Terremoto,
quando lo Stato latita: ecco le brigate della solidarietà
di Giacomo
Russo Spena
Esiste
un’Italia migliore. Quella che troppe volte ignoriamo sui media, quella che
spala la neve a Rigopiano. Quella dei pescatori che salvano vite umane nel
Mediterraneo, quella che di fronte ad emergenze e catastrofi naturali si
rimbocca le maniche e sposa pratiche di solidarietà diretta. Ed esiste anche un
modo di far politica migliore, non quella di Palazzo o dei futili convegni, ma
fatta da chi prova ad organizzare forme di mutualismo e si attiva sui territori
dissestati dall’emergenza terremoto. Ne sono la prova le Brigate della
Solidarietà Attiva (Bsa). Nel silenzio dei media, per anni questi attivisti
hanno lavorato pancia a terra. Partecipazione, autorganizzazione e mutualismo
sono le parole d'ordine con le quali hanno operato.
Il gruppo è
nato nel 2009 subito dopo il terremoto dell'Aquila. “Guardavamo in televisione
le immagini della città in macerie e la sofferenza della gente, ci è venuto
spontaneo attivarci”, racconta oggi Francesco Piobbichi, uno dei fondatori
della Brigate. Inizialmente hanno radunato attivisti dei centri sociali e
militanti di Rifondazione, un gruppo di un centinaio di persone, poi – grazie
anche ad un sapiente uso dei social network – la partecipazione è diventata più
ampia andando oltre i giri della sinistra tradizionale. E l'organizzazione oggi
conta diverse centinaia di volontari sparsi in tutto il paese.
Un numero
questo, che si espande come una fisarmonica durante le emergenze fino a
coinvolgere migliaia di persone. Sono sorti dal nulla, senza magazzini per
raccogliere beni primari né logistica né fondi. Eppure sono andati – armati di
forza di volontà e progettualità politica – a l'Aquila dove hanno allestito uno
spaccio per distribuire viveri di prima necessità: coperte, vestiti, cibo,
acqua. Ma anche pannolini, medicine e giochi per bambini. Quintali di beni
consegnati. Tutto materiale raccolto da donazioni dirette dei cittadini:
“Portateci roba, c'è bisogno di...” è il messaggio lanciato su facebook
diventato virale. A L'Aquila hanno anche gestito per 7 mesi alcuni campi di
terremotati, oltre a vari spacci popolari rivolti sopratutto ai terremotati
meno abbienti che durante il cataclisma hanno perso tutto. E senza risparmi da
parte in banca, diventa impossibile resistere all'emergenza.
Una forma di
azione collettiva che, dopo L'Aquila, porta le Brigate ad organizzare un campo
di braccianti immigrati a Nardò – sfruttati sotto forma di caporalato – dove
riescono a creare le premesse per uno sciopero che resterà storico. Da
segnalare il loro sostegno durante i presidi delle fabbriche in crisi, sia con
cucine che con il sostegno di una cassa di resistenza finanziata con il
progetto “arancia metalmeccanica” che consisteva nell'acquisto delle arance a
sfruttamento zero di Rosarno e rivendute nei mercati dai lavoratori delle fabbriche
in crisi. Il filo conduttore è sempre la solidarietà.Quella parola che dà anche
il titolo ad un libro di Stefano Rodotà secondo cui “è termine tutt’altro che
logorato e storicamente legato al nobile concetto di fraternità e allo sviluppo
in Europa dei 30 anni gloriosi e del Welfare State”. Per il giurista la
solidarietà è oggi un antidoto per contrastare la crisi economica che, dati
alla mano, ha aumentato la diseguaglianza sociale e diffuso la povertà:
incarnerebbe insieme ad altri principi del “costituzionalismo arricchito”
un’opportunità per porre le questioni sociali come temi non più ineludibili.
Sempre la
strada della solidarietà ha portato le Brigate ad intervenire nelle alluvioni
in Liguria, e nel Veneto, e nel sisma dell'Emilia. Dopo i terremoti del 24
agosto, 26 e 30 ottobre e 18 gennaio sono presenti in tutto il cratere, con due
“campi base” ad Amatrice e Norcia e altri due poli logistici a Colli del Tronto
e Fermo. Tantissime le donne volontarie. Oltre a punti di approvvigionamento
gratuito, percorrono staffette di consegna e organizzano sportelli affinché i
cittadini possano ottenere informazioni sui decreti del governo e i loro
diritti, che spesso ignorano del tutto. Ora stanno organizzando una filiera
antisismica cercando di acquistare i prodotti dei terremotati per venderli nei
gruppi di acquisto popolari in giro per il Nord, Il loro intervento si inspira
alle forme del mutuo soccorso ma non manca di denunciare le inefficienze e di
misurarsi con il “conflitto”.
