mercoledì 30 marzo 2011
2 APRILE 2011: giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra
mercoledì 23 marzo 2011
VIMODRONE - DOMENICA 27 MARZO 2011 - PRC/FDS IN PIAZZA
Una nuova odiosa sporca guerra per il petrolio è cominciata in questi giorni contro la Libia. L’Italia è ridotta ad una portaerei e in violazione dell’art. 11 della Costituzione decide – per dirla con l’indimenticato don Tonino Bello – di diventare “un’arco di guerra proteso e minaccioso nel Mediterraneo”.
Di nuovo il parlamento è ridotto ad una caserma, con una votazione bipartisan a favore della guerra, e con una grottesca ed ingloriosa corsa a scavalcare a destra il governo. L’Italia è la linea del fronte e non da adesso. L’unica preoccupazione dei nostri governanti è stata sempre e solo quella di contenere e respingere i profughi e di mantenere salde le mani sul petrolio e il gas libico. In tutti questi anni le aspirazioni alla libertà di quel popolo sono state frustrate, ignorate e derise per fino dai baciamani nei confronti del capo di quel regime oppressivo.
Per lungo tempo e anche nelle ultime settimane l’Europa e la comunità internazionale sono state prima complici dei regimi corrotti del Magreb e poi mute davanti alle rivolte arabe per la giustizia sociale e la libertà. Non una politica di cooperazione è stata avanzata, non una revisione degli accordi economici neoliberisti che hanno affamato quei popoli è stata presa. Di nuovo silenzio e complicità accompagnano la sanguinosa repressione delle masse arabe nello Yemen e nel Bahrein. Tutto il mondo sa che invece in Libia si interviene con la devastante forza dei bombardamenti non per sostenere le legittime aspirazioni di quel popolo all’autodeterminazione e alla democrazia, ma per arrivare a spartirsi quel paese tra le multinazionali del petrolio.
Respingiamo l’inaccettabile ricatto “o stai con Gheddafi o stai con i bombardieri della Nato”. Noi siamo contro la guerra sempre, senza se e senza ma, perché tutte le “guerre umanitarie” hanno dimostrato il loro fallimento degli obiettivi dichiarati – tutelare i civili e promuovere la democrazia – mentre si sono tutti realizzati gli obiettivi nascosti e denunciati dal movimento per la pace (mettere le mani sulle risorse energetiche, ingrassare con le spese militari e con la corsa agli armamenti le lobby al potere, sostenere regimi fantoccio falsamente democratici).
Rifondazione Comunista non si arruola alla guerra, sostiene la lotta dei popoli per la liberazione e al contempo si oppone con forza all’intervento militare occidentale e all’uso delle basi poste sul nostro territorio. Ogni tentennamento aprirebbe la strada alla definitiva cancellazione dell’art. 11 della Costituzione e rappresenterebbe una gravissima regressione culturale in grado di sdoganare la guerra come strumento possibile ed accettabile della politica. Guerra e umanità sono incompatibili. Un’altra strada è possibile, a cominciare da una mediazione politico/diplomatica che porti all’immediato cessate il fuoco e ad una riconciliazione della Libia dentro un quadro unitario e democratico. REFERENDUM: VOTA SI SU ACQUA, NUCLEARE E LEGITTIMO IMPEDIMENTO
L’ACQUA E’ UN BENE COMUNE. Il governo Berlusconi consegna l’acqua alle grandi multinazionali e fa di questo bene essenziale che appartiene a tutti un oggetto del profitto di pochi ai danni di tutti noi cittadini. Il PRC-FDS è PER UNA GESTIONE PUBBLICA E PARTECIPATIVA DELL’ACQUA. Una gestione pubblica, efficiente, contro le politiche di rapina dei territori e a tutela del paesaggio idrogeologico. Una gestione che garantisca acqua potabile di qualità a tutti, investendo nel servizio idrico senza aumenti di tariffe.
Una gestione non inquinata da logiche di profitto, che sia definita dagli statuti comunali, (come quello di Vimodrone), come servizio pubblico locale privo di rilevanza economica. IMPEDIAMO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA – APRIAMO LA STRADA ALLA RIPUBLICIZZAZIONE – ELIMINIAMO I PROFITTI DAL BENE COMUNE ACQUA.
martedì 22 marzo 2011
NO ALLA GUERRA! PRESIDIO A MILANO
Milano, 21 marzo 2011
sabato 19 marzo 2011
Libia, interveniamo ma per un immediato "cessate il fuoco"
di Fabio Amato
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è pronunciato a favore dell'istituzione della No fly zone sulla Libia e dell'autorizzazione all'uso di non meglio precisati mezzi necessari a prevenire violenze contro i civili. In altri termini, ha autorizzato la guerra.
