martedì 30 settembre 2014
RITA PAROZZI CONSIGLIERA METROPOLITANA DEL PRC E DELLA SINISTRA
RITA PAROZZI CONSIGLIERA METROPOLITANA DEL PRC E DELLA SINISTRA
COMUNICATO STAMPA
Milano 30 settembre 2014.
Consiglio della Città Metropolitana: Affermazione del centro sinistra e della sinistra – Eletta la consigliera di Rifondazione Comunista Rita Parozzi.
La Segreteria del PRC: proseguiamo il lavoro comune della sinistra e del centro sinistra per il varo dello Statuto che porti presto all’elezione popolare del Consiglio Metropolitano. A sinistra operiamo perché si avvii un “FORUM Unitario della Sinistra Metropolitana” come area di ascolto della sinistra dei territori e delle esperienze dei consiglieri comunali.
La lista del Centro Sinistra x la Città Metropolitana, ha raggiunto un positivo risultato eleggendo 14 consiglieri su 24 e ottenendo la maggioranza relativa del Consiglio. Di particolare rilievo il risultato dei candidati della sinistra e l’affermazione della candidata consigliera del PRC Rita Parozzi, a cui vanno i nostri complimenti e gli auguri di buon lavoro. Vogliamo ringraziare i tanti consiglieri comunali di Milano e Provincia, che hanno ritenuto importante con il loro voto affermare la presenza della sinistra e dei comunisti nel Consiglio Metropolitano. Il voto dei consiglieri comunali di città e provincia, ha affidato agli eletti della sinistra un ruolo importante e insieme potranno svolgere un prezioso lavoro comune, per realizzare una Città Metropolitana in particolare attenta ai beni comuni a alla tutela del territorio.
A tutti i consiglieri del centro sinistra eletti va il nostro augurio di buon lavoro, con la certezza che saranno mantenuti gli importanti impegni assunti per il varo dello Statuto ed in particolare: l’elezione diretta del Presidente, del Consiglio, l’istituzione delle municipalità milanesi e il varo di strumenti di democrazia diretta di cittadini e comuni.
Avanziamo inoltre una proposta aperta alla sinistra politica e sociale, reti sociali ed associazioni dei territori, di costituire insieme un “FORUM Unitario della Sinistra METROPOLITANA”, che sappia unire le esperienze territoriali e lavorare a stretto contatto con i consiglieri della sinistra eletti.
La Segreteria Provinciale di Rifondazione Comunista
Gli eletti: Alla lista ‘Centrosinistra per la città metropolitana, sono andati 14 seggi: Alberto Centinaio (sindaco di Legnano) con 3.480 voti; Eugenio Comincini (sindaco di Cernusco) 3.243; Maria Rosaria Iardino (consigliere comunale a Milano) 3.015; Lamberto Bertolè (consigliere comunale a Milano) 2.954; Pietro Bussolati (consigliere a Melzo) 2.877; Pietro Mezzi (consigliere a Melegnano) 2.822; Rita Parozzi (consigliere a Bresso) 2.642; Romano Pietro (sindaco di Rho) 2.639; Patrizia Quartieri (consigliere a Milano) 2.591; Michela Palestra (sindaco di Arese) 2.413; Arianna Censi (consigliere di Opera) 2.257; Monica Chittò (sindaco di Sesto San Giovanni) 2.215; Pierluigi Arrara (sindaco di Abbiategrasso) 2.199 e Filippo Paolo Barberis (consigliere a Milano) 2.153.
lunedì 29 settembre 2014
ALLEVA: VI SPIEGO PERCHÉ L’ARTICOLO 18 NON DEV'ESSERE TOCCATO
ALLEVA: VI SPIEGO PERCHÉ L’ARTICOLO 18 NON DEV'ESSERE TOCCATO
Fonte: Il Manifesto - Autore: Pier Giovanni Alleva
Tre considerazioni sull'art. 18. Costruire il lavoro "usa e getta" serve ad abbassare i salari (il massimo sarà 900 euro al mese) e, comprimendo i diritti dei singoli, azzererà quelli collettivi, accentuando lo sfruttamento e l'impoverimento
La questione dell’abrogazione o mantenimento dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori è più che mai al centro della scena politica e ed è quindi davvero opportuno dedicarle tre sintetiche riflessioni su punti di fondo.
La prima riflessione riguarda le contraddittorie argomentazioni che si sentono da parte datoriale e governativa: da una parte si minimizza il problema asserendo che riguarda una piccola minoranza di lavoratori, visto che le sentenze di reintegra nel posto di lavoro ai sensi dell’art.18 sono appena 3.000 all’anno, ma dall’altra si afferma che è invece questione centrale e vitale, perché senza abrogazione dell’art.18 non si avrà ripresa né produttiva né occupazionale.
