Tre storie di “frontiera”
Stefano Galieni*
Notizie che spariscono in fretta e che
spesso non trovano neanche spazio per un lancio nelle versioni on line dei
grandi giornali. Notizie scomode di morti innocenti, di omicidi consumati nel
Bel Paese, preso dalle sue misere vicissitudini. Notizie diverse, nelle
circostanze in cui si sono determinati gli avvenimenti, nei luoghi e nei
contesti in cui sono accaduti, nelle conseguenze poi mai finite sui media
finora, rimosse da altre priorità. Ne scegliamo 3, rappresentative di un
orrore, le raccontiamo in ordine cronologico e poi proviamo a tracciare una
linea che le congiunge.
Giugliano, 21 settembre 2015
Aveva 16 anni o 18? I pochi che se ne sono
occupati non lo hanno riportato, era arrivata la mattina in un centro di
accoglienza CAS a Giugliano dopo
essere stata portata a Lampedusa. Insieme a 5 sue amiche già la sera aveva
deciso di allontanarsi perché non era quella l’accoglienza che cercava, il
paese in cui restare. Una strada a scorrimento veloce, la Circumvallazione
esterna di Napoli, attraversare non è facile, le altre ci riescono, lei no
resta uccisa da un Suv. Nome e cognome? Chissà, sappiamo solo che era scappata
dall’Eritrea per venire a morire nel nostro Sud.
Piacenza, 14 settembre 2016
Di lui sappiamo molto di più, ma non
basta. Si chiamava Abd Elsalam Ahmed Eldanfe aveva
53 anni e 5 figli, arrivato tanto tempo da dall’Egitto lavorava nella logistica
ed era un lavoratore sindacalizzato. La sua fine: travolto da un Tir. Erano le
23.45, partecipava ad un picchetto in solidarietà con altri 13 lavoratori
precari che dovevano essere assunti con un contratto a tempo indeterminato ma
l’azienda che doveva rispettare gli accordi presi aveva deciso di ignorarli. E
allora lo sciopero indetto dall’Usb e poi una fine su cui ancora ci sono punti
oscuri. Secondo i suoi colleghi e compagni di lotta era in corso una manifestazione
sindacale, erano presenti sul posto agenti per motivi di ordine pubblico che
avrebbero assistito alla scena. «Il conducente del camion che ha travolto e
ucciso il nostro lavoratore – ha detto Riccardo Germani di Usb, – è stato
incitato a forzare il picchetto da un addetto vicino all’azienda. Gli urlavano
‘parti, vai!’ e quello è partito investendo il nostro aderente». La polizia di
Stato in un primo momento aveva detto che alcuni agenti che hanno assistito
alla scena avrebbero “tentato di fermare il tir battendo invano sulla
carrozzeria, mentre questo partiva a velocità sostenuta investendo il 53enne”.
Il Capo della Procura di Piacenza ha “smentito che fosse in atto una
manifestazione all’ingresso dell’azienda, la Gls, ma allora perché la pattuglia
era sul posto? Non conosciamo la risposta ma diviene difficile credere
all’ipotesi di una manovra sbagliata per cui il conducente del Tir non si
sarebbe accorto della presenza del lavoratore davanti al cancello. Un errore
insomma per il Pm, un “omicidio padronale” per i compagni e colleghi che
intanto stanno raccogliendo soldi per
sostenere una famiglia rimasta senza padre e senza reddito. Puntuale
è giunto il “cordoglio del governo” che poco o nulla interviene quando si
tratta di veder rispettati i contratti e che oggi si affida alle indagini della
magistratura.
