PATRIZIA ALDROVANDI
e
ILARIA CUCCHI
«Senza Liberazione ci avrebbero insabbiato»
Checchino Antonini
Checchino Antonini
«Mamma mia! A noi servita, eccome!». Si parla dell'urgenza di Liberazione con Ilaria Cucchi e Patrizia Aldrovandi. «Tu sei stato il primo a interessarti di noi, io non lo dimentico - dice la sorella di Stefano Cucchi - m'hai fatto capire che si poteva far leva sull'opinione pubblica». Il primo incontro con Ilaria, 36 anni, amministratrice di condominio a Roma, è avvenuto all'obitorio, il giorno appresso alla morte di suo fratello sei giorni dopo l'arresto. Era il 23 ottobre. Da allora la vita di Ilaria e dei suoi genitori è quasi completamente assorbita dalla battaglia di verità e giustizia. Proprio come accade da cinque anni, quasi, a Lino Aldrovandi e Patrizia Moretti, sua moglie. I genitori di Federico ci hanno messo parecchio tempo a sfondare il muro di gomma issato per nascondere la verità su quel misterioso e violentissimo controllo di polizia che, in pochissimi minuti, avrebbe ucciso un diciannovenne disarmato, incensurato, che non stava commettendo alcun reato. La loro vicenda incrocia da sempre la più ampia battaglia per una reale libertà di stampa. Sul palco di Piazza Navona, il primo luglio, sono salite insieme per manifestare contro i bavagli. «Certo, i tagli sono un pericolo forse peggiore della legge bavaglio», continua Ilaria. «Tagli, bavagli e guinzagli alle inchieste - aggiunge Patrizia Aldrovandi - la strategia contro il diritto all'informazione è complessa. L'unico modo per essere informati è che le voci siano molte e libere».«Sul nostro caso - riprende Cucchi - c'è stato un interessamento costante della stampa. Però, sicuramente Liberazione non ha avuto paura a raccontare le cose, a porre le domande senza timori reverenziali. Ragiono spesso su questo: certi articoli possono essere anche un aiuto alle indagini. Siete stati un supporto fondamentale. Non saremmo arrivati a un passo dalla verità, senza di voi il caso sarebbe stato archiviato». La sintonia con Patrizia è totale: «Senza Liberazione la nostra storia non sarebbe uscita da Ferrara - dice anche la mamma di Federico - fin dall'inizio ci avete aiutato e solo voi avete avuto il coraggio di pubblicare le foto di Federico dopo il pestaggio. Avete dimostrato il coraggio di fare un giornalismo diretto e senza sconti a nessuno. La foto da sola sosteneva una verità diversa da quella dei mattinali, da quella delle versioni ufficiali. Davvero sono sempre stata convinta che senza l'aiuto di certa stampa (come voi, il manifesto e Chi l'ha visto? ) il caso sarebbe stato archiviato. La gente non avrebbe mai potuto sapere quello che era successo. Certe storie dovrebbero essere pubbliche non solo per la giustizia dovuta alle vittime ma perché la società deve essere consapevole. E' l'unico modo perché non si ripetano più. Ci deve essere consapevolezza dei fatti, dell'indagine e del processo».La differenza tra l'approccio di Liberazione e quello dei giornali più blasonati non sfugge: «Qualcuno, tra i fotografi, ci ha chiesto di metterci in posa accanto ai peluche di Stefano. Un cronista ha frugato nei quaderni di Stefano. Ma la stampa, tutto sommato è stata corretta», racconta Ilaria. Patrizia, a cui è toccato imparare questo rapporto prima di Ilaria, riferisce di una difficoltà maggiore: «Altri tipi di mezzi di informazione sono stati più ingessati - spiega - si accontentavano di quello che spiegava loro chi ha la voce più grossa, ossia le fonti istituzionali. E' stato molto difficile farci ascoltare». Decisiva, in questa vicenda, la rottura del monopolio informativo delle fonti ufficiali (procura e questura) grazie alla sinergia tra il blog di Patrizia, aperto dopo cento giorni di silenzio istituzionale, questo giornale e altre voci di movimento (le radio e Indymedia. Un cocktail informativo che ha aiutato la controinchiesta e ha seguito il movimento per verità e giustizia. « Liberazione e l'informazione libera sono un bene comune. Dobbiamo averne cura», concludono Patrizia e Ilaria.
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