Il pallido e fino ad oggi insignificante Ban Ki Moon, diventato presidente dell'Onu solo in virtù dei suoi buoni uffici con gli Usa e del suo basso profilo, si è esaltato fino a definire la risoluzione 1973 storica, in quanto sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile.
Un principio che vale a corrente alternata. Non ci sembra di ricordare sia evocato quando i cacciabombardieri della Nato fanno stragi di civili in Afghanistan. Altrettanta solerzia non è risultata effettiva quando gli F16 dell'aviazione israeliana radevano al suolo il Libano o Gaza, uccidendo migliaia di civili innocenti.
Si tratta, in realtà, di un precedente ben pericoloso. Sul quale giustamente paesi come la Russia, la Cina, il Brasile, l'India e la Germania hanno espresso più di una riserva. Che si è limitata però ad un'astensione, che lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare Tripoli e sostituire Gheddafi con le fazioni a lui ostili per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze. Sia chiaro a tutti che i diritti umani e le giuste aspirazioni dei giovani libici alla democrazia e a liberarsi dal regime non c'entrano nulla con la decisione di Parigi e Londra, seguite a ruota dal sempre più deludente Obama, di attivare l'intervento militare.
Chi sarà in futuro a decidere quali violenze contri i civili sono accettabili o meno saranno solo e sempre le superpotenze militari imperialiste e occidentali. E lo faranno con il sostegno del sistema di informazione mondiale che selezionerà alla bisogna chi e come andrà bombardato, chi potrà o meno rimanere al potere.
Chi stabilisce, infatti, che si decide di bombardare la Libia, mentre si consente all'Arabia Saudita di inviare truppe per sedare le proteste nel vicino Baherein, mentre si lascia il presidente dittatore da trentadue anni dello Yemen, Abdullah Saleh, sparare da giorni sulla folla che ne chiede a gran voce e da tempo le dimissioni? Si arriva al paradosso che la petromonarchia del Qatar, anch'essa impegnata nel reprimere le proteste del Baherein con il suo esercito, ha allo stesso tempo annunciato che invierà i suoi caccia per la democrazia in Libia.
Tutto ciò dimostra solo come nel caso libico si è da subito tentato di intervenire militarmente per interessi geopolitici.
Quale è infatti la razionalità politica di tale scelta? Semplice.
Come sempre, ciò che muove gli eserciti non sono le intenzioni umanitarie, ma ben altre ragioni e motivazioni. Seguite il petrolio, il gas e i dollari e troverete la risposta.
Per ciò che riguarda la Francia e la sua frenesia di menar le mani si segua, oltre alla via del petrolio, quella dell'uranio che alimenta le sue centrali nucleari e quelle che vende per il mondo.
Il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal governo libico forse lascia del tempo per cercare di evitare la tragedia di una guerra nel mediterraneo. Temiamo duri poco. Sarà cercato in ogni modo un pretesto per giustificare comunque l'attacco, ora che una parvenza di legittimità internazionale è stata data dalla sciagurata risoluzione 1973.
L'Onu, che dovrebbe prevenire i conflitti fra gli Stati, in questo caso ha varato una decisione che potenzialmente potrebbe allargarlo e diffondere la guerra. Una decisione quindi si storica, ma per stupidità. Una stupidità alla quale, naturalmente, non si sottrae il governo italiano, pronto a dare basi uomini e mezzi all'impresa. In buona compagnia del Pd - già d'altronde in prima fila nelle guerre umanitarie del passato - che condivide apertamente tale scelta.
Mentre la situazione in Libia stava precipitando, solo alcuni paesi progressisti dell'america latina hanno avanzato, invece di minacce e proclami, una proposta di mediazione, di soluzione politica del conflitto capace di scongiurare la guerra civile e l'intervento esterno. Questa proposta è rimasta colpevolmente abbandonata. Se vi sono ancora degli spiragli per evitare il peggio vanno usati ed agiti fino in fondo. Serve da subito una mobilitazione del popolo della pace per fermare la macchina da guerra che sta scaldando i suoi motori. Serve scendere subito in piazza contro la guerra e per chiedere che l'Italia rimanga fuori da questa nuova e sciagurata avventura bellica. Noi ci saremo.
