martedì 26 febbraio 2019
DOVE VA L'ITALIA?
DOVE VA L'ITALIA?
DERIVA POLITICA E CULTURALE, RAZZISMI, OMOFOBIA, ATTACCHI AI DIRITTI E LIBERTA' DELLE DONNE, NEOFASCISMO
NE PARLIAMO CON LE ASSOCIAZIONI, I MOVIMENTI LOCALI E
SAVERIO FERRARI DELL'OSSERVATORIO DEMOCRATICO SULLE NUOVE DESTRE
GIOVANNI RUSSO SPENA EX SENATORE E GIURISTA DEL P.R.C.
CARLOTTA COSSUTTA DI "NON UNA DI MENO" COAUTRICE DEL LIBRO "SE IL MONDO TORNA UOMO".
MERCOLEDI' 27 FEBBRAIO 2019 ORE 21
PRESSO LA SALA "CAMERANI"
VIA FATEBENEFRATELLI
BIBLIOTECA DI CERNUSCO SUL NAVIGLIO
martedì 19 febbraio 2019
INTERVISTA A PAOLO FERRERO DE L'INCHIESTA
Regioni, Fca
e Pd, parla Paolo Ferrero: il regionalismo differenziato sara' un disastro
— Lunedì 18
febbraio 2019
Sta girando
l’Italia per presentare il suo ultimo libro - “Marx oltre i luoghi comuni”-
(ricavato al partito): l'ex segretario di Rifondazione Paolo Ferrero ieri era a
Cassino ed ha fatto visita alla nostra redazione centrale.
Ferrero è
nato a Pomaretto (Torino) nel 1960. Operaio e poi cassaintegrato Fiat, è stato
Ministro della Solidarietà sociale nel secondo governo Prodi e segretario nazionale
di Rifondazione comunista. Oggi è vicepresidente del Partito della Sinistra
europea.
A proposito
di solidarietà, qui - in provincia di Frosinone - viviamo sulla linea di
confine tra l’Italia ricca e quella disperata: cosa prevede possa accadere con
l’autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna?
«Succede un
disastro e chi lo fa è un criminale. Perché le regioni più povere le
immiserisci ulteriormente e sono destinate a degradare ancor di più. E’
criminale perché il mondo ha già un mucchio di diseguaglianze e il fatto di
suddividere l’Italia vuol dire aumentare le disparità e crearne di nuove. Noi
stiamo discutendo di Salvini e del suo “aiutiamoli a casa loro”: ma qui questo
non vuol neanche aiutare gli italiani. Questo è un crimine organizzato, sono
lazzaroni. Non so più quali parole usare. In questa cosa c’è veramente
malafede, perché è chiaro che lucrano sulle paure ma sono i primi costruttori
di paura».
C’è un pezzo
di meridione che vota Carroccio ed è diventato classe politica col salvinismo.
Come lo spiega?
«Intanto
l’innamoramento per Salvini di una parte di destra meridionale, è avvenuto
prima che fosse chiara questa cosa dell’autonomia. La Lega di Bossi, ad
esempio, faceva comprendere con evidenza che si basava sull’elemento della
spaccatura dell’Italia e non è che pigliasse voti al Sud. Salvini, invece,
sembrava una destra estrema ma nazionale. Adesso, però, diventa palese che
racconta balle e resta segretario della Lega Nord, a favore del Nord ed usa il Sud contro gli
altri poveri, per cercare di avere più voti senza restituire niente. Quelli che
l’hanno eletto in Calabria e non raccoglieranno alcunché. Ci metteranno un po’
ad accorgersene. Ma lo capiranno».
Altro
capitolo incerto è quello di Fca, col piano industriale sospeso, il ricorso
continuo alla cassa integrazione, gli ex internali rimasti a casa. Cosa succede
nel dopo Marchionne? Ce lo spiega lei che è piemontese?
«E sono
anche un ex dipendente Fiat. Secondo me Siamo alle conseguenze del fatto che
alla Fiat nessun governo ha chiesto niente. Tutti osannavano Marchionne mentre
lui spostava la sede legale fuori dall’Italia ed anche il baricentro produttivo
negli Stati Uniti. Adesso l’Italia è un paese come gli altri senza grandi
costruttori, non ha niente di più. Questa è la situazione disastrosa. Avevamo
un’azienda aveva cuore e cervello qui e adesso non c’è più. Il governo dovrebbe
darsi da fare pesantemente nei confronti della Fiat. Altrimenti rischiamo che,
se decidono che spostano pezzi di produzione magari negli Usa, chiudono da un
giorno all’altro a Cassino e Pomigliano. Del resto la capacità produttiva
installata è maggiore di quel di cui hanno bisogno ed alla famiglia Agnelli
interessa solo che le arrivino i soldi. I nostri governanti, poi, hanno
l’ideologia della libertà di mercato come i predecessori. Se uno pensa che il
padrone di Fiat possa fare quel che vuole come un qualsiasi privato, non
abbiamo speranza. L’Italia produce un terzo delle auto che consuma: siamo
importatori netti ed è una follia per cui bisognerebbe che il governo si
ponesse il problema».
Lo chiedono
in tanti, anche dal nostro territorio...
«C’è però
una differenza tra noi ed il resto del mondo, dal Pd alla Lega. Gli altri
ritengono che l’impresa la gestisce e fa le scelte la proprietà. Invece bisogna
impedire questa cosa e mettere la mordacchia alle grandi imprese. E chiaro che
non mi riferisco alle Pmi, agli artigiani. Ma le grandi non possono fare i loro
comodi e prendere decisioni che non coincidono col bene del Paese. Ma questo
governo è totalmente liberista, non ha fatto nulla su tante questioni, come
sulla libertà di licenziamento».
Il reddito
di cittadinanza vi piace, però.
«Siamo a
favore del “reddito” ma le modalità con cui verrà erogato non ci convincono.
Dovrebbe costituire un diritto ma sembra che ti facciano un favore. Sta cosa
del “restar seduti sul divano” non ha senso. Lo Stato o ti dà il lavoro o ti dà
i soldi per campare. Se ci fossero tutti questi posti, oltretutto, non avrebbe
senso dare il “reddito”. Se ci sono tre occasioni a testa per ogni disoccupato
che senso ha pensare ad altro? Basta dare lavoro. Invece dà fastidio l’ideologia.
Penso ci sia un diritto al lavoro. Non ti fanno lavorare? Allora un reddito per
sostenerti ti spetta e non devi essere considerato con schifo perché lo
percepisci. In più questa roba che loro hanno annunciato non si regge su
nessuna legge stabile. Neanche i provvedimenti sulle pensioni. Sono robe per
due o tre anni ed i soldi ci sono solo per quest’anno. L’anno prossimo viene
molto da pensare che questo governo non ci sarà più. Sono tutte misure per
andare al voto delle europee. La Lega per prendere voti in più, l’M5S per
evitare il tracollo. Poi... chi s’è visto, s’è visto».
Veniamo al
suo libro sull’attualità del pensiero di Marx: colpisce la considerazione che
il capitalismo non c’entri più niente con l’umanità: non è esagerato davvero?