Il vero è — rispondiamo — che l’efficacia e la funzione vera dell’art. 18 è quella di prevenire i licenzia-menti arbitrari: proprio perché essi possono essere annullati, i datori di lavoro devono essere prudenti e giusti nei loro comportamenti. Quelle 3.000 sentenze evitano — per dirla in sintesi — altri 30.000 licen¬ziamenti arbitrari o più. L’art.18 è, e resta, una fondamentale norma antiricatto, che ha dato dignità al lavoratore proprio perché lo libera dal ricatto del licenziamento di rappresaglia, più o meno mascherato.
Quanto poi all’affermazione che l’art.18 costituirebbe un’ingiustizia verso quella metà circa dei lavoratori che non ne fruiscono, perché lavorano in imprese con meno di 16 dipendenti è, più ancora che contrad¬dittoria, paradossale: se solo la metà di una popolazione ha il pane, il problema è di darlo a tutti, non di toglierlo a chi ce l’ha.
La seconda riflessione riguarda l’andamento del mercato del lavoro e dell’occupazione: dice la Confin-dustria nonché Renzi ed i suoi accoliti che una volta che avessero le mani libere di licenziare a loro arbitrio, i datori, potendo «spadroneggiare», assumerebbero volentieri, e che i lavoratori subirebbero magari una temporanea ingiustizia, ma sarebbero poi compensati da un sistema di flexsecurity che tro-verebbe loro altro idoneo lavoro, garantendo, nel frattempo, il loro reddito.
Si tratta di due clamorose bugie: le imprese assumono se lo richiede la domanda di beni e servizi e non per altri motivi, come è storicamente dimostrato, mentre la flexsecurity è un imbroglio e una falsa pro-messa in tutta Europa, ed in particolare in Italia perché quando la disoccupazione strutturale supera il 10% reperire altro lavoro è difficilissimo, e le finanze pubbliche non possono corrispondere indennizzi se non miseri, e per poco tempo: dal 2016, ad esempio, sarà abrogata la indennità di mobilità triennale, e resterà solo la cosiddetta Aspi, di breve durata e con importi decrescenti.
La terza riflessione è la più importante: questa smania di abrogare l’art.18 è solo un’antica sfida di potere da parte datoriale o rientra in un ben più complesso programma di «riassetto» socio-economico?
Tutto dimostra ormai che è quest’ultima la risposta esatta perchè la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro, che si raggiunge con i contratti a termine «acausali» ma per il resto, (e cioè, per quella per-centuale superiore al 20% consentita ai contratti a termine), anche proprio con contratti a tempo inde-terminato non soggetti a reintegra in caso di licenziamento arbitrario, è la condizione prima di un esa-sperato sfruttamento del lavoro che sta raggiungendo rapidamente dimensioni mai sospettate.
Con il lavoro «usa e getta», espletato comunque sotto ricatto e senza nessuna certezza del futuro, ben si potrà giungere, invero, anche a una drastica diminuzione dei salari sino alla soglia della sopravvivenza.
Il futuro che si prospetta è purtroppo quello di un lavoro non soltanto privo di dignità ma anche sottopa¬gato perché i lavoratori precari e ricattati che diventeranno la normalità non potranno più presentare rivendicazioni collettive e quindi, una volta caduti di fatto i contratti nazionali, lo standard retributivo sarà quello del salario minimo garantito, che non per nulla il governo Renzi si propone di introdurre: già si conosce il livello di quel salario, si tratterà di non più di 6 € l’ora al netto del prelievo fiscale e contribu¬tivo, il che significa non più di 800 — 900 euro al mese.
Il nostro è già un paese in cui il 10% della popolazione possiede addirittura il 50% della ricchezza, e per converso il 50% della popolazione deve accontentarsi di dividere un misero 10% della ric¬chezza stessa, ma questo non basta ancora ai fautori del neoliberismo e di tutte le altre cosiddette «libertà eco¬nomiche», tra cui quella di licenziare arbitrariamente. Non è soltanto un’antica aspirazione di potere delle classi dominanti, ma è anche la condizione di un ancor più accentuato sfruttamento e impoveri-mento delle grandi masse.
Possiamo solo prepararci ancora una volta a una grande battaglia a difesa della dignità del lavoro.
martedì 23 settembre 2014
L’AUTUNNO DELLA LISTA TSIPRAS
L’AUTUNNO DELLA LISTA TSIPRAS
In piazza il 18 ottobre con la Fiom.
A novembre una manifestazione nazionale.
Ma alle regionali, in Calabria e in Emilia Romagna, 'rispetto' per le condizioni peculiari.