Libia, interveniamo ma per un immediato "cessate il fuoco"
di Flavio Lotti * - su il manifesto del 18/03/2011
La violenza che il regime di Gheddafi sta usando e minaccia di usare per reprimere la rivolta iniziata il 15 febbraio ripropone la spinosa questione dell'intervento internazionale, di cosa può fare la comunità internazionale per scongiurare un nuovo bagno di sangue e per sostenere i diritti e la sicurezza dei libici.
Per alcuni la soluzione è una sola, come in ogni altra crisi: l'intervento militare. È la sola cosa che riescono a concepire, specialmente quando c'è di mezzo, come in questo caso, il petrolio. In realtà, la comunità internazionale non dispone di veri e propri strumenti di intervento. È una triste, amara e sconfortante realtà. Per essere efficace, l'intervento dovrebbe essere gestito da una autorità sopranazionale superpartes credibile. Chi interviene non deve avere secondi fini (tipo garantirsi il controllo delle risorse naturali di un paese) ma un solo obiettivo: proteggere la popolazione, difendere i diritti umani, impedire il massacro di civili innocenti. A questo scopo è stata costituita sessantasei anni fa l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Per intervenire l'Onu dovrebbe poter disporre di adeguati strumenti e risorse. Ma i governi degli stati membri non hanno mai consentito all'Onu di adempiere al proprio mandato e di organizzarsi di conseguenza.
L'intervento della comunità internazionale in Libia è indebolito dalla documentata accusa di usare due pesi e due misure. Il silenzio e la sostanziale inazione di fronte a tante tragedie in corso (come quella della Somalia) o grandi violazioni dei diritti umani (come quelle perpetrate da oltre sessant'anni nei confronti del popolo palestinese) rende la comunità internazionale poco credibile e la espone a pesanti accuse. A questo si aggiungono anche le - a dir poco - ombre lasciate da altri interventi militari occidentali come in Somalia, Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan.
Ciononostante, non è vero che non si può fare nulla. Nonostante la complessità della situazione in Libia, la comunità internazionale (Onu, Ue, Lega Araba, Unione Africana,...) deve: 1. agire con determinazione per raggiungere un cessate il fuoco immediato, fermare l'escalation della violenza e impedire un nuovo massacro; 2. inviare immediatamente in Libia gli osservatori internazionali dell'Onu; 3. soccorrere le popolazioni bisognose di assistenza umanitaria; 4. monitorare l'assoluto rispetto da parte degli stati dell'embargo sulle armi deciso con la Risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di Sicurezza Onu. Il mondo ha bisogno di un sistema organizzato per gestire le crisi internazionali e prevenire guerre e genocidi. Servono: (1) un sistema di pre-allarme, di identificazione e monitoraggio dei conflitti più pericolosi prima che possano scoppiare; (2) uno strumento di mediazione tra le parti; (3) una forza di polizia internazionale, una forza militare e civile dell'Onu, istituita in modo permanente sulla base della Carta delle Nazioni Unite, pronta ad intervenire quando si deve impedire o fermare lo scoppio della violenza; (4) i corpi civili di pace; (5) il Tribunale Penale Internazionale, uno strumento per processare ogni persona accusata di genocidio o di crimini di guerra. È indispensabile inoltre che l'Unione Europea sappia parlare con una sola voce sulle questioni di politica internazionale e che s'impegni a costruire una Comunità del Mediterraneo in grado di sostenere pacificamente il processo di transizione alla democrazia e di sviluppo umano dei paesi del nord Africa e del Medio Oriente.
* Coordinatore della Tavola della pace
www.perlapace.it
lunedì 14 marzo 2011
NUCLEARE, QUELLO CHE ANCHE IL GIAPPONE CI RICORDA
Terremoto e Tsunami in Giappone destano sgomento. Le reazioni non possono essere che di solidarietà e sostegno al popolo giapponese colpito da questa tragedia.
In questa tragedia c'è un evento che parla direttamente all'Italia: si tratta delle conseguenze degli incidenti nelle centrali nucleari. Ancora non sono chiare tutte le conseguenze, anche per le reticenze del Governo. E' un fatto che gli incidenti si sono rivelati, ora dopo ora, sempre più gravi, fino all'evacuazione di decine di migliaia di persone e al rilascio di radioattività di cui per ora non conosciamo la gravità esatta.
