martedì 27 agosto 2013
SINISTRA
Il vuoto (elettorale) della sinistra radicale di Enrico Grazzini – il manifesto Autoreferenziali, minoritari, inconcludenti e scarsamente influenti. Gli errori da non ripetere per un nuovo soggetto politico Le elezioni, italiane ed europee, si avvicinano e l’ampio popolo italiano di sinistra vorrebbe essere rappresentato nelle maggiori istituzioni ma manca un soggetto politico delle diverse anime a sinistra del Pd. C’è un estremo bisogno di una formazione unitaria di sinistra , contro i governi delle larghe intese e le politiche di austerità. Capace di orientare la disperazione sociale e la protesta di milioni di elettori e fare davvero un’opposizione efficace per candidarsi alla guida del paese. Non sarà facile costruire il nuovo soggetto politico ma occorre l’ottimismo della volontà. Purtroppo è molto difficile che il ceto politico attuale della sinistra cosiddetta radicale e alternativa abbia la volontà e la capacità di costruire una formazione aperta, plurale ma sufficientemente coesa per cambiare il corso della politica italiana (pessimismo della ragione). I dirigenti delle formazioni della sinistra alternativa – Sinistra Ecologia e Libertà, Rifondazione Comunista, i Verdi, i sindaci arancioni, quelli della lista Ingroia, ecc – appaiono troppo spesso carenti di una visione politica di ampio respiro, quasi sempre autoreferenziali, minoritari, e alla fine inconcludenti o scarsamente influenti. Troppo spesso appaiono agli occhi della gente comune come politici di professione che difendono il loro orticello e la loro fettina di potere (istituzionale, accademico, sindacale o di qualsiasi altra natura). La sinistra a sinistra del Pd è scioccamente divisa, e soprattutto lontana dalle esigenze e dai movimenti popolari che, nella crisi, si radicalizzano e cercano interlocutori affidabili per le loro istanze di cambiamento. Ma non vedono ancora nuovi leader per la trasformazione sociale. Che lo spazio a sinistra sia potenzialmente enorme lo dimostra il grande successo di Beppe Grillo. Beppe Grillo ha conquistato alle ultime elezioni quasi 9 milioni di voti; nonostante la sua ideologia estremista di democrazia diretta contro tutti i partiti, l’80% del suo programma è compatibile con quello di una sinistra radicale, a partire dalla difesa della Costituzione contro il presidenzialismo, dal reddito minimo garantito, dalla lotta contro il regime berlusconiano, contro gli F35 e la corruzione dilagante. Perché Grillo è riuscito a costruire un’opposizione potente e radicale e la sinistra cosiddetta alternativa invece no? Grillo ha perso un’occasione storica rifiutando un nuovo governo con Bersani e il Pd. Poteva svoltare e formare un governo di cambiamento ma ha deciso invece di rifiutare ogni alleanza e ha favorito oggettivamente Berlusconi. La responsabilità è di Grillo, della sua prepotente autocrazia e della sua immaturità politica. Ma se la sinistra minoritaria continua così è destinata solo a fare testimonianza, a essere ininfluente, e forse alla fine a sparire del tutto. Il primo problema è che questa sinistra non vuole prendere atto dei propri errori strategici: non è un caso che l’Italia sia praticamente l’unico tra i grandi paesi europei che non abbia in parlamento una formazione che rappresenti l’ampio popolo della sinistra. In Grecia Syriza ha conquistato il 26% dei voti ed è il secondo partito; in Germania la Linke ha preso l’11% dei voti alle elezioni federali; in Francia il Fronte di Sinistra di Jean-Luc Mélenchon ha preso alle ultime presidenziali l’11% dei voti. Occorre quindi cominciare ad analizzare in maniera severa, e anche spietata, gli errori della sinistra, a partire da Sel, la formazione più significativa. Nichi Vendola si è posizionato come corrente esterna del Pd con l’obiettivo di fare come la mosca che vuole spostare l’elefante. Ha abbracciato l’alleanza con Bersani che cercava l’alleanza con Monti – l’austero rappresentante