«Il capitalismo
è nato disumano: marchiando a fuoco i disoccupati, facendo lavorare i bambini,
grondando sangue. Ma quel capitalismo dell’inizio produceva una ricchezza
enorme. Quindi rappresentava sia la storia dello sfruttamento ma anche di uno
sviluppo economico, sociale e civile innegabile. Questa è la storia intimamente
contraddittoria del capitalismo. Questa ricchezza ha avuto una fase in cui
funzionava ma, poi, l’appropriazione privata del profitto è entrata in
contrasto col benessere potenzialmente prodotto. Questa frizione produce la
rovina di entrambe le classi in lotta: produce la barbarie. Siamo arrivati a
questo punto. La ricchezza non è mai stata così grande ma si presenta alla
massa come scarsità, mentre c’è la sovrapproduzione. Perché i ricchi son troppo
ricchi e la gente comune non arriva a fine mese. La tecnologia, che ci
consentirebbe di lavorare di meno e di vivere meglio tutti, non viene
utilizzata in questo senso. Invece qualcuno lavora fino a 70 anni come un pazzo
e milioni di giovani restano disoccupati. La stessa cosa sta avvenendo con lo
sfruttamento dell’ambiente ed il riscaldamento del pianeta che porterà ad avere
150 milioni di profughi dalle terre che saranno sommerse. I nazisti sono al 20%
con 5 milioni di immigrati, pensate cosa succederà con 150 milioni. Il
capitalismo s’è tramutato in sfruttamento dell’uomo e della natura. All’idea
sfruttamento-concorrenza va sostituito il binomio realizzazione
umana-cooperazione. Chi dice che non è
possibile perché sarebbe il regno dei cieli, noi rispondiamo che è
possibilissimo. Basta andare a prendere i soldi a chi ne ha troppi».
Lei ha detto
che il modello Sardegna con la lista unitaria di sinistra può essere un buon
auspicio anche per le vicende italiane. E’ così? O non ci sarà alternativa a
questa schiacciante supremazia gialloverde?
«La tendenza
in atto è come l’influenza. La gente è delusa, le ha provate tutte, è alla
ricerca miracolistica dell’uomo della provvidenza. L’M5S dopo un anno sta già
perdendo molto. La Lega è nella fase di crescita ma l’illusione nel miracolo
svanirà. Quanto alla sinistra, con De Magistris stiamo mettendo insieme la
sinistra italiana, Potere al Popolo, Prc. Spero si faccia una lista per le europee di sinistra
alternativa che diventi nazionale e abbia una ferma proposta politica. La cui
tesi sostanziale è: i soldi ci sono e bisogna prenderli a chi ne ha troppi e
non ai poveri».
Zingaretti
può ricucire qualche strappo tra voi ed il Pd?
«No. Come si
vede dal governo della Regione Lazio, si può tranquillamente concludere: sotto
il vestito niente».
giovedì 14 febbraio 2019
16 FEBBRAIO ORE 14.30 PIAZZA PIOLA MILANO - MANIFESTAZIONE CONTRO IL DECRETO SALVINI E I CPR
● Il 16
febbraio saremo in piazza, di nuovo a Milano per continuare a costruire insieme
l’opposizione dal basso all’apertura dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio
(CPR), a partire da quello di via Corelli a Milano, e alle politiche razziste e
repressive che hanno trovato la loro massima espressione, oggi, nel DL Salvini.
● Sarà un
corteo che intende snodarsi per le vie e il quartiere che abbiamo già
attraversato il 1 dicembre, un’altra tappa di un percorso di allargamento che
vuole parlare alla città, fatto di azioni che coinvolgano i territori e che
tramutino in fatti e pressione sulle istituzioni i punti di rivendicazione
contenuti nell’appello elaborato, condiviso e pubblicato dalla Rete Mai più
Lager – No ai CPR.
● Vogliamo
porre l’attenzione sulla molteplicità dei risvolti che il DL avrà sulle vite di
tutte e tutti (che richiede ferme prese di posizione e provvedimenti concreti
alle amministrazioni territoriali, modifiche legislative e inversioni di rotta
al governo centrale, e sovvertimenti delle politiche migratorie alla UE), e non
solo su temi strettamente di immigrazione.
● Una data
che impone peraltro di non relegare l’intervento della Rete, anche per il
prosieguo, al solo tema del CPR, e tanto meno solo a quello di Milano,
inducendo ad avere invece orizzonti più ampi e sfidanti. E ciò avrà riflesso
anche sull’iniziativa del 16 febbraio, che non avrà come meta via Corelli.
● Durante
l’assemblea generale del 19 gennaio, abbiamo siglato un patto di unità e
responsabilità collettiva: decine e decine di realtà sono arrivate da tutta
Italia per rilanciare con vigore la necessità di una strategia di lungo termine
in cui convergano le energie e le intelligenze che si sono già espresse e
quelle che si stanno attivando, anche in altri ambiti, apparentemente distanti.
Dalla discussione è scaturita una ferma volontà di interporsi con proposte, voci, azioni legali e non solo, con una mobilitazione diffusa e continua, una resistenza civile su più livelli e in più ambiti, che si intersechino con le tante altre in giro per l’Italia.
Dalla discussione è scaturita una ferma volontà di interporsi con proposte, voci, azioni legali e non solo, con una mobilitazione diffusa e continua, una resistenza civile su più livelli e in più ambiti, che si intersechino con le tante altre in giro per l’Italia.
● Non c’è
più spazio per le ambiguità, è tempo di scegliere da che parte stare, e noi
abbiamo scelto: stiamo dalla parte dei diritti, delle persone migranti, e non
solo.
mercoledì 13 febbraio 2019
ACERBO: «BASTA RIFUGIARSI NEL PD, ORA SINISTRA ITALIANA STIA CON NOI»
Acerbo:
«Basta rifugiarsi nel Pd, ora Sinistra italiana stia con noi»
Intervista con Maurizio Acerbo (Prc): In Abruzzo SINISTRA ITALIANA ha fatto la ruota di scorta e ha fatto eleggere un renziano. Calenda e Zingaretti due minestre riscaldate, alle europee uniti anche con Pap, Diem e De Magistris
Daniela
Preziosi – “IL MANIFESTO” - EDIZIONE DEL 13.02.2019
Dico a
Sinistra italiana: valeva la pena rinunciare a una lista con noi per imboscarsi
nella lista di Legnini e fare eleggere un renziano doc? Nella campagna
abruzzese la sinistra è stata invisibile. Ha solo detto che Legnini è abruzzese
e invece Marsilio vive a Roma».
Maurizio Acerbo (segretario Prc, ndr), oltre a essere romano il neopresidente Marsilio è un ex Msi di Fratelli d’Italia.
Non calcato
neanche su questo perché Legnini aveva dei supporter di destra.
Perché non avete corso?
Lavoravamo a
una lista con SINISTRA ITALIANA ma il 28 dicembre hanno cambiato idea e deciso di rifugiarsi
da Legnini. Non siamo riusciti a raccogliere le firme, da noi la legge fatta da
PD e destre ne prevede un numero altissimo.
Poi non
avete votato?
Il PRC non
ha dato indicazioni di voto. Io per la prima volta nella vita non ho votato.
Mi costringe
a citare un suo vecchio segretario: per lei Legnini o Marsilio pari sono?
