Il maggioritario è l’erba sotto i piedi del populismo
Legge
elettorale. Il rischio concreto è che, applicandolo a un Parlamento di queste
dimensioni, alle prossime elezioni la destra arrivi non alla maggioranza
assoluta, ma ai due terzi dei seggi
Francesco Pallante – IL MANIFESTO - 02.11.2019
La vocazione
maggioritaria, ancora lei. Era il 2007, al Lingotto di Torino. Walter Veltroni,
segretario in pectore del nascente Partito democratico, usò una oscura
espressione: «Il Partito democratico deve avere in sé un’ambizione, al tempo
stesso, non autosufficiente ma maggioritaria».
E continuava: «… L’elettorato è razionale, mobile, orientato a scegliere
la migliore proposta programmatica e la migliore visione. Fiducia in questa
vocazione maggioritaria significa oggi lavorare per rafforzare l’attuale maggioranza.
Io rispetto e stimo i nostri partner della coalizione».
SAPPIAMO
bene come andò a finire: con rispetto e stima, il Pd mise i partner della
coalizione sotto schiaffo del voto utile e, correndo da solo alle elezioni del
2008, ottenne il loro annichilimento.
Da quelle
votazioni scaturì la più grande maggioranza parlamentare della storia
repubblicana: a favore di una coalizione di centrodestra. La cosa straordinaria
è come una storia di così clamoroso insuccesso sia stata assunta a mito
fondativo dell’esperienza politica del Partito democratico. Un po’ come la
sconfitta subita per mano dell’esercito ottomano a Kosovo Polje nel 1389 è
assurta a vicenda caratterizzante il nazionalismo serbo. Gli elettori saranno
forse razionali (ne siamo proprio sicuri?); i gruppi dirigenti sembrerebbe di
no.
COME ALTRO
spiegare, altrimenti, la pervicacia con cui, da alcuni mesi, l’intero gotha
democratico si è scatenato a demolire ogni ipotesi di ritorno alla legge
elettorale proporzionale, evidentemente l’unica prospettiva razionale – nella
situazione politica che si va configurando – attraverso cui provare a mettere
in sicurezza la democrazia costituzionale?
Ad Arturo
Parisi («riproporre la vocazione maggioritaria è un dovere … l’approdo della
politica è il governo e non la semplice rappresentanza»: Democratica.com,
26.6.2019) ha subito fatto eco Romano Prodi («una legge elettorale non è fatta
per fotografare il Paese, ma per dargli una maggioranza di governo»: Corriere
della Sera, 4.9.2019); poi è stata la volta di Walter Veltroni («se noi
torniamo al proporzionale, sarà il festival della frammentazione. … Il Paese ha
bisogno di governabilità»: Cartabianca, 11.9.2019). Buon ultimo è arrivato, su
queste pagine, Enrico Morando (25.10.2019). Intervistato sull’opportunità di
adottare una legge elettorale proporzionale, ha negato con decisione: «questo
crea le condizioni per non avere, nel campo del centrosinistra, una formazione
dotata di vocazione maggioritaria». Difficile riuscire a essere meno
tempestivi: nemmeno 48 ore dopo, le elezioni umbre proiettavano Lega e Fratelli
d’Italia, da soli, a un passo dal 50%. Mentre il Pd continua a inseguire la
vocazione maggioritaria, la destra estrema è oramai a un passo dal realizzarla.
È UNA
SITUAZIONE drammatica. A destra c’è una proposta politica orribile e
pericolosa, ma chiaramente individuabile. Dall’altra parte non c’è nulla di
analogo: l’unica cosa evidente è una disperata alleanza difensiva finalizzata
ad allontanare il più possibile il momento della resa dei conti. Per impedire a
Salvini di riprendersi con gli interessi il governo perduto in agosto ci
vorrebbero politiche capaci di tagliare l’erba sotto i piedi del populismo. C’è
qualcuno disposto a scommettere che è quanto avverrà nei prossimi mesi?
L’auspicio,
naturalmente, è di perdere la scommessa. Nell’attesa che si realizzi il
miracolo, tuttavia, è indispensabile mettere in sicurezza della democrazia.
Possibile che la coalizione di governo sia insensibile a questo argomento? Dal
punto di vista democratico, non si tratta di alterare alcunché. La destra, come
tutte le forze politiche, avrà i voti che avrà: ma perché regalarle più seggi
di quelli che corrisponderebbero al consenso ottenuto? La legge elettorale
proporzionale può essere accusata di molti difetti: dipende dall’idea di
democrazia che si assume, soggettivamente, come propria. Ma ha un innegabile
pregio oggettivo: dà a ciascuno il suo, senza togliere né regalare niente a
nessuno. Sotto questo profilo, è una legge giusta. Tanto più, avendo – così
avventatamente e radicalmente – ridotto il numero dei parlamentari.
IL RISCHIO
concreto è che, applicando il maggioritario a un Parlamento di queste
dimensioni, alle prossime elezioni la destra arrivi non alla maggioranza
assoluta, ma ai due terzi dei seggi. Dopodiché i decreti sicurezza, la flat
tax, la regionalizzazione dei diritti, la repressione del disagio sociale,
l’oscurantismo morale, l’uso politico della religione, ecc. ci sembreranno ben
poca cosa: a finire nel mirino sarà direttamente, e integralmente, la Costituzione,
senza nemmeno la garanzia del referendum oppositivo a cui appellarsi.
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