"Non
c'è potere senza popolo". Intervento di Roberto Musacchio
Uno dei
sondaggi elettorali per il voto politico del 4 marzo in Italia mostra un dato
interessante ed inquietante insieme. Vengono rilevate le propensioni al voto in
base alle condizioni sociali e alla età. Ne viene fuori che tra le persone
appartenenti alle classi sociali meno abbienti il voto alle destre e ai cinque
stelle e' percentualmente assai più alto di quello medio. Al contrario il PD e
Liberi e Ugual registrano una propensione al voto molto più bassa.
Naturalmente
i sondaggi in periodi come questi di forte volatilità dei consensi sono molto
aleatori. C'è poi da considerare che proprio tra i ceti sociali più disagiati
c'è una fortissima tendenza al non voto. Così come tra i giovani, che quando
esprimono preferenze si orientano principalmente verso i grillini. Ci sono poi
molte altre considerazioni che si possono fare come quella che è difficile allo
stato attuale considerare il PD un partito di sinistra. Che le varie coalizioni
appaiono quanto mai confuse. Che si tende a non rilevare liste diverse come
quella di sinistra radicale di Potere al Popolo.
Ma non si
può non vedere come questa rilevazione confermi un dato ormai presente da tempo
nel panorama politico italiano, e già registrato in molte competizioni
elettorali, e cioè la separazione tra quella che è stata la Sinistra e quello
che e' stato il suo popolo. Ne nascono molte domande. Perché ciò è accaduto?
Questo significa che i ceti popolari sono andati a destra? Si può prescindere
per una politica di trasformazione dal rapporto con i ceti popolari? Come si
ricostruisce questo rapporto?
I modi di rispondere
a queste domande rappresentano una parte significativa della campagna
elettorale e in particolare di quella di Potere al Popolo la lista realizzatasi
per iniziativa di un centro sociale di Napoli, Je so pazzo, e in cui si sono
ritrovati moltissimi movimenti sociali e soggetti politici della sinistra
alternativa. Come noto Potere al Popolo nasce dopo il fallimento del tentativo
del Brancaccio di arrivare ad una sola lista alternativa al PD ma che avesse i
caratteri di una fortissima discontinuità politica e di rappresentanza rispetto
agli ultimi 25 anni e una chiara prospettiva di mantenere questa alternativita'
anche per il futuro. Analogamente non si è registrata una convergenza tra le
forze che fanno riferimento al Partito della Sinistra Europea che poteva
rappresentare l'asse su cui costruire una proposta chiara e di prospettiva.
Senza ora
entrare in polemiche sulle cause di questo insuccesso ciò che ne è derivato e'
una lista, quella di Leu, in cui particolarmente significativa e' la presenza
di coloro che si sono distaccati dal PD in questi ultimi mesi per il dissidio
con Renzi mentre Potere al Popolo sta accentuando la sua ricerca in un campo
nuovo volto proprio a rispondere alle domande che ponevo e al recupero della
astensione, del voto passato dalla Sinistra ai cinque stelle, del voto popolare
e giovanile.
Perché,
dunque, si è consumato questo divorzio tra i ceti popolari e la sinistra?
Innanzitutto va percepito che questo divorzio e' assai profondo ed arriva a
mettere in discussione il senso stesso della parola sinistra. È un percorso che
va visto nella sua interezza perché è particolarmente significativo. Esso
infatti comincia con il 1989 e cioè col crollo del socialismo reale ma poi
prende strade diverse da quelle di un rifiuto per un insuccesso storico. Ciò
che si imputa alla sinistra, se si fa inchiesta tra la gente come anche
recentemente mi è capitato per la mia attività di operatore sociale, e'
l'abbandono dei propri valori, l'omologazione, la presa di distanza. Non uso la
parola tradimento perché non appartiene al mio vocabolario. Ma c'è una profonda
sofferenza di cuore ma anche di pancia.
Per altro in
un Paese come l'Italia dove i grillini hanno iniettato la critica della casta
politica come alternativa alla critica del sistema economico sociale e delle
classi dominanti, le caste economiche. E dove le destre, ma non solo, hanno
inoculato il germe della xenofobia e del razzismo favorendo la lotta tra gli
ultimi e non contro i dominanti.
Tutto ciò
avviene in un periodo lungo e significativo in cui il Paese con il più grande
Partito comunista d'Occidente, i più grandi movimenti sociali e intellettuali,
una fortissima conflittualità diffusa che attraversa tutti i gangli della
società e della vita si trasforma in qualcosa di irriconoscibile, in un
avamposto della nuova ristrutturazione del potere nell'era della
globalizzazione liberista e dell'Europa reale. Questo stravolgimento non
avviene in un giorno, non è indolore e non lascia solo macerie. Ma il passaggio
dal Pci al PD e' un percorso significativo in cui una forza di trasformazione
muta geneticamente in un soggetto di gestione delle politiche del pilota
automatico.
La
governabilità diviene la bussola che modifica il modo di essere e le funzioni
dei dirigenti e alla fine i dirigenti stessi con la rottamazione di una parte
che pure aveva favorito questo processo. Un processo che sta nel quadro delle
terze vie intraprese dal socialismo europeo ma che agisce ancora più nel
profondo con una mutazione del soggetto e dei suoi esponenti che ha qualche
somiglianza con ciò che è avvenuto per alcuni partiti dell'est europeo.
