ALL’INIQUITA’ SI PUO’ REAGIRE
da LIBERAZIONE
Un'altra "fiducia" imposta dal governo al Parlamento per approvare la finanziaria bis che è devastante dal punto di vista sociale. Non solo sovverte la Costituzione ma prepara il terreno per una nuova razzia nelle tasche dei ceti più deboli del Paese. E' necessaria ora...
La manovra votata al Senato con il vincolo della fiducia è molto peggiore di quella – già indigeribile – che si andava profilando nei giorni scorsi.
Il punto qualificante è che la sua iniquità viene ulteriormente rafforzata.
Il contributo di solidarietà, che già avevamo definito un’elemosina nella gravità del contesto, viene introdotto soltanto per i redditi superiori ai 300mila euro. Si mette mano pesantemente alle pensioni, in particolare a quelle delle donne, con buona pace della Lega Nord, che sul punto aveva promesso battaglia e che, oggi, di nuovo, dovrà spiegare al suo elettorato che in realtà la sua autonomia dai poteri forti berlusconiani è un grande bluff e che gli interessi sociali che rappresenta e difende sono del tutto organici a quelli del Pdl.
Si riduce poi di sei volte rispetto al testo originario la portata dei tagli delle indennità dei parlamentari e si ammorbidisce sensibilmente l’incompatibilità del loro mandato con altri incarichi pubblici, ad indicare ancora una volta quanto sia demagogica e priva di effettiva sostanza la campagna contro i privilegi della casta.
E, soprattutto, si conferma l’abominio politico e giuridico dell’articolo 8 e cioè la possibilità delle deroghe alle leggi e ai contratti nazionali e quindi anche la libertà per le imprese di licenziare senza giusta causa. Una norma, questa, che costituisce il vero cuore della manovra, il nocciolo profondo di tutta la filosofia del governo: un attacco spregiudicato al lavoro, ai diritti, alla stessa democrazia, sulla base dell’idea che dalla crisi si deve uscire riducendo ulteriormente lo Stato sociale (i tagli agli Enti Locali determineranno questo) e riportando i rapporti tra lavoratori ed aziende a cinquanta anni fa.Di fronte a tutto questo l’urgenza è quella di reagire immediatamente. Mettendo in campo, da subito, una proposta alternativa che dica al Paese che le misure adottate in questa manovra non sono l’unica via percorribile e che metta in fila, concretamente, quei contenuti che il Partito democratico non ha praticato, con una opposizione in Parlamento drammaticamente al di sotto delle esigenze che la durezza dello scontro richiedeva. Il Pd – che si è diviso perfino sull’appoggio allo sciopero della Cgil – non vuole prendere atto che non sono solo fallite le ricette ultraliberiste praticate in questi anni, ma anche quelle di liberismo temperato.
Lo dimostrano il fallimento di Zapatero, ma anche di Obama, entrambi travolti dalla profondità della crisi. Non è vero che non si può fare diversamente. Si può, occorre sceglierlo! In un Paese dove il dieci per cento della popolazione possiede il quarantasei per cento della ricchezza e dove solo l’uno per cento dichiara di guadagnare più di centocinquantamila euro – mentre aumentano disoccupazione e povertà per milioni di persone – occorre prelevare da lì le risorse. Patrimoniale, tassazione delle rendite, lotta intransigente all’evasione e alla elusione fiscale, una politica di Welfare che tuteli le fasce deboli e faccia da volano ad una politica industriale pianificata che, nel rispetto dell’ambiente, rilanci l’occupazione. Taglio delle spese militari e investimento nella formazione, nella ricerca, nell’Università pubblica. Questi sono i titoli di un programma alternativo che potrebbe farci uscire dalla crisi con giustizia ed equità. Ma questo progetto è tanto urgente e imprescindibile quanto ampio e ambizioso. Richiede forze sociali e politiche all’altezza, che accompagnino la proposta con un livello di conflittualità diffuso e profondo. Richiede che la Cgil scelga di essere il sindacato dello sciopero generale del 6 settembre e non il sindacato dell’accordo con Confindustria e governo del 28 giugno.
Richiede che i movimenti, le reti, le tante soggettività escano ciascuno dal proprio recinto e guardino insieme all’obiettivo di costruire anche in Italia – e a partire dal 15 ottobre, che deve essere appuntamento unitario e condiviso di tutti – un livello di mobilitazione adeguato alla drammaticità della situazione.
E richiede che la sinistra italiana, la sinistra politica, faccia altrettanto e di più. Negli ultimi mesi il nostro Paese ha dimostrato di sapere reagire e di volere con tutte le sue forze la fine dell’incubo berlusconiano. I risultati delle elezioni amministrative, la grande vittoria ai referendum, le lotte degli studenti, il protagonismo delle donne, la forza del movimento dei lavoratori, indicano che lo spazio esiste.
La crisi del capitalismo morde al punto che le contraddizioni sociali si stanno accentuando. Diventa sempre più urgente mettere in campo un credibile progetto alternativo a quello liberista.
Saremmo degli irresponsabili se anziché mettere al centro delle nostre iniziative questa esigenza ci concentrassimo, ognuno di noi, a coltivare il proprio orticello. La parola d’ordine oggi più che mai è questa: unità delle lotte, unità e radicalità del programma e dei contenuti dell’alternativa, unità delle forze politiche e sociali della sinistra.
Così possiamo farcela.
