sabato 19 marzo 2011

Libia, interveniamo ma per un immediato "cessate il fuoco"



La scellerata risoluzione Onu che porta alla guerra

sabato 19 marzo 2011

di Fabio Amato

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è pronunciato a favore dell'istituzione della No fly zone sulla Libia e dell'autorizzazione all'uso di non meglio precisati mezzi necessari a prevenire violenze contro i civili. In altri termini, ha autorizzato la guerra.
Il pallido e fino ad oggi insignificante Ban Ki Moon, diventato presidente dell'Onu solo in virtù dei suoi buoni uffici con gli Usa e del suo basso profilo, si è esaltato fino a definire la risoluzione 1973 storica, in quanto sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile.
Un principio che vale a corrente alternata. Non ci sembra di ricordare sia evocato quando i cacciabombardieri della Nato fanno stragi di civili in Afghanistan. Altrettanta solerzia non è risultata effettiva quando gli F16 dell'aviazione israeliana radevano al suolo il Libano o Gaza, uccidendo migliaia di civili innocenti.
Si tratta, in realtà, di un precedente ben pericoloso. Sul quale giustamente paesi come la Russia, la Cina, il Brasile, l'India e la Germania hanno espresso più di una riserva. Che si è limitata però ad un'astensione, che lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare Tripoli e sostituire Gheddafi con le fazioni a lui ostili per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze. Sia chiaro a tutti che i diritti umani e le giuste aspirazioni dei giovani libici alla democrazia e a liberarsi dal regime non c'entrano nulla con la decisione di Parigi e Londra, seguite a ruota dal sempre più deludente Obama, di attivare l'intervento militare.

Chi sarà in futuro a decidere quali violenze contri i civili sono accettabili o meno saranno solo e sempre le superpotenze militari imperialiste e occidentali. E lo faranno con il sostegno del sistema di informazione mondiale che selezionerà alla bisogna chi e come andrà bombardato, chi potrà o meno rimanere al potere.
Chi stabilisce, infatti, che si decide di bombardare la Libia, mentre si consente all'Arabia Saudita di inviare truppe per sedare le proteste nel vicino Baherein, mentre si lascia il presidente dittatore da trentadue anni dello Yemen, Abdullah Saleh, sparare da giorni sulla folla che ne chiede a gran voce e da tempo le dimissioni? Si arriva al paradosso che la petromonarchia del Qatar, anch'essa impegnata nel reprimere le proteste del Baherein con il suo esercito, ha allo stesso tempo annunciato che invierà i suoi caccia per la democrazia in Libia.
Tutto ciò dimostra solo come nel caso libico si è da subito tentato di intervenire militarmente per interessi geopolitici.
Quale è infatti la razionalità politica di tale scelta? Semplice.
Come sempre, ciò che muove gli eserciti non sono le intenzioni umanitarie, ma ben altre ragioni e motivazioni. Seguite il petrolio, il gas e i dollari e troverete la risposta.
Per ciò che riguarda la Francia e la sua frenesia di menar le mani si segua, oltre alla via del petrolio, quella dell'uranio che alimenta le sue centrali nucleari e quelle che vende per il mondo.
Il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal governo libico forse lascia del tempo per cercare di evitare la tragedia di una guerra nel mediterraneo. Temiamo duri poco. Sarà cercato in ogni modo un pretesto per giustificare comunque l'attacco, ora che una parvenza di legittimità internazionale è stata data dalla sciagurata risoluzione 1973.
L'Onu, che dovrebbe prevenire i conflitti fra gli Stati, in questo caso ha varato una decisione che potenzialmente potrebbe allargarlo e diffondere la guerra. Una decisione quindi si storica, ma per stupidità. Una stupidità alla quale, naturalmente, non si sottrae il governo italiano, pronto a dare basi uomini e mezzi all'impresa. In buona compagnia del Pd - già d'altronde in prima fila nelle guerre umanitarie del passato - che condivide apertamente tale scelta.
Mentre la situazione in Libia stava precipitando, solo alcuni paesi progressisti dell'america latina hanno avanzato, invece di minacce e proclami, una proposta di mediazione, di soluzione politica del conflitto capace di scongiurare la guerra civile e l'intervento esterno. Questa proposta è rimasta colpevolmente abbandonata. Se vi sono ancora degli spiragli per evitare il peggio vanno usati ed agiti fino in fondo. Serve da subito una mobilitazione del popolo della pace per fermare la macchina da guerra che sta scaldando i suoi motori. Serve scendere subito in piazza contro la guerra e per chiedere che l'Italia rimanga fuori da questa nuova e sciagurata avventura bellica. Noi ci saremo.




