venerdì 30 agosto 2013

MILANO - FERMIAMO LA GUERRA 31 AGOSTO LARGO DONEGANI ORE 16.30

La nuova guerra che si sta approntando verso la Siria è un’avventura che và fermata a tutti i costi. Solo le opinioni pubbliche occidentali possono farlo e se la parola sinistra in Italia ha ancora una dignità e senso, si deve dire di NO all’uso del nostro suolo per la guerra. Pensiamo si debba costruire un fronte ampio di partiti, organizzazioni e associazioni, che promuova una costante azione di sensibilizzazione delle coscienze e agisca per impedire i rischi di una guerra mediorientale e fermi i massacri in corso in Siria. Oggi però è urgente anche mobilitarsi e per questo accogliamo positivamente l’appello lanciato da alcune organizzazioni (Comitato contro la guerra) per una prima iniziativa milanese. La consideriamo un primo passo e vi chiediamo di partecipare al presidio indetto :
Sabato 31 AGOSTO 2013 alle ORE 16.30
presso il Consolato USA in L.GO DONEGANI – Milano
 
 

mercoledì 28 agosto 2013

SIRIA: NO ALLA GUERRA!!!

No alla guerra in Siria: non ci stancheremo di ripetere il nostro no a qualunque intervento militare occidentale in Siria. Le ragioni umanitarie addotte dagli USA sono una pura copertura degli interessi geopolitici USA e Occidentali: Il copione è identico a quello che abbiamo già visto in Libia e il risultato può essere unicamente un aggravamento della situazione umanitaria. No alla guerra senza se e senza ma.

FESTA DI RIFONDAZIONE COMUNISTA VIMERCATE DAL 28/08 AL 1/09/2013

martedì 27 agosto 2013

UN NUOVO 8 SETTEMBRE PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE

Un nuovo 8 settembre, per difendere la Costituzione


Le firme raccolte per la difesa dell’articolo 318 hanno superato quota 320mila



L’azione più saggia che si possa fare oggi in Italia è difendere la Costituzione. L’hanno detto chiaro e forte Stefano Rodotà, Maurizio Landini e Gustavo Zagrebelsky in una conferenza stampa di inizio agosto. In agenda per ora ci sono due iniziative: un’assemblea pubblica, a Roma, l’8 settembre, che vedrà insieme forze politiche, sociali, civili, sindacati e associazioni. In una parola, l’Italia che si oppone allo stravolgimento della Costituzione, con buona pace di Pdl e Pd, di bicamerali e “saggi”. E poi una manifestazione, sempre a Roma, sabato 5 ottobre. Comitati per la difesa della Costituzione sono nati come funghi dopo la pioggia di settembre in quasi tutte le città italiane. «Il volere a tutti i costi manomettere la Carta – scrive il comitato cuneese per la difesa e la valorizzazione della Costituzione – con un parlamento di “nominati” in virtù di una legge elettorale che sta per essere dichiarata incostituzionale, e con un procedimento che non rispetta l’articolo138 mette a rischio la democrazia. Lo stesso procedimento scelto con la nomina di un Comitato di “saggi” e con una piccola commissione bicamerale serve ad impedire la conoscenza e la partecipazione, che sono diritti incomprimibili dei cittadini». In un mese e poco più le firme raccolte per la difesa dell’articolo 318 hanno superato quota 320mila. Intanto qualche saggio se n’è andato: è di tre giorni fa la notizia che Nadia Urbinati ha lasciato la commissione degli esperti per le Riforme istituzionali. Dimissioni «irrevocabili», che la politologa ha motivato con il profilo «non esattamente super partes» di Gaetano Quariagliello, chiamato a presiedere la commissione dei 35. Adesso sono 33: a luglio se n'era andata la costituzionalista Lorenza Carlassare, in segno di protesta contro il blocco del Parlamento preteso dal Pdl dopo la condanna definitiva di Berlusconi. La “colomba” pidiellina Quagliariello ha definito un «plotone di esecuzione» la giunta del Senato, nel caso voti per la decadenza del condannato in via definitiva per evasione fiscale Berlusconi. Troppo per la professoressa Urbinati: «Caro ministro, hai espresso opinioni e usato argomenti che non ritengo si adattino al tuo ruolo di presidente della commissione per le riforme della Costituzione». Eppure c’è chi si ostina a chiamarli “saggi”.

