Breve storia dei 35 euro
di Stefano Galieni - Responsabile
immigrazione e pace P.R.C.
Non solo fra
i seguaci di Salvini ma anche in un pensiero comune, si levano segnali di
insofferenza rispetto all’accoglienza riservata in Italia ai profughi e
migranti, in relazione soprattutto ora alle condizioni di coloro che hanno
subito i danni del terremoto. Se un noto quotidiano cerca di accaparrarsi
acquirenti mettendo in copertina le foto contrapposte di “italiani” nelle
tendopoli ed eleganti migranti davanti ad un albergo commettendo semplicemente
il reato di falsa informazione, più subdoli sono i meccanismi che penetrano in
maniera viscerale negli ambiti meno informati della società. Occorrono
informazioni semplici per rompere questo meccanismo ed occorre anche fare
proposte in avanti, che guardino alla prospettiva e non alla onnipresente
emergenza. Proviamo in piccole pillole informative, utili a chi, magari al bar
o su un autobus, voglia provare a smentire simili menzogne.
Una
premessa, dei circa 111 mila richiedenti asilo o protezione umanitaria presenti
in Italia al 31/3/2016 (ultimo dato reso noto dal Ministero dell’Interno) oltre
il 72% sono in strutture denominate CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria)
gli altri sono nei diversi centri che corrispondono diverse situazioni. Una
parte è in case di accoglienza per minori, 23.000 circa sono nel sistema SPRAR
(Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) altri nei CPSA (Centri di
primo soccorso e accoglienza) negli Hotspot, nei CARA (Centri Accoglienza
Richiedenti Asilo) nei CdA (Centri di accoglienza), meno di 250 sono nei CIE
(Centri di Identificazione ed Espulsione) gli unici in cui si potrebbe privare
della libertà personale i migranti senza infrangere leggi fallimentari come la
Bossi Fini. In realtà l’esperienza di chi ha visitato le altre tipologie di
centro si rende conto di quanto la libertà sia discrezionale.
Semplificando
potremmo dire che esistono di fatto due sistemi paralleli dell’accoglienza, gli
SPRAR, gestiti dagli enti locali e i CAS dalle prefetture. Gli ormai famosi 35
euro al giorno vanno a pagare le intere spese di accoglienza, cibo, assistenza
sanitaria, psicologica, operatori e medici, spese logistiche, utenze, rientrano
insomma in un circuito di cui a beneficiare sono soprattutto istituzioni italiane.
Quasi il 30% dei 35 euro giornalieri serve a pagare gli stipendi degli
operatori dell’accoglienza che svolgono
un lavoro duro su cui certo non si arricchiscono e sovente con contratti
totalmente inadeguati. Ai richiedenti asilo viene corrisposta una diaria
giornaliera di 2,5 euro, circa 75 euro al mese. In molti centri questa somma
(chiamata pocket money) può essere spesa solo all’interno del centro.
libero
Il sistema
Sprar, per quanto in maniera non omogenea, è quello che si è rivelato migliore.
Sono i Comuni a decidere quante persone prendere, a chi affidare la gestione
dei servizi e come impiegare le risorse messe a disposizione. I Comuni debbono
anche contribuire direttamente a tale gestione, con il 5% delle spese,
garantire accoglienza “integrata” (dai corsi di lingua alla formazione lavoro)
e rendicontare fino all’ultimo centesimo con fatture ogni spesa effettuata.
Molti comuni hanno fatto la scelta meritoria di perseguire l’accoglienza
diffusa, predisponendo appartamenti in cui piccoli gruppi o nuclei familiari
possano costituire una propria indipendenza e autonomia responsabilizzandosi
nella gestione dello spazio. In tali contesti gli “operatori” non vengono
percepiti come “guardiani” ma amici a cui relazionarsi per risolvere anche
problemi di conflittualità, legati ai tempi di attesa per la richiesta di
asilo, o semplicemente di sostegno alla costruzione di una normale
quotidianità. Quando questo si realizza difficilmente c’è scontro con la
comunità ospitante.
Il sistema
CAS è invece più problematico. Si tratta sempre di centri (ce ne sono oltre
3000 in tutta Italia ma il Ministero dell’Interno si rifiuta di rendere
pubblico sia dove sono ubicati sia quale è l’ente che li gestisce).
L’ubicazione la decide, sentiti magari gli enti locali, alla fine la
prefettura. Lo scopo è duplice, da una parte i Comuni si chiamano fuori da
qualsiasi responsabilità anche verso i propri elettori, dall’altra le
prefetture hanno pressoché mano libera nel decidere sede del CAS ed ente
gestore. L’ente gestore percepisce i 35 famosi euro al giorno per persona,
senza dover documentare come li ha spesi ma solo in base al numero degli
ospiti. E qui viene il bello?
