Lucano: «Una
buona notizia in un periodo di amarezza»
Nobel per la
pace. Raccolte oltre 90mila firme per candidare Riace. L'ex sindaco: «Chi ci
governa è come Pinochet, passa con autorità sulla pelle degli esseri umani»
Gli applausi
durante una conferenza stampa non capitano spesso, ma attorno alla figura di
Domenico Lucano si addensano più eccezioni che consuetudini. Compresa questa.
Quando arriva all’iniziativa «Riace Nobel per la pace 2019» alcuni dei presenti
si alzano in piedi, chi sta parlando cede il microfono, tutti battono le mani.
Ha mezz’ora di ritardo e fuori piove.
Attraversa
la sala incerto, stringe qualche mano e prende posto. Si ritrova un microfono
davanti e gli occhi della platea addosso. Abbassa lo sguardo, respira
profondamente, farfuglia un saluto e qualche ringraziamento. Poi dice: «Questa
raccolta di firme per candidare Riace al Nobel – sono oltre 90mila, tra cui
2.750 docenti e 1.250 associazioni – è una buona notizia in un periodo in cui
prevale l’amarezza. Vorrei condividere questa iniziativa con tutti i rifugiati
del mondo e con chi desidera una società più giusta e umana. La mia situazione
personale è una cosa insignificante rispetto a quello che sta succedendo».
Mentre
Lucano parla il pubblico è in silenzio, rapito da concetti semplici ma profondi
pronunciati a voce bassa. Di sottofondo resta solo il rumore degli scatti delle
macchine fotografiche. Tutti gli obiettivi sono puntati su di lui. «Sono
diventato un personaggio improvvisamente, senza volerlo, senza alcun merito»
dirà.
IN ALCUNI
PASSAGGI del suo racconto la realtà assume le tinte del realismo magico. Come
quando ricorda: «Non c’è alcuna premeditazione in quello che abbiamo fatto.
Tutto nasce da uno sbarco avvenuto per caso. È stato il vento che un giorno di
20 anni fa ha portato un veliero pieno di curdi sulle coste di Riace. Questa
storia inizia così».
La faccia
del sindaco riflette i sentimenti che lo agitano, inquietudine ma anche
determinazione. Sorride fissando un punto indefinito mentre parla delle case
vuote degli emigranti riacesi riempite dai rifugiati. Si incupisce quando cita
la situazione attuale del borgo, svuotato dai cittadini stranieri e nuovamente
spopolato. Stringe le sopracciglia immaginando ciò che può ancora accadere.
«Riace tornerà a vivere, sono convinto che ce la faremo. Quest’onda nera
passerà» afferma.
LO SPETTRO
DI MATTEO SALVINI aleggia tutto intorno. Quando viene nominato, sul volto di
Lucano si disegna un sorriso di pietà o compassione. «Il ministro vuole ripopolare
le aree interne del sud con gli italiani invece che con i migranti. Ma dove li
prende? Lui non le conosce quelle zone, io sì». O una smorfia di rabbia: «Chi
ci governa è come Pinochet, passa con autorità sulla pelle degli esseri umani,
ci fa diventare ogni giorno più tristi. Guardate Siracusa». Poi afferma con un
orgoglio poco comune: «Io rifarei tutto quello di cui sono accusato e per cui
sto pagando. Loro quando pagheranno per i crimini contro l’umanità che
continuano a commettere?».
Le frasi a
volte saltano da un pensiero all’altro, ma i messaggi sono forti e chiari.
Lucano è così, non ha bisogno di posare accanto a piatti di pasta posticci per
sembrare genuino. «È tutto paradossale – continua – compreso il gesto dei
parlamentari Pd. Non voglio fare polemica, ma sono gli stessi che hanno votato
il decreto Minniti-Orlando. Per loro non è questione di sensibilità ma di
interessi politici. Invece noi, che siamo persone semplici, soffriamo a Riace,
a Siracusa».
DOMANI LE
FIRME voleranno verso Oslo e saranno consegnate al comitato del Nobel dalla
rete di comuni, municipi, associazioni e giornali che ha sostenuto l’esperienza
di Riace come un simbolo che da locale può diventare globale. Poi le iniziative
continueranno, «perché la candidatura è un atto politico». Il 2 marzo a Milano
con l’adesione al corteo «People, prima le persone» e il 25 aprile nel borgo
calabrese con una mobilitazione che si vorrebbe nazionale e sostenuta
dall’Anpi. Intanto il 26 febbraio la Cassazione si pronuncerà sul divieto di dimora,
con la speranza che sia finalmente revocato. «Ogni volta bisogna avere la forza
per ricominciare. Senza recriminare, nonostante le difficoltà. Non abbiamo
altro» conclude Lucano provando a scavalcare con le parole l’ennesimo applauso.
