martedì 27 febbraio 2018

IL DOCUMENTO APPROVATO ALL’UNANIMITÀ DALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA – SINISTRA EUROPEA.



Massimo impegno nella campagna elettorale per Potere al popolo e per il rilancio del Prc
Pubblicato il 26 feb 2018
Il documento approvato all’unanimità dalla Direzione Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea:
La direzione nazionale del Partito della Rifondazione Comunista riunita il 25 febbraio 2018 impegna tutto il partito nel massimo sforzo per il successo della lista Potere al popolo nelle prossime elezioni politiche del 4 marzo e in quelle regionali delle liste Sinistra per la Lombardia e Potere al popolo in Lazio.
Un impegno che dovrà andare avanti anche dopo le elezioni parallelamente al lavoro politico e organizzativo per il rilancio di Rifondazione Comunista.
L’agenda della campagna elettorale è stata dettata dalle forze di destra. Il dibattito sui media è interamente monopolizzato da forze diversamente liberiste che accettano i trattati europei. L’opposizione antisistema sarebbe rappresentata da formazioni di destra che fanno dei migranti il capro espiatorio per tutti i disagi del paese e propagandano apertamente xenofobia e razzismo e dal M5S che sempre più contraddice la sua immagine di rottura rassicurando i poteri economici e finanziari e facendo campagne vergognose come quella “sbarchi zero”. Questa dialettica tra liberisti allude anche al futuro governo del paese che – data la legge elettorale fortemente voluta dal PD – determinerà una situazione favorevole alla costruzione di un governo di unità nazionale in cui “moderati”, “responsabili”, “europeisti” si ritroveranno insieme per una nuova stagione di “riforme” antipopolari. Nel corso della campagna si è confermato che LeU non ha il profilo di una sinistra radicale e antiliberista sia nei programmi e sia rispetto alla relazione col PD e le aperture sulla possibilità di un “governo del presidente” non danno garanzie di quale uso sarà fatto del voto che riceverà da una parte dell’elettorato di sinistra. L’alleanza col PD alla Regione Lazio segnala inequivocabilmente il carattere di centrosinistra di LeU. E’ proprio questa ambiguità di collocazione politica che ha condizionato e determinato la crisi del percorso del Brancaccio e impedito lo sviluppo di una proposta autonoma e unitaria che facesse riferimento al GUE/NGL e alla Sinistra Europea. Il gruppo dirigente di LeU ingloba esponenti rilevanti della stagione social-liberista in Italia e in Europa, responsabili del Pareggio di Bilancio in Costituzione così come delle riforme Fornero e della pessima scuola di Renzi. Non a caso tutti i parlamentari europei che fanno riferimento a LeU sono collocati nel gruppo socialista.
In questo contesto abbiamo assistito ad un vergognoso oscuramento mediatico della lista Potere al popolo. Questo oscuramento lungi dall’essere un incidente di percorso costituisce una precisa scelta politica dei media di regime: la scelta di cancellare la sinistra di classe dalla dialettica politica e culturale del paese al fine di ricostruire un nuovo bipolarismo tra forze liberiste e destra fascio-razzista. La folle e pericolosissima scommessa delle forze liberiste è quella – per questa via – di riuscire ad avere una maggioranza che nel suo carattere variegato sia comunque in condizioni di applicare le politiche decise in sede europea. L’unica sinistra deve essere quella che rientra nell’orbita del centrosinistra.
L’oscuramento di Potere al popolo e lo sdoganamento delle formazioni fasciste è quindi una scelta scientemente compiuta dal blocco dominante al fine di determinare il quadro politico più favorevole alla perpetuazione delle politiche liberiste. Come apprendisti stregoni si scelgono l’opposizione più funzionale a non far emergere il conflitto di classe e un’alternativa alle politiche economiche e al modello sociale che ha prodotto impoverimento e precarizzazione.
La lotta contro il liberismo che ha caratterizzato la nostra azione di questi anni ha sempre incorporato anche la lotta contro la risorgente ideologia fascista che propagandando ed organizzando la guerra tra i poveri si caratterizza come un barbarico strumento funzionale alla divisione delle classi popolari e quindi per la perpetuazione delle politiche liberiste. E’ da lungo tempo che lanciamo l’allarme e chiediamo lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste.
Se il contesto generale in cui ci muoviamo registra quindi un deciso spostamento a destra dell’asse politico culturale del paese, è da addebitarsi anche al fatto che il nostro è l’unico paese dell’Europa occidentale in cui un’alternativa di sinistra radicale non è presente da tempo sul piano della rappresentanza e della rappresentazione mediatica.
Risponde a questa esigenza la scelta di dare vita a Potere al Popolo.
Nonostante le immense difficoltà dobbiamo registrare tre fatti assolutamente positivi.
A chi ci ha ripetuto mille volte che lo scioglimento di Rifondazione Comunista sarebbe la condizione per ricostruire la sinistra possiamo con orgoglio rispondere che senza la nostra organizzazione e la tenacia delle sue e dei suoi militanti non ci sarebbe oggi una lista della sinistra alternativa presente su tutto il territorio nazionale. Rifondazione Comunista è stata decisiva per la possibilità di presentare le liste di Potere al popolo e per la costruzione di una campagna elettorale dal basso sui temi fondamentali del lavoro, della giustizia sociale e della difesa dei beni comuni. La struttura organizzativa, il tessuto militante e la cultura politica di Rifondazione Comunista si sono confermati, pur con tutti i nostri limiti, come strumento fondamentale per la costruzione di una proposta politica antiliberista e anticapitalista nel paese.
In secondo luogo il processo di costruzione della lista di Potere al Popolo e successivamente la campagna elettorale, pur nella sua brevità, ha visto un significativo allargamento del tessuto militante impegnato nella lotta politica. Si tratta di un allargamento non solo quantitativo ma qualitativo perché ha coinvolto in modo significativo giovani alla prima esperienza politica e perché ha permesso un primo lavoro comune tra militanti di diverse organizzazioni e formatisi in diversi percorsi di conflitto e mutualismo. La stessa manifestazione di Macerata, sia per il  percorso che ha permesso la sua convocazione che nel suo dispiegarsi concretamente, ne è testimonianza viva. La nostra positiva risposta alla proposta lanciata a novembre dalle compagne e dai compagni dell’Ex Opg Occupato–Je so pazzo ha consentito di aprire un processo che ha suscitato energia e entusiasmo.
La costruzione di un ampio schieramento, di un polo della sinistra antiliberista e anticapitalista unitario e plurale fondato sulla partecipazione diretta e il coinvolgimento anche di chi non è iscritto a partiti e realtà organizzate, è parte integrante del progetto di Potere al popolo.
Potere al popolo si sta già materialmente costituendo non solo come lista, ma anche come concreta possibilità di costruire uno spazio politico a partire dalla connessione di energie militanti che troppo spesso agivano in maniera disgregata e di diverse forme del fare politica oggi, a partire dall’unità delle lotte, dei movimenti, dei centri sociali, delle pratiche mutualistiche e dei partiti: trasformando tante resistenze al dominio neoliberista in un progetto. Rifondazione Comunista ha proposto, come abbiamo sempre fatto, fin dall’inizio che non si trattasse di un “cartello” elettorale ma di un processo in cui si decideva dal basso e questa impostazione è diventata un tratto distintivo del progetto.
Questi positivi elementi che abbiamo verificato nel corso della campagna elettorale, realizzando al meglio le premesse insite nella nascita della lista, non devono andare dispersi dopo il voto e costituiscono il terreno su cui lavorare portando avanti l’impegno contenuto nel “manifesto” della lista di costruire “un movimento popolare che lavori per un’alternativa di società ben oltre le elezioni”: “Noi vogliamo unire la sinistra reale, quella invisibile ai media, che vive nei conflitti sociali, nella resistenza sui luoghi di lavoro, nelle lotte, nei movimenti contro il razzismo, per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace (…) Un movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono arresi”.
La “confluenza” che ha dato vita alla lista rappresenta un patrimonio che può dare i suoi frutti se dal giorno dopo le elezioni Potere al popolo diventa un motore di lotte, campagne, vertenze, mutualismo, autorganizzazione, opposizione sociale e politica.
Il moltiplicarsi degli appelli collettivi e delle singole adesioni di dirigenti, delegati e militanti di base di CGIL, USB, sindacati di base a Potere al Popolo esprime la necessità di un progetto politico, al di fuori e in alternativa al tradizionale schieramento di centrosinistra, che sia al servizio delle lotte reali di lavoratrici e lavoratori. Il progetto di Potere al popolo per noi va sviluppato proprio per dare più forza a chi, quotidianamente, fa le lotte e connettere al di là delle sigle i settori sindacali più combattivi.
Per questo riteniamo necessario che il passaggio elettorale del 4 marzo sia assunto come una tappa per rilanciare con forza il progetto politico e sociale di una sinistra radicale, popolare, antiliberista e anticapitalista alternativa rispetto a tutti i poli esistenti.
L’esperienza di Potere al Popolo deve proseguire il proprio percorso dopo le elezioni, anche superando i limiti che si sono rilevati in questa campagna elettorale, come processo ampio, democratico e plurale che a partire da coloro che sono stati protagonisti sui territori della campagna elettorale, aggreghi il complesso delle forze antiliberiste e anticapitaliste presenti nel paese in un processo unitario di costruzione di un polo politico-sociale. Un processo di aggregazione basato sulla partecipazione diretta di chi aderisce, che si definisca a partire dai punti fondamentali su cui abbiamo svolto la campagna elettorale e che sia costitutivamente plurale e democratico e quindi rispettoso delle diverse appartenenze politiche, sociali e culturali.  In questo progetto e su queste basi, è possibile inoltre coinvolgere altre forze, soggettività della sinistra a partire dall’Altra Europa e dalle liste e esperienze locali che non hanno preso parte direttamente a Potere al Popolo, ma che sono interessate alla costruzione di un’alternativa ai poli esistenti e ad una prospettiva comune  anche in chiave europea. Dentro il processo pur rapidissimo di Potere al popolo abbiamo dimostrato che su una base politico-programmatica chiara e con metodo democratico è possibile unire le forze della sinistra, le stesse formazioni comuniste con esperienze di lotta, conflitto, mutualismo.
Anche questa esperienza ha riconfermato il valore di una soggettività comunista radicale ma non settaria che si pone il tema del partito sociale e della internità ai movimenti. Ne deriva l’impegno a insistere nel lavoro di rafforzamento del Partito della Rifondazione Comunista sul piano politico e formativo come su quello finanziario e organizzativo anche incoraggiati dal risultato del 2×1000. Il progetto politico della rifondazione comunista vive all’interno della concretezza delle lotte e della costruzione di un’ampio schieramento sociale e politico, di un polo della sinistra antiliberista e anticapitalista.
La Direzione Nazionale del PRC-SE invita tutte le compagne e i compagni al massimo impegno nella fase finale della campagna elettorale per le elezioni regionali e politiche.
Il voto a Potere al popolo è un voto per un programma coerentemente antiliberista, ambientalista e pacifista, di rottura con i trattati europei e di attuazione della Costituzione nata dalla Resistenza.
Le nostre parole d’ordine – piano per il lavoro, riduzione dell’orario di lavoro, abolizione della legge Fornero, del Jobs Act, della “Buona scuola” e delle altre cattive riforme che l’hanno preceduta, ripubblicizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici, introduzione del reddito minimo garantito, ripudio della guerra e drastica riduzione delle spese militari, difesa della sanità e della scuola pubblica, stop al consumo di suolo e alle grandi opere inutili, rifiuto di tutte le discriminazioni, ecc. – corrispondono agli interessi della maggioranza delle cittadine e dei cittadini del nostro paese e rappresentano un’alternativa alla barbarie e alla crescita delle disuguaglianze.