Il Governo italiano che ha fatto ricorso al voto di fiducia per reintrodurre il nucleare in Italia dovrebbe riflettere alla luce degli avvenimenti giapponesi.
Il Governo italiano dovrebbe decidere di sospendere il progetto nucleare, o almeno di bloccarne l'attuazione fino all'effettuazione del prossimo referendum che punta a cancellare la legge 99/2009, aspettando il responso degli elettori.
Fino ad ora il Governo ha dimostrato di avere paura del referendum abrogativo e preferisce buttare dalla finestra 300 milioni di euro pur di evitare un successo dei referendum.
C'è anzitutto una questione democratica. Può un parlamento come questo, per di più ricattato dal voto di fiducia, capovolgere il voto dei cittadini ?
A questo, punto la scadenza dei prossimi referendum abrogativi deve essere utilizzata per bloccare la folle scelta del Governo di tornare alle centrali nucleari in Italia e di dissipare un bene pubblico come l'acqua. C'è un'evidente sinergia tra il referendum per garantire che l'acqua resti bene pubblico e quello per bloccare la scelta nucleare.
Arrivare al quorum nei referendum è la difficoltà maggiore da superare, per questo il Governo ha scelto di fatto il boicottaggio del voto.
Partecipare al voto e contribuire a realizzare il quorum è un buon antidoto contro la disaffezione elettorale che da due decenni sta colpendo il nostro Paese. Perché il nucleare va bloccato ? Anzitutto per ragioni di costo. L'Enel ha cercato di dimostrare che il nucleare conviene, ma per farlo ha raccontato balle sui veri costi di costruzione delle nuove centrali. Nel 2009 Enel sosteneva che una nuova centrale Epr sarebbe costata tre miliardi di euro. Di fronte all'esplosione dei costi dei prototipi finlandese e francese ha dovuto alzare la cifra a quattro miliardi. In realtà il costo reale è ormai di otto miliardi di euro a centrale. Con questi costi non esiste la possibilità di produrre energia elettrica a prezzi inferiori alle fonti attuali, anzi questi saranno maggiori.
Non è vero neppure che l'Italia sarebbe energeticamente più autonoma, perché dovremmo importare quasi tutto, certamente le tecnologie più sofisticate e il combustibile. Inoltre, il combustibile nucleare è disponibile per alcuni decenni, esattamente come il petrolio e gli altri combustibili fossili. Come hanno detto 200 imprenditori, prima firma Pasquale Pistorio, investire oltre 30 miliardi nel nucleare per le prime 4 centrali vorrebbe dire bloccare di fatto gli investimenti nel risparmio energetico e nelle rinnovabili. L'Italia non ha le risorse per fare tutto. Lo conferma Enel che ha venduto parte delle sue energie rinnovabili per diminuire il suo debito e poi gettarsi nella costosissima avventura nucleare .
Le centrali nucleari sono enormi concentrazioni di investimenti e quindi di affari, con tutte le preoccupazioni conseguenti. Mentre il risparmio energetico e le energie rinnovabili si spandono su migliaia di investimenti e di operatori diffusi.
Il nucleare è pericoloso. Lo smaltimento delle scorie radioattive non è stato risolto in alcun paese al mondo. Si aggiunga il problema delle scorie accumulatea dalle centrali dismesse e quello dei siti in cui sono costruite.
Ci sono scorie che rilasceranno radiazioni per decine di migliaia di anni, alcune tipologie per centinaia di migliaia. Costruendo le centrali condanneremmo le future generazioni a convivere con i pericoli e le conseguenze di queste scelte per tempi maggiori di quelli della storia umana conosciuta.
Questo è il peggior regalo che le attuali generazioni possono fare a quelle che verranno.
Dopo Three miles Island e Chernobyl ora c'è il grave incidente in Giappone. Per non parlare di tanti altri incidenti, per fortuna meno gravi, le cui notizie vengono nascoste. Ad esempio, in Francia si sono avuti 19 incidenti nei primi due mesi dell'anno.
I pericoli non sono rappresentati solo dagli incidenti. Le centrali rilasciano radiazioni anche durante il loro funzionamento normale, come hanno dimostrato diverse indagini. L'ultima ricerca è stata svolta in Germania e ha rilevato, nelle aree più vicine alle centrali nucleari, un aumento delle leucemie di 2.2 volte nei bambini.