Non si può
usare sempre il ricatto della vittoria della destra. Se Salvini è il fascismo
il Pd aveva il dovere di fare il governo con il M5S. Legnini o Marsilio, gli
ospedali si chiudono e si fanno gli interessi delle cliniche private. Rifiuto
il tentativo di usare i POP CORN per poi ricostruire la dialettica centrodestra
– centrosinistra per cui tutta la sinistra deve votare il Pd, senza che il Pd
cambi in nulla. Dico ai compagni di S.I.: sarebbe stato meglio esserci,
l’obiettivo era a portata di mano. Invece hanno fatto le ruote di scorta. Non
hanno neanche eletto nessuno.
Con queste
’ruote di scorta’ però farà la lista alle europee.
Se non
costruiamo un progetto autonomo rischieremo sempre di trovarci come in Abruzzo.
E sarà facile per il Pd recuperare i voti di sinistra di chi è spaventato da
Salvini. Quelli che condividono un programma e una visione antiliberista, che
non sono nazionalisti ma neanche per la troika, si ritrovino insieme. Per
questo lavoriamo con De Magistris, Dema, S.I., Diem, Potere al popolo. Siamo
tutti No tav, per la patrimoniale, contro il jobs act, per la Costituzione.
Sull’Europa
tutti d’accordo?
Siamo tutti contro i trattati europei. Con la lente di ingrandimento abbiamo qualche
differenza come c’è in Unidos podemos, in Bloco de Esquerda, nella Linke, ma è
nulla rispetto all’alterità dal PD.
Nel 14
l’Altra Europa per Tsipras univa gli ’antiliberisti’. Poi è esplosa lo stesso.
Ma tutti gli
eletti sono stati ottimi parlamentari nel GUE. L’Altra Europa non è proseguita
perché non avevamo la stessa idea sul centrosinistra. Ma Eleonora Forenza è
stata un punto di riferimento per tutti.
Stavolta
resterete uniti?
Ormai tutti,
anche S.I., sono contrari al centrosinistra. E stiamo discutendo con De Magistris
per costruire una coalizione che non sia un autobus ma un punto di riferimento
lontano da Calenda e dal PD, e cioè dall’eutanasia della sinistra.
Voi e Pap vi
siete già scissi una volta.
Lenin
consigliava ai giovani comunisti di Livorno di lavorare con Serrati (Giacinto
Menotti, socialista corrente ’terzina’, ndr). Bando ai rancori. Siamo uniti sul
99 per cento, se stanno insieme i compagni di Barcellona non vedo perché non
possiamo farlo noi. Unità e umiltà.
Di questa
lista perno indispensabile è De Magistris. Ma si è davvero convinto a farlo?
Un sindaco
che guida da sette anni un’amministrazione ribelle contro tutti (contro Pd, 5
stelle e destre) vuole accertarsi della ampia unità e della possibilità di
proseguire dopo le europee. Ma stiamo facendo un buon lavoro. Faccio una
proposta.
Prego.
Mai più
Abruzzo. Daremo la possibilità di usare il simbolo della Sinistra Europea,
consentirà in ogni caso la presentazione della lista. La sinistra non sarà
costretta a votare il caravanserraglio di Calenda e la minestra riscaldata del
Pd per paura di Salvini.
Zingaretti
per lei è una minestra riscaldata?
Conosco
Zingaretti da anni, non voglio essere irrispettoso. Però fin qui non ha detto
una sola parola che lo distingua dalle precedenti stagioni del Pd. Certo ci ha
messo la buona educazione e forse anche la gestione collegiale del suo partito
al posto della sbruffonaggine di Renzi. Mi fa piacere per loro, qualche
componente collaterale potrà trovare asilo nel Pd, ma al momento novità
politiche non ci sono.
venerdì 8 febbraio 2019
L'ITALIA E' IN RECESSIONE E LA MANOVRA E' UNO SPOT ELETTORALE! IL 9 FEBBRAIO IN PIAZZA!
Nota aggiornata su “Reddito di cittadinanza” e Quota 100
NOTA AGGIORNATA SU “REDDITO DI
CITTADINANZA” E QUOTA 100
(DECRETO LEGGE 28 GENNAIO 2019, N.4)
Il 28
gennaio è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge
che disciplina il cosiddetto “reddito di cittadinanza” e Quota 100. Il testo è dunque quello effettivamente
definitivo, diverso in alcune parti anche rispetto alla versione approvata dal
Consiglio dei Ministri (per come era stata pubblicata dalla stampa).
Ovviamente
come tutti i decreti ha effetti immediati, ma deve essere convertito in legge
entro 60 giorni, e nella conversione sono possibili modifiche da parte del Parlamento.
Prima di
entrare nelle considerazioni specifiche relative alle due misure, va premessa
una considerazione generale, dirimente per tutta la manovra di bilancio, e che
ha una particolare importanza per il “reddito” e “quota 100”, che della manovra
sono la parte quantitativamente più rilevante in termini di risorse.
Come abbiamo
sottolineato fin dall’inizio, la manovra finale fissa clausole di salvaguardia
pari a 23 miliardi per il 2020 e 29 miliardi per il 2021. La necessità di
reperire quelle risorse, ingentissime, per disinnescare gli aumenti dell’IVA
che altrimenti scatterebbero, fa sì che oltre a una serie di prevedibili (e
previsti) tagli futuri, ogni intervento, compresi quelli su pensioni e reddito,
sia sottoposto alla possibilità molto
concreta di essere rimaneggiato e rimesso in discussione, dopo le elezioni. La
manovra è una manovra elettorale.
Tanto più,
perché sul terreno fiscale, il governo in continuità con quelli precedenti,
persegue con la pratica di condoni e sconti alle imprese, e fa la Flat-Tax per
il lavoro autonomo. L’opposto di quanto sarebbe possibile e necessario mettere
in campo, contrastando la grande evasione, ripristinando una reale
progressività delle imposte, istituendo una patrimoniale sulle grandi
ricchezze.
IL “REDDITO DI CITTADINANZA” O LA SOCIETA’ DELLA COAZIONE
LA POVERTA’ IN ITALIA E Il VINCOLO
DELLE RISORSE
Secondo
l’Istat nel 2017 in Italia c’erano 1 milione e 778mila famiglie residenti in
condizioni di povertà assoluta, corrispondenti a 5 milioni e 58mila persone. Le
famiglie in condizione di povertà relativa erano invece 3 milioni 171mila pari
a 9 milioni 368mila persone.
Per quanto
il Ministro Di Maio affermi che il reddito si rivolge a 5 milioni di persone,
le stime dell’Istat indicano una platea assai più limitata, 1 milione 308 mila
famiglie, per 2 milioni e 706 mila persone. La misura quindi non solo non
coprirebbe tutta l’area della povertà, assoluta e relativa, ma risponderebbe a
poco più della metà della stessa condizione di povertà assoluta.
Per quanto
le risorse stanziate siano significativamente superiori a quelle del REI, va
sottolineato come il “reddito di cittadinanza” venga erogato non in relazione
al numero di coloro che rientrano nei requisiti di reddito e patrimonio e che
abbiano ovviamente fatto domanda, ma fino al tetto delle risorse stanziate. Se
le domande superano le risorse, il sussidio viene rimodulato e ridotto.
