mercoledì 28 novembre 2018

1 DICEMBRE 2018 - MANIFESTAZIONE A MILANO "MAI PIU' LAGER - NO AI CPR" - piazza piola ore 14








lunedì 26 novembre 2018

LIBERATE SILVIA!


SABATO 24 NOVEMBRE 2018 TUTTE TUTTI IN PIAZZA CONTRO IL GOVERNO OSCURANTISTA E MASCHILISTA!


giovedì 15 novembre 2018

NO AI DIKTAT DELLA UE MA LA MANOVRA NON VA BENE!


No ai diktat della Ue ma la manovra non va bene!
NO ai diktat della UE
Noi non contestiamo la manovra del governo perché non rispetta i diktat della UE, come fanno FI o il PD: alle politiche di austerità ci siamo sempre opposti, per cambiare radicalmente l’Europa.
Abbiamo detto NO subito al Fiscal Compact di cui oggi la UE chiede l’attuazione: perché era facile prevedere che quelle politiche avrebbero aumentato povertà e disoccupazione, senza migliorare ed anzi peggiorando i conti pubblici. E’ quello che è avvenuto dal 2011 con l’intensificarsi delle politiche di austerità: la povertà assoluta che nel 2011 colpiva 2 milioni e 600mila persone, oggi ne colpisce oltre 5 milioni, l’occupazione è solo precaria, si sono tagliate pensioni, sanità, scuola, diritti del lavoro.
Le politiche di austerità hanno fallito anche l’obiettivo di migliorare i conti pubblici, perché il taglio degli investimenti e della spesa sociale ha ridotto la crescita del Pil ed ha così aumentato il peso del debito: era il 116% del Pil nel 2011, ora è il 132%.
Da sempre diciamo che è giusto non rispettare i vincoli del Fiscal Compact: su questo il governo non sbaglia, sbaglia la UE.
Ma la manovra non va bene
1. Sono inaccettabili le politiche fiscali. Diciamo NO al condono in un paese che ha 110 miliardi di evasione annua: solo recuperandone 1/3 cambierebbe davvero il paese! Diciamo NO alla Flat Tax. NO a nuove riduzioni delle tasse sui profitti delle imprese: l’ha già fatto Renzi e non è vero che aumentano gli investimenti privati! Ci vuole invece una patrimoniale sulle grandi ricchezze: per reperire risorse per investimenti pubblici.
2. Non c’è nulla per creare lavoro, con diritti e salari dignitosi! Non è vero che si è recuperato il lavoro perso con la crisi: sono solo aumentati i lavori brevissimi, precari e sfruttati.
Ci vuole un piano per la riconversione ecologica dell’economia: per il rischio idrogeologico e sismico, l’efficienza energetica e le rinnovabili, la mobilità sostenibile e il diritto all’abitare. Ci vogliono nuove assunzioni in tutto il settore pubblico: sanità, scuola, cultura, trasporti. Ci vuole la riduzione d’orario, perché l’automazione non produca nuova disoccupazione.
3.Quota 100 è meglio della legge Fornero, ma penalizza precari e donne.
E’ giusto che si intervenga sulle pensioni cambiando una delle leggi peggiori che ci siano mai state. Ma quota 100 non è la promessa abolizione della legge Fornero: nessun precario raggiugerà mai 38 anni di contributi, come non li raggiungono le donne su cui si scarica gran parte del lavoro di cura. E sarebbe gravissimo se si penalizzassero i lavoratori colpiti dalla crisi che hanno usufruito degli ammortizzatori sociali. La legge Fornero va abolita sul serio!
4. E’ giusto che ci sia un reddito garantito, ma che reddito è?
Tante persone in difficoltà aspettano il “reddito di cittadinanza” che è una misura giusta. Ma il modo in cui il governo pensa di realizzarlo lo trasforma in un nuovo strumento di ricatto: per obbligare ad accettare qualsiasi lavoro, anche povero e senza diritti, e magari per dare altri soldi alle imprese!
5. Il governo non ha ripristinato l’articolo 18. Invece ha potenziato i voucher.
Lottiamo X un vero cambiamento!

