza. Nel campo economico, siamo stati quasi completamente spogliati delle nostre risorse naturali. Hanno venduto il suolo, l’acqua, i minerali. I lavoratori sono costretti a versare quote ai Fondi pensione e se sono fortunati, avranno una pensione pari alla metà di quanto guadagnavano. Siamo stati completamente derubati della cosa pubblica. Lo Stato si è ridotto ad avere un ruolo di semplice osservatore, e il compito di gestire tutti gli aspetti della nostra vita è stato affidato alle mani del mercato. Il mercato della salute, dell’educazione, delle abitazioni. A partire da questa situazione, si affrontano due visioni diverse del paese. È una dicotomia che si verifica quando si confrontano idee diametralmente opposte. Essa ha aperto le porte alla creazione di un nuovo ciclo politico. Oggi in Cile si sono create le condizioni per iniziare un processo di cambiamento strutturale che permetta di rispondere alle richieste dei cittadini nei diversi campi, ma soprattutto alla domanda di maggiore e migliore democrazia. Ci si chiede quale ruolo avrà il movimento studentesco in questo processo. Come in tutti i contesti, anche nel movimento esistono diversi punti di vista, tutti ugualmente legittimi e consoni agli obiettivi che da anni ci spingono a protestare nelle strade. Così, facendoci carico di questa diversità, in molti crediamo che il movimento studentesco debba avere un ruolo fondamentale e da protagonista nel contesto politico nazionale. Dobbiamo andare oltre l’impatto mediatico provocato dalle occupazioni e dalle grandi manifestazioni, per fare un salto qualitativo affinché le nostre idee possano essere adottate per risolvere la crisi che il sistema educativo cileno vive. Dopo queste elezioni, il nuovo governo dovrà rispondere alle idee che abbiamo portato avanti in tutti questi anni e che rappresentano il sentire della grande maggioranza del nostro popolo. I movimenti sociali giocano un ruolo fondamentale. Le autorità politiche che governano, dovranno farlo in funzione delle necessità della gente e non di piccoli gruppi privilegiati. Ora, in parlamento vi sono dirigenti sociali che conoscono la realtà del nostro paese. L’idea che se si occupa un ruolo politico non si fa più parte della società civile avvantaggia una élite politica abbiente che continuerà a ostentare i propri incarichi e in tante occasioni assumerà posizioni opposte a quanto richiesto dalla popolazione. Come costruttori del futuro, abbiamo il dovere di dare il nostro contributo sia nella società civile che nel mondo della politica. La democrazia non significa solo votare ogni quattro anni, si costruisce e si fa giorno per giorno, a partire dagli spazi di discussione e mobilitazione, creando articolazioni fra il sindacato e organizzazioni che possano costituirsi come forza sociale in grado di avviare cambiamenti nella società con ripercussioni nel campo politico. In questo modo riconcilieremo il «sociale» e il «politico», dopo che per tutti questi anni ce li hanno presentati come reciprocamente escludentisi, mentre devono andare di pari passo. La capacità di compiere un salto qualitativo sarà un punto cruciale per i movimenti sociali. Essi possono contare su un grande appoggio popolare: il loro principale capitale politico e di credibilità. Occorre una prospettiva di lungo periodo per il paese, e ai movimenti sociali è richiesta un’attenzione strategica se vogliono dare buoni frutti. Bisogna infatti proteggere la democrazia, e per questo è necessaria la rifondazione delle istituzioni del sistema politico cileno, che sono attualmente il principale ostacolo alla nostra democrazia. Il fatto di essere una generazione nata senza paure fa sì che abbiamo sufficienti strumenti per poter contrastare il mantenimento dello statu quo. E la mancanza di paura non deriva dal fatto di essere figli della democrazia, caratteristica che ci attribuiscono e che, a mio parere, è sbagliata. Non siamo figli della democrazia, siamo nipoti della dittatura. Siamo nati senza la possibilità di avere l’educazione gratuita. Questo fa parte dei nostri sogni. I nostri genitori sono stati vittime delle pallottole che i militari sparavano contro loro compatrioti. Tutti siamo vittime del perverso obiettivo politico che quelle pallottole esprimevano. Un giorno potremo parlare di figli della democrazia, per ora no. Quel che manca oggi non sono i numeri, le cifre, i dati, le statistiche. Mancano l’impegno, la coerenza, il cameratismo, la lealtà rispetto agli altri e rispetto ai principi, valori sui quali la nostra generazione ha dimostrato di voler costruire. C’è bisogno di tutto questo, per raggiungere l’obiettivo di un paese e di una società più giusta. Il desiderio di trasformazione deve accompagnarsi alla volontà di accettare la diversità e costruire più democrazia, e di migliore qualità. Non dobbiamo mai dimenticare che ci troviamo in un momento complesso e di portata storica; non rendersene conto o far finta di non considerarlo, significa riprodurre la grande amnesia collettiva che invece siamo chiamati a cancellare. *Portavoce della Coordinadora nacional estudiantes secundarios (Cones), articolo tratto dall’edizione cilena del Diplo Traduzione di Marinella Correggia