Sul sito si
ammira la massima trasparenza sui conti: dietro non ci sono banche, i proventi
per acquisire beni ed attrezzature giungono da singoli cittadini, circoli,
centri sociali e dai vari comitati territoriali (ad esempio i No Tav della Val
Susa). In qualche caso, persino dalle curve calcistiche, dagli ultras. Con
queste entrate, le Bsa hanno potuto consegnare roulotte, e persino alcune
casette mobili ai terremotati, criticando tra l'altro le misure del governo
Renzi intraprese dopo il terremoto ad Amatrice. Non si sono ripetuti, per
fortuna, gli errori dell'Aquila dove la ricostruzione è stata fatta in nome
della speculazione e per il profitto di qualche sciacallo, ma pure dopo
Amatrice le cose non tornano. Gli interventi del governo Renzi hanno favorito
lo spopolamento delle zone con le persone terremotate spedite in alberghi
quando la gente non voleva andare via dalla propria casa. “Le persone –
dichiara Piobbichi – non sono state coinvolte nel processo di ricostruzione,
questo è il vero problema, senza capire che il controllo popolare è anche il
miglior antidoto all'infiltrazione delle mafie: la comunità ha il diritto di
partecipare ed essere ascoltata. Adesso stanno assegnando le prime casette
mobili ma perché soltanto ora? Dopo mesi? Se le Brigate, senza soldi né gente
stipendiata, sono riuscite a fornirne subito qualcuna perché il governo ha
latitato?”.
Dopo il
sisma, i volontari delle Brigate cercano di sostenere e ascoltare soprattutto
le persone meno abbienti e senza alcuna alternativa possibile di vita. Sono le
più disperate e, spesso, quelle abbandonate dallo Stato. Il terremoto diventa
un acceleratore della crisi e delle diseguaglianze: se prima eri precario dopo
il sisma diventi povero. Se invece hai case da mettere sul mercato raddoppi gli
affitti. Con il collasso del welfare e i Comuni stritolati dall'austerity, e
quindi totalmente dipendenti dal governo centrale, non si riesce ad affrontare
le emergenze, per questo risulta fondamentale l'intervento solidale dei
cittadini per rafforzare la comunità locale, lo si è visto quando è arrivata la
neve. I volontari delle Brigate non sono interessati ad entrare in polemica con
la Protezione civile, sottolineando soltanto la struttura elefantiaca che
spesso fa rallentare i tempi di intervento. Loro, ovviamente, prediligono il
modello più orizzontale e inclusivo, dove non ci sono decisioni calate
dall'alto.
Leggenda
vuole che durante il terremoto aquilano le Brigate della Solidarietà Attiva
abbiano ispirato alcuni militanti di Syriza arrivati dalla Grecia che rimasero
colpiti dalla loro efficienza e riportarono le riflessioni sul mutualismo
sentite in quel viaggio nel proprio Paese. Quando poi è arrivata la crisi (e
quando il partito di Alexis Tsipras era ancora all'opposizione) e si sono
create mense del mutuo soccorso, ambulatori e farmacie popolari, cooperative
socio-lavorative per disoccupati molti attivisti greci usarono l’esempio delle
“cucine degli italiani per i terremotati” per diffondere tali pratiche.
“Siamo una
positiva anomalia – afferma ancora Piobbichi – le Bsa mettono insieme nelle
pratiche concrete quello che questo modello sociale divide, ricostruiscono il
Noi collettivo. Le classi popolari hanno bisogno di difendersi dalla miseria
crescente, noi vorremmo essere un esempio da moltiplicare anche per il
terremoto della crisi, siamo ancora agli inizi e siamo ben poca cosa, ma in
assenza di welfare, sono le forme dell'azione solidale che possono provare a
scardinare la guerra tra poveri e ricostruire il significato dell’azione
collettiva”.
Il
riferimento va a chi pensa ai terremotati italiani, contrapponendoli alla
(falsa) notizia dei migranti negli hotel a cinque stelle. “Mentre noi spalavamo
la neve al freddo insieme a loro, i politicanti venivano a farsi il selfie per
poi fomentare il razzismo” è lo sfogo delle Brigate che in maniera neanche
troppo velata puntano il dito contro la passerella del leghista Matteo Salvini.
Le Bsa si definiscono autonome ed indipendenti. Si pongono il problema di come
essere utili cercando di usare le pratiche sociali come elemento aggregativo,
un processo molto diverso dalle forme classiche che abbiamo conosciuto fino ad
ora a sinistra. Prima fare e poi parlare, è una frase ripetuta costantemente.
Il pensiero
va alla lezione impartita da Podemos, quella di fare la sinistra senza
nominarla. Una sinistra che nasce dal basso e capace, in senso letterale, di
sporcarsi le mani e portare aiuti concreti. Come amano definirsi i volontari
delle Bsa: “La nostra è una pratica del popolo, per il popolo”. Ben arrivata
Italia migliore.
Fonte:
MicroMega online