giovedì 2 aprile 2009

Milano, assedio al manager

Arriva anche in Italia la pratica di bloccare i capi per far valere i diritti dei lavoratori

Manager accerchiato. Azienda avvisata. Infuria la bufera alla Omnia service center di via Breda, periferia Nord di Milano, a un passo da Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia che non c’è più. Non ci sono nemmeno gli operai ma la storia è sempre quella. Come alla Sony francese. Alla Caterpillar oltre le Alpi. Nella fabbrica del lusso dove gli operai bianco-rosso-blu hanno sequestrato un manager. Adesso è toccato a un’azienda italiana, l’episodio sembra meno grave, ma quello che conta è l’aria che tira. «Una brutta aria, aspettiamo gli stipendi di febbraio da oltre un mese», racconta Silvana, una operaia di questo call center che ieri pomeriggio si è fermato in assemblea, ha costretto l’amministratore delegato a parteciparvi, gli ha chiesto con le buone e facce cattive notizie sul futuro del gruppo aziendale e su quello di chi ci lavora. L’assemblea è andata avanti per meno di un’ora. Il manager è stato poi «liberato». Non ci sono stati momenti di tensione vera come nelle aziende francesi. Ma quello che conta è l’episodio in sé. Il primo in Italia. Il primissimo in un grande gruppo.

Alla Omnia service che fornisce assistenza telefonica al gruppo H3g e non solo lavorano settecentocinquanta addetti. Trecento hanno un contratto a tempo indeterminato. Tutti gli altri firmano per quindici giorni, quando va bene sono sei mesi. I turni - va da sé - sono su 24 ore. La paga oraria è di quelle tipiche nel mondo del terziario avanzato solo quando si tratta di tecnologie, mica di stipendi. Sette e cinquanta l’ora la paga base. Dodici e cinquanta quando va benissimo. Uno stipendio che alla fine non arriva nemmeno a 1000 euro al mese ma si ferma a quegli 850 euro con cui a Milano è quasi impossibile vivere con dignità. «Sempre che arrivino poi, gli stipendi...», mugugnano gli addetti al call center, voce suadente quando si tratta di rispondere al cliente dall’altra parte del filo, voce tiratissima davanti all’amministratore delegato che racconta la storia di sempre. Quella che parte dai subprime americani, travolge Wall Street e Piazza Affari e finisce come al solito nelle tasche vuote degli operai. Anzi no, degli addetti al call center, il lavoro del Terzo Millennio che non ti unge le mani di olio e di grasso ma alla fine è la storia di sempre.

«Da due mesi l’azienda ritarda i pagamenti sostenendo che c’è la crisi, imputando la responsabilità ai committenti», spiegano gli addetti al call center, quelli che fanno sorridere quando sono protagonisti del film «Tutta la vita davanti» con Sabrina Ferilli. «Ma che vita è... Stiamo ancora aspettando lo stipendio di febbraio, ci avevano promesso che ce lo avrebbero dato il 5 marzo, è passato quasi un mese e ancora niente. Dobbiamo pagare mutui, affitti, spese...», fanno due conti gli impiegati che per una volta hanno provato a chiedere il conto al manager di turno. Costretto almeno una volta a sentire pure la loro voce e mica al telefono.

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