10 ANNI DI RESIDENZA
Per
garantire il più possibile che il provvedimento venga riservato agli
“italiani”, per cui come ha detto Di Maio “è stato concepito”, l’RdC sarà
fruibile solo da chi sia residente nel paese da almeno 10 anni, di cui gli
ultimi due in modo continuativo.
Si
raddoppiano in questo modo i 5 anni
previsti per l’ottenimento del permesso
di soggiorno UE di lungo periodo. Una previsione discriminatoria e
soggetta ad essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale – che con una
recente sentenza ha stabilito l’irrazionalità di norme che mettano in
correlazione il soddisfacimento di bisogni primari con la lunga permanenza su
un territorio - ma intanto utile alla
propaganda razzista e sempre meno distinguibile di Lega e 5Stelle.
IL REDDITO E LA FAMIGLIA
L’RdC non
sarà una misura individuale – come dovrebbe essere - ma familiare. Non solo nel senso che il
reddito viene erogato ai nuclei familiari, ma nel senso che le varie
condizionalità impegnano ogni membro della famiglia e nel caso in cui un
singolo membro non le rispetti, la ritorsione (la decadenza) colpisce
tutti. Anche in questo caso è tutta da
verificare la costituzionalità della norma. Di certo per gli estensori, il
principio di responsabilità individuale va a farsi benedire, in un disegno in
cui il disciplinamento esterno del mercato del lavoro e delle leggi che lo
regolano, si intreccia con quello interno della famiglia, sempre più concepita
come unità coattiva: dal reddito al ddl Pillon.
I REQUISITI DI REDDITO E PATRIMONIO
Potranno
accedere all’RdC, i nuclei familiari che rispettino congiuntamente i requisiti
di un valore ISEE inferiore a 9.360 euro;
un patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non
superiore ai 30mila euro; un patrimonio
mobiliare non superiore ai 6mila euro (accresciuto di 2mila euro per ogni
componente della famiglia fino ad un massimo di 10mila e di ulteriori mille
euro per ogni figlio successivo al secondo); un valore del reddito familiare di
6mila euro per i singoli, moltiplicato per la scala di equivalenza secondo il
numero dei componenti (+0,4 dal secondo membro maggiorenne in poi, + 0,2 per i
minori).
La scala di
equivalenza è ridotta rispetto a quella dell’Isee, il che determina una
penalizzazione per le famiglie numerose, in particolare se con minori.
Per
l’accesso alla pensioni di cittadinanza il valore del reddito soglia è
incrementato a 7.560 euro.
Nessun
componente della famiglia dovrà possedere auto nuove acquistate 6 mesi prima, o
con cilindrata superiore a 1600 cc, o moto superiori a 250 cc immatricolati due
anni prima.
Nessun
componente della famiglia dovrà aver dato dimissioni volontarie nell’anno
precedente, senza nessuna analisi delle motivazioni specifiche nei diversi
casi.
Il sussidio
sarà corrispondente alla differenza tra il reddito percepito e la soglia di 780
euro mensili. Non potrà in ogni caso superare i 6mila euro annui per un singolo
che non abbia alcun reddito (moltiplicato per la scala di equivalenza per più
componenti) e di una ulteriore quota fino ad un massimo di 3360 euro per chi
vive in affitto.
Sarà
corrisposto per 18 mesi, e potrà essere rinnovato dopo la sospensione di un
mese.
IN CASO DI
FALSE DICHIARAZIONI sono previste pene da 2 a 6 anni con la restituzione di
quanto ricevuto (aumenta di un anno rispetto alla prima versione la durata
minima della detenzione).
IL PATTO PER IL LAVORO E IL PATTO PER
L’INCLUSIONE SOCIALE
Tutti i
maggiorenni dovranno dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, al
percorso di formazione o riqualificazione, e alle attività al servizio della
comunità ( 8 ore settimanali gratuite nei progetti dei comuni). Dovranno
svolgere attività di ricerca di lavoro definite e documentate settimanalmente,
fare colloqui psico-attitudinali, accettare una delle tre offerte di lavoro
congrue nei primi dodici mesi. Dopo il primo anno o in caso di rinnovo,
dovranno accettare la prima offerta utile. Come già detto, nel caso in cui uno
dei componenti non sottoscriva entrambe i Patti, l’RdC decade per tutto il
nucleo familiare. Nel caso di assenze ingiustificate alle convocazioni dei
Centro per l’Impiego anche di un solo membro invece, scattano le decurtazioni (un mese per un’assenza, due
mesi per due, la decadenza per tre assenze).
LA CONGRUITÀ DELL’OFFERTA DI LAVORO
Nei primi 12
mesi è definita congrua un’offerta di lavoro entro 100 chilometri dalla
residenza se si tratta della prima offerta, 250 chilometri se è la seconda
offerta, ovunque nel territorio nazionale se è la terza offerta. Oltre il dodicesimo mese è congrua un’offerta
entro i 250 chilometri se è la prima o la seconda offerta, ovunque se è la
terza. In caso di rinnovo, vale
un’offerta ovunque nel territorio nazionale. Solo nel caso in cui nel nucleo
familiare vi siano persone con disabilità, la distanza massima resta a 250
chilometri. Viene richiamata la definizione di congruità di uno decreti
attuativi del Jobs Act, ma non il successivo decreto Poletti dell’aprile 2018.
Va ricordato che secondo questo decreto (che il testo del RdC peggiora
nettamente rispetto alla distanza dal luogo di residenza), viene definita
congrua un’offerta anche a tempo determinato, purché non inferiore ai 3 mesi di
durata. In sostanza ci si dovrebbe
spostare ovunque nel territorio nazionale per non perdere un lavoro che dura un
trimestre.
Al datore di
lavoro che assuma a tempo pieno e indeterminato il beneficiario dell’RdC, e
realizzi in questo modo un incremento del numero di occupati, è riconosciuto uno sgravio contributivo pari
alla differenza tra 18 mensilità e il reddito già goduto. Lo sgravio non sarà
comunque inferiore a 5 mensilità. La versione finale elimina il mese aggiuntivo
(6 mesi di sgravio fisso) previsto inizialmente per le donne ed i soggetti
svantaggiati.
Nel testo
definitivo viene eliminata la concessione dell’incentivo anche se non c’è
incremento occupazionale e semplicemente si sostituiscono i lavoratori andati
in pensione. Devono essersi accorti, come avevamo segnalato commentando la
versione precedente, che dare contributi anche per la semplice sostituzione di
chi va in pensione con lavoratori che già costano meno, in quanto neo assunti,
e già hanno meno diritti, dopo il Jobs Act, era davvero eccessivo!
Resta il
fatto che, poiché con il Jobs Act si può licenziare praticamente sempre, senza
l’obbligo della reintegra, il “reddito di cittadinanza” funzionerà esattamente
come ha funzionato la decontribuzione associata al contratto a tutele crescenti
del Jobs Act: una volta esauriti gli sgravi, via libera ai licenziamenti! Con
buona pace del tempo indeterminato.
Non si sono
eliminate le norme vessatorie sui licenziamenti previste dal Jobs Act,
reintroducendo l’articolo 18, come prometteva il M5S in campagna elettorale, si
è invece trasformato il “reddito di cittadinanza” in un ulteriore incentivo
alle imprese, che produrrà altra occupazione precaria.
