venerdì 30 luglio 2010

GOVERNO: MAGGIORANZA NON C'E' PIU'. SUBITO AL VOTO




Comunicato stampa
Roma, 29 lug. 2010 – “L’unica strada è quella delle elezioni, che restituiscano la parola ai cittadini senza inciuci o rattoppi”. E’ quanto afferma il segretario del Prc, Paolo Ferrero, in relazione alla rottura interna al Pdl tra Berlusconi e Fini.
“E’ evidente che siamo in presenza di una crisi politica del centrodestra e che la maggioranza eletta dagli italiani non esiste più – rileva Ferrero – Di fronte a questa situazione c’è una strada sola, che è quella di andare immediatamente alle urne, in modo da poter cacciare questo nefasto governo con una coalizione di tutte le forze democratiche”.

L'Onu dichiara l'acqua un diritto umano



L'Onu dichiara l'acqua un diritto umano.



Da molti anni i movimenti internazionali richiedono il riconoscimento del diritto umano all'acqua.



All'Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stata ufficialmente presentata da parte di almeno 23 co-patricinatori degli Stati membri e dal Governo della Bolivia una risoluzione intitolata "Il Diritto Umano all'Acqua e all'igiene".



Mercoledì 28 luglio è stata approvata la suddetta risoluzione: 122 a favore; 41 astenuti; 0 contrari.





Si tratta di una decisione storica!


Il risultato è molto importante, è una risoluzione politica e non ha dunque valore normativo, rafforza però la nostra ormai più che decennale battaglia per il riconoscimento del diritto all'acqua.






giovedì 29 luglio 2010

Due militari italiani uccisi ad Herat



Ancora due militari italiani uccisi ad Herat.
E’ vergognoso e inumano che si continui ad assistere a questo stillicidio di vittime in Afghanistan: l’Italia deve uscire da questa guerra tragica e insensata.

Esprimiamo dolore e cordoglio profondi per le due vittime italiane, ma corre l’esigenza di un esame di coscienza e politico sulla disastrosa partecipazione a una guerra che oggi ha fatto registrare anche l’ennesima strage di civili e di cui le recenti rivelazioni dei media statunitensi stanno rivelando l’insensatezza.

lunedì 26 luglio 2010

LOMBARDIA: MAFIA E MALAFFARE




LOMBARDIA:


MAFIA E


MALAFFARE



La pulizia deve cominciare dalle dimissioni di Formigoni e nuove
elezioni
Quello che emerge in questi giorni è la montagna della presenza mafiosa in Lombardia, a cui si aggiunge quella della P3. Una montagna che nessuno ha voluto vedere e che noi abbiamo già denunciato dal lontano 2007 nel convegno: “Mafie del nord”.
Com’è stato possibile tutto ciò?
Il primo motivo è la presenza a Milano di Berlusconi e del suo braccio destro Dell’Utri già condannato per collusione con la mafia. Il secondo è il sistema opaco messo in opera da Formigoni dove il pubblico è asservito agli interessi privati che, come vediamo, va ben oltre la Compagnia delle Opere.
Il pubblico asservito ai privati amplifica la corruzione. In terzo luogo le leggi maggioritarie diminuiscono i controlli democratici ed amministrativi spostando di tutto il potere ai Presidenti ed alle giunte.
Attacchi che proseguono con la manovra che elimina delle minoranze con la scusa dei costi della politica. Ci si deve chiedere, inoltre, come sia possibile che una piccola setta possa gestire tanto potere e che il Presidente venga prorogato per quattro mandati?! Ed infine, ciò avviene attraverso una Lega Nord sempre più democristiana: il salvataggio ambiguo della Bancaeuronord, l’espulsione dell’assessore Cè, reo di aver contrastato Formigoni nella sanità, ed ora il consigliere di Pavia eletto con 18.000 preferenze sospette.
La situazione è chiara. Ora bisogna fare pulizia.
Formigoni deve dimettersi. È necessario andare a nuove elezioni. In tutti gli enti locali devono costituirsi commissioni antimafia per sorvegliare sul piano amministrativo e sociale l’attività delle istituzioni: gli appalti in particolare.
È necessario ripristinare la gestione pubblica dei servizi sociali per evitare una corruzione che prolifera nella frammentazione delle privatizzazioni, esternalizzazioni e appalti.
Sempre che l’Expò debba proprio farsi, va eliminato ciò che interessa alle mafie: la questione immobiliare, concentrandosi sui temi positivi delle energie e la questione alimentare.

venerdì 23 luglio 2010

Ferrero: ”Saremo in piazza con la Fiom”


Ferrero: «Saremo in piazza con la Fiom, deve parlare chi non ha voce»

Da LIBERAZIONE intervista di Frida Nacinovich a Paolo Ferrero
Segretario Ferrero, perché proponi una manifestazione in autunno? Tutti dicono che le manifestazioni non vanno più di moda.

La straordinaria raccolta delle firme per la ripubblicizzazione dell’acqua - un milione e quattrocentomila - il dignitosissimo “no” dei lavoratori di Pomigliano dicono che c’è una parte di paese per nulla soddisfatta di come vanno le cose. Uomini e donne che vorrebbero cambiare le cose ma non sanno come fare. La loro è una domanda politica, l’espressione di un disagio sociale che però ha difficoltà ad emergere. La manifestazione può essere un luogo adatto, un catalizzatore, una prima risposta.
Segretario, l’idea non è molto originale. Negli ultimi mesi il popolo viola è sceso in piazza per difendere la legalità, i magistrati, la democrazia.

C’eravamo anche noi. Il punto è un altro, ed è la separazione della protesta per argomenti. La richiesta di legalità spesso non trova alcun legame con la questione sociale, parlo delle condizioni di vita dei giovani precari, dei cassintegrati, dei licenziati. Sono tanti, sempre di più in questi anni di crisi. Tante delle forze che si oppongono al governo Berlusconi chiedono di togliere il bavaglio ai giudici ma stanno zitti di fronte ai comportamenti di Sergio Marchionne, così facendo imbavagliano i lavoratori della Fiat. Tutto questo accade mentre Fincantieri denuncia i delegati Fiom solo perché fanno attività sindacale.
Intanto il governo Berlusconi sta per approvare una manovra economica da 25miliardi, che ridurrà ulteriormente le prospettive di crescita sul paese.