giovedì 14 novembre 2013

RIBELLARSI E' GIUSTO!

Enrico Letta, il coniglio mannaro


di Paolo Ferrero

Dopo la luce in fondo al tunnel che Monti ci aveva segnalato senza ottenere molto ascolto, Enrico Letta continua giornalmente a spargere segnali di rassicurazione riguardo al futuro del Paese. La migliore degli ultimi giorni è l’affermazione secondo cui la ripresa è a portata di mano, “anche se i segnali ancora non si vedono”. Il punto è che la ripresa non c’è e sono proprio le politiche fatte sotto dettatura della Merkel da Tremonti, Monti e Letta a impedirla. La compressione della domanda interna prodotta attraverso i tagli della spesa pubblica e l’aumento della disoccupazione e della precarietà, ha prodotto in Italia una vera e propria deflazione.

Non a caso i consumi continuano a calare e l’inflazione non è mai stata così bassa. La stessa riduzione dei tassi d’interesse da parte della Bce non produrrà effetti in Italia per due ragioni: i tassi di interesse che applicano le banche sono altissimi e non hanno più alcun rapporto con il tasso di interesse ufficiale deciso dalla Bce. I tassi di interesse reale quindi non scenderanno. In secondo luogo l’origine di fondo della crisi italiana è provocata proprio dalla caduta dei consumi interni e quindi o si risollevano quelli – con una forte redistribuzione del reddito dall’alto in basso e per questo proponiamo la patrimoniale sulle grandi ricchezze – oppure l’economia non riparte.

La seconda considerazione è che se anche nel prossimo anno il Pil dovesse crescere di qualche decimale di punto, questo con interromperebbe per nulla la crescita della disoccupazione, per il semplice motivo che gli aumenti di produttività delle imprese che dentro la crisi si sono ristrutturate, sono maggiori della possibile lieve crescita. In questo contesto parlare di uscita dalla crisi è quindi una evidente menzogna, una bugia di cui Letta è certamente consapevole. La questione da porsi riguarda allora il perché Letta sparga questi messaggi mielosi e rassicuranti? Salta agli occhi la differenza con il governo Monti che invece faceva del terrore – seminato a piene mani nel corso del suo governo – il suo principale codice comunicativo.

La mia opinione è che questa differenza di atteggiamento e di comunicazione non avvenga per un diverso disegno politico di Letta rispetto a Monti ma perché Letta sta gestendo il secondo tempo della partita cominciata da Monti. Più precisamente io penso che Monti ha volutamente spaventato il popolo italiano e ha utilizzato il terrore seminato nelle “fila avversarie” al fine di giustificare tagli draconiani al welfare e porcherie enormi come la manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’allungamento infinito dell’età per andare in pensione. Monti ha fatto una applicazione da manuale di quella che Naomi Klein chiama “Shock economy”, il cui primo esperimentatore è stato il golpista Augusto Pinochet, il dittatore cileno. Attraverso il terrore e la benedizione dell’Unione Europea, Monti ha fatto passare provvedimenti che altrimenti non sarebbero mai potuti passare.

Oggi Letta ha un altro compito. Non più tagliare brutalmente – il grosso dei tagli è stato fatto da Monti - ma piuttosto di convincere gli italiani che i tagli sono serviti: abbiamo fatto i sacrifici, ma adesso ci sarà la ripresa. Il primo obiettivo è quindi consolatorio e risarcitorio, fatto con la consueta maestria democristiana. Il secondo obiettivo, più di fondo, è che Letta ha due grandi opere da realizzare per terminare l’azione devastatrice di Monti. La prima è la privatizzazione di tutto quanto è rimasto di pubblico in Italia e la seconda è lo scardinamento della Costituzione italiana, trasformando l’Italia da repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale. La rassicurazione lettiana è quindi finalizzata a distogliere il paese dalla gravità degli attacchi che il suo governo sta portando alla democrazia costituzionale ed economica.