Approfittando della crisi libica e dell'aumento dei prezzi del petrolio i nuclearisti sono tornati all'attacco, omettendo di dire che le centrali nucleari non sono la soluzione, perchè anche il più ottimista tra loro ammette che prima del 2020 non entreranno in funzione. Fino al 2020 che facciamo ?
In realtà la soluzione dei problemi energetici è data risparmio energetico e dalle fonti rinnovabili perchè non dipendono da vicende internazionali, perchè possono essere introdotte in tempi brevi, con investimenti più limitati e con risultati occupazionali 15/20 volte maggiori del nucleare.
Se il Governo, come è probabile, ignorerà ogni principio di precauzione, occorrerà occorrerà intensificare la mobilitazione per arrivare al quorum e vincere il referendum sul nucleare, oltre che quello sull'acqua bene pubblico.
giovedì 10 marzo 2011
Comunali, nasce la lista unitaria “Sinistra per Pisapia”
Milano, 7 marzo 2011 . Si chiamerà "Sinistra per Pisapia" la lista unitaria della Sinistra per le elezioni comunali di Milano del prossimo 15 maggio. La Lista riunisce Federazione della Sinistra (Prc, Pdci, Socialismo 2000, Lavoro e Solidarietà), Partito Umanista, Comitati Civici ed esponenti di associazioni ; a guidarla sarà Basilio Rizzo, storico esponente della sinistra milanese e attualmente consigliere comunale.
La lista è stata presentata ufficialmente in una conferenza stampa tenutasi questa mattina a Palazzo Marino alla quale hanno partecipato il Segretario milanese di Rifondazione Comunista e portavoce della Federazione della Sinistra di Milano, Antonello Patta, il capolista della neo-nata lista "Sinistra per Pisapia", Basilio Rizzo e il candidato a Sindaco del Centro Sinistra, Giuliano Pisapia.
“Con questa lista accogliamo l’appello all’unità della sinistra lanciato da associazioni, indipendenti e soggetti politici, - ha dichiarato Antonello Patta - perché pensiamo che la sinistra unita sia più forte e perché fa più forte Pisapia. È una lista aperta ai tanti e alle tante che, inascoltati dal centrodestra, aspirano a una nuova democrazia comunale partecipata e alle tante e ai tanti che esprimono una domanda di diritti in particolare per quanto riguarda la dignità del lavoro, i diritti civili, il diritto alla casa e la difesa dei beni comuni”.
“L’unità delle forze politiche di sinistra e della società civile è il passo più importante per dare un segnale ai cittadini che un cambiamento alle destre è non solo possibile, ma visto il degrado in cui galleggia la città, è anche indispensabile – ha dichiarato il neo capolista Basilio Rizzo - inoltre la nostra apertura verso i tanti soggetti civili e politici è una prima risposta al bisogno di democrazia che ci chiede la nostra città”.
“Sono contento di questa scelta unitaria della sinistra –ha detto Giuliano Pisapia - che conferma che c’ è un appoggio vasto alla mia candidatura. Abbiamo messo insieme la coalizione più ampia degli ultimi venti anni e sono sicuro che vinceremo perché i milanesi sono stufi di questa amministrazione. Basilio Rizzo rappresenta la storia della sinistra milanese e darà un contributo molto importante”.
Lotta alla precarietà, sviluppo sostenibile, battaglie per i diritti civili sono gli obiettivi primari del programma della lista “Sinistra per Pisapia”. La lista sarà composta per metà da uomini e per metà da donne.
COLOGNO MONZESE: PRIMO IL LAVORO DIBATTITO MERCOLEDI
Mercoledì 9 MARZO 2011, alle ore 21
presso l’AUDITORIUM di via Petrarca di Cologno Monzese
per parlarne con
Pino ANGELICO, Assessore al Lavoro di Cologno Monzese
Michele CARBONE, Capogruppo Consiliare FdS -PRC
GIORGIO CREMASCHI, presidente nazionale FIOM CGIL
GIANLUIGI PEGOLO, Segreteria Nazionale PRC
coordina
Luigi GRECO, Presidente del Collegio di Garanzia PRC
Porterà il suo saluto Mario SOLDANO, Sindaco di Cologno Monzese
Organizzano : Federazione della Sinistra - Partito della Rifondazione Comunista
Scuola e Costituzione: tutti in piazza il 12
Scuola e Costituzione:
Tutti in piazza il 12
«Se non ora quando?». Non li ha uniti l’idea sul dopo-Berlusconi, li coagula ora quella di manifestare in difesa della Costituzione, della scuola pubblica, dell’Unità d’Italia. L’opposizione ci sarà tutta in piazza il 12 marzo, a Roma e in altre città, dai finiani fino alla sinistra, passando per Pd, dipietristi e anche rutelliani. Manca solo l’Udc, che valuterà il dafarsi.
