Chi è sceso in piazza ci ha
salvato la faccia e la Costituzione
Marco Revelli da "IL MANIFESTO"
Macerata ritorna umana. Nonostante il coprifuoco di un sindaco dal pensiero corto, che ne ha reso spettrale il centro storico. Nonostante il catechismo sospeso e le chiese chiuse da un vescovo poco cristiano. Nonostante gli allarmi, i divieti, le incertezze della vigilia. Nonostante tutto.
Macerata ritorna umana. Nonostante il coprifuoco di un sindaco dal pensiero corto, che ne ha reso spettrale il centro storico. Nonostante il catechismo sospeso e le chiese chiuse da un vescovo poco cristiano. Nonostante gli allarmi, i divieti, le incertezze della vigilia. Nonostante tutto.
Un’umanitá
variopinta, consapevole e determinata, l’ha avvolta in una fiumana calda di
vita, ritornando nei luoghi che una settimana prima erano stati teatro del
primo vero atto di terrorismo in Italia in questo tormentato decennio. Un
terrorismo odioso, di matrice razzista e fascista, a riesumare gli aspetti più
oscuri e vergognosi della nostra storia nazionale.
Era un atto
dovuto. La condizione per tutti noi di poter andare ancora con la testa alta.
Senza la vergogna di una resa incondizionata all’inumano che avanza, e rischia
di farsi, a poco a poco, spirito del tempo, senso comune, ordine delle cose.
Un merito
enorme per questo gesto di riparazione, va a chi, fin da subito, ha capito e ha
deciso che essere a Macerata, ed esserci in tanti, era una necessità assoluta,
di quelle che non ammettono repliche né remore. A chi, senza aspettare permessi
o comandi, nonostante gli ondeggiamenti, le retromarce, le ambiguità dei
cosiddetti «responsabili» delle «grandi organizzazioni», si è messo in cammino.
Ha chiamato a raccolta. Ha fatto da sé, come si fa appunto nelle emergenze.
Il Merito va
ai ragazzi del Sisma, che non ci hanno pensato un minuto per mobilitarsi, alla
Fiom che per prima ha capito cosa fosse giusto fare, ai 190 circoli dell’Arci,
alle tante sezioni dell’Anpi, a cominciare da quella di Macerata, agli iscritti
della Cgil, che hanno considerato fin da subito una follia i tentennamenti dei
rispettivi vertici.
Alle
organizzazioni politiche che pur impegnate in una campagna elettorale dura
hanno anteposto la testimonianza civile alla ricerca di voti. Alle donne agli
uomini ai ragazzi che d’istinto hanno pensato «se non ora quando?». Sono loro
che hanno «salvato l’onore» di quello che con termine sempre più frusto continua
a chiamarsi «mondo democratico» italiano impedendo che fosse definitivamente
inghiottito dalla notte della memoria. Sono loro, ancora, che hanno difeso la
Costituzione, riaffermandone i valori, mentre lo Stato stava altrove, e contro.
Tutto è
andato bene, dunque, e le minacce «istituzionali» della vigilia sono alla fine
rientrate come era giusto che fosse.
Il che non
toglie nulla alle responsabilità, gravi, di quei vertici (della Cgil,
dell’Arci, dell’Anpi…) solo parzialmente emendate dai successivi riaggiustamenti.
Gravi perché
testimoniano di un deficit prima ancora che politico, culturale. Di una
debolezza «morale» avrebbe detto Piero Gobetti, che si esprime in una
incomprensione del proprio tempo e in un’abdicazione ai propri compiti.
Non aver colto
che nel giorno di terrore a Macerata si era consumata un’accelerazione inedita
nel degrado civile del Paese, col rischio estremo che quell’ostentazione fisica
e simbolica di una violenza che del fascismo riesumava la radice razzista, si
insediasse nello spazio pubblico e nell’immaginario collettivo, fino ad esserne
accolta e assimilata; aver derubricato tutto ciò a questione ordinaria di buon
senso, o di buone maniere istituzionali accogliendo le richieste di un sindaco
incapace d’intendere ma non di volere, accettando i diktat di un ministro di
polizia in versione skinhead, facendosi carico delle preoccupazioni elettorali
di un Pd che ha smarrito il senno insieme alla propria storia e rischiando così
di umiliare e disperdere le forze di chi aveva capito…
Tutto questo
testimonia di una preoccupante inadeguatezza proprio nel momento in cui
servirebbe, forte, un’azione pedagogica ampia, convinta e convincente.
Un’opera di
ri-alfabetizzazione che educasse a «ritornare umani» pur nel pieno di un
processo di sfarinamento e di declassamento sociale che della disumanità ha
ferocemente il volto e che disumanità riproduce su scala allargata. Quell’
opera che un tempo fu svolta dai partiti politici e dal movimento operaio, i
cui tardi epigoni ci danzano ora davanti, irriconoscibili e grotteschi.
Negli inviti
renziani a moderare i toni e a sopire, mentre fuori dal suo cerchio magico
infuria la tempesta perfetta, o nelle esibizioni neocoloniali del suo ministro
Minniti, quello che avrebbe voluto svuotare le vie di Macerata delle donne e
degli uomini della solidarietà allo stesso modo in cui quest’estate aveva
svuotato il mare delle navi della solidarietà, quasi con la stessa formula
linguistica («o rinunciate voi o ci pensiamo noi»).
Il successo
della mobilitazione di ieri ci dice che di qui, nonostante tutto, si può
ripartire. Che c’è, un «popolo» che non s’è arreso, che sa ancora vedere i
pericoli che ha di fronte e non «abbassa i toni», anzi alza la testa. Ed è
grazie a questo popolo che si è messo in strada, se del nostro Paese non
resterà solo quell’immagine, terribile e grottesca, di un fascista con la
pistola in mano avvolto nel tricolore.
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