IN CONCLUSIONE
Oltre ai
limiti molto pesanti di copertura della platea prima indicati, il “reddito di
cittadinanza” non è un reddito di cittadinanza: il governo sovrappone
totalmente il contrasto alla povertà con le politiche per il lavoro, e vara un
provvedimento di workfare con condizionalità pesantissime e punitive.
Nel
frattempo non fa politiche per creare lavoro, per cui, con una contraddizione
macroscopica, non si riesce a comprendere da dove dovrebbero venir fuori i
milioni di posti di lavoro alla cui accettazione è vincolata la concessione del
reddito.
Il “reddito
di cittadinanza” è un provvedimento discriminatorio per le famiglie
extra-comunitarie povere. Disegna una società il cui obiettivo è quello di un
disciplinamento distruttivo dell’autonomia delle persone, sottoposte nello
spazio domestico ad un’idea di famiglia che è sempre più comunità coattiva,
mentre fuori dallo spazio domestico, opera la “disciplina del mercato”.
Si lavora
gratuitamente per il comune, mentre si bloccano le assunzioni in una pubblica
amministrazione che è sempre più ridotta ai minimi termini. Ci si deve spostare
fino all’intero territorio nazionale per un lavoro la cui durata può anche
essere di tre mesi.
E il
“reddito” alla fine non è che un’altra forma per trasferire risorse alle
imprese, esattamente come ha fatto la decontribuzione prevista da Renzi per il
cosiddetto “contratto a tutele crescenti” del Jobs Act.
QUOTA 100 NON E’ L’ABROGAZIONE DELLA
LEGGE FORNERO
E NON RISOLVE NULLA PER LE DONNE E I
LAVORATORI PRECARI
ASSENTE LA NONA SALVAGUARDIA PER GLI
ESODATI
Non è
prevista neppure nella versione definitiva del Decreto, la nona salvaguardia
per gli esodati che avrebbe dovuto sanare la situazione di circa 6mila persone,
non coperte dalle salvaguardie precedenti e rispetto alla quale erano state
reiterate molte promesse da parte della maggioranza. E’ un punto grave, per cui
si deve continuare a pretendere una soluzione.
UNA MISURA UNA TANTUM?
Si fissa poi
il carattere “sperimentale” e non strutturale di Quota 100, la cui valenza è
delimitata al triennio 2019- 2021. In realtà, come già detto, il meccanismo
delle clausole di salvaguardia, sottopone l’intervento sulle pensioni come
quello sul reddito al rischio che si
tratti di misure spot, determinate dalla propaganda in vista delle elezioni
europee, persino maggiore della sperimentalità triennale.
QUOTA 100 NON E’ QUOTA 100
Si fissano
poi i due requisiti: almeno 62 anni di
età e almeno 38 di contributi, che devono essere rispettati entrambi. Quota 100
non è dunque Quota 100: non si può accedere alla pensione ad esempio con 37 di
contributi e 63 di età, per il doppio paletto.
L’ASPETTATIVA DI VITA
L’adeguamento
all’aspettativa di vita resta come meccanismo generale per il requisito
anagrafico della pensione di vecchiaia: a gennaio 2019 si passa quindi da 66
anni e 7 mesi a 67 anni, e resta la previsione di ulteriori futuri aumenti.
L’adeguamento
viene cancellato invece per il requisito contributivo relativo al cosiddetto
accesso al pensionamento anticipato indipendente dall’età. In sostanza si
blocca ai requisiti esistenti nel 2018 ( 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni
e 10 mesi per le donne ) l’anzianità contributiva necessaria per la pensione
anticipata. Vengono inoltre esclusi dagli incrementi i lavoratori precoci
(coloro i quali hanno svolto almeno un anno di lavoro prima dei 19 anni)
equiparati in questo modo alle 15 categorie di lavori usuranti e gravosi,
definite dalla legge 205/2017 (che
usufruiscono delle agevolazioni se hanno almeno 30 anni di contributi ed hanno
svolto quell’attività per almeno 7 anni negli ultimi 10).
LE FINESTRE. PUBBLICI E PRIVATI
Vengono
reintrodotte le finestre, cioè il periodo che intercorre tra la maturazione dei
requisiti e il diritto alla decorrenza della pensione. La loro reintroduzione
depotenzia l’eliminazione dell’aumento legato all’aspettativa di vita per le
pensioni anticipate, portando lo “sconto” rispetto alla situazione preesistente
a 2 mesi.
Le finestre
sono trimestrali per i lavoratori dipendenti del settore privato e semestrali
per quelli del settore pubblico.
La
motivazione addotta per la differenziazione tra pubblici e privati, riguarda la
necessità di garantire i servizi essenziali: in palese contrasto con il nuovo
blocco delle assunzioni nel pubblico fino a novembre 2019 stabilito dalla
manovra.
I dipendenti
pubblici sono penalizzati anche dal rinvio del pagamento del TFS che viene
posticipato alla data in cui la lavoratrice o il lavoratore sarebbe andato in
pensione senza quota 100, anche di 6 anni. Il testo finale fa riferimento a
convenzioni con le banche per l’erogazione anticipata del TFS, con gli interessi
pagati dall’Inps e trattenuti dall’importo dell’indennità di fine servizio,
quindi a carico del lavoratore.
PROROGA DI APE SOCIALE
Viene
prorogata di un anno l’Ape Social ricalcando i termini con i quali è stata
istituita. Come è noto l’AS ha previsto la possibilità per le persone che
abbiano compiuto 63 anni di andare in pensione se in una delle seguenti
condizioni: disoccupati che abbiano concluso l’indennità di disoccupazione da
tre mesi, con almeno 30 anni di contributi; lavoratori che assistano familiari
conviventi di 1°grado con disabilità grave da almeno 6 mesi e con almeno 30
anni di contributi; lavoratori con invalidità uguale o superiore al 74% con
almeno 30 anni di contributi; lavoratori che svolgano un lavoro particolarmente
gravoso o l’abbiano svolto per 6 anni negli ultimi 7 con 36 anni di contributi.
Sono requisiti strettissimi e interpretati restrittivamente, in particolare per
quel che riguarda le lavoratrici e i lavoratori disoccupati. Il che ha
comportato – secondo i dati Inps del novembre 2018 – l’accoglimento di poco più
di 33mila domane su un totale di oltre 87mila (il 38%), tra novembre 2017 e
luglio 2018.
PROROGA DI OPZIONE DONNA
Nella
decreto è prevista anche la proroga di Opzione donna, con la possibilità di
accedere alla pensione per le lavoratrici dipendenti che entro il 31 dicembre
2018 abbiano maturato almeno 35 anni di contributi ed abbiano almeno 58 anni di
età se lavoratrici dipendenti e almeno 59 se autonome. Opzione donna comporta
come è noto il ricalcolo complessivo della pensione con il sistema
contributivo, con una decurtazione media del 30%. Le finestre inoltre in questo
caso continuano ad essere di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi
per le lavoratrici autonome.
IN SINTESI
Quota 100,
come il “reddito di cittadinanza” sono sottoposte al rischio molto concreto di
interventi peggiorativi, passate le elezioni europee, per la pesantezza delle
clausole di salvaguardia che condizionano tutta la manovra del governo.
