Il NO è una garanzia per l’avvenire
di Aldo Tortorella
Questo testo è l’intervento inviato all’Anpi di
Perugia. Ai più giovani ricordiamo che Aldo Tortorella è stato uno dei dirigenti
del PCI più vicini a Enrico Berlinguer. Una breve scheda biografica del
partigiano Aldo Tortorella la trovate sul sito
dell’ANPI.
Care compagne e
cari compagni, un malanno invernale, complice l’età, mi impedisce di essere oggi
con voi come avrei desiderato per dirvi innanzitutto tutta la mia indignazione
per il modo con cui si viene svolgendo questa campagna referendaria da parte di
coloro che oggi hanno il governo del Paese. Trovo scandaloso che i pubblici
poteri siano impegnati ad alimentare con ogni mezzo compresi quelli meno leciti
una campagna di disinformazione e di falsità. La televisione in ogni ora del
giorno e della notte è occupata da questo presidente del consiglio il quale con
tutti i problemi che ci sono non ha altro da fare che saltare da un programma
all’altro o da un palco all’altro palco a far la sua propaganda e a propagandare
se stesso.
Più che un uomo di governo abbiamo un attore televisivo, oltre che uno studente bocciato dal suo professore di diritto costituzionale.
Più che un uomo di governo abbiamo un attore televisivo, oltre che uno studente bocciato dal suo professore di diritto costituzionale.
Dire che il
maggiore problema della repubblica è la presunta lentezza legislativa dovuta al
bicameralismo è una favola. In Italia si fanno anche troppe leggi e il guaio è
che spesso sono leggi sbagliate. E molte leggi sbagliate sono state e vengono
approvate anche troppo rapidamente come è accaduto e accade alle leggi
governative definite decreti d’urgenza. Il primato spetta alla sciagurata legge
Fornero sulle pensioni approvata in 16 giorni. Tutti i decreti-legge di questo
governo sono passati in meno di 44 giorni. Il presidente del consiglio dunque
mente sapendo di mentire quando dice che vuole questo stravolgimento della
Costituzione per fare presto. Ha fatto anche troppo presto con molte misure
dannose per i lavoratori e per il paese.
Sono le leggi di
iniziativa parlamentare ad andare lentamente ma il motivo sta non nel
bicameralismo ma nelle liti interne alle maggioranze. Un esempio: la legge
anticorruzione d’iniziativa parlamentare ha impiegato 798 giorni per essere
approvata e cioè due anni e due mesi e si capisce perché: non andava mai
abbastanza bene a questo o a quel gruppo di maggioranza. Due anni e due mesi per
annacquarla e sciacquarla fino a renderla la più innocua possibile.
La verità è che
si vuole una Camera che conti eletta con sistema ultramaggioritario per dare più
potere al governo di imporre la propria volontà sopra e contro la rappresentanza
popolare. Questa contro riforma della Costituzione stabilisce che il governo ha
la priorità su tutte le leggi del suo programma e non più solo sui decreti
d’urgenza e ha il potere di fissare il tempo massimo di discussione, 70 giorni.
Con questo sistema inaudito in qualsiasi regime liberal-democratico il governo
diventerebbe il padrone della rappresentanza parlamentare a sua volta truccata.
Già oggi la Camera è eletta con un sistema maggioritario, quello del porcellum,
che ha dato la maggioranza assoluta alla coalizione di centro sinistra arrivata
di poco avanti alla destra. E la nuova legge elettorale già in vigore è ancora
peggio, anche se ora si sono accorti che può essere disastrosa. Dopo avere
giurato sulla sua bontà e averla imposta con tre voti di fiducia ora dicono di
volerla cambiare, ma senza toccare il maggioritario. Per difendere la loro
controriforma , dicono anche il Pci alla costituente era per una sola camera.
Certo, ma con il parlamento “specchio del Paese” e cioè con la legge elettorale
proporzionale. E poi il Pci accettò il bicameralismo perché intese che era una
garanzia in più nel duro periodo che si veniva aprendo con la rottura dell’unità
antifascista e con la guerra fredda iniziata proprio nel 1947, mentre si
lavorava alla Costituzione. E comunque, secondo il Pci, il Senato doveva essere
eletto dal popolo.
