lunedì 28 novembre 2016
sabato 26 novembre 2016
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE COMANDANTE FIDEL
Il Fidel che ho conosciuto - di
Ignacio Ramonet
Fidel è
morto, ma è immortale. Pochi uomini hanno conosciuto la gloria di entrare da
vivi nella leggenda e nella storia. Fidel è uno di loro. Apparteneva a quella
generazione di ribelli mitici – Nelson Mandela, Patrice Lumumba, Amilcar
Cabral, Che Guevara, Camilo Torres, Turcios Lima, Ahmed Ben Barka – che,
perseguendo un ideale di giustizia, si sono gettati negli anni cinquanta
nell’azione politica, con l’ambizione e la speranza di cambiare un mondo di
disuguaglianze e discriminazioni, segnati dall’inizio della guerra fredda tra
l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. - In quell’epoca, in più della metà del
pianeta, in Vietnam, in Algeria, in Guinea-Bissau, i popoli oppressi si
ribellavano. L’umanità era in gran parte ancora sottomessa l’infamia della
colonizzazione. Quasi tutta l’Africa e buona parte dell’Asia erano ancora
dominate, asservite ai vecchi imperi occidentali.
Mentre le nazioni dell’America Latina, in teoria indipendenti da un secolo e mezzo, erano sfruttate da minoranze privilegiate, oggetto di discriminazione sociale ed etnica, e spesso sottoposte a dittature sanguinarie protette da Washington. - Fidel ha resistito all’aggressione di addirittura dieci presidenti americani (Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figlio). Ha intrattenuto rapporti con i leader chiave che hanno segnato il mondo dopo la seconda guerra mondiale (Nehru, Nasser, Tito, Krusciov, Olof Palme, Ben Bella, Boumedienne, Arafat, Indira Gandhi, Salvador Allende, Breznev, Gorbaciov, Mitterrand, Giovanni Paolo II, il re spagnolo Juan Carlos, ecc.). E ha incontrato alcuni dei più importanti intellettuali e artisti del suo tempo (Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Arthur Miller, Pablo Neruda, Jorge Amado, Rafael Alberti, Guayasamín, Cartier-Bresson, José Saramago, Gabriel Garcia Marquez, Eduardo Galeano, Noam Chomsky, ecc.). - Sotto la sua guida, il suo piccolo paese (100 mila km quadrati, 11 milioni di persone) ha potuto condurre una politica da grande potenza a scala mondiale, sfidando gli Stati Uniti, i cui capi non sono riusciti o eliminarlo, o a cambiare il corso della rivoluzione cubana. Infine, nel dicembre 2014, hanno dovuto ammettere il fallimento delle loro politiche anti-cubane, la loro sconfitta diplomatica e avviare un processo di normalizzazione che comprende il rispetto per il sistema politico cubano. - Nell’ottobre del 1962, la terza guerra mondiale fu sul punto di esplodere a causa dell’atteggiamento del governo degli Stati Uniti che protestava contro l’installazione di missili nucleari sovietici a Cuba, la cui funzione era, soprattutto, di evitare un altro sbarco armato come quello di Playa Giron (la Baia dei Porci) o qualcos’altro del genere direttamente organizzato dalel forze armate degli Stati Uniti per rovesciare la rivoluzione cubana. - Da oltre 50 anni, Washington (nonostante il ripristino delle relazioni diplomatiche) impone a Cuba un devastante embargo commerciale – rinforzato dalle leggi Helms-Burton e Torricelli negli anni novanta – che ostacolano uno sviluppo economico normale. Con conseguenze tragiche per gli abitanti. Washington continua anche a condurre una guerra ideologica permanente contro L’Avana attraverso la potente radio “Martí” e TV “Marti”, installate in Florida per inondare Cuba di propaganda come nei giorni peggiori della guerra fredda. - Inoltre, diverse organizzazioni terroristiche – Alpha 66 e Omega 7 – ostili al regime cubano, hanno sede in Florida, dove