Il sogno di quelli che difendono la Costituzione è riempire piazza San Giovanni. «Vogliamo ricostruire il tessuto politico e ricomporre la voragine che si è creata in questa fase – ha spiegato Stefano Rodotà – Non abbiamo l’obiettivo di presentare liste: abbiamo già assistito al fallimento clamoroso di formazioni di sinistra nate in fretta e furia prima delle elezioni. Vogliamo aiutare a riscrivere l’agenda e la prima urgenza è liberarci di questa legge elettorale incostituzionale ». Il segretario della Fiom Landini non ha dubbi: «Abbiamo assistito allo spettacolo triste di un condannato che manifesta dall’alto di un palco. Mi ha fatto pensare alle migliaia di persone che stanno perdendo il lavoro e sono invisibili, senza rappresentanza. E pagano anche le tasse. Quindi, visto che ce lo chiedete: sì, vogliamo fare politica. Dobbiamo coprire il vuoto lasciato da chi si occupa di altro. Difendere la Costituzione è fare politica: la vera rivoluzione sarà applicarla». Un concetto rafforzato da Gustavo Zagrebelsky: «Dobbiamo prenderci la responsabilità di passare dalla fase dei documenti e delle petizioni a quella dell’impegno attivo». Anche Rifondazione comunista, insieme alla galassia delle realtà di sinistra presenti nel paese, parteciperà all’assemblea dell’8 settembre, così come lavorerà per la piena riuscita della manifestazione del 5 ottobre. «In Italia ci sono le forze per fermare lo stravolgimento della Costituzione e per costruire un’alternativa – ha osservato Paolo Ferrero – l’iniziativa di Rodotà e Landini apre la possibilità concreta di dar vita ad un vero spazio pubblico di sinistra e di aggregare queste forze».

Frida Nacinovich da "LIBERAZIONE"