lunedì 26 febbraio 2018

RITORNI IL PENSIERO

RITORNI IL PENSIERO

Al termine della campagna elettorale la cultura rivolge  un appello ai candidati, alle candidate e all’elettorato del 4 marzo, per un ritorno al pensiero nella politica e la messa in campo di quattro grandi opzioni volte a cambiare il nostro destino. Esse riguardano la creazione di lavoro per mano pubblica nonostante il regime europeo, la riconduzione del capitale alla regola del bene comune, la pace come responsabilità e compito del Consiglio di sicurezza dell’ONU e l’adozione dello ius migrandi come diritto umano universale. Questo il testo dell’appello:

Alle candidate e ai candidati alle elezioni del 4 marzo
Alle elettrici e agli elettori del 4 marzo

Roma, 16 febbraio 2018
L’appassionato confronto sui valori e i dettati della Costituzione in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 - al quale abbiamo contribuito sostenendo il No - ha visto partecipare un imponente numero di elettrici e di elettori, pur con scelte difformi, a riprova che le grandi opzioni della politica sono percepite come proprie dai cittadini quando sono messi in grado di scegliere.
Per questo ci rivolgiamo a tutte le candidate e a tutti i candidati di buona volontà con questo accorato e rispettoso appello.
È necessario concentrare almeno quanto resta della campagna elettorale su alcuni obiettivi di fondo che per loro natura vanno oltre il periodo del prossimo mandato parlamentare e oltre i confini dell'Italia, in quanto decisivi dell’intero futuro. Su tali obiettivi non mancano accenni e proposte nel programma di alcuni partiti, ma essi appaiono del tutto oscurati e distorti nel dibattito pubblico rappresentato dagli attuali mezzi di informazione che perseguono altri interessi e logiche contingenti, onde è necessario farli venire alla luce e metterli al centro delle prossime decisioni politiche.

