L’ostentazione del disumano in assenza di opposizione
politica
Opposizione morale e politica. Nella terra di nessuno dei valori, ricostruire
un’articolazione tra l’opposizione morale - che resiste ma stenta a esistere -
e un’opposizione politica che non c’è più e richiede una ricostruzione ab imis,
diventa impellente e vitale
Marco Revelli
- EDIZIONE DEL08.01.2019
- PUBBLICATO7.1.2019, 23:59
Al punto più basso dei diritti umani nell’intera
storia dell’Italia repubblicana, di fronte a un governo che alza come bandiera
la propria ostentazione del disumano, dobbiamo constatare l’inedita assenza di
un’opposizione politica. Opposizione morale sì, da parte di qualche sindaco
coraggioso, di qualche vescovo fedele al vangelo, di qualche persona di buona
volontà che non si arrende al deserto che cresce.
Ma sul piano politico il vuoto. Anzi un pessimo pieno,
con una destra (FdI e FI) che sul terreno delle politiche securitarie e
migratorie tende a scavalcare a destra la peggior destra di governo proponendo
blocchi navali e politiche segregazioniste (leggetevi Libero e Il Giornale se
siete di stomaco forte).
E QUELLA CHE FU LA SINISTRA che sul piano delle politiche sociali riesce ad
essere persino peggio del governo difendendo austerità e legge Fornero,
attaccando l’istituto stesso del reddito di cittadinanza, mettendosi al seguito
degli impresentabili Commissari europei nell’assumere come dogmi i suicidi vincoli
comunitari; mentre su quello delle politiche migratorie e della difesa della
Costituzione manca totalmente di credibilità, delegittimata dalla propria
stessa storia recente.
Si pensi a quanto accaduto alla Camera a fine anno,
quando le esibizioni circensi di Emanuele Fiano in difesa della Costituzione
platealmente umiliata dalla coalizione giallo-verde sono apparse a tutti
grottesche, perché provenienti da chi quella stessa Costituzione aveva cercato
di fare a pezzi con uno sciagurato referendum, e l’oltraggio alla discussione
parlamentare l’aveva perpetrato compulsivamente (ricordate?) a colpi di canguri
e voti di fiducia addirittura in materia di legge elettorale e revisione
costituzionale.
O SI RIFLETTA SULL’ATTUALE caccia alle streghe nei confronti delle Ong, su
cui il Pd è costretto a tacere dopo lo sciagurato «codice Minniti» che di
quella damnatio boni aveva inaugurato la via. O, ancora, ci si soffermi sulla
vicenda del cosiddetto decreto Salvini.
Possibile che nessuno abbia trovato nulla da eccepire (sia pur con il
rispetto dovuto alla persona) alla scelta del Presidente della Repubblica di
firmare senza se e senza ma quel testo indecente, palesemente in antitesi con i
principi fondamentale della nostra Carta.
Se quel testo fosse stato rinviato alla Camere, o se
almeno fosse stato accompagnato da un messaggio presidenziale con i necessari
caveat, i «sindaci coraggiosi» non sarebbero stati costretti a quel ruolo di
supplenza nella custodia della Costituzione che sarebbe spettato a figure
istituzionali ben più in alto, incassando peraltro dal ceto politico di quella
che illusoriamente continua a considerarsi «sinistra di governo» non una
solidarietà piena, ma timidi balbettii, pieni di distinguo e di formalistici
legalismi, come se il principio della disobbedienza civile e dell’obiezione di
coscienza fossero cose di cui vergognarsi anziché strumenti necessari in casi
di emergenza umanitaria.
La ragione di tanto fariseismo se l’è lasciata
scappare Stefano Folli sulle pagine del quotidiano d’area, Repubblica,
definendo «l’iniziativa ribelle di Orlando, subito sostenuto dal napoletano de
Magistris» discutibile, anzi deplorevole perché compiuta «in sfregio alle
istituzioni», e pericolosa, perché – qui sta il vero nocciolo del discorso –
creerebbero, con il loro richiamo alla coscienza e il loro radicalismo, «un
danno alla prospettiva di un centrosinistra allargato che voglia risalire la
china».