Magari non avranno trovato una posizione comune su cosa fare in caso di caduta del governo Berlusconi, tra chi tira per il ritorno alle urne vagheggiando “sante alleanze”, chi non le contempla e chi immagina solo governi di transizione. Ma, visto che tanto il governo almeno numericamente non appare in bilico (anzi), l’accordo si trova sull’idea di scendere in piazza. E così il 12 marzo, data di mobilitazione lanciata in primis dagli insegnanti dopo gli ultimi attacchi di Berlusconi alla scuola pubblica, diventa nel giro di qualche giorno l’appuntamento di tutte le opposizioni per manifestare lo sdegno per il governo. Lo schieramento di chi sfilerà a Roma (da piazza della Repubblica a piazza del Popolo) e in altre città è amplissimo. «Questa manifestazione ha mille padri e madri: ognuno è benvenuto, di qualsiasi schieramento», dice Giuseppe Giulietti di Articolo 21 nella conferenza stampa di presentazione alla Camera. Adesioni davvero bipartisan, dal finiano Fabio Granata a Bruno Tabacci dell’Api, passando per i piddini Bersani, Franceschini, Finocchiaro, Bindi; e poi Di Pietro, e ancora Vendola, Ferrero e la Federazione della Sinistra, Bonelli coi Verdi, la Cgil della Camusso. In termini di partecipazione dei partiti insomma, all’appello manca solo l’Udc, il che segnala una certa diversità di vedute (non sarebbe la prima) all’interno del terzo polo. E’ vero che, spiega il segretario Cesa, «la difesa della Costituzione è nel nostro dna, quindi domani (oggi per chi legge) ci riuniremo per decidere». Ma se i centristi decidessero di mobilitarsi pure loro, come fecero anni fa col Family Day, sarebbe assoluta novità.
Arci, “popolo viola”, Rete degli studenti e degli universitari: «Se non ora quando?», ripetono tutti mirando a un bis del 13 febbraio, giornata di protesta delle donne allarmate da “Rubygate” e dintorni. Stavolta l’allerta è scattato con gli attacchi alla scuola pubblica. Ma tra le motivazioni della mobilitazione si trova di tutto. «Non dobbiamo scindere la difesa della Costituzione dalla battaglia per la difesa della scuola pubblica», dice Sofia Sabatino della Rete degli Studenti. E poi la mossa di Pdl e Lega di chiedere alla Camera di schierarsi contro i giudici di Milano sollevando un conflitto di attribuzione sul processo Ruby che vede imputato il presidente del Consiglio. E ancora il nuovo regolamento proposto dalla maggioranza in cda Rai sull’alternanza tra conduttori tv di diversa estrazione, mina che rischia di sottrarre puntate a Michele Santoro e Gianni Floris. E infine un altro spunto è offerto dal monito dell’Antitrust, che «finalmente si è accorta del conflitto di interessi del premier - dice Giulietti - e ha contestato la norma del decreto milleproroghe che fa saltare il divieto di incrocio tra giornali e tv», con Mediaset che potrebbe così mettere le mani sulla carta stampata (Corriere della Sera?). Però ci sono anche i 150 anni dell’unità d’Italia. E quindi il 12 marzo diventa un’occasione per dare una risposta alle ansie secessioniste della Lega. «Vedete? Non ho nulla di viola addosso - fa notare Silvia Bartoleni del Popolo Viola - perchè d’ora in poi il nostro movimento si riconosce in tre colori: quelli della bandiera italiana». E così, addio tempi in cui in testa ai cortei c’era il bandierone della pace. Il 12 marzo il bandierone ci sarà, ma rigorosamente tricolore. Accolto poi l’invito della Bindi di esporre a finestre e balconi il vessillo bianco, rosso e verde il 17 marzo, giorno delle celebrazioni ufficiali dell’Unità. Decisioni che naturalmente spengono ogni eventuale tentazione dei movimenti più radicali (grossa parte della rete studentesca che ha dato vita alle manifestazioni anti-Gelmini prima di Natale) di scendere in piazza. Loro non ci saranno, non nel corteo ufficiale. Del resto, a molti a sinistra fa storcere il naso anche quel «senso dello Stato» evocato dal finiano Filippo Rossi, ex direttore del magazine di FareFuturo ormai chiuso, quale motivazione per manifestare.