Libia, interveniamo ma per un immediato "cessate il fuoco"

di Flavio Lotti * - su il manifesto del 18/03/2011

La violenza che il regime di Gheddafi sta usando e minaccia di usare per reprimere la rivolta iniziata il 15 febbraio ripropone la spinosa questione dell'intervento internazionale, di cosa può fare la comunità internazionale per scongiurare un nuovo bagno di sangue e per sostenere i diritti e la sicurezza dei libici.
Per alcuni la soluzione è una sola, come in ogni altra crisi: l'intervento militare. È la sola cosa che riescono a concepire, specialmente quando c'è di mezzo, come in questo caso, il petrolio. In realtà, la comunità internazionale non dispone di veri e propri strumenti di intervento. È una triste, amara e sconfortante realtà. Per essere efficace, l'intervento dovrebbe essere gestito da una autorità sopranazionale superpartes credibile. Chi interviene non deve avere secondi fini (tipo garantirsi il controllo delle risorse naturali di un paese) ma un solo obiettivo: proteggere la popolazione, difendere i diritti umani, impedire il massacro di civili innocenti. A questo scopo è stata costituita sessantasei anni fa l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Per intervenire l'Onu dovrebbe poter disporre di adeguati strumenti e risorse. Ma i governi degli stati membri non hanno mai consentito all'Onu di adempiere al proprio mandato e di organizzarsi di conseguenza.
L'intervento della comunità internazionale in Libia è indebolito dalla documentata accusa di usare due pesi e due misure. Il silenzio e la sostanziale inazione di fronte a tante tragedie in corso (come quella della Somalia) o grandi violazioni dei diritti umani (come quelle perpetrate da oltre sessant'anni nei confronti del popolo palestinese) rende la comunità internazionale poco credibile e la espone a pesanti accuse. A questo si aggiungono anche le - a dir poco - ombre lasciate da altri interventi militari occidentali come in Somalia, Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan.
Ciononostante, non è vero che non si può fare nulla. Nonostante la complessità della situazione in Libia, la comunità internazionale (Onu, Ue, Lega Araba, Unione Africana,...) deve: 1. agire con determinazione per raggiungere un cessate il fuoco immediato, fermare l'escalation della violenza e impedire un nuovo massacro; 2. inviare immediatamente in Libia gli osservatori internazionali dell'Onu; 3. soccorrere le popolazioni bisognose di assistenza umanitaria; 4. monitorare l'assoluto rispetto da parte degli stati dell'embargo sulle armi deciso con la Risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di Sicurezza Onu. Il mondo ha bisogno di un sistema organizzato per gestire le crisi internazionali e prevenire guerre e genocidi. Servono: (1) un sistema di pre-allarme, di identificazione e monitoraggio dei conflitti più pericolosi prima che possano scoppiare; (2) uno strumento di mediazione tra le parti; (3) una forza di polizia internazionale, una forza militare e civile dell'Onu, istituita in modo permanente sulla base della Carta delle Nazioni Unite, pronta ad intervenire quando si deve impedire o fermare lo scoppio della violenza; (4) i corpi civili di pace; (5) il Tribunale Penale Internazionale, uno strumento per processare ogni persona accusata di genocidio o di crimini di guerra. È indispensabile inoltre che l'Unione Europea sappia parlare con una sola voce sulle questioni di politica internazionale e che s'impegni a costruire una Comunità del Mediterraneo in grado di sostenere pacificamente il processo di transizione alla democrazia e di sviluppo umano dei paesi del nord Africa e del Medio Oriente.

* Coordinatore della Tavola della pace
www.perlapace.it

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