In attesa che la base di Sel decida se correre con l'Altra europa o con il centrosinistra
La campagna d’autunno dell’Altra Europa per Tsipras poggia su un documento-manifesto da preparare, discutere e approvare nei prossimi 60–90 giorni, per avviare il proprio sviluppo organizzativo.
Anche in vista delle future elezioni nazionali, dove presentarsi come forza alternativa al Pd di Matteo Renzi.
Poi una manifestazione fissata per il 29 novembre e da organizzare sul trinomio diritti-reddito-lavoro, in totale contrasto con le politiche della Commissione Ue e di un governo italiano «che al di là degli slogan sta docilmente seguendo le direttive di Bruxelles».
Infine un veloce passaggio sulle scadenze elettorali più vicine, regionali in primis, con una sintetica «presa d’atto» della peculiare realtà calabrese e dell’attivismo dei comitati territoriali emiliano-romagnoli.
Che sul punto, ricorda Corrado Oddi, «presenteranno candidati che erano sulla lista dell’Altra Europa, con un programma che si richiama a quello continentale». Lasciando al tempo stesso a Sel, alle prese con il referendum fra gli iscritti per decidere o meno il sostegno al candidato vincitore delle primarie Pd, l’elementare diritto alla consultazione della propria base.
Dal comitato operativo dell’Altra Europa, una sorta di esecutivo provvisorio che si ritrova a Firenze per stilare un programma di lavoro per i mesi a venire, escono più volti soddisfatti di quanto ci si aspettasse, in una vigilia che era stata segnata dalle tensioni elettoralistiche. Alla prova dei fatti invece la riunione viene giudicata positivamente, sia dai rappresentanti delle forze politiche (Deiana e Cento di Sel, Fantozzi e Acerbo di Rifondazione Comunista), che dagli altri protagonisti dell’Altra Europa, da Marco Revelli a Roberto Musacchio e Massimo Torelli, fino agli esponenti dei tanti comitati locali per Tsipras che hanno lavorato pancia a terra nella scorsa primavera, per sensibilizzare l’elettorato e far superare alla lista il quorum del 4% con l’elezione di tre europarlamentari.
A questo punto, osserva Revelli introducendo la discussione, occorre però un nuovo documento-manifesto, che da un lato confermi il radicamento con l’esperienza europea, e dall’altro avvii una fase di consolidamento organizzativo. La strategia d’azione è quella di costituire un’associazione che raccolga adesioni individuali, e che quindi non si trovi in contraddizione con l’appartenenza a questa o quella forza già organizzata. Va da sé peraltro che, in prospettiva, le decisioni che saranno prese, in particolare sulle delicate questioni elettorali, dovrebbero comportare una cessione di sovranità. Un processo aiutato dai tempi medio-lunghi che l’esecutivo di Renzi si è dato – i «mille giorni» — per l’attuale legislatura. E dalla progressiva constatazione da parte dell’elettorato, come osserva fra gli altri anche Paolo Cento, che «il centrosinistra è morto».
A Revelli viene affidato il compito di iniziare l’elaborazione del documento-manifesto, e di coordinare un lavoro di gruppo per la stesura definitiva. Il comitato operativo decide inoltre di sostenere la campagna per la revisione dell’articolo 81, e aderisce alla mobilitazione Fiom, e alle altre iniziative di lotta dei comitati territoriali. «L’Altra Europa con Tsipras – dice il documento conclusivo — lavora per costruire l’opposizione sociale e politica alle politiche di Renzi e della Commissione Europea. Il processo prosegue dentro le lotte e le mobilitazioni: l’Altra Europa aderisce alla manifestazione della Fiom del 18 ottobre, e propone per il 29 novembre una manifestazione nazionale a Roma contro Renzi e la Commissione Europea di Juncker e Katainen. E’ fondamentale che, mentre Renzi gioca a dividere e contrapporre i soggetti sociali colpiti dalle politiche neoliberiste, l’Altra Europa propone di unire i mille ‘No’ a quelle politiche: una manifestazione per dire no al Jobs Act e alla cancellazione di quel che è rimasto dell’articolo 18, e al tempo stesso per rivendicare l’introduzione di un reddito minimo garantito».