Ventimiglia, 7 ottobre 2016
Mancavano solo 50 metri e poi sarebbe
stata in territorio francese. L’Autostrada dei Fiori, il tunnel della Cima Girata,
dove auto e Tir sfrecciano velocemente. Erano in 7 eritrei in fuga, da tanto in
fuga. In 6 hanno attraversato la carreggiata l’ultima, 17 anni, non ci è
riuscita ed è stata falciata da un camion. Sono in tanti che, ogni notte
provano quella rotta, cercando di aggirare i controlli onnipresenti tanto agli
scogli dei Balzi Rossi quanto alle stazioni ferroviarie. Da sempre esistono
altre vie, quelle dei monti, difficili e rischiose, conosciute solo dai passeur
e quelli dell’autostrada che miete vittime con frequenza. Di lei sappiamo poco
oltre l’età, che aveva con se una famiglia, che non era stata registrata nel
principale campo di accoglienza, in cui ci sono ora solo uomini. Quattro
parenti sono ora ricoverati in stato di choc, di lei si sta cercando di ricostruire
identità e percorso in Italia. Discordanti anche le notizie rispetto
all’autista dell’automezzo che ha falciato la sua vita. Secondo alcuni
quotidiani avrebbe inutilmente tentato di frenare e al fermo avrebbe avuto un
malore, secondo altri è stato fermato e sottoposto ad esame etilometrico, con
risultato negativo, ma già in territorio spagnolo. «L’Amministrazione prova un
profondo senso di angoscia nell’apprendere la notizia della morte di questa
giovane ragazza – ha dichiarato il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano – Il
sistema Europa così organizzato si manifesta non adeguato per affrontare l’onda
migratoria contingente e questa morte ne è un’agghiacciante conseguenza. Non
possiamo non sentirci tutti responsabili, in questo momento il silenzio è
d’obbligo. Da domani iniziamo tutti a ripensare il sistema, per fare si che
tragedie di questo tipo non accadano più». Eppure anche questa era una morte
annunciata da quello che la nostra amica e collaboratrice Flore Murard –
Yovanovitch chiama “Fascismo della frontiera”.
Di storie simili ce ne sono tante,
dal Brennero a Pozzallo, piccoli fatti di cronaca dimenticati o rimossi
da chi scientemente sceglie di edulcorare la realtà. Spesso li chiamano
naufragi accidentali, stragi dovute alla crudeltà dei trafficanti, fine fatali
di chi arriva senza consapevolezza in Europa. Ma ad uccidere non sono veicoli
lanciati a folle velocità, navi che affondano, incidenti collettivi o
individuali, la storia è un’altra.
Ma dimentichiamo per un momento l’ecatombe
del Mediterraneo, vero e proprio genocidio con colpevoli e carnefici e
fermiamoci su queste tre storie individuali.
Tre storie diverse ma tre
considerazioni simili
La prima è scontata, nella gerarchia
coloniale che definisce il peso delle vite, le due ragazze richiedenti asilo
non debbono avere storia o identità, Abd Elsalam Ahmed Eldanfe, ha diritto ad
un nome ma non ad essere ricordato come un uomo che lottava per diritti che in
Italia siamo ormai abituati a perdere e cedere, che lottava per gli altri,
seguendo un antico vincolo di solidarietà di classe che ci hanno fatto
dimenticare.
La seconda è più melliflua, Dimenticheremo le loro
storie come abbiamo rimosso facilmente quella di Jerry Essan
Maslo anche se il suo nome è finito su wikipedia, un rifugiato sudafricano
ammazzato il 25 agosto 1989 perché si rifiutava di sottostare, dopo lo
sfruttamento nel lavoro, ad un’altra rapina. Le rimuoviamo facilmente queste storie,
i volti, i nomi, le persone che negli anni sono morte di detenzione
amministrativa, (almeno 25) di clochardizzazione dei diritti (due a Palermo
nelle ultime settimane), di fame, Roma e Milano, di fascismo nuovo e vecchio.
Anche nel movimento antirazzista, unica sacca di resistenza in un paese
imbarbarito, abbiamo preferito rimuovere e dimenticare, con cinismo e paura.
Sono vicende che a parlarne soltanto giustificano qualsiasi reazione.
La terza è oscena E riguarda il fatto che
per le merci e le persone “bianche” e con passaporto UE la vita è facile e
garantita. Per gli altri si può crepare senza problemi. Per il mercato, unica
religione in grado di scatenare uno “scontro di civiltà”, le merci debbono
poter viaggiare senza intralci, non debbono esserci “clandestini” sulle navi
commerciali, persone sgradite in mezzo alla strada ad intralciare il traffico
sia dei prodotti da stoccare in magazzino sia di quelli che debbono
attraversare la frontiera. E se questi ostacoli hanno un volto, un nome, una
storia, nulla importa. Che le merci giungano in tempo a destinazione, che
producano il necessario profitto, che garantiscano il benessere dei pochi. La
velocità dei mezzi e di chi li guida è più importante di ogni vita, le vite
sono sacrificabili, sostituibili, sono pezzi di ricambio che non mancano nel
mercato del lavoro o della fuga.
Questa è l’Europa anime belle, che ci si
divida in chi l’accetta così come è, in chi sogna il ritorno a improbabili
confini nazionali di fatto già validi per chi arriva da un “paese sbagliato” e
chi intende rivoltarlo questo continente. Non solo per i diritti di chi arriva
ma per il futuro di chi ci vive.
Resp. nazionale immigrazione Prc, articolo
tratto da WWW.A-DIF.org
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