1.  La prima questione è quella del lavoro retribuito, nella specifica forma della sua assenza e precarietà.

La mancanza di lavoro sta raggiungendo tali dimensioni di massa da rendere illusori i rimedi finora proposti. La riduzione al minimo di quella che una volta si chiamava “forza lavoro” a fronte dell’ingigantirsi degli altri mezzi di produzione è tale da alterare tutti gli equilibri dei rapporti economici politici e sociali.
In Italia infatti la Repubblica rischia di perdere il suo fondamento (art. 1 Cost.) e perciò la sua stabilità e la stessa sicurezza della sua durata; in Europa l’Unione economica e monetaria perde il primo dei tre obiettivi fondamentali per cui è stata costituita e via via potenziata, ossia “piena occupazione, progresso sociale e tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente” come prevede l’art. 3 del Trattato sull’Unione; nel mondo il sistema economico perde l’equilibrio dialettico tra capitale e lavoro, deprimendo fino a sopprimerlo il ruolo del fattore lavoro. La resa imposta a uno dei due protagonisti del relativo conflitto - il lavoro - non lo risolve, ma ne spegne la spinta propulsiva e spinge la polarizzazione delle diseguaglianze fino agli estremi di una pari ricchezza detenuta da una decina di uomini e da 3,6 miliardi di persone sulla terra.

La perdita di lavoro umano non è genericamente dovuta al progresso, ma è il frutto di scelte politiche ed economiche che hanno potuto avvalersi come mai fino ad ora dello sviluppo della tecnologia e dell’automazione; paradossalmente ciò ha finito per ritorcersi contro l’ortodossia e la funzionalità del Mercato, perché a esserne snaturato e viziato è stato proprio il meccanismo della concorrenza a causa degli squilibri nel costo del lavoro umano tra le imprese, le diverse aree produttive e gli Stati, messi in concorrenza tra loro nella corsa ad abbattere il ruolo del lavoro, fino alla minaccia del controllo elettronico dei lavoratori anziché delle macchine e dei processi produttivi. Le conseguenze della crisi scoppiata si fanno sentire pesantemente, il Pil dell’Italia è ancora inferiore del 6,5% sul 2008, l'attività industriale è calata oltre il 25% e secondo il prof Giovannini mancano ancora un milione di unità-lavoro rispetto al 2008.
Per ristabilire gli equilibri e una giusta concorrenza è ora necessario puntare non solo ad impadronirsi delle tecnologie e del loro uso ma creare nuovo lavoro in settori finora considerati meno interessanti dal punto di vista del reddito, anche se più di recente anch’essi sono stati invasi dal mercato che ne distorce pesantemente l’utilizzo a fini di profitto. Questi interventi possono essere creati dall’unico soggetto in grado di farlo, cioè il soggetto pubblico, nelle sue varie articolazioni e competenze, sia in Italia che in Europa che a livello globale. Non si tratta solo di proporre una nuova fase dell'intervento dello Stato quanto di un più generale intervento pubblico, da sviluppare in modo coordinato tra le diverse sedi istituzionali. In particolare c’è da coprire l’enorme fabbisogno di lavoro umano per la conservazione e il miglioramento dell’ambiente, la riconversione ecologica delle strutture esistenti, la prevenzione delle calamità, la salute come bene primario universale, l’educazione, i nuovi servizi alle persone, in particolare all'infanzia e al crescente numero di anziani, ecc.; così è necessaria una strategia di riduzione e redistribuzione degli orari di lavoro.
A tal fine l’Italia dovrebbe riaprire il capitolo dell'intervento pubblico nell’economia e riproporlo all'Europa, anche per una nuova interpretazione del Trattato europeo che deplora gli “aiuti di Stato”, che in realtà non sono aiuti ma la manifestazione stessa delle scelte della comunità politica sovrana come soggetto anche economico.
Come rivendicazione politica immediata dovrebbe assumersi pertanto un’abrogazione o rinegoziazione degli artt. 107-109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“Aiuti concessi dagli Stati”). In ogni caso, anche in assenza di modifiche, si dovrebbe ritenere verificata, per l’Italia ma anche per l’Europa impoverita, la clausola che secondo l’art. 107 reintegra a pieno titolo gli “aiuti di Stato” nel mercato interno europeo: la clausola cioè, prevista dall’art. 107, 3 del Trattato, che ci siano regioni “ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione”. Clausola innegabilmente adempiuta quando in Italia ci sono 5 milioni di persone che vivono “in povertà assoluta”, 18 milioni “a rischio di povertà e di esclusione”, e la disoccupazione è all’11 per cento con 3 milioni di disoccupati, tra cui il 37 per cento dei giovani.
Analoga rivendicazione, sia per l’Italia che per l’Europa, dovrebbe farsi per un nuovo approccio fiscale volto a finanziare questi interventi che, in coerenza con la progressività prevista dall'art 53 Cost. , alleggerisca il prelievo fiscale su lavoro e pensioni e lo estenda alla intera ricchezza prodotta e ai grandi patrimoni.
Allora diventerà nuovamente possibile dare effettività all’art. 3 della Costituzione.

2.  La seconda questione riguarda il controllo e la regolazione delle attività e dei movimenti finanziari, compresa la tassazione della produzione e dei consumi nei Paesi in cui avvengono.

La dominanza del capitale finanziario, la sua libertà di movimento globale, il suo potere di ricatto verso gli Stati nazionali, l'assenza di controlli sui movimenti finanziari, la cui provenienza è fin troppo spesso illegale, l'uso speculativo dei capitali finanziari hanno creato uno squilibrio di fondo tra il ruolo ancora essenziale degli Stati e il capitale finanziario globalizzato.
Non basta invocare un ritorno del ruolo degli Stati che pure deve esserci, ad esempio sui bitcoin che sono l’ultima forma speculativo-finanziaria del tutto fuori controllo; purtroppo con grande ritardo si sta comprendendo che consentire lo sviluppo di questa forma di moneta porta alla crescita esponenziale di speculazioni e alla crescita di aree di economia fuori da ogni controllo. Malgrado la crisi scoppiata nel 2008 sia stata del tutto paragonabile a quella del 1929 gli interventi per evitarne il ripetersi non sono paragonabili a quelli adottati dopo la crisi del 1929, senza sottovalutare che perfino molti degli strumenti all'epoca adottati sono stati rimossi, lasciando campo libero ai movimenti speculativi e a comportamenti infedeli a danno dei risparmiatori, fino allo svilimento delle forme di controllo. Vanno rivisti i ruoli nel sistema del credito distinguendo tra credito per gli investimenti e banche di raccolta e uso del risparmio, così come vanno intensificati e resi cogenti strumenti e regole per il controllo dell'operato degli operatori bancari e finanziari, introducendo deterrenti adeguati a tutela del risparmio, contro amministratori e operazioni infedeli. Questo sulla base di precise regole di trasparenza e di uso del risparmio, comprese dissuasioni penali adeguate. Occorre rivedere a livello europeo e mondiale gli accordi che regolano, o meglio non regolano, i movimenti di capitali, sulla base del principio della reciprocità, di un controllo sull'adeguatezza dei comportamenti degli Stati nei controlli sulla base degli accordi. Occorre ripensare le politiche di governo dei debiti pubblici in modo solidale a livello europeo e puntare ad accordi a livello sovranazionale, anche nelle politiche fiscali nazionali oggi usate per la concorrenza tra Stati distorcendo la concorrenza tra imprese. La lotta all’elusione e all’evasione fiscale - cruciale e strategica per il nostro Paese - con un’azione sistematica di contrasto e di nuove normative va inquadrata in una decisa lotta ai paradisi fiscali e alla concorrenza fiscale tra gli Stati, nell'epoca del dominio del capitale finanziario, che è in larga misura all'origine dello squilibrio nei rapporti di forza a danno del lavoro reso sempre più mera merce, per di più sottovalutata. Per questo il sistema di regole e di controlli è indispensabile. L'accento non è più sulla libertà di scambio nel reciproco interesse, ma per evitare pratiche di dumping tra lavoratori e tra Stati occorrono regole e controlli severi sui movimenti e sui comportamenti dei capitali finanziari.
Di conseguenza diventerebbe possibile l’attuazione dell’articolo 41 della Costituzione.