lunedì 22 settembre 2014
giovedì 18 settembre 2014
SERVE SUBITO SCIOPERO GENERALE CONTRO MANOMISSIONE ARTICOLO 18
SERVE SUBITO SCIOPERO GENERALE CONTRO MANOMISSIONE ARTICOLO 18 DEL GOVERNO RENZI-BERLUSCONI E PER PIANO PUBBLICO PER IL LAVORO L’attacco all’articolo 18 per coprire il completo fallimento del governo Renzi/Berlusconi è inaccettabile. E’ tutto l’impianto del Job act che è completamente sbagliato perché basato sull’idea che il lavoro si possa creare togliendo ogni diritto al lavoro. Al contrario per creare lavoro è necessario allargare la sfera dei diritti a tutti i lavoratori – a partire dai precari – senza togliere alcuna tutela a coloro che hanno un lavoro a tempo indeterminato. Per questo riteniamo che sia necessario arrivare subito allo sciopero generale contro la politica del governo Renzi/Berlusconi, contro l’ulteriore manomissione dell’articolo 18 e il blocco degli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, per estendere i diritti a tutti i lavoratori e per ottenere immediatamente un piano pubblico per il lavoro per almeno un milione di posti di lavoro.
Rifondazione Comunista con la FIOM e il sindacalismo di base nel 2003 hanno fatto il referendum per l'estensione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori a tutti e tutte. Un referendum per estendere i diritti. Cosa faceva Matteo Renzi nel 2003? Faceva il responsabile fiorentino della Margherita, partito che era contro il referendum e l'estensione dei diritti a tutti e tutte.
mercoledì 17 settembre 2014
SE SEI UN PRECARIO E VUOI IL TEMPO INDETERMINATO ECCO COSA FARE
SE SEI UN PRECARIO E VUOI IL TEMPO INDETERMINATO ECCO COSA FARE
Piergiovanni Alleva, 17.9.2014 da “il manifesto”
Lavoro . Ultimi posti per il "posto fisso". Per tutti i contratti a termine stipulati prima del «decreto Poletti» ci sono solo 120 giorni di tempo per ottenere giustizia e lavoro. Poi non sarà più possibile. Ecco come fare in un piccolo vademecum
Quest’articolo è un po’ diverso dai numerosi altri che nel corso del tempo «il manifesto» ha gentilmente pubblicato, perché persegue un intento pratico, concretissimo, che sovrasta ogni riflessione di tipo teorico-critico. L’intento è quello di rendere coscienti e, per così dire, di «svegliare» le centinaia di migliaia di lavoratori precari del settore privato circa la possibilità, molto alta, di trasformare, tramite una facile vertenza, il loro rapporto di lavoro a termine o di lavoro somministrato nel sospirato rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Ma vogliamo avvertirli, d’altra parte, anche della necessità di muoversi e di agire subito. Ecco come.
Devono muoversi subito, o comunque entro 120 giorni da quando scadrà (o è scaduto) il loro ultimo contratto a termine o di lavoro somministrato, stipulato prima del cosiddetto «Decreto Poletti».
Veniamo, dunque, al punto che ci interessa per fornire le dovute spiegazioni: fino alla Legge 16 maggio 2014 n. 78 (cosiddetto Jobs Act 1 o «Decreto Poletti»), vigeva la regola, tanto antica quanto civile e logica, che solo una esigenza lavorativa effettivamente temporanea e ben specificata nel testo dello stesso contratto a termine poteva renderne legittima la stipula, sicché, in mancanza sostanziale o formale di questa «causale» temporanea, il contratto si sarebbe trasformato automaticamente a tempo indeterminato.
Lo «stato dell’arte» della nostra Giurisprudenza fino al «Decreto Poletti» può essere riassunto, ad esempio, nella massima della Cassazione n. 13992/2013 secondo cui «le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo a sostegno dell’apposizione del termine al contratto di lavoro devono essere specificate dal datore di lavoro in maniera circostanziata e puntuale in modo da consentire il controllo della connessione tra la durata temporanea della prestazione e l’utilizzazione del lavoratore».
Il fatto è, però, che negli ultimi dieci anni i datori di lavoro hanno assunto con contratto a termine anche quando la temporaneità dell’esigenza lavorativa non c’era ed invero le assunzioni a termine sono state ogni anno circa l’80% del totale, mentre le occasioni di lavoro effettivamente temporanee sono state del 14%. Dunque 5 contratti a termine su 6 sono stati stipulati illegittimamente.
La ragione di questo uso «improprio» è una sola: si stipulava e si stipula il contratto a termine anche quando l’esigenza produttiva non è temporanea per tenere il lavoratore sotto il ricatto di un mancato rinnovo e, della perdita del posto di lavoro, senza neanche bisogno di licenziamento.
Ma questi datori correvano un notevole rischio: che nei 120 giorni successivi alla scadenza (come previsto dall’art. 32 della legge 148/2010) il lavoratore impugnasse il contratto a termine ottenendone la trasformazione a tempo indeterminato ed invero le vertenze sono state migliaia, quasi sempre vittoriose per il lavoratore.