La destra è divisa quasi su tutto. Ma non sulla manovra economica. Da parte sua il leader del Pd Bersani contesta il come ma non la ratio della manovra. In Parlamento nessuno cerca di invertirne il segno, che è quello di Confindustria e delle politiche dell’Ue. In Europa centrosinistra e centrodestra fanno la stessa politica. Non per caso il socialista Zapatero ha proposto una riforma del mercato del lavoro simile a quella di Berlusconi, che distrugge il contratto nazionale. Il 29 settembre i lavoratori spagnoli sciopereranno, manifesteranno, scenderanno in piazza. Tenere insieme i temi della democrazia e la questione sociale è l’unico modo per battere Berlusconi e il berlusconismo.
Chi ci sarà in piazza? Senza girarci troppo intorno, è stata notata la risposta quantomeno tiepida di Sinistra ecologia e libertà.
Ad oggi è arrivata la risposta negativa di Vendola mentre ci sono state interlocuzioni positive con le forze alla nostra sinistra. Ma c’è una novità. C’è una manifestazione indetta dalla Fiom che tiene insieme democrazia e lavoro, va proprio nella direzione che auspichaimo. Bisogna lavorare perché sia una grande manifestazione, di massa, e metta insieme il popolo della sinistra, quella parte di società arrabbiata che soffre ma non trova una risposta al proprio disagio.
Ti ha sorpreso la risposta negativa di Vendola?
Sì, sono rimasto sorpreso. Infatti l’ho invitato a ripensarci. Penso che battere Berlusconi e mandarlo a casa non sia per niente facile. E credo che le primarie, senza un movimento di massa che protesti contro le politiche antidemocratiche ed antisociali, non siano efficaci per cacciare Berlusconi. Nel “no” all’accordo di Pomigliano c’è un pezzo di soggettività operaia che si esprime, dice “no” alla Fiat anche se sa che il padrone è più forte. Il punto è che questa soggettività deve esprimersi. Altrimenti sul palcoscenico mediatico il popolo diventa un semplice spettatore. E vince Berlusconi.
Berlusconi sta vincendo da un bel po’.
L’immaginario della politica segue sempre più gli schemi della pubblicità. Un meccanismo di spoliazione. I soggetti si identificano in qualcun altro. A Genova dicevamo: voi G8 e noi sei miliardi, noi comitati, movimenti, sindacati, associazioni siamo più importanti di voi. In questi giorni cade il nono anniversario di quella straordinaria esperienza contro il sistema dominante neoliberista. E non possiamo non ricordare Carlo Giuliani, che a Genova fu ucciso.
Sei miliardi, appunto. Ma quando siamo pochi tutto si complica.

Il punto è un altro. Il movimento di Genova aveva ragione sulla critica al neoliberismo che infatti ci ha portato alla crisi. In America latina la sinistra è riuscita a rappresentare politicamente quel movimento, senza far accordi con il centrosinistra liberista è riuscita a cambiare la faccia di un continente. Invece da noi il governo Berlusconi sta trasformando la crisi economica in crisi costituente. Il Cavaliere non è un ufo, è l’espressione estremizzata di una tendenza che attraversa tutta Europa.
Che fare allora?
Pensiamo a Marcos, il sub comandante, il non-volto che aiuta la costruzione di un protagonismo dal basso. Quella è la strada, la costruzione di un movimento di massa.
La strada della Federazione della sinistra?
La federazione ha come obiettivo la sinistra di alternativa, sull’esempio della linke in Germania. Penso all’esperienza latino-americana come ad una stella polare, una realtà politica antiliberista, che guardi ai beni pubblici, all’orario di lavoro, all’Europa sociale. Ho l’impressione che la proposta di Vendola sia una battaglia interna al centrosinistra e per certi versi al Pd. La nostra è quella di costruire una sinistra di alternativa, anticapitalista e antipatriarcale. Non vorrei ripercorrere errori già fatti negli anni passati. Il centrosinistra italiano è interno alle logiche monetariste dei poteri forti. Non siamo in presenza di una pagina bianca che può essere riempita in modo diverso a seconda di chi lo guida.
In altre parole, se e quando ci saranno le primarie dovesse vincere Vendola, non cambierebbe il segno politico del Pd e dei suoi alleati.
Non corriamo troppo altrimenti si rischia la fantapolitica. Il problema oggi è la gabbia del bipolarismo che imprigiona nella dimensione dell’Europa di Maastricht. Noi ci siamo rotti la testa con Prodi ogni qual volta non andavamo incontro agli interessi di Confindustria, Bakitalia, Vaticano.
Allora in autunno si manifesta.
Noi vogliamo aggregare forze politiche di alternativa in un polo della sinistra autonomo dal Pd. La costruzione della federazione parla di questo e la manifestazione deve essere un luogo per i senza voce. Non possiamo dimenticarci le ragioni della nostra cocente sconfitta del 2008, sarebbe una pericolosa illusione far finta di niente.

martedì 20 luglio 2010

22-7-10 - CONTRIBUTI PER UN'ALTRA IDEA DI CITTA'


22 LUGLIO 2010
ORE 18.30

MILANO
CONTRIBUTI
PER
UN'ALTRA
IDEA
DI CITTA'

Milano in cammino
Contributi per un’altra idea di citta’
Giovedi’ 22 luglio ore 18.30
Sala Nuovo Spazio Guicciardini, via M. Melloni 3
Milano
Presiede
Massimo Gatti
Introduce
Antonello Patta
Relazione
Bruno Casati
Con i contributi di:
Giulio Cavalli, Coordinatore IdV
Roberto Cornelli, Segretario Provinciale PD
Daniele Farina, Coordinatore Sinistra e Libertà
Onorio Rosati, Segretario Camera del Lavoro
Emanuele Patti, Presidente ARCI
Partecipano: Beltrami Gadola, Boatti, Benuzzi, Brenna, Donati, Elevati, Iannaccone, Iannetta, Landonio, Lareno, Leghissa, Lembo, Limonta, Majorino, Mastrodonato, Merlin, Monga, Moratti, Pisapia, Prina, Quartieri, Riolo, Rizzati, Rizzo, Sciancati, Truscia
Intervento di Francesco Francescaglia
www.federazionedellasinistra.com