3.    La terza questione cruciale è quella della pace, oggi purtroppo negata da gran parte della politica nazionale e mondiale.

La pace è fin troppo negata dalla nostra politica nazionale, con il formale rovesciamento del ripudio costituzionale della guerra, da quando il nuovo Modello di Difesa italiano, sostituendosi nel 1991 al vecchio Modello concepito in funzione della difesa dei confini nazionali (la famosa “soglia di Gorizia), adottò la formula della “difesa avanzata” degli interessi esterni dell’Italia e dei suoi alleati. Tale difesa comprendeva anche quella degli interessi economici e sociali, ovunque fossero in gioco, “anche in zone non limitrofe”, a cominciare dall’area del Mediterraneo e del Medio Oriente, supponendo (già allora!) l’Islam come nemico dell’Occidente in analogia al conflitto arabo-israeliano che veniva ideologicamente interpretato come una “contrapposizione tra tutto il mondo arabo da un lato ed il nucleo etnico ebraico dall’altro”.
L'art 11 della Costituzione è contraddetto dalla politica nazionale quando si estende la formula della difesa fino all’invio di Forze Armate in Africa per intercettare le carovane di profughi nel deserto o per attivare la Marina libica alla caccia e alla cattura dei migranti nel Mediterraneo, fino alla negazione di ogni umanità nei campi profughi.
La pace è negata dalla politica nazionale quando l’Italia non approva, non firma e non ratifica il Trattato dell’ONU sull’interdizione delle armi nucleari, mentre rifornisce di armi Paesi che ne bombardano altri e primeggia nel mercato degli armamenti realizzando uno dei più alti avanzi commerciali del settore, svuotando di significato la legge nazionale che prevede trasparenza e precisi divieti in materia di commercio delle armi e un controllo delle transazioni finanziarie ad esse collegate. Il divieto dell'esportazione di armi in zone di guerra deve essere ripristinato, così il divieto della fabbricazione di mine e il divieto assoluto di produrre e usare armi all'uranio impoverito di cui si stanno scoprendo le tragiche conseguenze anche per la salute dei militari.
La pace è negata dalla politica internazionale quando Trump reintroduce nelle opzioni americane la risposta nucleare a offese “convenzionali” e perfino al terrorismo.
La pace è negata dalla politica internazionale quando l’ONU viene esclusa dal compito che dovrebbe svolgere di fronteggiare le minacce e le violazioni alla pace, le violazioni della sovranità e gli atti di aggressione. Nessun intervento di polizia internazionale o di interposizione fuori dai confini nazionali deve essere possibile senza una specifica decisione dell'Onu e il suo controllo. L'Onu pur con evidenti limiti è l'unica sede internazionale dotata di legittimità per azioni di polizia internazionale
La pace è negata dalla politica internazionale quando le Potenze nucleari respingono il bando delle armi nucleari, e quando Stati o sedicenti Stati alimentano la guerra mondiale diffusa già in atto e avallano e praticano politiche di genocidio.
L’Italia deve firmare e ratificare il Patto per l’abolizione delle armi nucleari approvato da 122 Paesi e firmato finora da 56 Paesi e ratificato da 4; che l’Italia non fornisca armi all’Arabia Saudita, al Kuwait, ad Israele e alla Libia; che respinga la richiesta degli Stati Uniti e della NATO di aumentare le sue spese militari fino al 2 per cento del prodotto interno lordo, che rappresenta da solo i due terzi di quanto l’Europa consente a uno Stato membro di indebitarsi al di sopra del PIL; che l’Italia si batta con gli altri Paesi europei e con la NATO per una riformulazione della filosofia delle alleanze militari dell’Occidente e per dare attuazione al capo VII della Carta dell’ONU che postula una forza di polizia internazionale comandata dai cinque Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, finora impedita dalla divisione del mondo in blocchi; che si riprenda la grande proposta avanzata ma non accolta alla fine della guerra fredda di “un mondo senza armi nucleari e non violento”. Un mondo, si può oggi aggiungere, sollecito verso la propria conservazione e salvaguardia anche fisica secondo le analisi e le sollecitazioni della intera comunità scientifica fatte proprie anche dalla stessa Enciclica “Laudato sì”.
Allora diventerà nuovamente possibile dare effettività all’art. 11 della Costituzione che riteniamo un principio fondamentale.

4.    La quarta questione cruciale è quella del diritto di cittadinanza, nella specifica forma del suo disconoscimento a quanti, abitanti in uno Stato, non ne siano considerati cittadini.

È una questione che riguarda l’Italia ma che egualmente va posta dinnanzi all’Europa e all’intera comunità internazionale, perché oggi è questa la dimensione necessaria degli interventi.
La discriminazione di cittadinanza che sopravvive a tutte le altre discriminazioni che almeno in via di principio sono cadute (di sesso, di razza, di religione ecc.) deve ora essere superata attraverso politiche programmate e controllate di accoglienza, protezione e integrazione, mirate a realizzare lo ius migrandi già proclamato come diritto umano universale all’inizio della modernità, e a tradurlo gradualmente e con regole nella stabilità dello ius soli.
La realtà delle migrazioni è un prodotto irrecusabile della globalizzazione da noi voluta e perseguita. Non è possibile nasconderla, segregarla o reprimerla perché questo porta con sé in nuce il genocidio. La xenofobia è una nuova declinazione del fascismo, e il genocidio è il suo destino.
Nel mondo di oggi i muri non sono più verosimili. Quello delle migrazioni non è più pertanto un problema esterno degli Stati, ma un problema interno dell’unica Nazione umana e del suo ordinamento giuridico sulla terra, da affrontare con politiche e regole graduali, in grado di promuovere integrazione.
L’Italia per la sua posizione geopolitica, ma ancora di più per il suo DNA, deve essere all'avanguardia nell' avviare questo processo e nel rivendicarlo dagli altri, prima che la catastrofe avvenga.
In tali modi l’intera Costituzione e la nostra Repubblica, l’Unione europea e l’Ordinamento delle Nazioni Unite, unite dal diritto come base per affrontare i problemi diventeranno forza e garanzia della nostra stessa vita.
Proponiamo che al più presto si tenga una tavola rotonda per una prima ricognizione e discussione su questi temi con la partecipazione di quanti vorranno dare un contributo al loro approfondimento e agli sviluppi futuri.


