L’ANPI E LA GUERRA
Giusta l’equidistanza da torti, errori e furbizie.
di Guido Liguori -
In vista del 25 aprile si intensifica la polemica contro l’Anpi, per non essersi schierata senza distinguo con il nutrito fronte dei sostenitori di Kiev nell’attuale guerra in Ucraina. L’obiezione che da diverse parti le è stata rivolta è la seguente: poiché l’Anpi nasce da una esperienza di lotta armata, essa non può essere «pacifista». Tale atteggiamento vorrebbe dire rinnegare le proprie radici, cioè quella lotta armata per la libertà che è stata la Resistenza italiana.Dico subito che si tratta a mio avviso di una tesi – quella che vede una intrinseca contraddizione nella scelta «pacifista» dell’Anpi – di scarso fondamento.
Perché la Resistenza italiana ha dato vita a una Costituzione («la Costituzione nata dalla Resistenza», si è ripetuto infinite volte) che, nel momento in cui nasceva dalla guerra vittoriosa contro il nazifascismo, voleva anche che quella guerra fosse l’ultima; che gli orrori di cui si era stati spettatori o vittime o anche attori non avessero a ripetersi.
Per questo è una Costituzione che, nata da una guerra di liberazione vinta, dichiara di ripudiare la guerra non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Che non vi fossero più guerre era una aspirazione allora largamente condivisa e i costituenti la fissarono nell’art. 11, che certo non promuove un pacifismo assoluto, non congruo a uno Stato (che
infatti ha e non può non avere un suo esercito e altri apparati basati sull’esplicazione della forza), ma dichiara che la guerra vada sempre evitata, che si debba sempre tentare di evitarla: con la trattativa, con il negoziato, con l’accordo preventivo, con l’interposizione di forze di pace, ecc.
È proprio questo che il cosiddetto Occidente (ovvero, oggi, gli Stati Uniti e la Nato da essi egemonizzata) non ha voluto fare nel caso della crisi ucraina sfociata nella guerra in corso. L’Occidente, infatti, non solo ha violato le promesse fatte a Gorbaciov di non estensione della Nato verso Oriente; ha anche fatto poi orecchie da mercante ai ripetuti avvertimenti russi, come è stato
avvertito e segnalato da diversi esponenti della diplomazia e della politica internazionale; ha alimentato, all’opposto, la guerra civile in Ucraina, facendo di questo paese, dal 2014 in poi, un’arma contro la Russia; ha permesso che restassero inascoltate le mediazioni tedesche in extremis, ecc.
Per tutto ciò, oggi non si può dire che l’Ucraina e l’Occidente abbiano tutte le ragioni di un paese aggredito. Come ovviamente non le ha la Russia, che al passo terribile dell’invasione non sarebbe mai dovuta arrivare, in nessun caso, che porta la responsabilità pesante di aver dato inizio a una guerra disastrosa e distruttiva quando avrebbe dovuto tentare altri strumenti di pressione, altre vie di persuasione per costringere l’Ucraina e soprattutto i suoi protettori internazionali a dar vita a una conferenza internazionale in grado di garantire la sicurezza nella regione.
Giusta è perciò la posizione dell’Anpi, che chiede di far tacere le armi e di riaprire la strada negoziale, nonostante i torti che hanno tutte le parti in gioco. O proprio a muovere da essi. Giusta è la sua equidistanza da questi torti, e dagli errori, dalle furbizie, di entrambe le parti, la Russia e l’Occidente, in questo gioco al massacro che ha come prima vittima il popolo ucraino.
L’Anpi, in questo suo non schierarsi a-problematicamente, rappresenta le ragioni della Resistenza e di quella Costituzione che da essa è scaturita, e nel suo posizionamento critico si riconosce chi la guerra proprio non la vuole, respingendo la propaganda guerrafondaia unidirezionale di questi mesi.
Il manifesto, 22 aprile
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