Liberazione (9 settembre 2011)
da LIBERAZIONE
Un'altra "fiducia" imposta dal governo al Parlamento per approvare la finanziaria bis che è devastante dal punto di vista sociale. Non solo sovverte la Costituzione ma prepara il terreno per una nuova razzia nelle tasche dei ceti più deboli del Paese. E' necessaria ora...
La manovra votata al Senato con il vincolo della fiducia è molto peggiore di quella – già indigeribile – che si andava profilando nei giorni scorsi.
Il punto qualificante è che la sua iniquità viene ulteriormente rafforzata.
Il contributo di solidarietà, che già avevamo definito un’elemosina nella gravità del contesto, viene introdotto soltanto per i redditi superiori ai 300mila euro. Si mette mano pesantemente alle pensioni, in particolare a quelle delle donne, con buona pace della Lega Nord, che sul punto aveva promesso battaglia e che, oggi, di nuovo, dovrà spiegare al suo elettorato che in realtà la sua autonomia dai poteri forti berlusconiani è un grande bluff e che gli interessi sociali che rappresenta e difende sono del tutto organici a quelli del Pdl.
Si riduce poi di sei volte rispetto al testo originario la portata dei tagli delle indennità dei parlamentari e si ammorbidisce sensibilmente l’incompatibilità del loro mandato con altri incarichi pubblici, ad indicare ancora una volta quanto sia demagogica e priva di effettiva sostanza la campagna contro i privilegi della casta.
E, soprattutto, si conferma l’abominio politico e giuridico dell’articolo 8 e cioè la possibilità delle deroghe alle leggi e ai contratti nazionali e quindi anche la libertà per le imprese di licenziare senza giusta causa. Una norma, questa, che costituisce il vero cuore della manovra, il nocciolo profondo di tutta la filosofia del governo: un attacco spregiudicato al lavoro, ai diritti, alla stessa democrazia, sulla base dell’idea che dalla crisi si deve uscire riducendo ulteriormente lo Stato sociale (i tagli agli Enti Locali determineranno questo) e riportando i rapporti tra lavoratori ed aziende a cinquanta anni fa.Di fronte a tutto questo l’urgenza è quella di reagire immediatamente. Mettendo in campo, da subito, una proposta alternativa che dica al Paese che le misure adottate in questa manovra non sono l’unica via percorribile e che metta in fila, concretamente, quei contenuti che il Partito democratico non ha praticato, con una opposizione in Parlamento drammaticamente al di sotto delle esigenze che la durezza dello scontro richiedeva. Il Pd – che si è diviso perfino sull’appoggio allo sciopero della Cgil – non vuole prendere atto che non sono solo fallite le ricette ultraliberiste praticate in questi anni, ma anche quelle di liberismo temperato.
Lo dimostrano il fallimento di Zapatero, ma anche di Obama, entrambi travolti dalla profondità della crisi. Non è vero che non si può fare diversamente. Si può, occorre sceglierlo! In un Paese dove il dieci per cento della popolazione possiede il quarantasei per cento della ricchezza e dove solo l’uno per cento dichiara di guadagnare più di centocinquantamila euro – mentre aumentano disoccupazione e povertà per milioni di persone – occorre prelevare da lì le risorse. Patrimoniale, tassazione delle rendite, lotta intransigente all’evasione e alla elusione fiscale, una politica di Welfare che tuteli le fasce deboli e faccia da volano ad una politica industriale pianificata che, nel rispetto dell’ambiente, rilanci l’occupazione. Taglio delle spese militari e investimento nella formazione, nella ricerca, nell’Università pubblica. Questi sono i titoli di un programma alternativo che potrebbe farci uscire dalla crisi con giustizia ed equità. Ma questo progetto è tanto urgente e imprescindibile quanto ampio e ambizioso. Richiede forze sociali e politiche all’altezza, che accompagnino la proposta con un livello di conflittualità diffuso e profondo. Richiede che la Cgil scelga di essere il sindacato dello sciopero generale del 6 settembre e non il sindacato dell’accordo con Confindustria e governo del 28 giugno.
Richiede che i movimenti, le reti, le tante soggettività escano ciascuno dal proprio recinto e guardino insieme all’obiettivo di costruire anche in Italia – e a partire dal 15 ottobre, che deve essere appuntamento unitario e condiviso di tutti – un livello di mobilitazione adeguato alla drammaticità della situazione.
E richiede che la sinistra italiana, la sinistra politica, faccia altrettanto e di più. Negli ultimi mesi il nostro Paese ha dimostrato di sapere reagire e di volere con tutte le sue forze la fine dell’incubo berlusconiano. I risultati delle elezioni amministrative, la grande vittoria ai referendum, le lotte degli studenti, il protagonismo delle donne, la forza del movimento dei lavoratori, indicano che lo spazio esiste.
La crisi del capitalismo morde al punto che le contraddizioni sociali si stanno accentuando. Diventa sempre più urgente mettere in campo un credibile progetto alternativo a quello liberista.
Saremmo degli irresponsabili se anziché mettere al centro delle nostre iniziative questa esigenza ci concentrassimo, ognuno di noi, a coltivare il proprio orticello. La parola d’ordine oggi più che mai è questa: unità delle lotte, unità e radicalità del programma e dei contenuti dell’alternativa, unità delle forze politiche e sociali della sinistra.
Così possiamo farcela.
Liberazione (9 settembre 2011)
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