SINISTRA

Il vuoto (elettorale) della sinistra radicale di Enrico Grazzini – il manifesto Autoreferenziali, minoritari, inconcludenti e scarsamente influenti. Gli errori da non ripetere per un nuovo soggetto politico Le elezioni, italiane ed europee, si avvicinano e l’ampio popolo italiano di sinistra vorrebbe essere rappresentato nelle maggiori istituzioni ma manca un soggetto politico delle diverse anime a sinistra del Pd. C’è un estremo bisogno di una formazione unitaria di sinistra , contro i governi delle larghe intese e le politiche di austerità. Capace di orientare la disperazione sociale e la protesta di milioni di elettori e fare davvero un’opposizione efficace per candidarsi alla guida del paese. Non sarà facile costruire il nuovo soggetto politico ma occorre l’ottimismo della volontà. Purtroppo è molto difficile che il ceto politico attuale della sinistra cosiddetta radicale e alternativa abbia la volontà e la capacità di costruire una formazione aperta, plurale ma sufficientemente coesa per cambiare il corso della politica italiana (pessimismo della ragione). I dirigenti delle formazioni della sinistra alternativa – Sinistra Ecologia e Libertà, Rifondazione Comunista, i Verdi, i sindaci arancioni, quelli della lista Ingroia, ecc – appaiono troppo spesso carenti di una visione politica di ampio respiro, quasi sempre autoreferenziali, minoritari, e alla fine inconcludenti o scarsamente influenti. Troppo spesso appaiono agli occhi della gente comune come politici di professione che difendono il loro orticello e la loro fettina di potere (istituzionale, accademico, sindacale o di qualsiasi altra natura). La sinistra a sinistra del Pd è scioccamente divisa, e soprattutto lontana dalle esigenze e dai movimenti popolari che, nella crisi, si radicalizzano e cercano interlocutori affidabili per le loro istanze di cambiamento. Ma non vedono ancora nuovi leader per la trasformazione sociale. Che lo spazio a sinistra sia potenzialmente enorme lo dimostra il grande successo di Beppe Grillo. Beppe Grillo ha conquistato alle ultime elezioni quasi 9 milioni di voti; nonostante la sua ideologia estremista di democrazia diretta contro tutti i partiti, l’80% del suo programma è compatibile con quello di una sinistra radicale, a partire dalla difesa della Costituzione contro il presidenzialismo, dal reddito minimo garantito, dalla lotta contro il regime berlusconiano, contro gli F35 e la corruzione dilagante. Perché Grillo è riuscito a costruire un’opposizione potente e radicale e la sinistra cosiddetta alternativa invece no? Grillo ha perso un’occasione storica rifiutando un nuovo governo con Bersani e il Pd. Poteva svoltare e formare un governo di cambiamento ma ha deciso invece di rifiutare ogni alleanza e ha favorito oggettivamente Berlusconi. La responsabilità è di Grillo, della sua prepotente autocrazia e della sua immaturità politica. Ma se la sinistra minoritaria continua così è destinata solo a fare testimonianza, a essere ininfluente, e forse alla fine a sparire del tutto. Il primo problema è che questa sinistra non vuole prendere atto dei propri errori strategici: non è un caso che l’Italia sia praticamente l’unico tra i grandi paesi europei che non abbia in parlamento una formazione che rappresenti l’ampio popolo della sinistra. In Grecia Syriza ha conquistato il 26% dei voti ed è il secondo partito; in Germania la Linke ha preso l’11% dei voti alle elezioni federali; in Francia il Fronte di Sinistra di Jean-Luc Mélenchon ha preso alle ultime presidenziali l’11% dei voti. Occorre quindi cominciare ad analizzare in maniera severa, e anche spietata, gli errori della sinistra, a partire da Sel, la formazione più significativa. Nichi Vendola si è posizionato come corrente esterna del Pd con l’obiettivo di fare come la mosca che vuole spostare l’elefante. Ha abbracciato l’alleanza con Bersani che cercava l’alleanza con Monti – l’austero rappresentante del mondo finanziario nazionale e internazionale-. Ma Bersani dopo avere perso clamorosamente l’occasione di andare al governo, oggi sostiene anche il governo Letta delle larghe intese promosso anche da Silvio Berlusconi. Attirando affettuosamente a sé Vendola, Bersani è riuscito comunque a raggiungere un obiettivo importante: quello di distruggere la possibilità di una forte formazione politica autonoma alla sua sinistra. Tuttavia, fallito l’obiettivo governativo di Bersani, è fallita anche la strategia di Vendola: conquistare la direzione del Pd a colpi di vittorie nelle primarie. Ma la scalata ai vertici del centrosinistra è palesemente mancata, e non poteva essere altrimenti. Le primarie rappresentano una novità ma caratterizzano i partiti elettorali americani e deprimono la militanza organizzata della base. Occorre prendere atto che il Pd non è neppure un partito socialista, non aderisce al gruppo socialista europeo; pur composto da ex comunisti ed ex democristiani, è spostato al centro e certamente non si farà mai scalare dalla sinistra. Forse riuscirà invece a scalarlo con campagne mediatiche all’americana il rottamatore Renzi che in nome del nuovismo ripropone però la vecchia politica liberista. Vendola si trova dunque, suo malgrado, a fare opposizione a un governo, a guida Pd, moderato a parole, nei fatti garante della piena subordinazione all’austerità imposta dall’euro tedesco, pronto a modificare la Costituzione per introdurre un presidenzialismo autoritario. Intendiamoci: il Pd, anche se complessivamente diretto da professionisti moderati della politica, ha un elettorato popolare che certamente è collocato a sinistra; e in prospettiva l’alleanza con il Pd e con il M5S di Grillo diventerà essenziale per formare un governo di sinistra. Ma subordinare tutta la politica della sinistra alternativa all’alleanza con il Pd è suicida. Bisogna però sgombrare il campo da un’altra illusione un po’ infantile: che sia possibile costruire una nuova formazione di sinistra solo grazie ai movimenti. Sono ovviamente la base di tutto: la storia dimostra però che tutte le formazioni politiche non nascono solo dal basso ma anche dall’alto. Le nuove organizzazioni politiche nascono dalle crisi dei regimi precedenti e dai movimenti sociali. Ma anche, e forse soprattutto, da nuovi ideali e visioni intellettuali, da nuove culture ed elaborazioni politiche, da nuovi ceti dirigenti che si organizzano dall’alto. E’ per questo che anche le attuali organizzazioni politiche sono importanti. L’avversione di molte persone di sinistra verso le organizzazioni della sinistra radicale è in parte giustificata, ma, se diventa radicale e totale, dimostra primitivismo politico o anche settarismo intellettuale. La battaglia critica delle idee può essere spietata ma nessuno può davvero proclamarsi migliore degli altri. E dentro le formazioni politiche della vecchia “nuova sinistra” militano molte ottime persone che da anni lottano per un diverso mondo possibile: non esiste alcuna ragione per sbarazzarsi di loro e della loro esperienza. Ben vengano le iniziative contro il fiscal compact, la precarizzazione del lavoro, il presidenzialismo e il pareggio di bilancio in Costituzione voluto da tutte le forze governative, Pd compreso. Ma per avviare un nuovo corso, occorrerebbe innanzitutto riconoscere i propri errori, riformulare le visioni e le strategie, superare i settarismi minoritari, elaborare programmi comuni. Difficilmente Paolo Ferrero riuscirà a rifondare il comunismo: ma, dopo essere stato scottato dall’esperienza affrettata e dilettantesca della lista Ingroia, il suo appello a superare rapidamente le divisioni è fin troppo giusto: infatti il governo Letta potrebbe cadere presto e già nel 2014 verrà eletto il nuovo Parlamento europeo. Prendiamo atto che ciò che unisce questa (finora deludente) sinistra è comunque molto più di quello che la divide.

