Vespa,
Sordi, Delrio e lo spirito del tempo
di Carlo
Freccero da “il manifesto”
Ho avuto un
déjà-vu. Lo speciale di Rai1 sul terremoto ha preso nettamente le distanze dal
copione consolidato di tv del dolore che, vampirescamente, cerca di estrarre
audience dall’esibizione oscena della sofferenza dei morti, dei feriti, dei
superstiti. Lo speciale era declinato in tutt’altra chiave.
Un Bruno
Vespa, carico e vitale, dirigeva il dibattito alternando didattica ed
ottimismo. Il succo di tutto era il terremoto come opportunità. Opportunità
economica di ricostruzione, volano dell’economia, possibile incremento del Pil.
Così come quella guerra che gli economisti raccomandano, in casi di crisi
deflazionistica come l’attuale, come unica soluzione per la ripresa
economica.La disgrazia è, in sé, un’opportunità. Sempre. Perché, in una crisi
di consumi dovuta alla svalutazione dei salari, sposta la produzione dal
voluttuario al necessario. Dove c’è guerra o morti ci sono consumi coatti:
armamenti, ricostruzione edilizia. Ma anche casse da morto, ospitalità e
catering degli sfollati, edilizia pubblica.
Una per
tutte. La scuola antisismica di Amatrice, la cui messa in sicurezza aveva già
rappresentato risorse per l’edilizia è nuovamente crollata per creare, bontà
sua, nuovi posti di lavoro. Ed infatti, anche l’interlocutore di Vespa, il
ministro Delrio, sembrava consapevole di quanto un governo in crisi debba
essere grato alle catastrofi che possono cancellare, in nome della solidarietà,
il conflitto sociale e capovolgere, con lo sfruttamento delle industrie della
morte, la morte dell’economia.
Tutto questo
era un déjà-vu, perché mi ricordava il cinismo di una commedia all’italiana
d’epoca, tutta costruita sul personaggio poliedrico di Alberto Sordi, «Finché
c’è guerra c’è speranza» in cui, un trafficante d’armi, trae dalla guerra le
sue opportunità. C’è però una differenza. Il film era la denuncia del cinismo
di un singolo. Qui il ministro Delrio ha dato all’equazione terremoto =
opportunità il suo imprinting istituzionale dichiarando: «Oggi l’Aquila è il
più grande cantiere d’Europa». E a ben vendere, in un’Italia che ha da tempo
privatizzato le sue industrie pesanti, l’unica industria statale produttiva è
stata, negli anni scorsi, la Protezione Civile di Bertolaso.
Le reazioni
alla trasmissione si possono dividere in due gruppi.
Da un lato
lo sdegno della rete che ha bollato Vespa di sciacallaggio. Dall’altro la
reazione misurata della stampa che, se non ha ignorato l’evento, si è domandata
invece dove risieda lo scandalo.
Vespa ha
rivelato verità che qualsiasi economista potrebbe sottoscrivere. Anche Keynes.
In una realtà economica ingessata da vincoli di bilancio sulla spesa pubblica,
la spesa coatta che scaturisce dal terremoto, rappresenta comunque
un’opportunità di lavoro.
Qual è la
mia opinione in proposito? Non mi riconosco né nell’una, né nell’altra reazione.
Vespa non è
cinico, è cinico il sistema che la trasmissione ha portato alla luce. La
riprova è la difesa d’ufficio della stampa nei confronti di Vespa in quanto
dice la verità. La verità è sempre legata ad una visione del mondo,
un’episteme, uno spirito del tempo.
Rivelando le
aspettative del potere in crisi, Vespa non è altro che il fanciullo che
denuncia la nudità dell’imperatore, nella famosa favola. E lo fa strizzandogli
l’occhio per dire «anch’io ho capito tutto».
Siamo di
fronte all’ennesimo caso in cui l’opinione pubblica si spacca perché si muove
sulla base di visioni del mondo diverse. La massa risponde ancora a
quell’empatia che fa sì che ogni essere vivente, condivida con i suoi neuroni
specchio le sofferenze del prossimo. Le élite rivelano invece uno spirito
centrato sul bene supremo dell’economia.
Ci sono
catastrofi che sacrificando il singolo, giovano alla comunità. Anche Bush, dopo
l’11 settembre, ha parlato di opportunità. Ma sono queste le opportunità che
vogliamo?
Da tempo
abbiamo identificato la casta con chi spende e spande, con chi gira in auto blu
e fa la cresta sui pranzi ufficiali.
Il senso è
che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che, se questo mondo non
funziona è per lo spreco e la corruzione.
E se invece
cominciassimo a pensare che un mondo che sacrifica i cittadini per il bene
dell’economia, non è il migliore dei mondi possibili perché offende i principi
primari di solidarietà e altruismo?
Foucault ci
ha insegnato che il potere non è altro che l’applicazione di una forma di
sapere. Ha sottoposto a critica il potere che gli era contemporaneo denunciando
la biopolitica, la politica sociale, impegnata a mantenere la vita del
cittadino ad ogni costo, come una forma di assoggettamento e controllo.
Ma non è
forse peggio un sapere che non privilegia la vita di fronte all’esigenze
superiori dell’economia?
Vespa da
portavoce del sistema ha il pregio di esprimere sempre lo spirito del tempo
nella sua nuda realtà. Ed è in grado di farlo perché ha da tempo accantonato
l’ipocrisia di chi vuol compiacere le masse.
Ma le masse
hanno a loro volta la colpa di essersi adagiate sul pensiero unico. Di fronte
ad eventi che squarciano la coltre di retorica di cui il pensiero unico si
ammanta per sopravvivere, ci sono due possibili reazioni. O invochiamo censura
e repressione nei confronti dell’oscenità del reale, per continuare a vivere
con la testa conficcata nella sabbia. O decidiamo che questo non è il migliore
dei mondi possibili e nemmeno l’unico mondo possibile, e cominciamo a pensare
ad un’alternativa.
Fonte: Il
manifesto, 28 agosto 2016
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