IL 20 DI NUOVO IN PIAZZA ALIMONDA





IL 20





DI NUOVO





IN PIAZZA





ALIMONDA






di Haidi Giuliani






Il prossimo 20 Luglio a Genova arriva dopo un 30 Giugno ricordato con convinzione. Ricordato e manifestato da una sinistra plurale, non solo da quella piccola parte che in tutti gli anni scorsi, rifiutando la stanca commemorazione ufficiale, ha continuato a denunciare il pericolo della presenza di un fascismo strisciante nella nostra società, perfino nelle nostre istituzioni. Che cosa unisce le giornate del ’60 a quelle del 2001? Ne parlavamo alcuni giorni or sono a Palermo, dove cinquanta anni fa il governo Tambroni fece tre vittime, dopo i cinque morti di Reggio Emilia e uno di Catania. A Genova non fecero vittime: i lavoratori scesero in piazza in gran numero, tanto che i fascisti del Msi dovettero rinunciare al loro congresso e le violenze delle forze dell’ordine furono respinte. Anche quest’anno la presenza pacifica e determinata di numerosi cittadini e cittadine ha impedito una provocazione della destra che voleva tenere nello stesso giorno un incontro polemico nello storico albergo Bristol, dove il Cln decise l’insurrezione.
Ragionavamo a Palermo sul carattere essenzialmente operaio del movimento del ’60, ben diverso da quello studentesco e intellettuale che sarebbe seguito otto anni dopo, sull’onda che proveniva da Stati Uniti e Francia, e che pure anticipò l’autunno caldo di lotte sindacali del ’69. Il Pci, partito operaio, allora non comprese ed anzi in alcuni casi si mobilitò contro chi pretendeva “la fantasia al potere”. Nel ’60 l’esperienza di che cosa fosse il fascismo, di quali danni avesse provocato, di quanti dolori e lutti e tragedie fosse responsabile, era ben viva. Poi ci siamo “riconciliati”, senza giustizia e con molte omissioni e falsità. Nel 2001 a Genova si è incontrato un movimento ancora diverso, forse ingenuo o smemorato, sicuramente generoso e vario; univa le due grandi “anime” del nostro Paese, quella comunista e quella cristiana, univa molti popoli, non chiedeva per sé ma per altri, per quel Sud del Mondo da sempre sfruttato, assetato, affamato, avvelenato. Per questo motivo fu represso. Con grande violenza. La repressione non si è limitata a quelle giornate, con le manganellate, i gas Cs, la caccia all’uomo, gli arresti arbitrari, false molotov, veri colpi di pistola, torture nella scuola e nella caserma, come è stato sentenziato dal tribunale. E’ proseguita, complice la disinformazione di gran parte delle testate giornalistiche e servizi televisivi. Mentre Carlo non ha ancora avuto diritto ad un processo; mentre i dirigenti della polizia, riconosciuti responsabili e condannati in secondo grado, non vengono allontanati dai loro alti incarichi; mentre nessuno dei carabinieri che hanno devastato e saccheggiato le nostre vite è mai stato neppure indagato nonostante filmati e testimonianze dimostrino la gravità dei comportamenti; mentre avviene tutto questo si continuano a perseguire in due diversi procedimenti a Genova dieci manifestanti (condannati in secondo grado a pene da dieci a quindici anni per “devastazione e saccheggio”) e in Calabria tredici (tutti assolti in primo grado). Martedì 20, mentre noi saremo in piazza Alimonda, si terrà un presidio davanti al Tribunale di Catanzaro che dovrà emettere la sentenza. Da un lato abbiamo agenti che risultano impunibili (o trattati con i guanti, come nel caso di Federico Aldrovandi: tre anni e qualcosa a testa per aver ammazzato un ragazzo), dall’altra una giustizia che persegue severamente cittadini rei, al massimo, di aver danneggiato cose. Da un lato qualsiasi pubblico ufficiale può ritenersi “offeso” e arrestare, dall’altro un semplice cittadino può perdere ogni diritto, compreso quello alla vita, nel buio di una strada, in una cella, un sottoscala di Questura e perfino di Tribunale. Carlo è stato la prima vittima di una nuova repressione. Per questo è giusto lottare per la denuncia e la memoria di quanto è successo e continua ad accadere. Sabato prossimo ascolteremo le testimonianze su alcune delle vittime di ieri e di oggi, senza dimenticare chi muore nei luoghi di detenzione. E domenica ascolteremo chi lavora, nelle associazioni e in comunità, dalla parte delle vittime.
Si può leggere tutto in hyperlink “http://www.piazzacarlogiuliani.org”. Il pomeriggio del 20, naturalmente, resisteremo ancora una volta tutte e tutti in piazza Alimonda.
















Cara Liberazione, con questa lettera voglio esprimerti la mia solidarietà e quella della Fiom alla tua campagna di sottoscrizione straordinaria



Maurizio Landini - Segretario generale Fiom-Cgil

Cara Liberazione, con questa lettera voglio esprimerti la mia solidarietà e quella della Fiom alla tua campagna di sottoscrizione straordinaria. In questi mesi, la crisi industriale ed occupazionale che ha colpito il nostro Paese è stata pesantissima. Lo sappiamo bene, lo sanno bene gli operai, lo sa (forse molto meno bene) l'opinione pubblica. Già perché solo in alcuni casi la maggior parte dei mass media se ne sono occupati. Il silenzio caduto su cosa stava e sta ancora succedendo nel mondo del lavoro è assordante. Proprio per questo, dall'estate scorsa molti lavoratori che stavano perdendo il posto di lavoro hanno dato vita a forme di protesta esasperata, per rompere questo silenzio, per non sentirsi isolati, abbandonati. E così le proteste sui tetti, sulle gru, gli scioperi della fame e via dicendo. Il ruolo del sindacato, il ruolo che la Fiom ha svolto in questa fase così critica, è stato proprio quello di rompere l'isolamento di chi sente messa in discussione la propria dignità e il proprio futuro, di dare loro fiducia e di fargli sentire che non sono soli nella loro lotta per mantenere il lavoro, i diritti e, ripeto, la loro dignità di persone. Altrettanto, il ruolo dell'informazione dovrebbe essere quello di raccontare queste battaglie, di dire a tutti quelli che si trovano nella stessa situazione, che c'è qualcuno pronto a battersi al loro fianco. E di dire, a chi in quella situazione non si trova, che succedono altre cose in questo Paese oltre i fatti privati del premier o i mondiali di calcio. E, magari, ricucire quel senso di solidarietà che sta diventando merce rara. E' paradossale che i lavoratori siano costretti a forme di protesta esasperate per avere l'attenzione dai mass media.Liberazione è una di quelle poche testate che l'ha sempre fatto, ha sempre dato voce ai lavoratori e alle lavoratrici di questo Paese che stanno combattendo per salvare non solo il posto di lavoro, ma il futuro produttivo dell'Italia. Ha dato voce anche alle proteste "meno note" di Pomigliano o di Telecom, sforzandosi di mantenere l'attenzione dei suoi lettori sempre viva sulle varie vertenze.Siamo un Paese che attraversa una crisi democratica profonda, a partire dal mondo del lavoro dove il governo sta operando per scardinare i diritti e imbavagliare i lavoratori, fino al bavaglio ad un'informazione già poco libera e autonoma. In questo contesto, ancora di più che in una fase "normale", non possiamo permetterci di perdere Liberazione e le altre voci libere e fuori dal coro. La democrazia di questo Paese non se lo può permettere, il mondo del lavoro non se lo può permettere.


venerdì 16 luglio 2010

REFERENDUM ACQUA: IL 19 LUGLIO CONSEGNA FIRME





REFERENDUM ACQUA: IL 19 LUGLIO CONSEGNA FIRME

1.401.492





La chiusura della campagna, è per lunedì 19 luglio, a Roma, con la consegna delle oltre 600 scatole zeppe di firme alla Corte di Cassazione.
Sarà una festa in orario mattutino (dalle 9.30) a Piazza Navona, dove verrà allestito “il muro dell'acqua”, smontabile scatola per scatola da chiunque voglia partecipare e incamminarsi con suonatori, saltimbanchi, giocolieri, curiosi, giornalisti, portatori d'acqua e chi più ne ha più ne metta fino alla sede della Corte.
Un momento di festa e un'evocazione del Quarto Stato che ha alzato concretamente la bandiera dei beni comuni.