Nel merito,
è migliorativa rispetto alla disastrosa situazione esistente, conseguente alla
Legge Fornero – per la cui abrogazione,
lo ricordiamo, Rifondazione Comunista
promosse un referendum nel 2012 purtroppo vanificato dallo scioglimento
anticipato delle camere – ma ha carattere triennale e non rappresenta in nessun
modo né la cancellazione promessa in campagna elettorale della Fornero, né una
riforma organica, come testimonia il permanere di diverse misure, tutte in
regime sperimentale (Quota 100, Ape Sociale, Opzione Donna…).
Vi
accederanno un numero di lavoratori significativamente inferiore alla platea
potenziale, anche per la riduzione della pensione conseguente ai minori anni di
contribuzione.
L’adeguamento
all’aspettativa di vita resta per la pensione di vecchiaia, e non è parametrato
alle diverse condizioni di lavoro e di stress da lavoro, non risolte dalle
limitate eccezioni previste.
Non è in
nessun modo risolutiva in particolare per le donne, le più colpite dalla
controriforma del 2011, che continuano ad essere gravemente penalizzate, e che
anticipano le future (e più gravi) penalizzazioni dei giovani lavoratori e
delle giovani lavoratrici precarie.
Il
perdurante sessismo di una società che scarica sulle donne il lavoro domestico
e di cura (5 ore e 13 minuti in media al giorno contro 1 ora e 50 degli uomini:
3 volte tanto1), e insieme le discrimina
nei riconoscimenti sociali, fa sì che le donne abbiamo carriere lavorative
discontinue, subiscano il part-time imposto assai più degli uomini (1milione e
851mila donne contro 851mila uomini2), subiscano perduranti penalizzazioni
salariali.
Nel 2011,
prima dell’approvazione della Legge Fornero, le donne con 35 anni di contributi
erano solo il 20,6% sul totale femminile, contro il 70,6% degli uomini sul
totale maschile3. Figuriamoci 38! Ma allora era possibile utilizzare il canale
della pensione di vecchiaia che prevedeva 5 anni di differenza per le
lavoratrici private (mentre per le pubbliche la modalità truffaldina di
relazione con la UE da parte di tutti i governi, di centrosinistra come di
centrodestra, aveva già portato all’innalzamento dell’età pensionabile).
I dati
recenti forniti dai sindacati parlano per le lavoratrici del settore privato di
una media di 25,5 anni di contributi contro i 38,8 degli uomini.
In sostanza
le donne che potranno accedere a Quota 100 saranno un’assoluta minoranza,
mentre Opzione Donna comporta penalizzazioni delle pensioni fortissime, che
intervengono su retribuzioni già nettamente più basse di quelle degli uomini.
I giovani
La
situazione attuale delle donne non fa che anticipare la situazione futura di
chi lavora oggi.
I 38 anni di
contributi sono una chimera per la condizione precaria sempre più generalizzata
delle lavoratrici e dei lavoratori attuali, che vede accanto alla discontinuità
lavorativa condizioni salariali nettamente peggiori (il 30% in meno rispetto al
tempo indeterminato).
Per questo è
per noi imprescindibile una mobilitazione che si ponga l’obiettivo di una
riforma organica della previdenza, e che rivendichi da subito il ripristino di
una riduzione significativa dell’età pensionabile per le donne – almeno fin
quando non sarà conquistata una effettiva uguaglianza nel lavoro produttivo e
riproduttivo – e una pensione di garanzia per i giovani, iniziando a rimettere
in discussione i meccanismi del contributivo.
Come
continuiamo a evidenziare, non c’è nessun problema di sostenibilità intrinseca
del sistema pensionistico. La controriforma Fornero fu imposta dentro le
logiche delle politiche di austerità. Ma il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni
previdenziali, al netto dell’assistenza e delle tasse, è sempre stato in attivo a partire dal 1996: un
attivo che nel 2016 è stato di circa 39 miliardi4.
Il limite di
“Quota 100” è quello di tutta la manovra, di cui pure rappresenta probabilmente
il provvedimento migliore: i vincoli dell’austerità UE rispetto ai quali il governo
ha portato avanti un’iniziativa tanto teatrale quanto inefficace, ed insieme le
politiche fiscali inique fatte di condoni e Flat Tax, piuttosto che di
contrasto all’evasione, maggiore progressività, patrimoniale sulle grandi
ricchezze.
1 Censis, 2016
2 Istat,
terzo trimestre 2018
3 X
Congresso Attuari INPS
4 F. R.
Pizzuti “Pensioni: una bomba sociale pronta a esplodere”, Gennaio 2018
A cura di
Roberta Fantozzi - Dip. politiche economiche e del
lavoro
VENEZUELA, MATTARELLA STAVOLTA È IN ERRORE Luciana Castellina da “IL MANIFESTO” - 7-2-2019
Venezuela,
Mattarella stavolta è in errore
Luciana Castellina da “IL MANIFESTO” - EDIZIONE DEL - 07.02.2019
No
presidente Mattarella, davvero no. Io sono fra quelli che hanno sempre avuto
per lei massima stima, ma credo che questa volta lei sia davvero in errore.
Dare
legittimità a Guaidò è contro ogni regola democratica, significa opporsi alla
posizione assunta dalle Nazioni unite che, con tutte le sue debolezze, è però
tutt’ora una delle poche istituzioni che ci garantiscono il rispetto, almeno
formale, di qualche diritto internazionale.
Significa
rifiutare la ragionevole proposta di dialogo avanzata da papa Francesco che è
uno che l’America latina la conosce molto bene.
Temo ci sia,
sul Venezuela e la sua crisi, una grande disinformazione.
Bisognerebbe
forse ricordare che quelli che oggi sostengono questo signore autoproclamatosi
presidente (fra cui la notoriamente pessima rappresentanza della comunità
italiana) sono stati coloro che un golpe l’hanno fatto nel 2002 contro il
presidente democraticamente eletto del Venezuela, Hugo Chavez. Lo arrestarono,
addirittura, e c’è un bel documentario trasmesso allora dalla Bbc, che
consiglierei di proiettare al Parlamento europeo a Bruxelles, in cui si
vedevano i golpisti su un palchetto, un insieme che sembrava tratto dal famoso
affresco di Diego Rivera nel Palazzo del governo di Città del Messico:
l’oligarchia del paese, le signore in cappellino, il vescovo, gli alti gradi
dell’esercito, l’ambasciatore americano, a sigillare un’altra delle consuete
operazioni «nel cortile di casa» (guarda caso, affidata in questo caso proprio
allo stesso uomo cui adesso è stato rinnovato l’incarico da Trump, Abrams.). In
strada una immensa folla scesa dalle poverissime favelas di Caracas a difesa
del loro presidente, il primo in questo disgraziato paese che avesse collocato
al primo posto del suo programma la lotta alla miseria. E che così riuscirono a
liberarlo. Mentre tutte le emittenti tv del paese, da sempre in mano ai
golpisti, proiettavano, per occultare l’accaduto, Tom e Jerry. Già allora
l’ambasciatore spagnolo, per conto dell’Ue, si era precipitato a riconoscerli.