Si combinano
così vari fattori soggettivi e sistemici. Un sistema sempre più imperniato
sulla governabilità e l'assenza di alternative e plasmato dal processo di
costruzione dell'Europa reale. Soggetti e soggettività sempre più immedesimati
in questo ruolo funzionalistico. Nel mentre cresce una sofferenza sociale
larghissima che non trova più prospettiva a sinistra, anzi da essa si sente
vessata, e rompe la connessione.
Questo processo,
che ho sommariamente descritto, ha avuto fasi anche conflittuali. Il Prc e'
stato un soggetto di resistenza allo scioglimento del Pci e al processo che ne
è conseguito. Si è trovato anche a battagliare sul terreno del governo,
praticamente il primo e il solo dei nuovi Partiti alternativi, nell'epoca
dell'entrata nella nuova UE, e ne è uscito sconfitto. E con lui, purtroppo,
anche quei movimenti che avevano prodotto le grandissime mobilitazioni
alterglobaliste.
Ma allora
tutto è andato a destra? No. Io credo che dica così chi in realtà vuole un
alibi per continuare la politica del meno peggio che però prepara sempre un
nuovo peggio e serve solo a perpetuare ceti politici. Questo è un punto
centrale di questa campagna elettorale. Unire le forze contro Renzi, unico
colpevole della deformazione del PD, e contro le destre che hanno conquistato
le masse? Oppure ripartire da una diversa visione delle masse, da un nuovo
rapporto con esse per risalire la china e, dall'opposizione, ricostruire una
prospettiva di alternativa?
La mia
risposta, in sntonia con Potere al Popolo, è la seconda ma anche perché la
prima mi appare illusoria e velleitaria. Velleitario pensare che ci si possa
"liberare" di Renzi senza fare i conti con il lungo periodo di
incubazione che ha prodotto questo esito. Velleitario affidare questo processo
di liberazione a soggetti che appunto sono stati mallevadori di questo approdo.
Velleitario pensare che questo processo di liberazione possa intercettare vasti
strati popolari che hanno rotto con la sinistra o che esso possa realizzarsi
senza di loro.
Per altro le
elezioni Italiane come tutte le altre che si vanno svolgendo in tutta Europa
sono elezioni che mostrano la crisi dei vecchi sistemi politici messi a dura
prova dall'impatto con l'Europa reale e i tentativi di ristrutturazione delle
élite e delle governance nazionali e della UE. La Francia e Macron sono un
esempio tra i più significativi sia a livello francese che europeo. E in tutti
i Paesi le sinistre che riprendono fiato e connessione popolare sono quelle che
rompono con lo stato attuale delle cose.
Non a caso
il programma di Potere al Popolo ha una forte parte destruens indispensabile
per fare chiarezza e risanare ferite. Al centro di questa parte c'è come scelta
primaria la cancellazione del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio che è
stato inserito nella Costituzione italiana con il voto convergente di
centrodestra e centrosinistra. E si propone la rottura dei trattati liberisti
come Maastricht per dare corso ad un'altra Europa. A seguire quindi la
cancellazione delle leggi su lavoro, pensioni, servizi e stato sociale che in
questi decenni hanno devastato la vita delle persone per mano di tutti i
governi.
Questa
chiarezza sta solo nel programma di Potere al Popolo e non potrebbe essere
altrimenti. Liberi e Uguali ad esempio non cita il Fiscal Compact che pure è
tema attualissimo in quanto si vuole inserirlo nel diritto comunitario ed è
dunque decisivo battersi ora per impedirlo. Non stiamo quindi parlando di una
lista della spesa ma di una effettiva priorità politica, quella del Fiscal
Compact, agibile adesso e con possibilità effettive di successo.
Naturalmente
questo impianto parla di una collocazione per la prossima fase all'opposizione.
Anche qui c'è un punto di fondo. Pensare a possibili alleanze di governo col
Parlamento che si preannuncia fortemente segnato dalle destre significa
consegnarsi a nuovi giochi di trasformismo e avventurismo politico.
Naturalmente per dare forza all'opposizione occorre credere che le masse non
siano irrimediabilmente consegnate alle destre. E tutto ci dice che non è così.
In Italia ci
sono moltissime esperienze di lotta e di solidarietà attiva che sono in campo
sui terreni più esposti a partire da quelli della lotta a tutte le forme di
razzismo. Che si rafforza se insieme si lotta contro l'impoverimento crescente
che colpisce tutti a causa di tantissimi anni di cattive politiche. Potere al
popolo si fonda su questa rinnovata connessione sentimentale. Che, come dice lo
slogan elettorale che riprende Franco Fortini, "dove era il no, faremo il
si".
Per questo
il programma di Potere al Popolo disegna una vera alternativa di società. E lo
fa rompendo con le costruzioni e il pensiero neoliberista e facendo leva su un
altro ordine delle cose dove il diritto al lavoro sta insieme a quello al
reddito, la riduzione d'orario si lega al diritto alla pensione in età più
umane, i servizi pubblici si coniugano con i beni comuni e il controllo
popolare, migranti e autoctoni sono uniti contro chi li sfrutta, l'ambiente è una
casa condivisa e non un vivente mercificato, la sicurezza viene dalla
solidarietà e anche il carcere va ripensato, le diversità sono tutte ugualmente
rispettate. Non a caso questa proposta politica sta creando un entusiasmo che
mancava da tempo. e l'entrata in campo di una nuova generazione capace anche di
far ritrovare ragioni di unità a quelle passate. Un risultato importante che
proietta già oltre quello elettorale.
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