Un milione e quattrocentomila di cittadini e cittadine che ora devono porsi il ragionevole obiettivo di raggiungere oltre 25 milioni di italiani e italiane per votare e vincere.
Rispondere alla domanda “privatizzereste vostra madre?” potrebbe essere semplice.
Ma, come abbiamo imparato dalle persone che si sono avvicinate ai banchetti, in gioco insieme alla trasformazione in merce di un diritto c’è un'idea di democrazia.
Piaccia o menoi, i referendum sono l'unico mezzo di espressione sui grandi temi a disposizione dell’iniziativa dei cittadini.

A maggior ragione sulle proposte della società civile snobbate dalle istituzioni (la legge d'iniziativa popolare sull'acqua bene comune giace da tre anni in Parlamento senza discussione).
Qui comincia l'avventura…













LA LEGGE DELL'ACQUA - di Ugo Mattei dal “manifesto” del 18/07/2010


Una grande vittoria del movimento: domani oltre 1milione e 400mila firme verranno depositate in Cassazione per sostenere il referendum per l'acqua bene comune. La corsa verso le urne, con la consultazione popolare che potrebbe essere indetta tra aprile e giugno dell'anno prossimo

Domani saranno presentate oltre un milione e 400mila firme certificate alla Corte di Cassazione, in una giornata che si preannuncia come una bellissima festa per celebrare un primo grande risultato raggiunto dal movimento per l'acqua bene comune. Ricevute le firme, la Corte di Cassazione dovrà verificare la regolarità formale di almeno 500.000 fra quelle che le verranno consegnate.



Ciò fatto, dovrà trasferire il dossier alla Corte Costituzionale, chiamata a verificare l'ammissibilità dei tre quesiti ai sensi dell'art.75 Cost. Questa disposizione che disciplina il nostro più importante istituto di democrazia diretta prevede non possano essere sottoposti a referendum le leggi «tributarie, di bilancio, di amnistia, di indulto e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».
Davanti alla Corte Costituzionale, che dovrebbe affrontare la questione nelle prime settimane del 2011, non si svolgerà un vero e proprio processo formale, come negli ordinari ricorsi di costituzionalità. In materia referendaria il rito è più informale, sebbene sia invalsa la prassi di accogliere le memorie presentate dai comitati promotori o da altri gruppi interessati e non si esclude possano essere ascoltati oralmente avvocati di parte o dello Stato. In materia referendaria la Corte è pienamente sovrana del proprio rito, a conferma del ruolo quasi-legislativo e di alta discrezionalità politico-costituzionale che essa svolge, insieme al corpo elettorale rappresentato dai promotori, in quell'istituto di democrazia diretta che è il referendum. In questo giudizio ogni quesito è indipendente e viene valutato nel proprio merito specifico. Qualora uno o più referendum siano ammessi il successivo passaggio è quello della cosiddetta «indizione», un istituto che coinvolge nella scelta della data il Ministero degli interni e il Presidente della Repubblica. Il referendum dovrà essere indetto in una domenica compresa fra la metà di aprile e la metà di giugno del 2011 e sarà valido qualora vi partecipino il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Se, raggiunto il quorum, il numero dei «sì» dovesse essere superiore a quello dei «no», le disposizioni legislative oggetto di referendum verranno abrogate con effetto dalla data di pubblicazione dell'esito sulla Gazzetta Ufficiale.
Il referendum verrà rinviato di un anno qualora le Camere vengano sciolte, mentre non sarà effettuato se dovesse essere promulgata una legge che ne accoglie sostanzialmente il risultato proposto dai promotori o ancora nel caso in cui l'atto avente forza di legge contro cui esso viene promosso venga dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale. Tutte e tre queste possibilità esistono concretamente nel caso dell'acqua bene comune dato, nei primi due casi, il clima politico rissoso (scioglimento Parlamento) e truffaldino (leggina scippo ad hoc). Inoltre, come noto, cinque Regioni hanno presentato ricorso contro la cosiddetta Legge Ronchi chiedendo l'integrale abrogazione dell'art 15. Certamente la decisione su queste cause, già iscritte al ruolo della Consulta, verrà calendarizzata prima di quella sui Referendum e nel caso di accoglimento dei ricorsi regionali il primo quesito verrà escluso. Tale eventualità circoscriverebbe il lavoro di quanti fra noi stanno preparando la memoria di fronte alla Corte ai soli secondo e terzo quesito, che sono peraltro quelli maggiormente caratterizzanti la battaglia del Forum. Infatti l'abrogazione del solo Decreto Ronchi (primo quesito e quesito Idv) lascerebbe la situazione com'è oggi e quindi consentirebbe il mantenimento della logica privatistica ed aziendalistica nella gestione dell'acqua (eviterebbe cioè soltanto la grande svendita di fine 2011). Sono invece il secondo e terzo quesito, rispettivamente sui «modelli di gestione» e sulla «remunerazione del capitale investito», a creare le premesse per un'autentica gestione dell'acqua come «bene comune», da governare fuori dalla logica del profitto e con strumenti informati alla logica della sola pubblica utilità e non a quella aziendalistica. La presenza del secondo e del terzo quesito caratterizza la vera e propria «inversione di rotta» proposta dal Forum italiano movimento per l'acqua.
La presenza di questi due quesiti inoltre mi pare garantisca la battaglia referendaria in corso contro «colpi di mano» parlamentari volti a scippare il popolo sovrano del suo potere costituzionale di decidere direttamente ex art 75. Infatti non è neppure immaginabile che con questa maggioranza (e questa opposizione Pd, Idv) si possa approvare una legge che nello spirito riproduca quella di iniziativa popolare già proposta dai Forum o che comunque segni una radicale ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. Confideremmo quindi nella serietà della Corte Costituzionale che in un tal caso verrebbe immediatamente reinvestita della questione dai nostri comitati.
In ogni caso domani inizia una nuova fase. Essenziale è immaginare modi creativi di mantenere in strada la battaglia sull'acqua bene comune, per non disperdere il patrimonio inestimabile di attivismo e cittadinanza «viva» maturato in questi due mesi di raccolta firme. Ci sono già tante ipotesi che si stanno discutendo e di cui i nostri lettori saranno puntualmente informati. Ma ogni nuova idea a tal proposito sarà benvenuta e speriamo ne arrivino molte anche tramite la posta o il sito del manifesto.