Il governo Renzi, con il cd. «Decreto Poletti», ha ora legittimato l’illegalità e il ricatto sui lavoratori sancendo — contro ogni logica — che il contratto a termine si può stipulare sempre, anche se l’esigenza lavorativa non è temporanea (sono i cosiddetti contratti a termine «acausali») con l’evidente intento di sostituire man mano i «vecchi» contratti a termine impugnabili e trasformabili a tempo indeterminato, con i nuovi contratti «acausali» e perciò non impugnabili.
In questo piano c’è, però, per così dire, una crepa, in quanto i «vecchi» contratti ante — Decreto Poletti cominciano a scadere ora e scadranno man mano, nei mesi futuri secondo le scadenze stabilite, e restano, pertanto impugnabili nei 120 giorni successivi.
Ecco perché parliamo di «ultima occasione»: proprio perché sono gli ultimi impugnabili.
Ad esempio, se il vecchio contratto ante — Decreto Poletti è già scaduto il 31 agosto 2014 vi è tempo per impugnarlo entro il dicembre 2014; se scadrà, poniamo il 30 novembre 2014 potrà essere impugnato entro il marzo 2015; se scadrà nell’aprile 2015 potrà essere impugnato entro l’agosto 2015 e così via.
Ovviamente sarà meglio non ridursi all’ultimo giorno, anche perché per l’impugnazione basta una lettera raccomandata, e se poi il datore non venisse a patteggiare, conscio del suo torto, nei 180 giorni successivi si può adire il giudice, come migliaia di lavoratori hanno già fatto con successo in questi anni.
Ecco, dunque, il messaggio che mandiamo ai tanti lavoratori con contratto di lavoro a termine o somministrato nel settore privato dell’economia: fate controllare fin d’ora da un sindacato o da un avvocato la regolarità del vostro contratto precario ante — Decreto Poletti, e se risulterà, come è molto probabile, irregolare, preparate l’impugnazione da spedire entro il termine ricordato di 120 giorni dalla cessazione del contratto stesso.
Per voi potrebbe essere questa l’ultima occasione di ottenere un rapporto a tempo indeterminato ed occorre pertanto vincere ogni ritrosia, ogni pregiudizio e ogni sospetto verso sindacati, legali e vertenze, perché la posta in gioco è davvero troppo grande: si tratta di salvaguardare il vostro futuro, battendo in breccia la volontà del governo Renzi (e della troika) di condannare le nuove generazioni al lavoro «usa e getta».
Un’ultima avvertenza: quanto detto vale per i precari del settore privato mentre per i precari del pubblico impiego i problemi sono diversi, visto che lì il principio dello temporaneità dell’esigenza resta per legge, ma la giurisprudenza non consente, per lo più, la trasformazione a tempo indeterminato, concedendo solo un risarcimento del danno. Ai precari pubblici dovremo dedicare, quindi un altro specifico intervento sulle colonne de «il manifesto».
venerdì 12 settembre 2014
STOP AGLI F35
STOP AGLI F35
Nei prossimi giorni la Camera dei Deputati tornerà a discutere, con possibilità di decidere, sulla questione dei caccia F35.
Con questo appello — dopo la grande crescita degli ultimi anni di iniziative contro gli F35 grazie all’azione della società civile e del movimento per la pace riunito nella campagna “Taglia le ali alle armi” — intendiamo sostenere tutte le iniziative parlamentari finalizzate a bloccare tale scelta sbagliata, puntando alla cancellazione definitiva di questo programma.
Spendere 14 miliardi di euro per produrre e comprare (e oltre 50 miliardi per l’intera vita del programma) un aereo con funzioni d’attacco e capace di trasportare ordigni nucleari, mentre non si trovano risorse per il lavoro, la scuola, la salute è una scelta incomprensibile che il Governo italiano deve rivedere.
Per questo chiediamo ai Deputati di sostenere tutte le mozioni parlamentari rivolte a fermare il programma degli F35 e tutte le iniziative della società civile, delle campagne e del movimento per la Pace che chiedono la riduzione delle spese militari a favore del lavoro, dei giovani, del welfare e delle misure contro la crisi economica.