domenica 18 agosto 2013

OTTO SETTEMBRE

Otto settembre

di Marco Revelli – il manifesto -

Un paese che prende anche solo lontanamente in considerazione l’idea che si debba «garantire l’agibilità politica» a un condannato in via definitiva per una «ciclopica frode fiscale» ai danni dello stato, è un paese che vale poco. Un mondo politico che, fin dai suoi massimi vertici, esprime comprensione per una tale esigenza, è un mondo che ha smarrito il senso del confine tra normalità e indecenza. O che ha fatto dell’indecenza la condizione della normalità. Un sistema dell’informazione che, salvo poche eccezioni, registra compiacente tutto ciò senza un unanime moto di ripulsa anzi mettendoci del suo (si leggano gli editoriali del Corriere della sera), è un sistema che ha smarrito la propria elementare funzione di controllo democratico (e anche il senso della dignità professionale).

L’Italia si avvia ad affrontare un passaggio per molti versi drammatico della propria crisi economica e sociale logorata e paralizzata da una crisi morale senza precedenti. L’autunno presenterà conti salati: una disoccupazione che, nonostante la ripresina nord-europea, continuerà a peggiorare (con gli ammortizzatori sociali da rifinanziare). Una fragilità del sistema bancario che continua a strozzare il credito alle imprese e neutralizza anche i limitati vantaggi del tardivo e parzialissimo pagamento della montagna di miliardi dovuti dallo stato (che andranno nella stragrande maggioranza a ripianare i debiti contratti nel frattempo per sopravvivere). L’incombente aumento dell’Iva, che non ha ancora trovato voci alternative di copertura. La necessità di reperire entro l’inizio del prossimo anno i 50 miliardi di euro della prima delle venti rate imposte dal famigerato fiscal compact, vera e propria macina al collo di un paese che stenta a restare a galla. Un livello delle remunerazioni nei settori pubblico e privato bloccato da anni, su cifre ormai ai limiti inferiori della graduatoria Ocse.