martedì 13 luglio 2010

PATRIZIA ALDROVANDI E ILARIA CUCCHI "Senza Liberazione ci avrebbero insabbiato"


PATRIZIA ALDROVANDI
e
ILARIA CUCCHI
«Senza Liberazione ci avrebbero insabbiato»

Checchino Antonini

«Mamma mia! A noi servita, eccome!». Si parla dell'urgenza di Liberazione con Ilaria Cucchi e Patrizia Aldrovandi. «Tu sei stato il primo a interessarti di noi, io non lo dimentico - dice la sorella di Stefano Cucchi - m'hai fatto capire che si poteva far leva sull'opinione pubblica». Il primo incontro con Ilaria, 36 anni, amministratrice di condominio a Roma, è avvenuto all'obitorio, il giorno appresso alla morte di suo fratello sei giorni dopo l'arresto. Era il 23 ottobre. Da allora la vita di Ilaria e dei suoi genitori è quasi completamente assorbita dalla battaglia di verità e giustizia. Proprio come accade da cinque anni, quasi, a Lino Aldrovandi e Patrizia Moretti, sua moglie. I genitori di Federico ci hanno messo parecchio tempo a sfondare il muro di gomma issato per nascondere la verità su quel misterioso e violentissimo controllo di polizia che, in pochissimi minuti, avrebbe ucciso un diciannovenne disarmato, incensurato, che non stava commettendo alcun reato. La loro vicenda incrocia da sempre la più ampia battaglia per una reale libertà di stampa. Sul palco di Piazza Navona, il primo luglio, sono salite insieme per manifestare contro i bavagli. «Certo, i tagli sono un pericolo forse peggiore della legge bavaglio», continua Ilaria. «Tagli, bavagli e guinzagli alle inchieste - aggiunge Patrizia Aldrovandi - la strategia contro il diritto all'informazione è complessa. L'unico modo per essere informati è che le voci siano molte e libere».«Sul nostro caso - riprende Cucchi - c'è stato un interessamento costante della stampa. Però, sicuramente Liberazione non ha avuto paura a raccontare le cose, a porre le domande senza timori reverenziali. Ragiono spesso su questo: certi articoli possono essere anche un aiuto alle indagini. Siete stati un supporto fondamentale. Non saremmo arrivati a un passo dalla verità, senza di voi il caso sarebbe stato archiviato». La sintonia con Patrizia è totale: «Senza Liberazione la nostra storia non sarebbe uscita da Ferrara - dice anche la mamma di Federico - fin dall'inizio ci avete aiutato e solo voi avete avuto il coraggio di pubblicare le foto di Federico dopo il pestaggio. Avete dimostrato il coraggio di fare un giornalismo diretto e senza sconti a nessuno. La foto da sola sosteneva una verità diversa da quella dei mattinali, da quella delle versioni ufficiali. Davvero sono sempre stata convinta che senza l'aiuto di certa stampa (come voi, il manifesto e Chi l'ha visto? ) il caso sarebbe stato archiviato. La gente non avrebbe mai potuto sapere quello che era successo. Certe storie dovrebbero essere pubbliche non solo per la giustizia dovuta alle vittime ma perché la società deve essere consapevole. E' l'unico modo perché non si ripetano più. Ci deve essere consapevolezza dei fatti, dell'indagine e del processo».La differenza tra l'approccio di Liberazione e quello dei giornali più blasonati non sfugge: «Qualcuno, tra i fotografi, ci ha chiesto di metterci in posa accanto ai peluche di Stefano. Un cronista ha frugato nei quaderni di Stefano. Ma la stampa, tutto sommato è stata corretta», racconta Ilaria. Patrizia, a cui è toccato imparare questo rapporto prima di Ilaria, riferisce di una difficoltà maggiore: «Altri tipi di mezzi di informazione sono stati più ingessati - spiega - si accontentavano di quello che spiegava loro chi ha la voce più grossa, ossia le fonti istituzionali. E' stato molto difficile farci ascoltare». Decisiva, in questa vicenda, la rottura del monopolio informativo delle fonti ufficiali (procura e questura) grazie alla sinergia tra il blog di Patrizia, aperto dopo cento giorni di silenzio istituzionale, questo giornale e altre voci di movimento (le radio e Indymedia. Un cocktail informativo che ha aiutato la controinchiesta e ha seguito il movimento per verità e giustizia. « Liberazione e l'informazione libera sono un bene comune. Dobbiamo averne cura», concludono Patrizia e Ilaria.