Da allora tutte
le elezioni del Venezuela sono state monitorate da commissioni internazionali,
ma sui muri dei quartieri eleganti della capitale, ho avuto modo di vedere coi
miei occhi le scritte insultanti contro un ex presidente degli Stati Uniti che
aveva diretto una di queste missioni per conto dell’Onu e le aveva giudicate
corrette: «Carter uguale Chavez, e, peggio, «Carter Kgb».
LO SCONTRO
di classe in America latina è asprissimo, la sfacciataggine con cui le sue
élites operano dipende dalla secolare convinzione che esse nutrono di essere
padrone del continente, per discendenza imperiale. Esser stati sfidati da un
povero indio, figlio di maestri elementari dell’estrema Amazonia, che ha osato
bloccare la privatizzazione della Pdvsa, l’azienda petrolifera, avviare la
riforma agraria e distribuire i dividendi della più importante ricchezza del
paese nelle favelas (dotate anche di emittenti radio gestite localmente) è
stato considerato inammissibile.
NESSUNO di
chi oggi si schiera in favore di un decente dialogo fra le parti sottovaluta
gli errori commessi da Maduro, un personaggio che non ha certo la statura di
Chavez, purtroppo strappato alla vita ancora giovane da un maledetto cancro.
Questo stesso giornale li aveva segnalati in dettaglio pubblicando un articolo (giugno
2017 ), scritto, l’indomani di una sua visita a Caracas, dal compianto Francois
Houtar, lo straordinario sacerdote belga purtroppo ora defunto che da anni
viveva in Amerca latina. Il quale, pur denunciando con forza le illegalità
della opposizione e la sua violenza, rimproverava giustamente il presidente di
aver sottovalutato il rischio di varare una nuova Costituzione, pur legittimata
da un regolare voto popolare, e però senza la partecipazione dell’opposizione
che aveva boicottato il voto astenendosi; la marginalizzazione dei critici
della stessa propria parte; di rivolgersi solo ai propri sostenitori come un
agitatore anziché parlare a tutto il paese, come è d’obbligo per un presidente,
che deve cercare di interpretare le ragioni dei suoi pur ristretti ceti
intermedi. E, soprattutto, di aver redistribuito la ricchezza petrolifera
(l’80% della valuta straniera che entra nel paese) ma di non aver saputo
impostare un diverso modello di sviluppo economico, meno dipendente dalle
fluttuanti sorti dei barili di oro nero. Ma questo è, purtroppo, un problema
generale di tutti i governi di sinistra che hanno tentato in questi anni di
operare una svolta in America latina. Perché uscire dalle rigide regole imposte
dai potenti al sistema mondo è difficilissimo.
PROPRIO
Chavez ci aveva provato avviando l’Alleanza bolivariana, il tentativo di unire
i paesi che stavano cercando di spezzare le catene – l’Argentina di Kirschner,
la Bolivia di Morales, l’Uruguay di Vasquez, il Brasile di Lula – per acquisire
la forza necessaria a resistere. Purtroppo il sistema oppressivo si è
dimostrato più forte, e quei governi di sinistra sono caduti uno a uno. Salvo
in Bolivia e nell’Uruguay, dove non a caso si tiene la riunione che tenta la
via della mediazione nello scontro venezuelano, impegnando nel negoziato il suo
leggendario ex presidente, Pepe Mujica, ex guerrigliero e anche il solo
politico invitato dal papa all’ultimo raduno dei movimenti popolari, a Roma,
nel 2016. Su questa vicenda la si può naturalmente pensare come si crede, ma
sarebbe d’obbligo interrogarsi su quale sarebbe l’alternativa ove vincesse
Guaidó. Sono davvero sicuri i parlamentari europei che, da Bruxelles, l’hanno
nominato presidente del Venezuela, che nelle favelas si vivrebbe meglio se a
vincere fosse lui? Basta andare addietro nella storia per sapere cosa è stato
fatto, in passato, dai governi venezuelani. Persino quelli pur ipermoderati che
avevano cercato di avviare qualche misura popolare sono stati travolti; oggi i
partiti che li avevano incarnati sono stati spazzati via: non sono loro dietro
all’opposizione attuale.
CERTO CHE
c’è miseria oggi in Venezuela e che per questo parte della popolazione anche
povera protesta (ma non sarebbe male se la tv italiana mostrasse anche le
immagini di coloro, tutt’ora tantissimi, che manifestano a Caracas in favore di
Maduro ). All’origine della crisi drammatica del paese ci sono infatti
certamente gli errori di Maduro,la rozzezza della sua leadership, e anche la
corruzione di troppi funzionari statali, ma il primo responsabile della crisi è
proprio il boicottaggio internazionale.
HO LETTO
poco fa un tweet di infervorato sostegno a chi ha adottato verso il Venezuela
la posizione di Trump : di Matteo Renzi. È la posizione ufficiale del Pd?
Davvero non avrei mai pensato che arrivasse ad opporsi all’attuale governo da
posizioni di destra .
martedì 5 febbraio 2019
LUCANO: «UNA BUONA NOTIZIA IN UN PERIODO DI AMAREZZA» - da "IL MANIFESTO"
Lucano: «Una
buona notizia in un periodo di amarezza»
Nobel per la
pace. Raccolte oltre 90mila firme per candidare Riace. L'ex sindaco: «Chi ci
governa è come Pinochet, passa con autorità sulla pelle degli esseri umani»
Gli applausi
durante una conferenza stampa non capitano spesso, ma attorno alla figura di
Domenico Lucano si addensano più eccezioni che consuetudini. Compresa questa.
Quando arriva all’iniziativa «Riace Nobel per la pace 2019» alcuni dei presenti
si alzano in piedi, chi sta parlando cede il microfono, tutti battono le mani.
Ha mezz’ora di ritardo e fuori piove.
Attraversa
la sala incerto, stringe qualche mano e prende posto. Si ritrova un microfono
davanti e gli occhi della platea addosso. Abbassa lo sguardo, respira
profondamente, farfuglia un saluto e qualche ringraziamento. Poi dice: «Questa
raccolta di firme per candidare Riace al Nobel – sono oltre 90mila, tra cui
2.750 docenti e 1.250 associazioni – è una buona notizia in un periodo in cui
prevale l’amarezza. Vorrei condividere questa iniziativa con tutti i rifugiati
del mondo e con chi desidera una società più giusta e umana. La mia situazione
personale è una cosa insignificante rispetto a quello che sta succedendo».
Mentre
Lucano parla il pubblico è in silenzio, rapito da concetti semplici ma profondi
pronunciati a voce bassa. Di sottofondo resta solo il rumore degli scatti delle
macchine fotografiche. Tutti gli obiettivi sono puntati su di lui. «Sono
diventato un personaggio improvvisamente, senza volerlo, senza alcun merito»
dirà.
IN ALCUNI
PASSAGGI del suo racconto la realtà assume le tinte del realismo magico. Come
quando ricorda: «Non c’è alcuna premeditazione in quello che abbiamo fatto.
Tutto nasce da uno sbarco avvenuto per caso. È stato il vento che un giorno di
20 anni fa ha portato un veliero pieno di curdi sulle coste di Riace. Questa
storia inizia così».