Da un buco nero di queste dimensioni non si esce senza una straordinaria quantità di energia politica e sociale. Senza uno scatto morale: o, se si preferisce, un’impennata d’orgoglio. Senza il senso di una rottura di continuità, che è cambio radicale di classe dirigente e di personale politico, percezione della possibilità di un «nuovo inizio», come è stato nei momenti cruciali della nostra storia, dalla «crisi di fine secolo» alla «ricostruzione» nel secondo dopoguerra.

Invece ci tocca assistere allo spettacolo deprimente di una continuità ossessivamente riaffermata contro ogni «natura delle cose»: l’assemblaggio forzato dei vecchi protagonisti del disastro in una comune maggioranza di governo, uniti nell’unico imperativo di durare sopravvivendo ai propri vizi privati e alle proprie inesistenti pubbliche virtù. Consegnati in ostaggio a uomo finito e alla sua esigenza di prolungare la propria fine oltre ogni limite fisiologico, giorno per giorno, pronto al ricatto a ogni passaggio – l’ineleggibilità, la decadenza da senatore, l’applicazione della sentenza e le misure alternative… – giocando sull’unico atout che gli è rimasto: la golden share governativa. La minaccia del «muoia Sansone con tutti i filistei».

Li possiamo già immaginare i prossimi mesi, con il tormentone osceno del «grazia sì, grazia no» («La chiedo, non la chiedo»…). Delle macchine del fango al lavoro e degli infiniti ricorsi fatti solo per guadagnare tempo. Degli aeroplanini in volo sulle spiagge con «Forza Silvio» e degli avversari politici trasformati in imbarazzati testimoni o omologhi complici.

Il fatto è che il pasticciaccio brutto di questa primavera, la nascita del governo delle larghe intese, pesa come un macigno. Sta su solo perché le due forze che lo compongono – oltre a essere sostanzialmente omologhe nell’idea di società prodotta dall’establishment economico-finanziario e dalle tecnocrazie europee – sono entrambe fragilissime, sull’orlo di una simmetrica dissoluzione. Lo è il Pdl, di fatto già dissolto nella ri-nascitura Forza Italia, e identificato ormai senza residui nel destino politico del suo capo-padrone. Ma lo è anche il Pd, lacerato tra una miriade di cordate interne senza più alcun rapporto con le rispettive culture politiche (che la leadership del partito verrà contesa tra due ex democristiani, Letta e Renzi, in lotta tra loro, la dice lunga). Da due vuoti potenziali non può nascere un pieno d’azione politica. Ci si può limitare alla manutenzione del disastro, rinviando sine die i nodi da sciogliere, «guadagnando tempo», appunto. Ma con la manutenzione del disastro non si esce dal disastro: lo si può dilazionare. Si possono inventare mille bizantinismi, ma non si evita, prima o poi, la caduta di Bisanzio.

È questo il gigantesco non detto del dibattito in corso sul destino della «sinistra» e in particolare del Pd (ma anche di Sel), a cominciare dall’intervento di Goffredo Bettini: la gravità della simmetrica crisi della «parte emersa» del nostro sistema politico (quella su cui sono permanentemente accesi i riflettori dell’informazione ufficiale). L’irrisolvibilità delle contraddizioni accumulate nel corpo di quei due soggetti politici che – ricordate? – nel famigerato passaggio veltroniano-berlusconiano del 2007 e 2008 avrebbero dovuto dar vita a un sistema politico Bipolare, Maggioritario ed Egemonico (si disse proprio così, nella neolingua di allora), monopolizzando l’intero spazio pubblico e bloccandolo rispetto a ogni idea alternativa di società.