Se ritornano le caravelle



SE RITORNANO LE CARAVELLE


di Raniero La Valle

È molto importante capire, dagli ultimi avvenimenti, che la lotta non è più politica, ma culturale; pretendere di cambiare l’art. 41 della Costituzione (economia e suoi fini sociali) significa voler rovesciare una cultura, non cambiare politica. Rispetto a questo passaggio tutti i soggetti, dai partiti, ai sindacati, alla Chiesa, devono ridefinire la propria posizione, che non è affatto adeguata a questa nuova qualità della lotta.
Il tema è ormai quello della risposta da dare alla cattiva globalizzazione (contro cui invano avevano combattuto i “no global”) che sta giungendo ora a una sorta di nemesi: i Paesi ricchi, che dovevano diventare ancora più ricchi espandendo il loro imperialismo senza limiti in tutto il mondo, si stanno impoverendo; le multinazionali che avevano delocalizzato le
loro fabbriche per andare ad approfittare dei salari di fame e del lavoro sfruttato della Moldavia o del Bangladesh, tornano a casa, ma vogliono che le condizioni del Bangladesh si riproducano in patria; le caravelle di Cristoforo Colombo che erano andate a portare civiltà, diritto e giustizia oltremare, tornano indietro recando la notizia che, a missione compiuta, l’assoggettamento di tutto il mondo al denaro e alla ricchezza richiede che ai diritti, alla giustizia e alla civiltà si rinunzi anche in quello che fu l’Occidente; fallito il progetto dello scontro di religioni, i grandi poteri economici e politici, come dicono i promotori del dialogo cristiano-islamico, cercano di ridurre Islam e cristianesimo a loro “semplici appendici”; intanto, come lugubre metafora di ciò che sta accadendo, l’oro nero, cioè la merce più apprezzata e remunerativa del Mercato globale, sgorga inarginato irraggiungibile e improduttivo dal fondo dell’oceano portando devastazione nella natura, morte agli animali e suicidi e disperazione tra gli uomini.
Come si risponde a tutto ciò, è un problema culturale, o per meglio dire, è un problema di cultura politica, assolutamente fuori della portata della politica senza cultura oggi vigente da noi. Aggregare tutti gli egoismi in un’unica grande alleanza con cui mantenere a tutti i costi il potere, come tutte le volte che non è stata sconfitta ha fatto la destra italiana, non è una risposta.
Proclamare il verbo del “si salvi chi può”, scatenando la guerra tra i poveri, non è una risposta. Ritagliare un’area di benessere in cui accumulare e trattenere denaro e privilegi, rompendo l’unità fiscale dello Stato, e aizzando dieci milioni di padani a scendere in campo per difenderli, non è una risposta; distruggere ogni articolazione sociale, imponendo agli operai una specie di giuramento antimodernista di incondizionata obbedienza a padroni benefici che portano in dono il lavoro, come i re Magi, non è una risposta; salvarsi con l’8 per mille, col sovrappiù di un continuo travaso di soldi pubblici ad imprese religiose, non è una risposta.
E infatti i vecchi equilibri politici si stanno spezzando.
Nella coalizione di governo siamo ormai ben oltre le punture di spillo e i mal di pancia. Fini ha alzato il livello dello scontro, ponendo come ragione di conflitto un tema supremo, dirimente, su cui la destra populista non può restare insieme: l’unità nazionale non si tocca, ha detto, la Padania è un’invenzione. Se la Padania è un’invenzione, è un’invenzione la Lega.
Il pilastro del governo crolla, nella sua furia Bossi evoca il vero spettro che c’è dietro la figura politicistica e anti-ideologica dell’Italia bipolare: c’è la figura di due Italie messe in conflitto e spinte a una resa dei conti tra loro, fino a negarsi violentemente l’un l’altra. Il capo del governo, che è un animale politico (non nel senso aristotelico) ha subito fiutato il pericolo della disgregazione e sfidando Fini e Napolitano ha raddoppiato la posta pretendendo il varo della legge sulle intercettazioni entro l’estate.
E ciò con l’idea di ristabilire nel suo schieramento l’omertà rotta dal presidente della Camera (su una legge, poi, che promette nuove impunità al sistema politico), oppure di finire la legislatura in attacco giocandosi tutto in una nuova prova del fuoco elettorale, supposta a lui congeniale. L’eterno ritorno del passato.
Per uscirne, occorre non cercare di ritagliarsi una nicchia, del resto inesistente, in questo disastro. Occorre invece contrapporsi alla cultura della decadenza, rimettere in discussione i fatti compiuti (perché sono compiuti da noi, non sono un destino); guai se la globalizzazione dovesse definitivamente significare null’altro che stabilire un sistema di vasi comunicanti, in cui si perdano le differenze e in cui il livellamento di salari, di opportunità, di tutele, di saperi, avvenga verso il basso.
Occorre invece riprendere i grandi filoni delle culture del Novecento, abbandonati o traditi: le Costituzioni, il Concilio, la cultura dei diritti, l’eguaglianza, la liberazione dei popoli, l’internazionalismo, la pace, e rimettere mano a costruire la casa.
Allora la democrazia tornerebbe a prendere senso, i partiti tornerebbero a rappresentare la ricchezza delle tradizioni e del pluralismo politico, e la Chiesa tornerebbe a dire (e soprattutto a far ascoltare) parole di vita.

giovedì 8 luglio 2010

LIBERAZIONE -SALVA IL TUO GIORNALE


LIBERAZIONE
SALVA IL TUO GIORNALE!
Questo giornale, così fragile, così necessario

di Dino Greco


Spero ardentemente che tutti i compagni e le compagne che mantengono una frequentazione del nostro/loro giornale e ne comprendono la funzione insostituibile, abbiano colto appieno la fase cruciale nella quale siamo, che può segnare il rilancio oppure la fine, in tempi molto rapidi, delle pubblicazioni. Non sto scherzando e vi assicuro che non vi è alcuna enfasi, né alcun gusto per la drammatizzazione in questo allarme. Delle condizioni economiche e dello stato delle vendite, nonché di quello degli abbonamenti abbiamo dato ampia informazione attraverso le relazioni svolte nella direzione del Prc del 16 giugno, pubblicate nell’edizione del 23 dello stesso mese. Se non ne aveste presa visione vi prego di farlo con la dovuta attenzione e, soprattutto, di metterne a parte quanti non abbiano adeguata percezione dello stato delle cose. La questione è molto semplice: il partito non è più in grado di sostenere economicamente il giornale. Neppure in misura marginale. E quanto la penuria di risorse abbia inciso nella fattura, nella foliazione, nella distribuzione del giornale è sotto gli occhi di tutti. Ciononostante siamo stati in edicola ogni giorno, con una forte caratterizzazione politica, sociale e culturale quale non si rintraccia in altre pubblicazioni.
Il futuro prossimo di Liberazione ora dipende unicamente dal finanziamento pubblico (anch’esso appeso ad un filo di ragnatela), dalle vendite e dai modesti introiti pubblicitari. Questo vuol dire che lo sforzo eccezionale messo in campo con successo per abbattere sino a poche centinaia di migliaia di euro il poderoso debito di esercizio accumulato nel tempo potrebbe non essere sufficiente. Perché anche una sola goccia in più fa tracimare il vaso colmo. Dunque, care compagne e cari compagni, tocca ora a voi compiere (o ritrarre) il passo. In uno spazio talmente breve da non consentire neppure un attimo di pausa e da gestire con estrema determinazione. La determinazione e la convinzione che sino ad oggi sono mancate. Come si diceva un tempo, ciò che va fatto, va fatto “qui ed ora”. Perchè non saranno dati tempi supplementari. Ho già indicato, meticolosamente e sui vari fronti, le iniziative che possono essere prodotte in queste settimane per concorrere al raggiungimento del pareggio di bilancio, da conseguire tassativamente entro quest’anno. Gli abbonamenti, innanzitutto, nelle varie forme possibili (postali, con coupons, on line): dobbiamo farne 500 di nuovi entro l’estate. Ho già detto, sfidando quella che credevo un’ovvietà, che dai dirigenti è atteso l’esempio. Poi ci sono le feste di “Liberazione”, certamente più di duecento, alcune già in corso, molte in preparazione o già calendarizzate. E’ possibile prevedere che in ciascuna di esse si facciano pervenire, per ogni giorno di durata della festa, un numero “x” di copie del giornale e che se ne organizzi la vendita quotidiana? E’ possibile che in ciascuna di esse si preveda una cena a sottoscrizione dedicata al giornale e che le somme realizzate siano convertite in abbonamenti da destinare a luoghi di lavoro, circoli, realtà dove il giornale non arriva? Ancora: è possibile riprendere la diffusione domenicale, riguadagnando un’attitudine militante alla controinformazione che non serve soltanto al giornale, ma che è anche funzionale all’attività di reinsediamento capillare del partito, nel sociale come nei territori? Nel mese di ottobre, indicativamente nella terza settimana, produrremo un supplemento al giornale di 48 pagine. Un evento, tanto per l’importanza dei temi trattati che per la qualità dei contributi che vi troveranno ospitalità, con un cospicuo sovrapprezzo che ha il significato di una vera e propria sottoscrizione: un sacrificio economico di non lieve entità da dedicare ad una buona causa. Chiediamo a tutte le federazioni, ai circoli, di prenotarne preventivamente un consistente numero di copie oltre a quelle che saranno vendute direttamente in edicola. Sebbene la formula sia abusata e contenga forse un eccesso retorico di volontarismo, mi sento questa volta di dire: trasformiamo lo svantaggio, la difficoltà, in un’opportunità, in un’occasione: quella di ripensare ad un aspetto essenziale della vita del partito, della sua capacità di comunicare, di esercitare una funzione critica, verso la realtà sociale e politica non meno che verso se stesso. Liberazione può rappresentare, ancor più di quanto non sia stato sin qui, l’enzima di un ritrovato sforzo corale, capace di produrre lavoro politico, conflitto sociale, pratiche solidali, interlocuzioni che oggi ci sono precluse o che ristagnano a causa di perduranti, reciproche diffidenze. E capace di stimolare unità, a sinistra, di cui vi è un prepotente bisogno per dare efficacia ad istanze di cambiamento che nessun altro, dentro il concerto istituzionale, è oggi in grado di interpretare. Se per indolenza, o per rassegnazione, rinunciassimo a questa sfida, senza neppure tentarla, compiremmo un atto di grave autolesionismo. E la chiusura del giornale, a quel punto inevitabile, ne rappresenterebbe la simbolica rappresentazione. Non mi impegnerei in questo appello se non fossi convinto che il gioco vale la candela e che possiamo farcela. A voi l’ultima e decisiva parola.