Per il momento, a Roma si annuncia un corteo vivace, con flash mob lungo il percorso, la partecipazione di artisti del calibro di Neri Marcorè, Ottavia Piccolo, Monica Guerritore sul palco. Probabile star della giornata, Roberto Vecchioni, che ha tutte le caratteristiche al posto giusto per ricoprire il ruolo: è professore e ha appena vinto il festival di Sanremo con un brano che parla di lotte e speranze. Anche all’estero qualcuno manifesterà per l’Italia: annunciati sit-in davanti a Downing Street a Londra. A Brescia invece sono preoccupati. Spiega Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia che «non vogliono darci l’autorizzazione per manifestare in piazza della Loggia: tra le vittime della nota strage ci furono anche 5 insegnanti».
ACQUA: - Un governo che sa di essere minoranza
ACQUA: - Un governo che sa di essere minoranza
Non ci si può certo lamentare della prontezza di riflessi del ministro Maroni. Proprio nel momento in cui i Comitati referendari manifestavano sotto Montecitorio per chiedere l'accorpamento della scadenza referendaria con le prossime amministrative, è arrivata perentoria la sua risposta per cui i referendum si debbano tenere il 12 giugno, ultima data utile tra quelle previste dalla legge. Il ministro si guarda bene dal confrontarsi con le ragioni da noi avanzate, e cioè che l'accorpamento farebbe risparmiare circa 400 milioni di euro alle casse dello Stato e che tale scelta valorizzerebbe l'istanza partecipativa insita nell'istituto referendario.
Il Governo sa bene, in particolare per quanto riguarda i 2 referendum volti alla ripubblicizzazione del servizio idrico, di essere minoranza nel Paese e si attrezza di conseguenza. A maggior ragione, vale la pena mettersi a lavorare di lena perché anche questa strategia di disincentivo alla partecipazione possa essere sonoramente smentita dai fatti. Intanto, a questo fine, servirà che la manifestazione nazionale del prossimo 26 marzo lanciata dal Comitato referendario 2 Sì per l'acqua bene comune e promossa da una larghissima coalizione sociale, che nei fatti aprirà la campagna referendaria per la ripubblicizzazione del servizio idrico e che intende anche connettersi con la battaglia contro il nucleare e per la difesa dei beni comuni, sia grande, allegra e partecipata. E che faccia da volano per una forte e capillare mobilitazione dei Comitati territoriali, delle organizzazioni sociali e delle forze politiche che hanno sostenuto i referendum per l'acqua, con l'idea che, anche nonostante il silenzio dei grandi mass media e la strategia astensionista del governo, si riesca a raggiungere la grandissima parte dei cittadini, informarli sullo svolgimento del referendum e sulle ragioni del voto per il sì. Ce la possiamo fare, intanto, perché mossi dalla consapevolezza che la vittoria referendaria per sottrarre l'acqua al mercato e alle privatizzazioni (e anche per fermare il nucleare) può aprire una nuova stagione in grado di invertire la rotta rispetto alle scelte di ispirazione neoliberista che si sono affermate da molti anni a questa parte e di iniziare a battere il "berlusconismo" sul piano dei contenuti. In particolare ce la possiamo fare, partendo dal riconoscimento che i 2 referendum per l'acqua bene comune hanno anche il valore aggiunto di essere promossi da una larga coalizione sociale e sostenuti da 1.400.000 cittadini, la più grande raccolta di firme realizzata nella storia referendaria del nostro Paese. Un percorso che va rispettato dalla politica, in primo luogo da Italia dei Valori, evitando di intestarsi referendum di cui non si è stati promotori, e che, anzi, va visto come portatore di nuove forme della partecipazione alle vicende politiche e sociali. Anche su questa base, continueremo a chiedere che i referendum vengano accorpati alle elezioni amministrative e lavoreremo perché, se proprio Maroni vorrà andare al mare a giugno, ci vada da solo o con una ristretta compagnia.
*Forum Italiano Movimenti per l'Acqua
martedì 8 marzo 2011
martedì 1 marzo 2011
BERLUSCONI ATTACCA LA SCUOLA PUBBLICA
Io, maestra,