Quel progetto giace ora in frantumi (che Enrico Letta cerca di nascondere sotto il tappeto della propria azione di governo come la cattiva casalinga fa con la polvere). Ma non ho letto una sola riga di presa d’atto. O di autocritica. Né una sola proposta all’altezza della gravità, sul modo di uscire dall’impasse. E forse non per caso: perché probabilmente a quella crisi non c’è soluzione, se si rimane entro il cerchio magico dell’attuale classe politica, con come unici ed esclusivi protagonisti i soggetti politici esistenti (e potenzialmente falliti).

Eugenio Scalfari, qualche giorno fa, su Repubblica, ha evocato il 25 luglio del 1943 (Il 25 luglio è arrivato, il Cavaliere si rassegni), quando appunto Benito Mussolini fu liquidato dal suo stesso partito e finì ai «domiciliari» sul Gran Sasso. Non ha ricordato, credo per scaramanzia, la breve parentesi badogliana e soprattutto la data successiva, l’8 settembre, quando tutto andò giù ed esplose la più grave crisi istituzionale del nostro paese. Eppure val la pena rifletterci, su quelle tormentate vicende. Non solo perché questi primi 100 giorni del governo Letta un po’ ricordano (fatte le debite proporzioni in termini di drammaticità) i «45 giorni di Badoglio», col suo «la guerra continua» a fianco del vecchio alleato e la tendenza a dilazionare la resa dei conti. Ma anche, e soprattutto perché l’8 settembre non è solo (o meglio, non è tanto) il momento della «morte della patria», come è stato affrettatamente definito. È la fine di «quella» patria indegna, e il punto d’origine di un’altra Italia. Fu, nel naufragio della vecchia Italia, un punto di rinascita e di selezione di una nuova classe dirigente, sulla base di una «scelta morale» che si trasformò in risorsa politica. Quella data ci dice che a volte, per ricominciare, bisogna finire.

P.S. L’8 settembre è anche il giorno in cui Landini e Rodotà hanno convocato quanti sono consapevoli della gravità della situazione e dell’urgenza di una risposta (e proposta) credibile. Ci saremo in molti, per cogliere questo segnale di speranza.

sabato 17 agosto 2013

BRANCACCIO SUL "SOLE 24 ORE"


Brancaccio sul Sole 24ore: "La domanda interna é strategica"
Dilemma italiano. Siamo all’ultimo minuto della recessione o stiamo sperimentando il primo istante della ripresa? Al gioco di società dell’estate – iniziato quando sono comparsi alcuni indicatori con il segno più dopo una lunga litania noir di numeri ultrarecessiviEurostat, con il suo Pil a -0,2%, ha aggiunto un altro argomento di discussione. In particolare per gli economisti. I quali non sono dei cartomanti o degli aruspici. Ma, soprattutto quando sono abituati a sporcarsi le mani con la realtà, possono formulare una serie di ipotesi di lavoro sul punto in cui si trova la notte dell’economia italiana. Sì, perché il -0,2% del Pil nel secondo trimestre, calcolato da Eurostat, rappresenta una bella sfida interpretativa [...]

[...] La dinamica economia-società, mercati esteri-domanda interna va vagliata con attenzione. «La nostra storia industriale – sottolinea Emiliano Brancaccio, economista di ispirazione marxista e postkeynesiana dell’università del Sannio – è quella di un Paese orientato ai mercati stranieri. Tuttavia, oggi il nostro grado di apertura è relativamente minore rispetto ad altre realtà: secondo Eurostat in Italia il rapporto fra export e Pil è pari al 30,2%, mentre in Germania vale il 51%». Dunque, per quanto il fattore dell’export sia importante, la componente della domanda interna è strutturalmente strategica. «Nella domanda interna – osserva Brancaccio – conta non poco la capacità di generare reddito e di spendere delle singole persone. Un problema non irrilevante, a questo punto, è la disoccupazione. Per ridurre apprezzabilmente la quale ci vorrebbe una crescita del Pil non inferiore all’1,5 per cento. Un miraggio, oggi» [...]



Tratto da Paolo Bricco, “Un refolo dalla domanda interna” , Il Sole 24 Ore, 15 agosto 2013
Grazie per le visite!
banda http://www.adelebox.it/