da Liberazione




































Ancora a rischio deportazione gli eritrei detenuti a Brak in Libia


Ancora a rischio deportazione gli eritrei detenuti a Brak in Libia
Sono feriti e torturati. L’Italia tace.
da LIBERAZIONE
Ma proprio gli accordi italo-libici del 2009 legittimano la violenza di Gheddafi

Apprendiamo con angoscia crescente, ogni giorno che passa, delle torture e del rischio di “deportazione in patria” subiti dai profughi eritrei, in parte respinti in Libia lo scorso anno con il concorso delle nostre unità navali ed trasferiti il 30 giugno dal centro di detenzione di Misurata alla prigione di Brak, in pieno deserto vicino Sebha, una prigione gestita direttamente dalle forze di sicurezza libiche. Neppure le decine di persone che erano state gravemente ferite a Misurata, durante i primi tentativi di “identificazione” da parte di rappresentanti del governo eritreo, vengono curate e sembrerebbe che almeno due eritrei non siano più ritornati nelle camerate, dopo essere stati condotti nelle sale di tortura del carcere di Brak. Giunge adesso la notizia che, dopo la “punizione esemplare” inflitta a quanti si opponevano al rimpatrio in Eritrea, un rappresentante del governo eritreo si recherà a Brak ed incontrerà di nuovo i profughi, probabilmente per verificare se le torture li hanno “ammorbiditi” e se sono adesso disponibili ad essere rimpatriati. Con la prospettiva di altro carcere e di altri abusi, come è noto a tutti, per il trattamento che il governo eritreo riserva a quanti, dopo essere fuggiti, sono ricondotti a forza in patria. La vicenda in corso va inserita in un progressivo giro di vite del regime libico nei confronti degli immigrati e in particolare contro i somali e gli eritrei, in gran parte richiedenti asilo. All’inizio di giugno Gheddafi ha deciso di chiudere - con l’accusa di svolgere attività illegale- la piccola delegazione di Tripoli dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati che, malgrado la Libia non aderisse alla Convenzione di Ginevra, almeno riusciva ad incontrare alcuni richiedenti asilo, proprio come gli eritrei internati a Misurata. Una delegazione molto importante, al punto che il governo italiano l’aveva richiamata in diverse occasioni per giustificare gli accordi di cooperazione con la Libia ed i respingimenti collettivi in acque internazionali. Adesso sembra che la delegazione dell’Acnur potrà riprendere le sue modeste attività di censimento, ma temiamo che questa sia l’ennesima sceneggiata per rilegittimare gli accordi italo-libici, i respingimenti collettivi in mare e la detenzione arbitraria dei richiedenti asilo. E la Libia non ha neppure ratificato la Convenzione di Ginevra. Il Parlamento Europeo lo scorso 17 giugno protestava per le esecuzioni capitali che la giustizia libica aveva sancito dopo processi senza alcuna garanzia effettiva di difesa, in alcuni dei quali erano coinvolti anche degli immigrati nigeriani. Nella sua risoluzione, in diversi passaggi, il Parlamento europeo esprimeva anche forte preoccupazione per la sorte dei migranti bloccati in Libia, ricordando il divieto di trattamenti inumani o degradanti, oltre che della tortura e della pena di morte. Nessuna reazione, naturalmente, da parte del governo italiano. Ancora oggi, nessuna delle autorità italiane e straniere alle quali sono stati rivolti accorati appelli per la liberazione degli eritrei deportati da Misurata ha ancora avviato una azione di pressione sulla Libia perché questo scempio di persone innocenti cessi al più presto. Eppure anche il Parlamento italiano potrebbe fare qualcosa, dopo avere votato a larghissima maggioranza gli accordi con la Libia, approvando la legge di ratifica n.7 del 6 febbraio 2009, che in diversi punti richiama le Convenzioni internazionali che proteggono i diritti umani, ma non la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Sarebbe bene che i parlamentari ed i partiti, che in passato hanno approvato gli accordi con la Libia, in base ai quali erano previsti, oltre alla cessione di mezzi navali e terrestri, un sistema di comando interforze unificato a guida libica, «manovre congiunte e scambio di esperti e tecnici», riflettessero sulle conseguenze del loro voto di ratifica. Soprattutto per la legittimazione che quel voto ha rappresentato per le politiche più violente di Gheddafi nei confronti dei migranti, in gran parte potenziali richiedenti asilo, persone che se fossero giunte in Italia, come gli eritrei, avrebbero certamente avuto diritto ad una protezione internazionale, come oggi sono costretti a riconoscere alcuni fautori degli stessi accordi.Vorremmo anche, oltre al blocco - già avvenuto- dei negoziati tra l’Unione Europea e la Libia in materia di immigrazione, che la Corte Europea dei diritti dell’uomo si pronunci al più presto sul ricorso presentato contro l’Italia dopo i respingimenti collettivi in mare effettuati da nostre unità militari (nave Bovienzo) il 6 e 7 maggio dello scorso anno, quando i militari italiani abbandonavano i naufraghi, donne e minori compresi, in Libia, sulla banchina del porto di Tripoli. Da quella decisione della Corte di Strasburgo e dalla sua portata potrebbe dipendere il destino di molte vite, non solo quello dei ricorrenti, una circostanza che, al di là del carattere individuale del ricorso, la stessa Corte non potrà certo ignorare. Si attendono anche gli sviluppi del processo in corso a Siracusa contro alti responsabili della Guardia di Finanza e del Ministero dell’interno, per i respingimenti collettivi effettuati qualche mese dopo verso la Libia. In modo diverso, sono tutti fatti che si legano alla terribile sorte dei profughi eritrei rinchiusi oggi in Libia nel carcere di Brak.