del mondo finanziario nazionale e internazionale-. Ma Bersani dopo avere perso clamorosamente l’occasione di andare al governo, oggi sostiene anche il governo Letta delle larghe intese promosso anche da Silvio Berlusconi. Attirando affettuosamente a sé Vendola, Bersani è riuscito comunque a raggiungere un obiettivo importante: quello di distruggere la possibilità di una forte formazione politica autonoma alla sua sinistra. Tuttavia, fallito l’obiettivo governativo di Bersani, è fallita anche la strategia di Vendola: conquistare la direzione del Pd a colpi di vittorie nelle primarie. Ma la scalata ai vertici del centrosinistra è palesemente mancata, e non poteva essere altrimenti. Le primarie rappresentano una novità ma caratterizzano i partiti elettorali americani e deprimono la militanza organizzata della base. Occorre prendere atto che il Pd non è neppure un partito socialista, non aderisce al gruppo socialista europeo; pur composto da ex comunisti ed ex democristiani, è spostato al centro e certamente non si farà mai scalare dalla sinistra. Forse riuscirà invece a scalarlo con campagne mediatiche all’americana il rottamatore Renzi che in nome del nuovismo ripropone però la vecchia politica liberista. Vendola si trova dunque, suo malgrado, a fare opposizione a un governo, a guida Pd, moderato a parole, nei fatti garante della piena subordinazione all’austerità imposta dall’euro tedesco, pronto a modificare la Costituzione per introdurre un presidenzialismo autoritario. Intendiamoci: il Pd, anche se complessivamente diretto da professionisti moderati della politica, ha un elettorato popolare che certamente è collocato a sinistra; e in prospettiva l’alleanza con il Pd e con il M5S di Grillo diventerà essenziale per formare un governo di sinistra. Ma subordinare tutta la politica della sinistra alternativa all’alleanza con il Pd è suicida. Bisogna però sgombrare il campo da un’altra illusione un po’ infantile: che sia possibile costruire una nuova formazione di sinistra solo grazie ai movimenti. Sono ovviamente la base di tutto: la storia dimostra però che tutte le formazioni politiche non nascono solo dal basso ma anche dall’alto. Le nuove organizzazioni politiche nascono dalle crisi dei regimi precedenti e dai movimenti sociali. Ma anche, e forse soprattutto, da nuovi ideali e visioni intellettuali, da nuove culture ed elaborazioni politiche, da nuovi ceti dirigenti che si organizzano dall’alto. E’ per questo che anche le attuali organizzazioni politiche sono importanti. L’avversione di molte persone di sinistra verso le organizzazioni della sinistra radicale è in parte giustificata, ma, se diventa radicale e totale, dimostra primitivismo politico o anche settarismo intellettuale. La battaglia critica delle idee può essere spietata ma nessuno può davvero proclamarsi migliore degli altri. E dentro le formazioni politiche della vecchia “nuova sinistra” militano molte ottime persone che da anni lottano per un diverso mondo possibile: non esiste alcuna ragione per sbarazzarsi di loro e della loro esperienza. Ben vengano le iniziative contro il fiscal compact, la precarizzazione del lavoro, il presidenzialismo e il pareggio di bilancio in Costituzione voluto da tutte le forze governative, Pd compreso. Ma per avviare un nuovo corso, occorrerebbe innanzitutto riconoscere i propri errori, riformulare le visioni e le strategie, superare i settarismi minoritari, elaborare programmi comuni. Difficilmente Paolo Ferrero riuscirà a rifondare il comunismo: ma, dopo essere stato scottato dall’esperienza affrettata e dilettantesca della lista Ingroia, il suo appello a superare rapidamente le divisioni è fin troppo giusto: infatti il governo Letta potrebbe cadere presto e già nel 2014 verrà eletto il nuovo Parlamento europeo. Prendiamo atto che ciò che unisce questa (finora deludente) sinistra è comunque molto più di quello che la divide.
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