Perché Riace
merita il Nobel
Riccardo
Petrella da “IL MANIFESTO”
Ci sono
comuni entrati nella memoria collettiva per lo spirito di condivisione e di
solidarietà in seno alla comunità dei loro abitanti, per la capacità di
apertura verso quelli della campagna e degli altri comuni vicini o lontani. Ma
anche per la volontà praticata dei loro abitanti di essere parte attiva e
cooperante della storia dei loro territori regionali, nazionali, continentali,
per la loro disponibilità a conoscere ed aprirsi alle culture, ai modi di vita
degli stranieri e degli abitanti della Terra sconosciuti.
In realtà,
condivisione e solidarietà all’interno vanno di pari passo, con apertura e
cooperazione verso l’esterno, diventato ai nostri giorni sempre più «interno».
La capacità
utopica dei Comuni riguarda molti aspetti. Si è espressa nell’obiettivo della
sicurezza di vita e della ricerca della non violenza e della pace, nel
desiderio di promuovere una vita in armonia con il territorio fino al livello
più vasto della comunità globale: comuni denuclearizzati, comuni virtuosi,
comuni no Ogm, comuni no Ttip, comuni accoglienti, comuni per la pace.
I Comuni, da
secoli, non sono più capaci, ne desiderosi di fare le guerre, di prelevare le
tasse per gli eserciti. I loro abitanti, anche di grandi comuni, sono altresì
portati a re-inventare il locale e il loro divenire molto di più di quanto
siano disposti a fare gli Stati, specie i grandi Stati, gli Stati potenti, gli
Stati che si dicono essere la veste politica delle grandi nazioni, imperiture,
immortali. I municipalismi sportivi guerrieri, violenti, razzisti nel campo del
calcio, esplosi negli ultimi anni, sono l’espressione barbara, malefica, di una
società profondamente malata perché ha fatto della violenza economica, sociale,
politica la modalità culturale patologica dei rapporti sociali con l’altro.
È in questo
contesto che la storia di Riace assume un rilievo «universale». A cominciare
dal 1998 con lo sbarco di duecento profughi del Kurdistan sulle sue spiagge di
piccola cittadina della costa calabrese jonica sulla via dello spopolamento. I
responsabili comunali e le associazioni da tempo attivi nel tentativo di
arrestare l’emorragia socio-economica della cittadina, non impacchettarono le
famiglie «illegali» sbarcate per darle alle cure dello Stato e del governo
centrale. Decisero di accoglierle cosi come, poco a poco centinaia di altri
immigranti.
Aggiustarono
le case abbandonate, riaprirono le scuole, fecero venire un piccolo esercito di
educatori, tutori, animatori, per accompagnare i nuovi abitanti ad aprire
commerci, sviluppare l’artigianato locale e dei loro paesi di provenienza.
Per
sostenere la rinascita economica furono create delle monete locali, nuove
modalità di finanziamento cooperativo, nuove imprese comuni, il tutto nello
spirito di una nuova avventura umana pacifica, solidale, di fraternità.
Le soluzioni
si rivelarono pertinenti e efficaci. In pochi anni Riace ha accolto più di
1,270 immigrati extra-comunitari ed è rinata una nuova comunità con fini, basi
e mezzi comuni ed in comune. In pieno contrasto con le politiche messe in atto
dalle autorità centrali italiane ed europee in materia di economia, di
sicurezza sociale e di sviluppo comunitario. E questo è stata la sua condanna,
la sua perdita.
L’esperienza
di Riace, per di più considerata dalla maggioranza delle forze vive dell’Italia,
dell’Europa e dell’opinione pubblica mondiale, come una formidabile esperienza
positiva d’integrazione/coesione plurale da tutti i punti di vista (culturale,
sociale, etnico, religioso, politico, economico,….) è stata vissuta dalle forze
al potere, specie con l’arrivo al governo di forze politiche e sociali
profondamente xenofobe, razziste, nazional-fasciste, come un affronto,
un’esperienza nemica, intollerabile.
Il resto è
noto. Il governo italiano, sulla spinta rabbiosa e pervicace del nuovo Barbaro
made in Italy ha dichiarato illegale e rea di delitti
amministrativi-istituzionali l’esperienza di Riace. Probabilmente, le ha
inferto troppe ferite gravi, letali, perché essa possa ristabilirsi e ritornare
allo stato felice in cui era arrivata.
In teoria,
nessuno ha il diritto di far morire una comunità umana, un comune, una città.
Il Comune di Riace – i suoi abitanti a cominciare dal sindaco Mimmo Lucano –
merita il premio Nobile per la pace, sarebbe un segno forte e chiaro alla
comunità mondiale.
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