lunedì 12 novembre 2018

10 NOVEMBRE, UNA PIAZZA DI CUI AVEVAMO BISOGNO



10 novembre, una piazza di cui avevamo bisogno
Stefano Galieni*
Quante/i eravamo? 50 mila? 70 mila?, 40 mila come scrive il Manifesto o 100 mila o come riporta un giornale di solito non totalmente affine come Repubblica? Importa poco. Importa il fatto che, nonostante le numerose difficoltà organizzative, gli scarsi mezzi (le grandi organizzazioni si sono ben guardate dal sostenere una manifestazione incontrollabile e plurale), nonostante i blocchi dei pullman, con le forze dell’ordine impegnate anche a perquisire i panini, a identificare e fotosegnalarer i manifestanti, rallentandone inutilmente l’arrivo a Roma, la piazza si è riempita. Le strade sono state invase da un pezzo di paese nuovo, meticcio, plurale, che spesso non ha ancora appartenenza ma che non vuole il decreto Salvini come rifiutava quello del suo predecessore Minniti, che non vuole gerarchie stabilite sulla base della provenienza che spesso celano pi profonde di classe e di genere. Le oltre 450 realtà che hanno aderito e partecipato non hanno faticato a trovare, in piazza, un minimo comune denominatore che non si basa solo sul rifiuto di razzismo, fascismo, sfruttamento, patriarcato e omofobia, ma che provano a immaginare idee (il plurale è fondamentale) diverse di società in cui vivere.
La manifestazione degli “indivisibili” del 10 novembre stata una tappa, un primo risultato tangibile di come ci si possa unire senza dovere rinunciare alle proprie specificità ma in cui ci si possa contaminare e crescere. Ne avevamo bisogno noi, ne hanno bisogno estremo coloro che più subiscono le politiche repressive e fascistoidi imperanti, ne ha bisogno anche quella gran parte di paese che sabato in piazza non c’era e che di questa energia dispiegata non saprà mai nulla. Si perché gli “indivisibili” sono diventati “invisibili” per gran parte del circo  mediatico nostrano (rare le eccezioni), meglio parlare di destra e sinistra borghese che si incontra per affermare l’importanza del business della TAV (chissà se i pullman dei loro manifestanti sono stati sottoposti a controlli), meglio parlare delle love story nel jet set, meglio distrarre e disinformare piuttosto che raccontare di un paese che è con Mimmo Lucano, con i bambini di Riace, con le Ong, per l’accoglienza e contro il razzismo. Curioso come abbiano trovato spazio per parlarne su Le Monde e meno sui nostri mezzi di comunicazione. Ma in fondo ci siamo abituati e forse anche rassegnati a questa narrazione distorta.
Ma fra gli indivisibili / invisibili scesi in piazza a Roma c’eravamo anche noi ed è giusto parlarne. Credo che questa manifestazione sia stata per noi, per il nostro travagliato partito, un toccasana. Ci ha ridato orgoglio, ci ha fatto sentire un corpo solido, restituito il senso di comunità, complessa, tormentata, a tratti disorientata ma ci siamo stati con tutte le nostre forze e la nostra voglia, le nostre competenze e la nostra storia.
Dovremmo ragionarne meglio. Era da tempo che non eravamo così tante/i dietro il nostro striscione o dispersi, con le nostre bandiere nel corteo, tanto tempo che non ci ritrovavamo, dal nord est alla Sicilia, non per discussioni e analisi ma per assolvere al nostro ruolo di Partito della Rifondazione Comunista capace di suscitare allegria con la musica trascinante sparata dai giovani, carica e voglia di agire, connessione sentimentale, verrebbe da dire – scomodando i giganti – con chi in piazza c’era e si è accorto di noi. Ci siamo stati e ci siamo, necessari e indispensabili ma non sufficienti a riempire quel bisogno di rappresentanza di classe che questo paese richiede. Ci siamo stati e sappiamo esserci quando siamo in grado di capire quale è l’elemento dominante su cui concentrare la nostra attenzione e il nostro agire. Rifondazione Comunista è ancora questo, orgoglio e non boria, voglia di futuro e non reducismo identitario, capacità di connettersi con la realtà rifiutando di cadere nella ricerca di facile consenso e voglia di misurarsi senza crollare in forme inutili di politicismo. Rifondazione, nella sua pluralità di sguardi e di vedute, è anche e soprattutto questo, mantiene la voglia di sperimentarsi con generosità e contemporaneamente riconosce le proprie caratteristiche strutturali che non sono solo di partito ma e soprattutto di storia comune condivisa.
La piazza del 10 novembre ci ha dato una risposta interessante, altre piazze ci aspettano, magari non ci vedranno presenti con le stesse  modalità, mobilitazioni studentesche, contro la violenza sulle donne o ci rimetteranno visibilmente in gioco,  si pensi a quelle in programma contro i nuovi CPR per migranti o alle giornate No TAV come alle tante occasioni che avremo per riproporci a livello locale e nazionale, contro questo governo, contro i diktat europei per proporre una idea diversa e possibile di società. Ricordiamola la piazza del 10 novembre perché, con tutti i nostri limiti, in questa giornata, come tante altre volte in passato, siamo stati percepiti come utili e necessari. Per questo dobbiamo tutte/i ringraziarci a vicenda, per averci creduto, aver faticato ed averci messo la faccia. Anche questo ci fa bene.
*Responsabile Pace, Immigrazione e Movimenti PRC-S.E.