Da questo punto di vista il quadro diventa chiaro: Monti ha seminato il terrore per scardinare le conquiste sociali e Letta usa la rassicurazione per far tirare un sospiro di sollievo al paese e poter fare in santa pace la distruzione della Costituzione nata dalla resistenza e svendere i gioielli di famiglia tra cui la parte rimante di apparato industriale pubblico. Monti e Letta, il terrore e la rassicurazione, sono le due facce della stessa medaglia: la distruzione di quanto di buono era stato fatto in Italia dopo la seconda guerra mondiale in termini di democrazia, diritti sociali e del lavoro, presenza pubblica nell’economia. Letta non meno di Monti – così come i partiti che li appoggiano – sono i protagonisti di una vera e propria restaurazione neoliberista, di un peggioramento strutturale delle condizioni di vita del popolo italiano e della svendita dell’Italia ai poteri forti – economici e finanziari – europei e mondiali. Contro questa vera e propria guerra scatenata contro il popolo italiano occorre ribellarsi.

mercoledì 13 novembre 2013

INAMMISSIBILI REFERENDUM PENSIONI E CASTA, FERRERO: SCIPPO DI DEMOCRAZIA A CAUSA DELL’ARBITRIO DI NAPOLITANO

INAMMISSIBILI REFERENDUM PENSIONI E CASTA, FERRERO: SCIPPO DI DEMOCRAZIA A CAUSA DELL’ARBITRIO DI NAPOLITANO «L’inammissibilità dei referendum per abrogare la riforma Fornero sulle pensioni e contro la casta, comunicata oggi, – ha dichiarato Paolo Ferrero, segretario nazionale PRC - è un vergognoso scippo di democrazia. Il diritto costituzionale delle centinaia di migliaia di cittadini che hanno sottoscritto i referendum viene calpestato a favore dell’arbitrarietà con cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sciolto le Camere in anticipo proprio per impedire i referendum. è infatti doveroso ricordare che noi chiedemmo a Napolitano di sciogliere le Camere all’inizio del 2013 mentre Napolitano le sciolse alla fine del 2012 proprio per impedire, con l’inizio del semestre bianco, la presentazione dei referendum. Noi comunque non ci fermiamo e faremo anche su questi referendum ricorso avverso la sentenza della Corte».

sabato 9 novembre 2013

FARE LA PATRIMONIALE SU GRANDI RICCHEZZE E ABBASSARE TASSE A LAVORATORI!!!


Imu, fare la patrimoniale e abbassare le tasse ai lavoratori Bene l’abolizione dell’IMU ma adesso serve una tassa PATRIMONIALE sulle grandi ricchezze per abbassare le tasse ai lavoratori. Bisogna redistribuire la ricchezza, togliere i soldi ai ricchi per darli ai poveri e rilanciare l’occupazione: la seconda rata dell’IMU non cambia niente, serve solo al governo a stare in piedi. Basta con questi provvedimenti utili solo alla sopravvivenza di un governo che affossa il paese.

mercoledì 6 novembre 2013

PRESENTATO RICORSO REFERENDUM PER ARTICOLO 18 E DIFESA CONTRATTO NAZIONALE

Presentato ricorso in Cassazione sul referendum per l’articolo 18 Pubblicato il 5 nov 2013 Lo scorso gennaio un vasto schieramento sociale e politico ha depositato oltre mezzo milione di firme per il ripristino dell’articolo 18 e la difesa del contratto nazionale di lavoro e per l’abrogazione della legge Fornero sulle pensioni e della manovra Sacconi-Berlusconi del 2011. Per cercare di impedire l’indizione dei referendum il Presidente Napolitano ha sciolto le Camere a fine 2012, invece che a inizio gennaio 2013 come abbiamo chiesto più volte. Ma noi non demordiamo e mercoledì 6 novembre presentiamo ricorso in Cassazione per chiedere che il referendum si tenga comunque, quel referendum che il potere non vuole perché sa benissimo che gli italiani voterebbero per ripristinare l’articolo 18 e abolire la riforma delle pensioni della Fornero.
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