Dunque il
presidente del consiglio imbroglia sapendo di imbrogliare quando dice che non ha
toccato i poteri del presidente del consiglio. Non li ha toccati perché ha
toccato e esaltato il potere del governo e dunque del capo partito che lo
guiderà. Già oggi lui governa come espressione di una minoranza del 29 per cento
dei voti contro le opposizione che rappresentano il doppio. E con la sua
controriforma, domani, un capo partito che può essere un qualsiasi seguace
nostrano di Trump o di Le Pen o qualche altro avventuriero può ancor più di lui
spadroneggiare l’Italia. Con le mani di un partito formalmente di centro
sinistra si prepara la via al peggio, come successe negli anni 20 del ‘900 al
Parlamento della Repubblica democratica di Weimar nata dal crollo dell’impero
tedesco seguìto alla prima guerra mondiale. Essendoci molti disordini di piazza,
il Parlamento democratico tedesco stabilì che in caso di stato d’eccezione le
garanzie costituzionali potevano essere sospese. La coalizione nazista vinse le
elezioni, decretò lo stato d’eccezione e iniziò la propria criminale avventura.
Diceva un proverbio antico che Dio fa impazzire coloro che vuol perdere. In
questo caso, però, la colpa non è di Dio, ma di chi dà ascolto a questi
scriteriati saltimbanchi del potere per il potere o a quelli che usano i soldi
per il potere e il potere per i soldi.
E non è meno
scandaloso dire che si sopprime il Senato, quando non lo si sopprime affatto ma
lo si ridicolizza trasformandolo in una Camera di consiglieri regionali e
sindaci a tempo perso, in più gravandolo di compiti cosi confusi che i
costituzionalisti prevedono forieri di guai. Si dice che così si vuole dar voce
ai territori: ma nello stesso tempo si stabilisce che lo stato di guerra adesso
sarà deciso dall’unica Camera , cioè da un partito minoritario e dal suo capo.
Si vede che in caso di guerra i territori non devono aver niente da dire. Si
sparano cifre assurde di risparmi inesistenti, smentiti dalla ragioneria
generale dello stato. Si conduce una campagna qualunquista contro quelli che non
vogliono perdere le poltrone, ma io che vi scrivo adesso non ho alcuna poltrona
da perdere o da conquistare. Ho solo avuto da conquistare qualche malanno
aggirandomi per l’Italia a testimoniare contro questa bruttura, perché penso a
chi la Costituzione l’ha conquistata e ci ha lasciato la vita o a chi ha speso
tutta l’esistenza a difenderla e ora non può più farlo.
I guai
dell’Italia non dipendono dalla Costituzione. Con questa Costituzione abbiamo
ricostruito l’Italia garantendone, nel bene e nel male, lo sviluppo, abbiamo
conquistato diritti sociali e civili. I guai dell’Italia dipendono piuttosto dal
fatto che il programma costituzionale è stato sempre combattuto e in larga
misura è rimasto inapplicato. Per cinquant’anni l’Italia è stata una democrazia
dimezzata dalla convenzione imposta dall’estero per escludere il più forte
partito d’opposizione dal governo, anche quando nessun governo si poteva fare
senza i suoi voti. Ma l’obiettivo vero era un altro, era proprio quella
Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro e va oltre la eguaglianza
formale, pur indispensabile, impegnando lo Stato a rimuovere “gli ostacoli
economici e sociali” che limitano di fatto libertà ed eguaglianza, e così
statuendo il principio dell’uguaglianza sostanziale. Di qui viene l’affermazione
del lavoro non più come una merce, ma come un diritto da garantire, viene il
criterio della retribuzione da adeguare in ogni caso ad una vita libera e
dignitosa, viene la indicazione del compito sociale, cioè non egoistico, della
stessa proprietà privata. Ecco lo scandalo: questa Costituzione esalta il lavoro
e non il capitale. E ciò avvenne perché i costituenti, pur divisi da differenti
visioni politiche, venivano in grande maggioranza dalla lotta antifascista e
sapevano che il fascismo era stato una creatura incoraggiata, promossa e
sostenuta innanzitutto dal capitale finanziario, industriale e
agrario.