S’INTUISCE QUI,
neppur tanto tra le righe, il profilo di un progetto politico che sta venendo
avanti sotto traccia, per allusioni e illusioni, e che vedrebbe – in
opposizione ai nuovi populismi – la costruzione di un fronte unito esteso dai
malpancisti di Forza Italia ai vetero-progressisti del Pd, composto da tutti i
pragmatici dell’esistente, dai rappresentanti di tutte le élites, di tutti gli
interessi, da quelli un tempo incarnati dal partito azienda berlusconiano fino
a quelli visibili nel parterre della Leopolda renziana.
È IN FONDO L’ESPERIMENTO che si sta tentando nel laboratorio-Torino in
vista delle regionali del Piemonte, dove il governatore uscente Chiamparino sta
lavorando a un «fronte del SI» aperto a tutti i fautori del Tav e in generale
delle Grandi opere (al «partito degli affari», insomma).
E dove il neo-eletto segretario regionale Pd, Paolo
Furia, ha scoperto gli altarini dichiarando, nella sua prima intervista in
carica, che in questa fase politica «è giusto interloquire con la pancia delusa
di Forza Italia» (proprio così, non con la testa, che sarebbe già inquietante,
ma con la pancia, cioè con l’organo più vorace), soprattutto se «la Lega
continuerà a governare con i 5 Stelle» (che sono selezionati evidentemente come
il «nemico principale», molto meno allarmante dello xenofobo Salvini e dei suoi
pragmatici giannizzeri).
Paolo Furia è considerato esponente della «sinistra»
del Partito (figuriamoci gli altri!). La sua vittoria sul renziano Mauro Marino
è stata salutata come una svolta.
Ciò non toglie che utilizzerà la nuova adunata del 12
gennaio dei Si Tav – che con coazione a ripetere si sono dati di nuovo
appuntamento in Piazza Castello, con tanto di madamine, notai e banchieri,
industriali e commercianti – come apertura della lunga campagna elettorale per
“rimontare la china” (come dice Folli).
IL FATTO È CHE NEL CORSO del lungo ciclo di sistematico taglio delle
radici la sinistra ha via via decostruito l’intero proprio patrimonio
culturale, politico e morale giungendo infine a questo «punto zero» dei valori
e dell’identità, in cui la cultura diventa vizio salottiero e la morale viene
stigmatizzata come moralismo, mentre l’unico metro di giudizio diventa il
potere (potere senza egemonia, potere senza coscienza, infine potere senza
potere, emblema di una sinistra incosciente e inconsistente, priva di
radicamento sociale e di orizzonte ideale).
In questa terra di nessuno dei valori, ricostruire un’articolazione tra
l’opposizione morale – che resiste ma stenta a esistere – e un’opposizione
politica che non c’è più e richiede una ricostruzione ab imis, diventa
impellente e vitale.
Con molta probabilità, a riempire quello iato tra
etica e politica ci proverà la Chiesa, l’unica a conservare il senso della
«coscienza» e delle obiezioni ad essa connesse, e a non risolvere l’idea di
giustizia nella lettera della legge.
MA SAREBBE IMPRESA piena
di rischi (sarebbe un ritorno di confessionalismo, etico certo, ma pur sempre
confessionale) e non sarebbe indolore anzi, comporterebbe una concreta
possibilità di scisma che allargherebbe il cratere in cui ci dibattiamo anziché
bonificarlo.
Per questo la cultura laica non può chiamarsi fuori. Rivisitare la vecchia «questione morale» che funzionò a suo tempo come emblema di diversità, adeguandola al nuovo mondo, nell’affermazione della centralità dei diritti umani universali e della fraternità sociale, è una delle vie per uscire dal labirinto della paura e dell’impotenza in cui ci siamo cacciati. Prima che l’eterno Minotauro ci divori.
Per questo la cultura laica non può chiamarsi fuori. Rivisitare la vecchia «questione morale» che funzionò a suo tempo come emblema di diversità, adeguandola al nuovo mondo, nell’affermazione della centralità dei diritti umani universali e della fraternità sociale, è una delle vie per uscire dal labirinto della paura e dell’impotenza in cui ci siamo cacciati. Prima che l’eterno Minotauro ci divori.
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