Francesco Baicchi, Leonardo Becheri, Mauro Beschi, Carmen Campesi, Sergio Caserta, Riccardo De Vito, Mario Dogliani, Luciano Favaro,Nino Ferraiuolo, Luigi Ferrajoli,Umberto Franchi, Domenico Gallo, Sandro Giacomelli, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Maria Longo, Sara Malaspina, Silvia Manderino, Tomaso Montanari, Alessandro Pace, Giovanni Palombarini, Pancho Pardi, Livio Pepino, Maria Ricciardi, Giovanni Russo Spena, Mauro Sentimenti, Giuseppe Sunser, Giulia Veniai, Massimo Villone, Vincenzo Vita

"NON C'È POTERE SENZA POPOLO". INTERVENTO DI ROBERTO MUSACCHIO


"Non c'è potere senza popolo". Intervento di Roberto Musacchio

Uno dei sondaggi elettorali per il voto politico del 4 marzo in Italia mostra un dato interessante ed inquietante insieme. Vengono rilevate le propensioni al voto in base alle condizioni sociali e alla età. Ne viene fuori che tra le persone appartenenti alle classi sociali meno abbienti il voto alle destre e ai cinque stelle e' percentualmente assai più alto di quello medio. Al contrario il PD e Liberi e Ugual registrano una propensione al voto molto più bassa.
Naturalmente i sondaggi in periodi come questi di forte volatilità dei consensi sono molto aleatori. C'è poi da considerare che proprio tra i ceti sociali più disagiati c'è una fortissima tendenza al non voto. Così come tra i giovani, che quando esprimono preferenze si orientano principalmente verso i grillini. Ci sono poi molte altre considerazioni che si possono fare come quella che è difficile allo stato attuale considerare il PD un partito di sinistra. Che le varie coalizioni appaiono quanto mai confuse. Che si tende a non rilevare liste diverse come quella di sinistra radicale di Potere al Popolo.
Ma non si può non vedere come questa rilevazione confermi un dato ormai presente da tempo nel panorama politico italiano, e già registrato in molte competizioni elettorali, e cioè la separazione tra quella che è stata la Sinistra e quello che e' stato il suo popolo. Ne nascono molte domande. Perché ciò è accaduto? Questo significa che i ceti popolari sono andati a destra? Si può prescindere per una politica di trasformazione dal rapporto con i ceti popolari? Come si ricostruisce questo rapporto?
I modi di rispondere a queste domande rappresentano una parte significativa della campagna elettorale e in particolare di quella di Potere al Popolo la lista realizzatasi per iniziativa di un centro sociale di Napoli, Je so pazzo, e in cui si sono ritrovati moltissimi movimenti sociali e soggetti politici della sinistra alternativa. Come noto Potere al Popolo nasce dopo il fallimento del tentativo del Brancaccio di arrivare ad una sola lista alternativa al PD ma che avesse i caratteri di una fortissima discontinuità politica e di rappresentanza rispetto agli ultimi 25 anni e una chiara prospettiva di mantenere questa alternativita' anche per il futuro. Analogamente non si è registrata una convergenza tra le forze che fanno riferimento al Partito della Sinistra Europea che poteva rappresentare l'asse su cui costruire una proposta chiara e di prospettiva.
Senza ora entrare in polemiche sulle cause di questo insuccesso ciò che ne è derivato e' una lista, quella di Leu, in cui particolarmente significativa e' la presenza di coloro che si sono distaccati dal PD in questi ultimi mesi per il dissidio con Renzi mentre Potere al Popolo sta accentuando la sua ricerca in un campo nuovo volto proprio a rispondere alle domande che ponevo e al recupero della astensione, del voto passato dalla Sinistra ai cinque stelle, del voto popolare e giovanile.
Perché, dunque, si è consumato questo divorzio tra i ceti popolari e la sinistra? Innanzitutto va percepito che questo divorzio e' assai profondo ed arriva a mettere in discussione il senso stesso della parola sinistra. È un percorso che va visto nella sua interezza perché è particolarmente significativo. Esso infatti comincia con il 1989 e cioè col crollo del socialismo reale ma poi prende strade diverse da quelle di un rifiuto per un insuccesso storico. Ciò che si imputa alla sinistra, se si fa inchiesta tra la gente come anche recentemente mi è capitato per la mia attività di operatore sociale, e' l'abbandono dei propri valori, l'omologazione, la presa di distanza. Non uso la parola tradimento perché non appartiene al mio vocabolario. Ma c'è una profonda sofferenza di cuore ma anche di pancia.
Per altro in un Paese come l'Italia dove i grillini hanno iniettato la critica della casta politica come alternativa alla critica del sistema economico sociale e delle classi dominanti, le caste economiche. E dove le destre, ma non solo, hanno inoculato il germe della xenofobia e del razzismo favorendo la lotta tra gli ultimi e non contro i dominanti.
Tutto ciò avviene in un periodo lungo e significativo in cui il Paese con il più grande Partito comunista d'Occidente, i più grandi movimenti sociali e intellettuali, una fortissima conflittualità diffusa che attraversa tutti i gangli della società e della vita si trasforma in qualcosa di irriconoscibile, in un avamposto della nuova ristrutturazione del potere nell'era della globalizzazione liberista e dell'Europa reale. Questo stravolgimento non avviene in un giorno, non è indolore e non lascia solo macerie. Ma il passaggio dal Pci al PD e' un percorso significativo in cui una forza di trasformazione muta geneticamente in un soggetto di gestione delle politiche del pilota automatico.
La governabilità diviene la bussola che modifica il modo di essere e le funzioni dei dirigenti e alla fine i dirigenti stessi con la rottamazione di una parte che pure aveva favorito questo processo. Un processo che sta nel quadro delle terze vie intraprese dal socialismo europeo ma che agisce ancora più nel profondo con una mutazione del soggetto e dei suoi esponenti che ha qualche somiglianza con ciò che è avvenuto per alcuni partiti dell'est europeo.
Si combinano così vari fattori soggettivi e sistemici. Un sistema sempre più imperniato sulla governabilità e l'assenza di alternative e plasmato dal processo di costruzione dell'Europa reale. Soggetti e soggettività sempre più immedesimati in questo ruolo funzionalistico. Nel mentre cresce una sofferenza sociale larghissima che non trova più prospettiva a sinistra, anzi da essa si sente vessata, e rompe la connessione.
Questo processo, che ho sommariamente descritto, ha avuto fasi anche conflittuali. Il Prc e' stato un soggetto di resistenza allo scioglimento del Pci e al processo che ne è conseguito. Si è trovato anche a battagliare sul terreno del governo, praticamente il primo e il solo dei nuovi Partiti alternativi, nell'epoca dell'entrata nella nuova UE, e ne è uscito sconfitto. E con lui, purtroppo, anche quei movimenti che avevano prodotto le grandissime mobilitazioni alterglobaliste.
Ma allora tutto è andato a destra? No. Io credo che dica così chi in realtà vuole un alibi per continuare la politica del meno peggio che però prepara sempre un nuovo peggio e serve solo a perpetuare ceti politici. Questo è un punto centrale di questa campagna elettorale. Unire le forze contro Renzi, unico colpevole della deformazione del PD, e contro le destre che hanno conquistato le masse? Oppure ripartire da una diversa visione delle masse, da un nuovo rapporto con esse per risalire la china e, dall'opposizione, ricostruire una prospettiva di alternativa?
La mia risposta, in sntonia con Potere al Popolo, è la seconda ma anche perché la prima mi appare illusoria e velleitaria. Velleitario pensare che ci si possa "liberare" di Renzi senza fare i conti con il lungo periodo di incubazione che ha prodotto questo esito. Velleitario affidare questo processo di liberazione a soggetti che appunto sono stati mallevadori di questo approdo. Velleitario pensare che questo processo di liberazione possa intercettare vasti strati popolari che hanno rotto con la sinistra o che esso possa realizzarsi senza di loro.
Per altro le elezioni Italiane come tutte le altre che si vanno svolgendo in tutta Europa sono elezioni che mostrano la crisi dei vecchi sistemi politici messi a dura prova dall'impatto con l'Europa reale e i tentativi di ristrutturazione delle élite e delle governance nazionali e della UE. La Francia e Macron sono un esempio tra i più significativi sia a livello francese che europeo. E in tutti i Paesi le sinistre che riprendono fiato e connessione popolare sono quelle che rompono con lo stato attuale delle cose.
Non a caso il programma di Potere al Popolo ha una forte parte destruens indispensabile per fare chiarezza e risanare ferite. Al centro di questa parte c'è come scelta primaria la cancellazione del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio che è stato inserito nella Costituzione italiana con il voto convergente di centrodestra e centrosinistra. E si propone la rottura dei trattati liberisti come Maastricht per dare corso ad un'altra Europa. A seguire quindi la cancellazione delle leggi su lavoro, pensioni, servizi e stato sociale che in questi decenni hanno devastato la vita delle persone per mano di tutti i governi.
Questa chiarezza sta solo nel programma di Potere al Popolo e non potrebbe essere altrimenti. Liberi e Uguali ad esempio non cita il Fiscal Compact che pure è tema attualissimo in quanto si vuole inserirlo nel diritto comunitario ed è dunque decisivo battersi ora per impedirlo. Non stiamo quindi parlando di una lista della spesa ma di una effettiva priorità politica, quella del Fiscal Compact, agibile adesso e con possibilità effettive di successo.
Naturalmente questo impianto parla di una collocazione per la prossima fase all'opposizione. Anche qui c'è un punto di fondo. Pensare a possibili alleanze di governo col Parlamento che si preannuncia fortemente segnato dalle destre significa consegnarsi a nuovi giochi di trasformismo e avventurismo politico. Naturalmente per dare forza all'opposizione occorre credere che le masse non siano irrimediabilmente consegnate alle destre. E tutto ci dice che non è così.
In Italia ci sono moltissime esperienze di lotta e di solidarietà attiva che sono in campo sui terreni più esposti a partire da quelli della lotta a tutte le forme di razzismo. Che si rafforza se insieme si lotta contro l'impoverimento crescente che colpisce tutti a causa di tantissimi anni di cattive politiche. Potere al popolo si fonda su questa rinnovata connessione sentimentale. Che, come dice lo slogan elettorale che riprende Franco Fortini, "dove era il no, faremo il si".