giovedì 8 novembre 2018

10 NOVEMBRE, RIEMPIAMO LA PIAZZA DELLE/GLI INDIVISIBILI



10 novembre, riempiamo la piazza delle/gli indivisibili
Stefano Galieni*

Mancano pochi giorni alla prima manifestazione nazionale indetta contro questo governo e contro le sue politiche razziste, che colpiscono i più deboli, chi si oppone, chi non accetta un ritorno ad una società patriarcale prenovecentesca, e all’apartheid diffuso. Una manifestazione nata timidamente, attorno a compagne e compagni diversi nelle loro appartenenze politiche e con storie spesso entrate in conflitto ma che, di fronte al governo Salvini, perché di questo si tratta, stanno trovando la forza di unire gli sforzi.
Di questo mondo frammentario e plurale, che dovrà sicuramente compiere dei passi in avanti in termini di analisi e di riflessioni politiche, ma che ritiene importante riprendere la parola qui ed ora, Rifondazione Comunista è parte integrante e considerata preziosa.
Il 10 novembre a Roma, (Partenza alle ore 14.00 da Piazza della repubblica e arrivo a Piazza S.Giovanni), devono essere tante e tanti le compagne e i compagni di Rifondazione comunista a
costruire un unico grande spezzone con le nostre bandiere. Non per una semplice ragione di affermazione di identità e non solo per ritrovarci finalmente in un momento comune di mobilitazione. Ma perché la nostra storia antirazzista ci rende indispensabili alla crescita di un movimento aperto, capace di contaminare e contaminarsi, in grado di stabilire le nette connessioni fra razzismo,
xenofobia e sfruttamento. Saremo in piazza per portare le nostre parole contro le diseguaglianze sociali prodotte dalle politiche neoliberiste di cui la condizione di subalternità che si impone a migranti e rifugiati è la cartina di tornasole per definire l’impianto sociale imposto dalle classi dominanti. Una gerarchia rigida che separa radicalmente chi ha il diritto di prendersi tutto da chi non deve aver diritto a nulla. Chi deve continuamente temere di essere
sottoposto a sgomberi, provvedimenti repressivi come i Daspo, condanne per disobbedienza civile e sociale da chi commette nell’impunità più assoluta crimini contro l’umanità, rimandando profughi nei lager libici o sottraendo risorse della collettività per fini privati. Una manifestazione che nel voler rappresentare l’opposizione alle 80 pagine di odio puro del Decreto Salvini, intende mettere sullo stesso piano sfruttate e sfruttati a partire da condizioni individuali e sociali, da discriminazioni subite sul posto di lavoro o nella ricerca di un alloggio, di un reddito, del diritto ad un futuro.
La storia stessa di Rifondazione Comunista, di cui dovremo sovente essere più orgogliosi, racconta di come spesso siamo stati fra i pochi a tentare di interpretare i bisogni degli oppressi, senza voler costruire divisioni, gerarchie, senza accettare la religione neoliberista che ci vuole perennemente divisi. Occorre allora e anche in tempi brevi un nostro scatto d’orgoglio. Portiamola in piazza insieme questa nostra storia il10 novembre,
portiamola pensando al presente e al futuro di questo paese, di questa Europa ma anche di questo nostro prezioso partito. Portiamola sapendo di non essere autosufficienti, volendo continuare a batterci per una alleanza concreta di tutte le forze antiliberiste e anticapitaliste, ma senza rinunciare alle nostre prerogative, al nostro ruolo.
Che per una volta si abbandonino le ritrosie, si rinunci agli impegni personali e ci si faccia forza nonostante la stanchezza. Che ci si impegni insieme, per la riuscita tanto del corteo quanto della nostra presenza in piazza. Ne usciremo rafforzati tutti e tutte.

*Resp Pace, Movimenti e Immigrazione (PRC-S.E.)