Alex Zanotelli, Roberto Saviano, Mario Martone, Toni Servillo, Alice Rorhwacher, Stefano Benni, Ascanio Celestini - il manifesto ed altri…
martedì 9 settembre 2014
IL BLUFF DEL MERITO A SCUOLA: PREVISTI TAGLI DA 42 A 75 EURO AGLI STIPENDI
IL BLUFF DEL MERITO A SCUOLA: PREVISTI TAGLI DA 42 A 75 EURO AGLI STIPENDI
Fonte: Il Manifesto - Autore: Roberto Ciccarelli - 09/09/2014
L’Ocse chiede all’Italia di aumentare la busta paga degli insegnanti da una media di 24 mila 316 euro (31.460 dollari) a 26 mila 866 euro (34.760 dollari). Il «patto educativo» proposto da Renzi taglierà invece gli stipendi. I conti non tornano nell’abolizione degli scatti di anzianità trasformati in «scatti di competenza». Nelle 136 pagine del libretto sulla «buona scuola» il governo sostiene che gli scatti interesseranno il 66% dei docenti. Il 34%, un docente su tre, verrà giudicato «immeritevole» e non potrà riceverli. Per l’Anief quella di Renzi è una riforma più dura di quella approvata dal centro-destra con Brunetta. Quest’ultima prevedeva il «merito» per il 75% dei dipendenti pubblici. Il centro-sinistra solo per il 66% del personale scolastico, quasi il 10% in meno.
Su queste basi allora immaginiamo il futuro, dopo l’assunzione dei 150 mila docenti precari prevista a settembre 2015 per i quali saranno necessari 4,1 miliardi di euro a regime, ancora tutti da trovare. Secondo la ripartizione media indicata nelle linee guida, il 66% di tutti i docenti sarà meritevole di uno «scatto» di stipendio da 60 euro ogni tre anni. I neo-assunti dovranno attende 4–5 anni (invece di nove) per raggiungere il primo «scatto». Si parla di 180 euro contro i 140 garantiti dal sistema precedente. Il governo sostiene che a fine carriera guadagneranno 9 mila euro netti di stipendio in più, duemila in più rispetto a quanto avrebbero percepito con i soli «scatti di anzianità».
Questa cifra sarà tuttavia destinata solo ad un terzo dei docenti e non sempre alle stesse persone. E il risparmio per le casse dello Stato sarà superiore rispetto a quanto già realizzato oggi. Si dà infatti il caso che il portfolio di crediti e titoli di un docente «meritevole» possa essere penalizzato dal nucleo interno di valutazione di un istituto. Dopo sei anni, e due scatti, questo docente può avere una brutta sorpresa. Al nono anno potrà essere scavalcato in classifica da uno più «meritevole» di lui. Sempre che questo non accada già al terzo o al sesto anno.
Il sito specializzato Orizzonte Scuola ha pubblicato due simulazioni curate dai docenti Antonello Venditti e Eliana Vianello. Il primo sostiene che in nove anni verranno percepiti mediamente due scatti invece di tre. In 42 anni di servizio, il docente meritevole percepirà 26 euro mensili in meno, 312 euro all’anno. Per lo Stato si ipotizza un risparmio di 200 milioni di euro annui per 650 mila docenti.
La seconda simulazione riguarda i 150 mila futuribili neo-assunti. Se perderanno il primo scatto dopo 4–5 anni, il loro stipendio perderà 72 euro, 900 euro in meno all’anno. La perdita dovrebbe restare anche nel caso in cui recuperino posizioni in classifica negli anni successivi. Nella scuola di Renzi essere meritevoli ha un costo per tutti. Per il governo, invece, è un altro modo per fare «spending review», dopo avere negato lo sblocco dei contratti fino al 2017. A differenza di altre categorie del pubblico impiego, il contratto della scuola è bloccato dal 2009. In quasi dieci anni i docenti italiani avranno regalato allo Stato una media di 4800 euro (stima Flc-Cgil). Nei prossimi dieci ne lasceranno molti altri.
Si chiama merito e fa rima con i tagli. Il bluff è il risultato di un preciso dispositivo di governo: alla scuola viene applicato il sistema «valutare e punire». Per i docenti questo significa sacrificarsi in nome delle politiche di austerità. Resta da capire cosa accadrà a coloro che non saranno «meritevoli» per legge. Le linee guida Renzi-Giannini suggeriscono di spostarsi nelle scuole meno competitive dove il rendimento è medio-basso. Questa mobilità riguarderà i docenti «meritevoli» che invece verranno indirizzati verso gli istituti «eccellenti».L’obiettivo sembra essere quello di rafforzare le disparità territoriali, di censo e di classe tra le scuole e i docenti in tutto il paese.
Sono inquietanti le prospettive che aspettano i docenti e i precari meno pagati nei paesi Ocse, e sempre più poveri, all’inizio del nuovo anno scolastico. L’Unicobas ha confermato lo sciopero generale il 17 settembre. I Cobas di Piero Bernocchi sciopereranno contro la «scuola miseria» il 10 ottobre, scendendo in piazza con gli studenti medi.
lunedì 8 settembre 2014
TSIPRAS AL CONVEGNO DI CERNOBBIO: "L'AUSTERITÀ È UNA STRADA SENZA USCITA"
TSIPRAS AL CONVEGNO DI CERNOBBIO: "L'AUSTERITÀ È UNA STRADA SENZA USCITA"
“Una strada senza uscita", a causa dell'"austerità e della disciplina fiscale", che "hanno avuto risultati molto negativi per tutti". L’analisi di Alexis Tsipras, leader di Syriza, intervenuto, a porte chiuse, workshop Ambrosetti a Cernobbio, non lascia alcuna scappatoia. Parole di fronte alle quali perfino “i cento punti base” limati da Draghi l’altro giorno all’euro, che così tanto successo hanno incontrato preso i mercati, sembrano meno di un bicchiere di acqua fresca.