Per questo il programma di Potere al Popolo disegna una vera alternativa di società. E lo fa rompendo con le costruzioni e il pensiero neoliberista e facendo leva su un altro ordine delle cose dove il diritto al lavoro sta insieme a quello al reddito, la riduzione d'orario si lega al diritto alla pensione in età più umane, i servizi pubblici si coniugano con i beni comuni e il controllo popolare, migranti e autoctoni sono uniti contro chi li sfrutta, l'ambiente è una casa condivisa e non un vivente mercificato, la sicurezza viene dalla solidarietà e anche il carcere va ripensato, le diversità sono tutte ugualmente rispettate. Non a caso questa proposta politica sta creando un entusiasmo che mancava da tempo. e l'entrata in campo di una nuova generazione capace anche di far ritrovare ragioni di unità a quelle passate. Un risultato importante che proietta già oltre quello elettorale.

domenica 25 febbraio 2018

giovedì 22 febbraio 2018

«Costituente, radicale e matura», la sinistra che pensa al dopo


«Costituente, radicale e matura», la sinistra che pensa al dopo
Potere al Popolo. «Noi siamo già una federazione, un processo costituente in quanto tale già aperto e che di certo può aprirsi ancora di più nel futuro»
La portavoce di Potere al popolo Viola Carofalo
Daniela Preziosi ROMA - EDIZIONE DEL20.02.2018 - PUBBLICATO19.2.2018, 23:59
Una giornata di riflessione sulla sinistra post voto del 4 marzo. Suona paradossale cominciare a organizzare il «dopo» prima di conoscere il risultato delle elezioni, dunque prima di aver «pesato» le forze e le energie in campo, l’opinione dei cittadini votanti. Ma non la pensa così il gruppo dei firmatari dell’appello e dell’assemblea «Parte costituente, proposte per la Costituente del soggetto dell’alternativa» che si sono dati appuntamento domenica a Roma, alla Casa internazionale delle donne. Volutamente prima delle urne, anche se «non a prescindere», giurano.
Sono un nucleo di dirigenti e militanti di Sinistra italiana, per lo più marchigiani e abruzzesi, «ma anche indipendenti, appartenenti all’area dell’Altra Europa con Tsipras, che, più o meno tutti, hanno incrociato nel recente passato l’esperienza del Brancaccio». Fallita la quale non hanno condiviso la nascita di Liberi e uguali – anzi ne prevedono il rapido deragliamento – e votano Potere al popolo.
Non tutti i partecipanti fanno questa analisi e e questa scelta. In ogni caso l’assemblea di domenica guarda oltre la scadenza elettorale e propone da subito la nascita di un «soggetto della sinistra d’alternativa, anticapitalista, radicale ma maturo, capace di coniugare prospettive e immediatezza», così la spiega Edoardo Mentrasti, uno degli organizzatori, «un animale strano a mezz’aria fra il sociale, il culturale e il politico», questa invece la definizione di Sergio Zampini. Ad adesioni individuali («una testa un voto» era la formula usata in esperienze precedenti) e senza sciogliere le organizzazioni preesistenti.
È presto per sapere se avrà miglior sorte delle diverse creature federative che le sinistre hanno consumato nello scorso decennio, dopo elezioni perse o persino vinte. Una delle differenze fra le storie andate e la vicenda di oggi è però cruciale: la nascita della lista Potere al Popolo, «un processo costituente in quanto tale già aperto e che di certo può aprirsi ancora di più nel futuro», spiega Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista e candidato.
Pap ha già in programma un’assemblea nazionale a metà marzo per decidere le modalità di prosecuzione del lavoro. Le due cose possono coincidere?
«Potere al popolo è un soggetto ’radicale e maturo’ basato sul mutualismo», spiega Salvatore Prinzi dell’ex Opg Je so’ pazzo, il centro sociale napoletano epicentro della lista. «Dopo il 4 marzo Pap ci sarà e saremo ben felici di allargarla. La nostra è già l’esperienza di una federazione di realtà di base e forze politiche istituzionali insieme a pezzi di sindacato, non solo di base ma anche Rsu e Cgil». «Ma su una cosa siamo stati sempre chiari anche fra noi: andremo avanti, abbiamo deciso di utilizzare la scadenza elettorale soprattutto per costruire la rete e l’organizzazione del dopo». Non è un caso che il lavoro organizzativo nazionale è affidato a un gruppo di giovani dirigenti non candidati nelle liste, liberi di tessere la rete dei soggetti senza per questo sguarnire il fronte dei collegi.

