Dal Canada a Taranto: tutti i crimini ambientali della
multinazionale che scappa dall’ILVA
di Elena Mazzoni* (responsabile ambiente
Rifondazione Comunista – Sinistra Europea)
Il 31
ottobre del 2018 lo stato italiano firma un contratto, con il gruppo
franco-indiano ArcelorMittal, per l’affitto e poi l’acquisto, nel 2021,
dell’ex-ILVA.
Nel novembre
del 2019 la ArcelorMittal annuncia che se ne andrà da Taranto. Senza lo scudo
penale, la clausola di “non punibilità” dei gestori dello stabilimento, per
eventuali danni ad ambiente e salute causati dall’attività nel periodo
necessario al completamente del piano ambientale, ovvero fino al 2023, che per
l’azienda rappresentava “la base del piano di risanamento”, stando alle parole
della amministratrice delegata di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, il
recesso del contratto è irrevocabile e con esso lo spegnimento degli altiforni
tramite la colatura della salamandra, la ghisa residua che resta nel fondo del
forno, procedura che rende poi necessari 6 mesi prima di riaccendere l’impianto
e che indebolisce la possibilità di trovare un nuovo acquirente.
Lo scontro
tra il governo e la proprietà della ArcelorMittal ora si gioca tra tavoli
politici ed aule di tribunale.
Ma chi è il
colosso franco-indiano che ha in mano le sorti di oltre 10.000 lavoratori
italiani?
Un gruppo
leader del settore siderurgico e minerario, che opera dall’automotive
all’edilizia, dagli elettrodomestici fino agli imballaggi ed ha siti
industriali in 18 paesi.
Un gruppo
sulla cui attività getta ombre un fitto numero di contenziosi ambientali e un
operato spesso fuori dalle regole.
È un filo
nero di processi penali quello che lega Taranto al Canada, gli USA al Sud
Africa, la Francia all’Ucraina*.
Nero, come i
puntini sulla mappa del gioco preferito dalle multinazionali: “inquina e
scappa”.
Sversamento
di cianuro ed ammoniaca in Indiana, lo dice l’EPA, agenzia federale per la
protezione dell’ambiente; inquinamento delle acque nella miniera del Fermont,
in Quebec, tra il 2011 e il 2013 e altri 39 capi di imputazione.
La
multinazionale è sotto processo per l’inquinamento della Mosella, in Francia,
per sversamento nelle acque del fiume di acido cloridrico, gestione irregolare
di rifiuti e funzionamento non autorizzato di un impianto.
In Sud
Africa è attivo un processo per inquinamento e danni alla popolazione Sebokeng,
Sharpeville e Boipatong, procedimenti che fanno assurgere la ArcelorMittal al
ruolo di più grande inquinatrice di aria nel paese.
Simile
situazione in Bosnia Erzegovina, con denunce delle associazioni ambientaliste
sullo stato dell’acciaieria di Zenica, e in Ucraina, dove è direttamente il
presidente Zelensky ad accusare la multinazionale di non tenere fede agli
impegni presi.
La lista dei
contenziosi di ArcelorMittal è lunga eppure, un anno fa, quando la compagnia si
è presentata alla gara per acquistare l’ILVA di Taranto, nonostante la sua
reputazione, l’offerta è stata giudicata la migliore.
Le promesse
di mettere in sicurezza l’impianto e i terreni dove sono depositati i minerali
di ferro sono parole al vento, lo stesso che sposta le nuvole di polvere rossa
sulla città dove si è costretti a scegliere se lavorare o morire.
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