Anche perché, come sottolinea Tsipras, la crisi è passata dalle banche all'economia reale e alla società. “In Europa c'è una crisi sociale e politica, una crisi che permane – ha detto - e c'è paura per la deflazione. Bisogna cambiare direzione e strategia".
Secondo Tsipras "è paradossale restare dell'idea di implementare il Fiscal Compact: non è normale credere che un'economia come la Grecia recuperino con l'obbligo di avere un avanzo primario del 4,5% e nel tempo stesso avere un debito doppio rispetto al Pil e avere l'obbligo di pagare 10 mld di euro l'anno per gli interessi". A parere di Tsipras, "l'unica soluzione è la combinazione di una ristrutturazione del debito pubblico e decisioni più attive da parte della Bce per dare liquidità alle banche europee e così trasferire risorse all'economia reale, solo per finanziare gli investimenti e allo stesso tempo è necessario spingere la domanda".
Insomma, per Tsipras, all'Europa "serve la crescita: senza la crescita, è impossibile la ripresa. Ma i risultati della politica di austerità e di disciplina fiscale sono completamente diversi. Nel mio Paese abbiamo avuto sei anni consecutivi di recessione, abbiamo perso il 25% del Pil e questo è inaccettabile in un periodo di pace. E mi pare - conclude - che anche in Italia le cose non vadano troppo bene".
mercoledì 3 settembre 2014
FABBRICANTI DELLA PAURA TORNANO. MIGRANTI, GRILLO ATTACCA: PORTANO TUBERCOLOSI
DA GRILLO PROCLAMI RAZZISTI SENZA SENSO
Da Grillo proclami razzisti senza senso: come le chiude le frontiere, mettendo le mitragliatrici a Lampedusa come propone la Lega o sparando addosso ai bambini direttamente in mezzo al mare? Raccontare balle razziste pur di prendere voti, dipingendo addirittura i migranti come “untori”, è una porcheria infame e qualifica chi lo fa. Il problema vero è che il governo non fa nulla per obbligare l’Europa a condividere sul serio l’accoglienza di decine di migliaia di profughi che scappano dalle guerre. Organizzare l’accoglienza in tutta Europa è l’obiettivo, che non si raggiunge certo con la propaganda razzista.
Con squallide argomentazioni razziste su immigrati e tubercolosi Beppe Grillo fa concorrenza a Tavecchio. Che vergogna!!!
martedì 2 settembre 2014
LA FINANZIARIA SILENZIOSA
LA FINANZIARIA SILENZIOSA
Crisi economica economia job act legge finanziaria Matteo Renzi Roberto Romano Ripresa impossibile. Una politica fatta solo di annunci, dallo “Sblocca Italia” al “Jobs Act”. Ma Matteo Renzi per ora non ha detto dove prenderà i 22 miliardi necessari alla prossima manovra
Mille giorni così sono veramente tanti. Il “soldato Ryan” (Renzi) non sembra nemmeno il presidente del consiglio. Qualcuno ha sentito chiarimenti circa la manovra da 22 miliardi per il 2015?
Il paese è caduto in recessione, in Europa si aggira lo spettro della deflazione, con una disoccupazione reale (italiana) di oltre 6 milioni di persone. Le prospettive di crescita per il 2014 sono negative e quelle per il 2015 potrebbero diventare drammatiche.
Renzi vuole il lavoro italiano come quello tedesco? Si potrebbe iniziare con orari e salari: rispettivamente 1.396 al posto delle 1752 ore, e salari medi annui, a tassi di cambio e prezzi costanti del 2012, in dollari, da 36.763 a 45.287. Abbiamo il sospetto che il premier non farà niente del genere.
Riforme strutturali? Aspettiamo la legge di stabilità e poi discutiamo. Per ora non rimane che lo «Sblocca Italia», una riforma annunciata che dice molto su come il presidente del consiglio vuole aiutare il Paese.
Il così detto «Sblocca Italia», in realtà, riguarda prevalentemente l’accelerazione e la realizzazione di opere già approvate, e ha la pretesa di avere effetti positivi in ordine ai problemi reali del Paese e la capacità di stimolare lo sviluppo.