martedì 6 luglio 2010

DISABILE, EMENDAMENTO DEL PDL ALLA MANOVRA DISUMANO E BESTIALE.








DISABILE, EMENDAMENTO DEL PDL ALLA MANOVRA DISUMANO E BESTIALE.
CI BATTEREMO CONTRO A PARTIRE DAL 7 LUGLIO QUANDO SCENDEREMO IN PIAZZA CON FISH W FAND CONTRO TALE PROGETTO.

Comunicato stampa. Roma, 30 giugno 2010 – L’emendamento alla Manovra relativo alle persone con disabilità,presentato in Commissione Bilancio dall’on. Azzolini in accordo con ilministero dell’Economia, è disumano e bestiale.Si mantiene l’innalzamento della percentuale di invalidità utile per accedere all’assegno, smentendo gli impegni assunti nei confronti delle organizzazioni nazionali delle persone con disabilità, introducendo un elemento di discriminazione perchè l’assegno è garantito soltanto alle persone affette da un’unica minorazione con percentuale superiore al 74%, mentre si tagliano fuori quelle affette da più tipologie.Ancora più indecente è la modifica delle condizioni medico-legali per accedere all’indennità di accompagnamento, che verrà concessa solo a coloro che sono impossibilitati a svolgere attività e funzioni di vita elementare.Ciò significherebbe privare di questo aiuto tutte quelle persone con disabilità che, pur non essendo in stato vegetativo, vogliono poter svolgere una vita sociale come gli altri.Fin dalla prima presentazione della manovra abbiamo dedicato una particolare attenzione all’intervento previsto per le persone con disabilità. Non certo perché sia la sola iniquità in una manovra inaccettabile. Ma perché è il segno del grado di intollerabile inciviltà del governo, di misure oscene e mostruose. Questo governo e questa maggioranza hanno superano ogni limite. Per queste ragioni, nella totale indignazione, siamo al fianco della Fish e della Fand, aderendo e partecipando alla manifestazione nazionale indetta dalle stesse organizzazioni per il 7 luglio prossimo.

venerdì 2 luglio 2010

ORA PASSIAMO DA 1 MILIONE DI FIRME A 25 MILIONI DI SI


DA 1 MILIONE DI FIRME A 25 MILIONI DI VOTI



ORA PASSIAMO

DA

1 MILIONE DI FIRME

A

25 MILIONI DI VOTI!!!

giovedì 1 luglio 2010

1 LUGLIO - CONTRO LA MANOVRA FINANZIARIA FDS INCONTRA REGIONI E COMUNI






1 LUGLIO - CONTRO LA MANOVRA FINANZIARIA FDS INCONTRA REGIONI E COMUNI







Insieme nella battaglia contro la manovra finanziaria: la Federazione della Sinistra incontra le Regioni e i Comuni, rappresentati da Vasco Errani (Presidente della Conferenza delle Regioni ) e Sergio Chiamparino (Presidente dell’Anci), alla Sala delle Colonne di Montecitorio, giovedì 1 luglio dalle ore 10,30.
Il portavoce della Federazione della Sinistra, Cesare Salvi, illustrando l’iniziativa, ha spiegato: “Le due parole d’ordine che hanno accompagnato la manovra da parte del governo sono state: “Avanti tutta con il federalismo” e “Mai le mani nelle tasche degli italiani”. Ma più i giorni passano e più è chiaro che sta avvenendo l’esatto contrario. La manovra è fondata sul più bieco centralismo che scarica su Regioni e Comuni il compito di mettere le mani nelle tasche degli italiani: ma non dei ricchi, degli evasori e degli speculatori, bensì dei lavoratori e delle famiglie.
I Comuni dovranno mettere nuove tasse, le Regioni tagliare i servizi sociali”.
“E’ vero – ha proseguito Salvi – che vi sono sprechi e costi della casta regionale che vanno colpiti, ma nel provvedimento del governo non c’è nessuna misura concreta finalizzata a questo obiettivo.
E’ per questa ragione che la Federazione della Sinistra, che condivide la battaglia delle autonomie locali, ha voluto un confronto pubblico con Vasco Errani e Sergio Chiamparino, insieme al segretario generale della Cgil responsabile della funzione pubblica, Nicola Nicolosi, per sostenere chi si batte contro questa manovra iniqua e sbagliata”.

L’iniziativa sarà introdotta da Gianluigi Pegolo, mentre le conclusioni sono affidate a Pino Sgobio.










1 LUGLIO – IN PIAZZA PER LA LIBERTA’ DI STAMPA


1 luglio - Milano Contro il Bavaglio

In difesa della giustizia, dell’informazione e della libertà di espressione su internet, Milano si mobilita contro il disegno di legge Alfano. Questa legge, già approvata con voto di fiducia al Senato, limitando fortemente lo strumento di indagine delle intercettazioni telefoniche e ambientali, renderà i cittadini più indifesi di fronte al crimine comune e organizzato.
La riduzione degli spazi di cronaca giudiziaria, inoltre, comprimerà il diritto a essere informati sulle malefatte del potere.


Proponiamo a tutti i cittadini, in modo indipendente dall’appartenenza di partito, di manifestare insieme a noi giovedì 1 luglio dalle ore 18,30 in piazza Cordusio.

Sul palco si alterneranno giornalisti, intellettuali, giuristi, rappresentanti di associazioni e movimenti della società civile attiva.

Tra i relatori già confermati ci sono:
Carlo Smuraglia, Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Guido Besana, Vincenzo Consolo, Daniele Biacchessi, Mimmo Lombezzi, Federico Sinicato, Guido Scorza.

L’iniziativa si svolgerà in concomitanza e diretto collegamento con la manifestazione nazionale di Roma.
Durante la giornata, prima dell’appuntamento in piazza Cordusio, sono previsti momenti di informazione in vari punti della città.
Grazie per le visite!
banda http://www.adelebox.it/