Chi ha
inventato il sistema CAS? Si tratta del noto buonista e bolscevico Roberto
Maroni, oggi Presidente della Regione Lombardia all’epoca (2011) ministro
dell’Interno. C’era la cosiddetta Emergenza Nord Africa e Maroni istituì i CAI
(Centri di Accoglienza per Immigrati). In nome dell’emergenza se ne fecero in
ogni luogo e senza controlli e alcuni finirono anche, su richiesta dei
proprietari, negli hotel in quel periodo vuoti, Da ricordare il caso di
Montecampione, in provincia di Brescia dove vennero ospitati oltre 200 migranti
provenienti da Lampedusa e con indosso magliette e infradito quando la
temperatura notturna a luglio era vicina agli zero gradi. Ma l’albergo era
vuoto e “casualmente” la società che ne era proprietaria era la stessa che
gestiva un famoso albergo a Lampedusa in cui alloggiavano sottufficiali e
ufficiali delle forze dell’ordine. L’imprenditoria padana anche di stampo
leghista non considerava affatto una invasione questa ma un utile stimolo alla
propria attività. Lo stesso ragionamento che farà una nota famiglia della
criminalità organizzata romana continua ad esser pagata perché mette a disposizione
un proprio albergo. Il “caro” Maroni (in senso di costoso) garantiva all’epoca
50 euro al giorno per ogni ospite ma la memoria è corta. Corta e poco
pragmatica anche come Presidente di Regione che vorrebbe gli “sfollati” del
terremoto nell’ex Expo se non spostare addirittura i padiglioni verso le zone
colpite dal sisma. Lo stesso Maroni che blatera dicendo che le case popolari se
le prendono “gli immigrati” e poi ha tagliato del 50% i fondi per l’edilizia
pubblica colpendo tutti i lumbard. Problemi di memoria o furbizia?
I soldi che
vanno agli immigrati debbono essere destinati ai terremotati. Si, abbiamo
sentito dire anche questo ma peccato che non si dicano alcune cose.
1) Che i
soldi per l’accoglienza, oltre che dare lavoro a tanti concittadini, provengono
dall’UE e da specifici fondi quindi non utilizzabili per diverse causali.
2) L’UE ha
assicurato interventi anche per le zone terremotate, nessuna concorrenza
quindi.
3) A
tagliare i fondi per le emergenze, magari per comprare gli F35 o salvare le
banche, non certo per darli ai profughi, sono stati i nostri governi che non
sembrano essere composti da richiedenti asilo.
4)Viene il
dubbio che chi tanto si accalora per contrapporre persone in disagio abbia
avuto a che fare nel passato o magari aspiri a farlo in futuro, con l’affare
della ricostruzione quella che, per dirla col cinismo di Vespa fa girare
l’economia. Beh in perfetta malafede viene da pensare che gli occhi andrebbero
puntati più che su chi vive in centri di malaccoglienza (a tal proposito si
consiglia la lettura del rapporto Accogliere La vera emergenza redatto dalla
Campagna LasciateCIEntrare ) su chi ha realizzato costruzioni non a norma
antisismica e si prepara a fare affari come nelle passate esperienze.
5) A
dimostrazione che la legge non è uguale per tutti e che la memoria serve va
fatta presente una notiziola passata sotto silenzio. Dopo il terremoto
dell’Emilia del 2012 ci sono ancora nuclei familiari nei container e non per
propria scelta ma a cui stanno togliendo anche i pochi spazi di visibilità
intorno mentre gli appartamenti promessi non sono ancora pronti. Si tratta
esclusivamente di famiglie a basso reddito e nella quasi totalità di origine
straniera.
Cosa si
potrebbe invece fare? Per evitare tensioni anche comprensibili ma mai
giustificabili quando si trasformano in istigazione all’odio razziale
basterebbe poco. Basterebbe incentivare il sistema Sprar (quello dei Comuni)
garantendo per esempio sgravi fiscali agli enti locali che ospitano o la
possibilità di sforare i patti di stabilità che strangolano le amministrazioni.
Nulla di rivoluzionario, ovviamente accanto al meccanismo premiale dovrebbe
esserne previsto uno punitivo verso chi in nome del proprio diritto al lusso
vorrebbe impedire ogni forma di accoglienza (cfr Capalbio). In questa maniera
sparirebbero i centri sovraffollati, le persone potrebbero entrare in circuiti
di autonomizzazione, magari recuperando stabili in disuso e facendoli poi ridivenire
patrimonio pubblico da riutilizzare, si costruirebbero percorsi in cui la
distanza fra accolti e accoglienti potrebbe diminuire. Certo si toglierebbe
potere alle prefetture e le amministrazioni avrebbero maggiori responsabilità
ma è una sfida da accettare. Utopia? Affatto. Persone inserite nel tessuto
sociale sarebbero in grado di non dover essere più assistite con conseguente
anche risparmio di risorse. Persone che potrebbero essere avviate anche a
percorsi lavorativi regolari e non allo sfruttamento bracciantile o delle
economie grigie.
Questo in
una prima fase
Occorrerebbe
poi che chi ci governa invece di celebrare patetici rituali sulle portaerei al
largo di Ventotene per sancire la fine dell’Europa sognata da tanti, ad esempio
operasse per l’abolizione del Regolamento Dublino che obbliga le persone a
fermarsi nel primo paese UE in cui si arriva, garantire di poter entrare in UE
non con il solo stratagemma dell’asilo ma per ricerca occupazione, permettere a
chi arriva da zone di guerra di non dover passare nelle mani dei trafficanti.
Se accadesse questo (ma è impossibile con l’UE di oggi anche in questo
frangente irriformabile) sarebbe più difficile per i tanti populismi xenofobi
di cui è pieno il continente, riscuotere successo e lucrare politicamente anche
dopo un terremoto.
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