Solo a luglio, il presidente del consiglio parlava di 43 miliardi di euro, diventati 10 nella conferenza stampa e 3,8 miliardi nel decreto legge. Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, prevede non meno di 100 mila nuovi posti di lavoro per le sole opere pubbliche.
Le risorse disponibili, vere, sono 3,8 miliardi di euro, di cui 840 milioni arrivano dal fondo revoche di opere bloccate e 3 miliardi dal “bancomat” del Fondo sviluppo e coesione. Praticamente 38.000 euro per lavoratore, anche se non contabilizza la variazione del reddito (Pil). Fatto abbastanza anomalo visto che stiamo impegnando risorse in conto capitale.
L’idea poi di sviluppo è tutto nel pacchetto made in Italy fatto di stimoli alle esportazioni e agli investimenti diretti esteri. Con poco meno di 220 milioni di euro nel triennio (2015–17), il Paese dovrebbe espandere la propria quota di commercio internazionale di 50 miliardi e attrarre non meno di 20 miliardi di investimenti diretti esteri, con una crescita del prodotto interno lordo di un punto percentuale. Insomma: 220 milioni permetterebbero una crescita di 15 miliardi. Gli economisti keynesiani dovranno passare molto tempo a riscrivere il moltiplicatore. Il nostro premier impone una nuova formula del moltiplicatore?
Ovviamente non manca il rifinanziamento della così detta cassa integrazione in deroga per 720 milioni, che porta il fondo a 1.720 milioni per il 2014. Invece di avviare una riforma seria, si continua a rifinanziare lo strumento che dovrebbe, in realtà, agganciarsi a una generale rivisitazione degli strumenti a sostegno del lavoro. È una materia delicata, ma passare da rifinanziamento in rifinanziamento una tantum non è proprio quello che chiedono i lavoratori colpiti dalla crisi.
Ma qualcosa dalla conferenza stampa di ieri e dal decreto legge lo possiamo intravvedere: lo sviluppo e la crescita dell’Italia passa attraverso l’edilizia e le opere pubbliche. Il governo non ha proprio compreso che gli investimenti in conto capitale hanno una logica economica solo nella misura in cui modificano il segno del Pil (come spiega efficacemente l’economista Sylos Labini) e, quindi, anticipano la domanda futura.
Assegnare all’edilizia, alle opere pubbliche la crescita del Paese nell’era dell’innovazione tecnologica, appare come la peggiore politica che si possa immaginare. Ormai il commercio internazionale manifatturiero legato all’alta tecnologia vale il 30% del totale, mentre le imprese italiane si posizionano al 10%. Come può il Paese aumentare la quota di commercio internazionale di 50 miliardi di euro? Come potrebbe attirare investimenti diretti esteri se la spesa in ricerca e sviluppo privata è la più bassa tra i paesi di area Ocse? Misteri del nostro presidente.
Indiscutibilmente l’edilizia attraversa una fase di grave crisi, ma l’edilizia, più o meno alimentata da incentivi, era sproporzionata rispetto alla necessità del Paese. Riproporre le stesse opere e anticiparne delle altre, significa alimentare la rendita, non lo sviluppo del Paese. Ripeto: la rendita, non il reddito (Pil).
L’impressione è quella di un governo in piena confusione nella migliore e positiva interpretazione. La politica economica del governo risiedeva in tutto o in parte nei famosi 80 euro. Il bonus fiscale ha fallito per un semplice e banale fatto: mentre i miliardi sottratti alla pubblica amministrazione, per alimentare il bonus fiscale, erano risorse certe e quindi Pil, gli 80 euro erano e sono risorse incerte; diventano reddito (e cioè Pil) nella misura in cui i cittadini decidono di spenderli. La caduta del prodotto interno lordo del secondo trimestre altro non è che il taglio della spesa pubblica.
Il quadro però non è completo. Con la legge di stabilità arriverà il pacchetto municipalizzate e spending review. Sappiamo che il governo ha iniziato un lavoro di modifica delle aliquote Iva. Sarà un pacchetto amaro, fondato su luoghi comuni e pesanti ripercussioni sui lavoratori.
Il presidente di Confindustria ha detto, durante il meeting di Comunione e Liberazione, che l’Italia ha vissuto al di sopra dei propri mezzi. A queste condizioni è difficile immaginare di uscire dalla depressione.
Speriamo di sbagliare, ma il 2015 potrebbe diventare un altro anno orribile. Paolo Pini, di recente sul manifesto, si era già spinto in questa previsione. Speriamo di avere torto, ma i segnali ci sono tutti, con l’aggravante di avere Renzi al governo.
Roberto Romano - il manifesto
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