lunedì 29 settembre 2014

ALLEVA: VI SPIEGO PERCHÉ L’ARTICOLO 18 NON DEV'ESSERE TOCCATO

ALLEVA: VI SPIEGO PERCHÉ L’ARTICOLO 18 NON DEV'ESSERE TOCCATO Fonte: Il Manifesto - Autore: Pier Giovanni Alleva Tre considerazioni sull'art. 18. Costruire il lavoro "usa e getta" serve ad abbassare i salari (il massimo sarà 900 euro al mese) e, comprimendo i diritti dei singoli, azzererà quelli collettivi, accentuando lo sfruttamento e l'impoverimento La questione dell’abrogazione o mantenimento dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori è più che mai al centro della scena politica e ed è quindi davvero opportuno dedicarle tre sintetiche riflessioni su punti di fondo. La prima riflessione riguarda le contraddittorie argomentazioni che si sentono da parte datoriale e governativa: da una parte si minimizza il problema asserendo che riguarda una piccola minoranza di lavoratori, visto che le sentenze di reintegra nel posto di lavoro ai sensi dell’art.18 sono appena 3.000 all’anno, ma dall’altra si afferma che è invece questione centrale e vitale, perché senza abrogazione dell’art.18 non si avrà ripresa né produttiva né occupazionale. Il vero è — rispondiamo — che l’efficacia e la funzione vera dell’art. 18 è quella di prevenire i licenzia-menti arbitrari: proprio perché essi possono essere annullati, i datori di lavoro devono essere prudenti e giusti nei loro comportamenti. Quelle 3.000 sentenze evitano — per dirla in sintesi — altri 30.000 licen¬ziamenti arbitrari o più. L’art.18 è, e resta, una fondamentale norma antiricatto, che ha dato dignità al lavoratore proprio perché lo libera dal ricatto del licenziamento di rappresaglia, più o meno mascherato. Quanto poi all’affermazione che l’art.18 costituirebbe un’ingiustizia verso quella metà circa dei lavoratori che non ne fruiscono, perché lavorano in imprese con meno di 16 dipendenti è, più ancora che contrad¬dittoria, paradossale: se solo la metà di una popolazione ha il pane, il problema è di darlo a tutti, non di toglierlo a chi ce l’ha. La seconda riflessione riguarda l’andamento del mercato del lavoro e dell’occupazione: dice la Confin-dustria nonché Renzi ed i suoi accoliti che una volta che avessero le mani libere di licenziare a loro arbitrio, i datori, potendo «spadroneggiare», assumerebbero volentieri, e che i lavoratori subirebbero magari una temporanea ingiustizia, ma sarebbero poi compensati da un sistema di flexsecurity che tro-verebbe loro altro idoneo lavoro, garantendo, nel frattempo, il loro reddito. Si tratta di due clamorose bugie: le imprese assumono se lo richiede la domanda di beni e servizi e non per altri motivi, come è storicamente dimostrato, mentre la flexsecurity è un imbroglio e una falsa pro-messa in tutta Europa, ed in particolare in Italia perché quando la disoccupazione strutturale supera il 10% reperire altro lavoro è difficilissimo, e le finanze pubbliche non possono corrispondere indennizzi se non miseri, e per poco tempo: dal 2016, ad esempio, sarà abrogata la indennità di mobilità triennale, e resterà solo la cosiddetta Aspi, di breve durata e con importi decrescenti. La terza riflessione è la più importante: questa smania di abrogare l’art.18 è solo un’antica sfida di potere da parte datoriale o rientra in un ben più complesso programma di «riassetto» socio-economico? Tutto dimostra ormai che è quest’ultima la risposta esatta perchè la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro, che si raggiunge con i contratti a termine «acausali» ma per il resto, (e cioè, per quella per-centuale superiore al 20% consentita ai contratti a termine), anche proprio con contratti a tempo inde-terminato non soggetti a reintegra in caso di licenziamento arbitrario, è la condizione prima di un esa-sperato sfruttamento del lavoro che sta raggiungendo rapidamente dimensioni mai sospettate. Con il lavoro «usa e getta», espletato comunque sotto ricatto e senza nessuna certezza del futuro, ben si potrà giungere, invero, anche a una drastica diminuzione dei salari sino alla soglia della sopravvivenza. Il futuro che si prospetta è purtroppo quello di un lavoro non soltanto privo di dignità ma anche sottopa¬gato perché i lavoratori precari e ricattati che diventeranno la normalità non potranno più presentare rivendicazioni collettive e quindi, una volta caduti di fatto i contratti nazionali, lo standard retributivo sarà quello del salario minimo garantito, che non per nulla il governo Renzi si propone di introdurre: già si conosce il livello di quel salario, si tratterà di non più di 6 € l’ora al netto del prelievo fiscale e contribu¬tivo, il che significa non più di 800 — 900 euro al mese. Il nostro è già un paese in cui il 10% della popolazione possiede addirittura il 50% della ricchezza, e per converso il 50% della popolazione deve accontentarsi di dividere un misero 10% della ric¬chezza stessa, ma questo non basta ancora ai fautori del neoliberismo e di tutte le altre cosiddette «libertà eco¬nomiche», tra cui quella di licenziare arbitrariamente. Non è soltanto un’antica aspirazione di potere delle classi dominanti, ma è anche la condizione di un ancor più accentuato sfruttamento e impoveri-mento delle grandi masse. Possiamo solo prepararci ancora una volta a una grande battaglia a difesa della dignità del lavoro.

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