I firmatari della convocazione di domenica propongono da subito un «processo costituente» anche in vista delle europee del 2019. E qui si porrà un tema cruciale per la collocazione di un eventuale soggetto politico. Sulle prospettive, sull’idea stessa di Unione c’è una linea di confronto ruvido che attraversa tutte le sinistre europee, dalle posizioni più europeiste a quelle che bordeggiano il sovranismo e il ritorno ai confini e alle monete nazionali. Discussione aperta anche in Italia, che presto impatterà sulle altre questioni – e c’è da scommettere che non saranno poche – che investiranno le sinistre nel post-voto.

Viola Carofalo di Potere al Popolo!: «Votateci, abbiamo gli stessi problemi»

Viola Carofalo di Potere al Popolo!: «Votateci, abbiamo gli stessi problemi»

Si è formata nei centri sociali, è precaria, napoletana e dal 20 novembre non si è mai fermata. Abbiamo intervistato Viola Carofalo, capo partito di Potere al Popolo!

Democrazia significa «Potere al Popolo!», è questo lo slogan che Viola Carofalo, portavoce del neonato movimento, dal 20 novembre sta portando in tutte le piazze d’Italia. La incontriamo al corteo organizzato a Roma in favore del popolo curdo. «Sono le donne curde che ci hanno insegnato la rivoluzione e la doppia rappresentanza, non potrei essere altrove oggi».
Napoletana, 37enne, precaria, Viola Carofalo è una delle attiviste (e attivisti) del centro sociale napoletano Ex Opg Je So Pazz che pochi mesi fa, quasi per provocazione, ha pubblicato sul web un video in cui chiedeva: «Ma alle prossime elezioni non possiamo proprio votare nessuno? Non ci sono donne, non ci sono precari, non ci sono stranieri.
Noi invece queste caratteristiche le abbiamo tutte, votate noi».
Così sono arrivate centinaia e centinaia di adesioni su tutto il territorio nazionale, tra cui endorsement di personaggi di rilievo a partire da Sabina Guzzanti passando per il regista Ken Loach per finire al francese Jean-Luc Mélencon del movimento France Insoumise.
Un sostegno che fa ben sperare alla lista di sinistra, sostenuta, tra gli altri, da Rifondazione Comunista, PCI e molti sindacati, per raggiungere e superare la soglia di sbarramento del 3 per cento per l’ingresso in Parlamento.
«Sono del Sud, sono una precaria, sono una donna, insegno filosofia – sorride Viola mentre intorn a noi sventolano le bandiere a sostengo del Kurdistan-.  Come dico spesso “le ho tutte”, sono una persona normale, come tante altre, per questo ho scelto la politica».
Essere una donna l’ha penalizzata in quest’avventura?
«Non è facile. Ho ricevuto tanti commenti sul mio aspetto fisico, positivi e negativi e non è stato gradevole in nessuno dei casi. La cosa che mi ha ferita di più è stata però non essere considerata all’altezza di ricoprire il ruolo di capo politico perché  “non ho la giusta presenza”. Mi aspettavo queste difficoltà ed è per questo che sono qui».
Nel vostro movimento ci sono molte donne?
«Sì, siamo la maggioranza a dire la verità. La discriminazione la vivo ogni giorno sulla mia pelle, per esempio quando in un contesto pubblico vedi che danno più credito al tuo collega uomo, che è lui che ascoltano davvero. Questo accade in tutti i settori».
Tra le donne che fanno politica oggi, c’è qualcuna che stima?
«No, i miei modelli sono le grandi partigiane, come Teresa Noce, Nori Brambilla. Queste donne sono il simbolo del riscatto, dell’indipendenza, sono quelle che hanno aperto la strada da sole, senza avere un’organizzazione che garantiva per loro, c’è un avventurismo che mi piace e che rivedo in Potere al popolo».
E lo trova vincente?
«Oggi o ti lanci e fai qualcosa di folle e la gente ti segue oppure è molto difficile pensare a situazioni canoniche».
Potere al Popolo non è canonico ma è un movimento, non si allea con nessuno, si rivolge alla gente comune, non fa un po’ M5S?
«La differenza è che noi siamo di sinistra. La nostra idea era di non creare un partito bensì un movimento anche rispetto al meccanismo decisionale. Del M5s non abbiamo la stessa prospettiva politica, sui temi dell’Europa, dell’immigrazione e dei diritti noi siamo netti. Siamo contrari anche alla votazione online».
Perché?
«Noi non la utilizziamo anche se capisco possa essere utile  per chi ha una disabilità o vive in territori particolarmente rarefatti. Rischia però di far perdere il senso di incontrarsi, discutere e decidere per sintesi, come facciamo noi. Cerchiamo di arrivare a una decisione che faccia contenti tutti, senza l’opposizione della votazione».
Avete fatto così le vostre liste?
«Sì, ci siamo riusciti, rispettando i criteri di parità di genere, discontinuità generazionale e rispetto alle candidature precedenti. Abbiamo deciso tutto senza litigare, che per gente di sinistra non è facile».
Voi che «sinistra» siete?
«Per noi è molto forte l’aspetto solidale, antirazzista e di cooperazione. Bisogna tornare all’essenza, quando penso a cosa dovremmo fare penso alle prime organizzazioni operaie che s’impegnavano per cose semplici. Dobbiamo intervenire sul lavoro e i servizi primari».
Sono queste le priorità del vostro programma?
«Sì, insieme all’ambiente e alla disparità di genere. Non è sostenibile lavorare nel modo in cui la nostra generazione è costretta oggi, con contratti di 4 ore, costretti a lavorare la notte e la domenica a 4 euro l’ora in un centro commerciale. Tutto questo riguarda la qualità della nostra vita, negli ultimi anni ho visto andare via 17 persone del nostro gruppo, per fare i camerieri all’estero per esempio».
Rispetto all’immigrazione, cosa proponete?
«Chiediamo di aprire i corridoi umanitari e una pianificazione dell’accoglienza. I centri di accoglienza straordinaria sono un affare enorme per la camorra e la criminalità organizzata e al loro interno accadono cose incredibili dal punto di vista della violazione dei diritti. Servono strutture più piccole, più controllate, con un sistema di accoglienza diffusa».
Di Matteo Renzi cosa pensa?
«Lui e la sua squadra sono riusciti a fare quello che neanche Berlusconi aveva realizzato, attraverso scelte politiche e non tecniche, come ci hanno fatto credere».
Come mai lei non è candidata al Parlamento?
«Perché in questi mesi sono sempre stata in giro per l’Italia invece volevamo un candidato che fosse presente sul territorio».
Il 4 marzo come lo trascorrerà?
«Dormendo!Poi andrò dal parrucchiere visto che mi sono fatta la tinta da sola e ho sbagliato colore. Scherzi a parte, continueremo a lavorare sulle assemblee territoriali (adesso siamo in 160 città) poi se abbiamo anche rappresentanza, come io spero e credo, ancora meglio. L’obiettivo è potenziare la rete solidale, quella è la strada da percorrere. Quando dimostri che sei credibile perché risolvi i problemi reali dei cittadini  sviluppi con le persone una dinamica di partecipazione diretta».
Perché un elettore dovrebbe votarvi?
«Perché abbiamo gli stessi problemi».