La faccia
del sindaco riflette i sentimenti che lo agitano, inquietudine ma anche
determinazione. Sorride fissando un punto indefinito mentre parla delle case
vuote degli emigranti riacesi riempite dai rifugiati. Si incupisce quando cita
la situazione attuale del borgo, svuotato dai cittadini stranieri e nuovamente
spopolato. Stringe le sopracciglia immaginando ciò che può ancora accadere.
«Riace tornerà a vivere, sono convinto che ce la faremo. Quest’onda nera
passerà» afferma.
LO SPETTRO
DI MATTEO SALVINI aleggia tutto intorno. Quando viene nominato, sul volto di
Lucano si disegna un sorriso di pietà o compassione. «Il ministro vuole ripopolare
le aree interne del sud con gli italiani invece che con i migranti. Ma dove li
prende? Lui non le conosce quelle zone, io sì». O una smorfia di rabbia: «Chi
ci governa è come Pinochet, passa con autorità sulla pelle degli esseri umani,
ci fa diventare ogni giorno più tristi. Guardate Siracusa». Poi afferma con un
orgoglio poco comune: «Io rifarei tutto quello di cui sono accusato e per cui
sto pagando. Loro quando pagheranno per i crimini contro l’umanità che
continuano a commettere?».
Le frasi a
volte saltano da un pensiero all’altro, ma i messaggi sono forti e chiari.
Lucano è così, non ha bisogno di posare accanto a piatti di pasta posticci per
sembrare genuino. «È tutto paradossale – continua – compreso il gesto dei
parlamentari Pd. Non voglio fare polemica, ma sono gli stessi che hanno votato
il decreto Minniti-Orlando. Per loro non è questione di sensibilità ma di
interessi politici. Invece noi, che siamo persone semplici, soffriamo a Riace,
a Siracusa».
DOMANI LE
FIRME voleranno verso Oslo e saranno consegnate al comitato del Nobel dalla
rete di comuni, municipi, associazioni e giornali che ha sostenuto l’esperienza
di Riace come un simbolo che da locale può diventare globale. Poi le iniziative
continueranno, «perché la candidatura è un atto politico». Il 2 marzo a Milano
con l’adesione al corteo «People, prima le persone» e il 25 aprile nel borgo
calabrese con una mobilitazione che si vorrebbe nazionale e sostenuta
dall’Anpi. Intanto il 26 febbraio la Cassazione si pronuncerà sul divieto di dimora,
con la speranza che sia finalmente revocato. «Ogni volta bisogna avere la forza
per ricominciare. Senza recriminare, nonostante le difficoltà. Non abbiamo
altro» conclude Lucano provando a scavalcare con le parole l’ennesimo applauso.
Perché Riace
merita il Nobel
Riccardo
Petrella da “IL MANIFESTO”
Ci sono
comuni entrati nella memoria collettiva per lo spirito di condivisione e di
solidarietà in seno alla comunità dei loro abitanti, per la capacità di
apertura verso quelli della campagna e degli altri comuni vicini o lontani. Ma
anche per la volontà praticata dei loro abitanti di essere parte attiva e
cooperante della storia dei loro territori regionali, nazionali, continentali,
per la loro disponibilità a conoscere ed aprirsi alle culture, ai modi di vita
degli stranieri e degli abitanti della Terra sconosciuti.
In realtà,
condivisione e solidarietà all’interno vanno di pari passo, con apertura e
cooperazione verso l’esterno, diventato ai nostri giorni sempre più «interno».
La capacità
utopica dei Comuni riguarda molti aspetti. Si è espressa nell’obiettivo della
sicurezza di vita e della ricerca della non violenza e della pace, nel
desiderio di promuovere una vita in armonia con il territorio fino al livello
più vasto della comunità globale: comuni denuclearizzati, comuni virtuosi,
comuni no Ogm, comuni no Ttip, comuni accoglienti, comuni per la pace.
I Comuni, da
secoli, non sono più capaci, ne desiderosi di fare le guerre, di prelevare le
tasse per gli eserciti. I loro abitanti, anche di grandi comuni, sono altresì
portati a re-inventare il locale e il loro divenire molto di più di quanto
siano disposti a fare gli Stati, specie i grandi Stati, gli Stati potenti, gli
Stati che si dicono essere la veste politica delle grandi nazioni, imperiture,
immortali. I municipalismi sportivi guerrieri, violenti, razzisti nel campo del
calcio, esplosi negli ultimi anni, sono l’espressione barbara, malefica, di una
società profondamente malata perché ha fatto della violenza economica, sociale,
politica la modalità culturale patologica dei rapporti sociali con l’altro.
È in questo
contesto che la storia di Riace assume un rilievo «universale». A cominciare
dal 1998 con lo sbarco di duecento profughi del Kurdistan sulle sue spiagge di
piccola cittadina della costa calabrese jonica sulla via dello spopolamento. I
responsabili comunali e le associazioni da tempo attivi nel tentativo di
arrestare l’emorragia socio-economica della cittadina, non impacchettarono le
famiglie «illegali» sbarcate per darle alle cure dello Stato e del governo
centrale. Decisero di accoglierle cosi come, poco a poco centinaia di altri
immigranti.
Aggiustarono
le case abbandonate, riaprirono le scuole, fecero venire un piccolo esercito di
educatori, tutori, animatori, per accompagnare i nuovi abitanti ad aprire
commerci, sviluppare l’artigianato locale e dei loro paesi di provenienza.
Per
sostenere la rinascita economica furono create delle monete locali, nuove
modalità di finanziamento cooperativo, nuove imprese comuni, il tutto nello
spirito di una nuova avventura umana pacifica, solidale, di fraternità.
Le soluzioni
si rivelarono pertinenti e efficaci. In pochi anni Riace ha accolto più di
1,270 immigrati extra-comunitari ed è rinata una nuova comunità con fini, basi
e mezzi comuni ed in comune. In pieno contrasto con le politiche messe in atto
dalle autorità centrali italiane ed europee in materia di economia, di
sicurezza sociale e di sviluppo comunitario. E questo è stata la sua condanna,
la sua perdita.
L’esperienza
di Riace, per di più considerata dalla maggioranza delle forze vive dell’Italia,
dell’Europa e dell’opinione pubblica mondiale, come una formidabile esperienza
positiva d’integrazione/coesione plurale da tutti i punti di vista (culturale,
sociale, etnico, religioso, politico, economico,….) è stata vissuta dalle forze
al potere, specie con l’arrivo al governo di forze politiche e sociali
profondamente xenofobe, razziste, nazional-fasciste, come un affronto,
un’esperienza nemica, intollerabile.
Il resto è
noto. Il governo italiano, sulla spinta rabbiosa e pervicace del nuovo Barbaro
made in Italy ha dichiarato illegale e rea di delitti
amministrativi-istituzionali l’esperienza di Riace. Probabilmente, le ha
inferto troppe ferite gravi, letali, perché essa possa ristabilirsi e ritornare
allo stato felice in cui era arrivata.
In teoria,
nessuno ha il diritto di far morire una comunità umana, un comune, una città.
Il Comune di Riace – i suoi abitanti a cominciare dal sindaco Mimmo Lucano –
merita il premio Nobile per la pace, sarebbe un segno forte e chiaro alla
comunità mondiale.
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