Fin dai primi
anni questa Costituzione fu definita “una trappola” da parte delle forze più
conservatrici. E la storia dei primi cinquant’anni di vita repubblicana è
segnata, come in nessun altro paese occidentale, da una ininterrotta scia di
eversione e di sangue per spiantare questa possibile nuova democrazia: dallo
stragismo nero al terrorismo detto rosso che con l’assassinio di Moro compì il
capolavoro di portare a compimento il proposito della destra con le mani di
supposti rivoluzionari di sinistra. Con quel delitto cadeva il tentativo estremo
di Berlinguer e di Moro di dare compiutezza alla democrazia italiana e iniziava
il declino.
Ci raccontarono
un quarto di secolo fa che il sistema elettorale maggioritario avrebbe dato
stabilità, risolto problemi annosi, eliminato i piccoli partiti. Ma i fatti sono
stati un ventennio di berlusconismo e l’aggravamento di tutti i problemi, dal
debito alla disoccupazione. E mai ci sono stati tanti partiti in Parlamento e
così pochi militanti fuori, mai c’è stato un tale trasformismo tra deputati e
senatori. Ora c’è l’attacco finale alla Costituzione perché, dicono, offre
troppe garanzie. E dicono che si smantella la seconda parte della costituzione
ma si salvano i principi della prima parte. Ma questo è un discorso per
allocchi. La seconda parte della Costituzione è l’applicazione della prima. La
sovranità popolare si restringe ancora di più con l’accentramento del potere, i
principi sociali già calpestati diventano sempre più carta straccia. Ma ci
dicono che anche la destra dice di votare no. Certo. E noi facemmo la lotta di
liberazione antinazista e antifascista anche con i monarchici. La Costituzione è
di tutti, non proprietà di partito. E si dovrebbe essere lieti che proprio
quelli della destra che hanno sempre attaccato la Costituzione oggi sono
costretti a difenderla perché ne riconoscono finalmente il valore anche per
loro, ora che si sentono in minoranza. E c’è piuttosto da temere che dicano di
votare no, ma pensino e facciano il contrario, seguendo i Verdini e gli
Alfano.
All’origine della
stretta autoritaria, voluta non solo in Italia dai ceti più retrivi, sta il
fatto che non si riesce a uscire dalla crisi: dalla lunga crisi iniziata dopo
gli anni settanta e da quella che rischiava di essere catastrofica iniziata nel
2007. La vittoria globale del capitalismo non ha portato a spegnere i suoi
problemi, ma a complicarli. La globalizzazione crea nuovi squilibri e nuovamente
torna la tendenza, come dopo la crisi del 29, alle chiusure nazionaliste, allo
sciovinismo, alle guerre. Allora fu la Germania a imboccare la via della razza
eletta, adesso il razzismo, per ora a fini interni, ha vinto negli Usa. Alle
porte dell’Italia, oltre il mare, c’è la guerra generata dalla ripresa di
velleità egemoniche dei paesi nostri alleati nelle terre del petrolio. Centinaia
di migliaia di morti, milioni di disperati e di profughi. Ecco il motivo della
stretta istituzionale, ecco il pericolo.
Il mio cammino
personale è al termine, e dunque non ho nulla da temere ma temo per questi
giovani di oggi. Altro che lavoro come diritto, salario dignitoso, istruzione
elevata. E il rischio, in tanta frustrazione, è la possibilità che vengano
cacciati in nuove avventure. Ho negli occhi le manifestazioni giovanili per la
guerra in Germania e in Italia nel 39 e nel 40, pagate poi con la catastrofe
loro e di tutti. Le organizzavano i fascisti, ma trascinavano i molti. E non
credo eccessivo l’allarme quando al fanatismo della setta dell’ISIS si risponde
con il fanatismo antimusulmano nelle manifestazioni con Trump. O con il
fanatismo antiimmigrati di certi ceffi nostrani o di quel paesino di una terra
che fu rossa. Sono solo i sintomi piccoli e grandi di una malattia che si
aggrava. Mai come oggi è necessario il massimo di garanzie. Salvare la
Costituzione è indispensabile, anche se non basta. Si dice che chi difende la
Costituzione è un passatista. E lo dicono questi nuovisti che hanno combinato
solo guai. L’attacco alla Costituzione è in realtà una volontà di ritorno al
passato, quando chi comandava era sicuro di non essere disturbato. Oggi dire di
no è il migliore modo di dire di sì all’avvenire, è l’unico modo di tenere
aperta le porte alla speranza.
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