lunedì 19 febbraio 2018

MILANO ARCI BELLEZZA 21 FEBBRAIO INCONTRO PUBBLICO CON POTERE AL POPOLO E SINISTRA PER LA LOMBARDIA



INCONTRO PUBBLICO
21 febbraio 2018 ore 20.30
ARCI Bellezza Via Bellezza, 16 Milano
Il 4 marzo si vota per le elezioni politiche e per la Regione Lombardia.
Potere al Popolo e Sinistra per la Lombardia per cambiare nel paese e nella regione.
Con: Moni Ovadia, Massimo Gatti, Paolo Ferrero; Francesca Fornario

VIMODRONE - SINISTRA PER LA LOMBARDIA E POTERE AL POPOLO VENERDI AL MERCATO E DOMENICA IN PIAZZA


















ALLA FINE IL GOVERNO DÀ RAGIONE AL MOVIMENTO NO TAV


Alla fine il governo dà ragione al movimento No Tav

Il caso. La presidenza del Consiglio: «Le previsioni di 10 anni fa smentite dai fatti». Valutazioni errate costate la più grave crisi tra lo Stato e vaste comunità. Ora si parla di «Low Cost»: il costo totale previsto è di 4,7 miliardi di euro

di Maurizio Pagliassotti da IL MANIFESTO

La presidenza del Consiglio dei Ministri ha recentemente pubblicato un documento dal titolo: «Adeguamento dell’asse ferroviario Torino – Lione. Verifica del modello di esercizio per la tratta nazionale lato Italia fase 1 – 2030». A pagina 58, si legge: «Non c’è dubbio, infatti, che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica di questi anni, che ha portato anche a nuovi obiettivi per la società, nei trasporti declinabili nel perseguimento di sicurezza, qualità, efficienza. Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni e nessuna persona di buon senso ed in buona fede può stupirsi di ciò. Occorre quindi lasciare agli studiosi di storia economica la valutazione se le decisioni a suo tempo assunte potevano essere diverse. Quello che è stato fatto nel presente documento ed interessa oggi è, invece, valutare se il contesto attuale, del quale fa parte la costruzione del nuovo tunnel di base, ma anche le profonde trasformazioni attivate dal programma TEN-T e dal IV pacchetto ferroviario, richiede e giustifica la costruzione delle opere complementari: queste infatti sono le scelte che saremo chiamati a prendere a breve. Proprio per la necessità di assumere queste decisioni in modo consapevole, dobbiamo liberarci dall’obbligo di difendere i contenuti analitici delle valutazioni fatte anni fa». Se c’è la buona fede, c’è tutto. Non importa che quelle valutazioni errate siano costate la più grave, e irreversibile per molti aspetti, crisi tra una comunità vasta e lo Stato degli ultimi decenni.
MIGLIAIA DI PROCESSI, centinaia di arresti, scontri violenti, barricate, venticinque anni di lotta. Le parole del governo, che riconoscono pienamente le ragioni del movimento Notav – Il Tav è fuori scala – non generano in val Susa il minimo senso di soddisfazione, bensì un vasto sentimento di rabbia. Anche perché la conclusione del papello governativo che prende atto dell’assenza di traffico sulla direttrice est – ovest, trascende nell’atto di fede: non serve, ma si fa lo stesso.
MA DI QUANTO furono sbagliate le previsioni all’origine della Torino – Lione? Gli studi di Ltf del 1999 prevedevano un incremento tra il 2000 e il 2010 del 100%, ovvero da dieci a venti milioni di tonnellate. Riviste nel 2004, a causa della chiusura del tunnel del monte Bianco che spostò sul Frejus il traffico merci, ebbero una virile ascesa: da otto milioni del 2005 a quaranta (40) nel 2030. Questo perché le merci in transito verso l’Austria o la Svizzera sarebbero state attratte, chissà perché, dalla Torino – Lione. Oggi, dall’attuale tunnel del Frejus, ammodernato solo pochi anni fa, passano tre milioni di tonnellate di merce. Se si sommano i flussi merce sull’autostrada parallela si arriva a tredici. Alla base della rivolta del territorio valsusino vi erano, e vi sono questi dati.
LA RESPONSABILITÀ sarebbe dell’Unione Europea che sbagliò i calcoli, par di capire dal documento governativo, ma ormai è tardi per tornare indietro. Chiosa enigmatica, perché al momento della Torino – Lione Av non esiste un solo metro, a meno che non si prenda in considerazione un piccolo tunnel geognostico costruito in val Clarea. Piercarlo Poggio, docente presso il Politecnico di Torino fa parte del gruppo di accademici che hanno contrastato sul piano scientifico la tratta Torino – Lione Av, commenta: «Sono parole, quelle del Governo, che provano l’approccio scientifico tenuto dal movimento Notav: non abbiamo mai avuto una posizione ideologicamente contraria. I nostri sono sempre stati studi corretti, che provano l’inutilità dell’opera. A maggior ragione oggi è momento per tornare indietro, non per andare avanti come se nulla fosse».

IL TUNNEL DI BASE costerà 8,6 miliardi di euro ripartiti tra Francia e Italia nella misura del 42,1% e del 57,9%, al netto del cofinanziamento UE che copre il 40% del costo complessivo. L’Italia quindi spenderà tre miliardi di euro a cui si devono sommare 1,7 miliardi necessari per il potenziamento della linea storica: è il cosiddetto «Tav low cost».
Grazie per le visite!
banda http://www.adelebox.it/