P.S. per ulteriori adesioni 10novembre18@gmail.com Per informazioni ulteriori Pagina fb indivisibili o mail a stefano.galieni@rifondazione.it



SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA COSTITUZIONE


SUI MIGRANTI UNO SFREGIO ALLA COSTITUZIONE
Dl sicurezza. Il decreto è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere portato ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di migrazioni
Il voto del Senato sul decreto sicurezza è uno sfregio alla costituzione. Il governo, scegliendo di porre la fiducia, ha persino impedito al Parlamento di discutere delle palesi incostituzionalità delle norme che si dovranno obbligatoriamente votare nella versione imposta dal Consiglio dei ministri. Se neppure alla Camera verrà concesso di discutere modifiche al testo predisposto, sarà evidente la crisi del nostro sistema parlamentare. Che accadrà dopo la conversione in legge del decreto?
Spetterà prima al capo dello Stato, in sede di promulgazione, poi alla Consulta, in sede di sindacato incidentale, esprimersi sulla manifesta incostituzionalità delle norme. Non è detto dunque che la ferita inferta dal Senato alla costituzione non possa essere almeno in parte riassorbita, sempre che i garanti sappiano far sentire con coraggio e rigore la loro voce. Rimane in ogni caso il fatto inquietante che l’attuale maggioranza non sembra preoccuparsi minimamente dei limiti che la costituzione impone.
Eppure il decreto sicurezza è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere portato ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di migrazioni. Anzitutto lo stesso strumento prescelto vìola la costituzione e la giurisprudenza costituzionale in materia. Illegittimo è infatti l’uso del decreto legge per regolare fenomeni – quali le migrazioni – di natura strutturale che non rivestono alcun carattere di straordinarietà ed urgenza. Né può farsi valere in questa materia un’interpretazione estensiva dei presupposti costituzionali, che altre volte ha portato ad abusare dello strumento del decreto legge, poiché i dati relativi al calo dell’80 % degli sbarchi, vanto dell’attuale governo, in caso dimostrano la cessazione dell’emergenza. Si deve anche dubitare che siano stati rispettati due altri caratteri ritenuti essenziali dalla Corte costituzionale e dalla legge 400 del 1988: l’omogeneità e l’immediata applicabilità di tutte le disposizioni del decreto.
Ma è nel merito del provvedimento che si riscontrano le più insidiose incostituzionalità. In materia di migrazioni la nostra costituzione pone un principio fondamentale che non può essere in nessun caso disconosciuto: l’articolo 10 assicura allo straniero il diritto d’asilo. Secondo la consolidata giurisprudenza dei giudici ordinari esso si configura come diritto soggettivo perfetto attribuito direttamente dalla costituzione. Un Parlamento costituzionalmente orientato dovrebbe dare la massima attuazione del principio costituzionale, ma con i tempi che corrono ci si accontenta di molto meno. Ecco perché, in assenza di una normativa adeguata, la Cassazione ha indicato nella misura del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la «forma di attuazione» del principio costituzionale (da ultimo sez. I, n. 4445/18). Una soglia minima, dunque.
Non si può certo impedire che la normativa vigente sia precisata e, magari, migliorata; quel che si deve però senz’altro escludere è che essa possa essere eliminata. Ebbene il primo articolo del decreto sicurezza invece proprio questo fa: abroga la protezione umanitaria, sostituita da casi tassativi di permessi di protezione speciale. In tal modo si viola l’articolo 10.
Quante volte abbiamo sentito ripetere da esponenti politici di ogni tendenza che un’indagine giudiziaria non può essere pregiudizievole. La presunzione di non colpevolezza è un principio di civiltà, prima ancora che giuridico, di enorme valore, scolpito nel testo della nostra legge suprema all’articolo 27. E la nostra costituzione non fa certo differenza tra cittadini e stranieri (si riferisce in generale all’«imputato»).
Il decreto, invece, in evidente violazione con la richiamata disposizione costituzionale, permette la lesione dei diritti degli stranieri relativi alla difesa e impone l’obbligo di lasciare il territorio nazionale qualora essi siano sottoposti a procedimento penale per una serie di reati. Come se si fossero riscritti in un colpo solo tre articoli della costituzione (24, 27 e 113) ritenendo che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, senza poter essere considerati colpevoli prima della sentenza definitiva e senza limitazioni particolari per determinate categorie di atti. Tutti, salvo gli stranieri.
D’altronde la discriminazione nei confronti degli stranieri nel decreto non viene meno neppure quando questi abbandona il proprio status. Anche qualora riuscisse ad ottenere la cittadinanza italiana, non sarà mai considerato alla pari degli altri, a rischio di revoca nei casi di condanna definitiva per alcuni reati. Questa previsione appare in contrasto con due principi. Quello d’eguaglianza, introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione tra cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto della perdita della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22)
Potrei continuare a lungo, esaminando tutte le altre disposizioni del decreto, dal prolungamento della detenzione amministrativa nei centri di permanenze per il rimpatrio in contrasto con le garanzie legate alla libertà personale, alle diverse previsioni che confliggono con il principio di solidarietà, che vengono spazzate via dalla cancellazione dei sistemi di accoglienza pubblica (Sprar). Lo spazio di un articolo non consente di andare oltre. Il tempo della democrazia lo pretende.
GAETANO AZZARITI da “il manifesto”

Grazie per le visite!
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