hanno campi di addestramento, e da dove hanno inviato regolarmente, con la complicità passiva delle autorità statunitensi, commando armati a commetetre attentati. Cuba è il paese che ha avuto più vittime (circa 3.500 morti) e che più ha sofferto del terrorismo negli ultimi 60 anni. - Di fronte a così forte e così permanente attacco, le autorità cubane hanno predicato, all’interno, l’unione ad ogni costo. E hanno applicato a modo loro il vecchio motto di Sant’Ignazio di Loyola: “In una fortezza assediata, ogni dissidenza è tradimento”. Ma non c’è mai stato, fino alla morte di Fidel, nessun culto della personalità. Né ritratto ufficiale o statua, o simbolo, o moneta, o strada, o un edificio o un monumento con il nome o la figura di Fidel, o uno qualsiasi dei capi della rivoluzione ancora viventi. - Cuba, un piccolo paese aggrappato alla sua sovranità, ha ottenuto sotto la guida di Fidel Castro, nonostante le vessazioni esterne permanenti, risultati eccezionali nello sviluppo umano: abolizione del razzismo, emancipazione delle donne, sradicamento dell’analfabetismo, drastica riduzione della mortalità infantile, aumento del livello culturale generale… nell’educazione, la salute, la ricerca medica e lo sport, Cuba ha raggiunto livelli che lo collocano nel gruppo delle nazioni più avanzate. - La sua diplomazia rimane una delle più attive al mondo. L’Avana, negli anni sessanta e settanta, ha appoggiato le guerriglie che combattevano in molti paesi dell’America Centrale (El Salvador, Guatemala, Nicaragua) e del Sud America (Colombia, Venezuela, Bolivia, Argentina). Le forze armate cubane hanno partecipato a campagne militari di grande importanza, soprattutto in Etiopia e Angola. Il loro intervento in quest’ultimo paese ha causato la sconfitta delle divisioni d’élite della Repubblica del Sud Africa, ciò che indiscutibilmente ha accelerato la caduta del regime razzista dell’apartheid. - La Rivoluzione cubana, della quale Fidel Castro è stato l’ispiratore, il teorico e il leader, continua ad essere, grazie ai suoi successi e nonostante i suoi difetti, un importante riferimento per milioni di diseredati del pianeta. Qui o là, in America Latina e in altre parti del mondo, uomini e donne protestano, lottano e talvolta muoiono cercando di creare regimi ispirati al modello cubano. - La caduta del muro di Berlino nel 1989, il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e il fallimento storico del socialismo di stato non cambiarono il sogno di Fidel Castro di stabilire a Cuba una società di tipo nuovo, più giusta, più sana, più istruita, senza privatizzazioni o discriminazioni di alcun tipo, e con una cultura globale totale. - Fino alla vigilia della sua morte a 90 anni, è rimasto in trincea, in difesa dell’ecologia e dell’ambiente, e contro la globalizzazione neoliberista, a condurre la battaglia per le idee in cui credeva e a cui niente e nessuno lo ha costretto a rinunciare. - Nel panteon mondiale dedicato a coloro che con più impegno hanno combattuto per la giustizia sociale e profuso più solidarietà in favore degli oppressi della Terra, Fidel Castro – piaccia o no ai suoi detrattori – ha un posto sicuro. - L’ho conosciuto nel 1975 e ho conversato con lui in molteplici occasioni, ma, per un lungo periodo di tempo, in circostanze sempre molto professionali, in occasione di reportage dall’isola o la partecipazione a qualsiasi conferenza o un evento. Quando abbiamo deciso di scrivere il libro “Fidel Castro. Biografia a due voci” (o “Cento ore con Fidel”), mi ha invitato ad accompagnarlo per giorni in diversi viaggi. Sia a Cuba (Santiago, Holguin, L’Avana) che all’estero (Ecuador). In auto, in aereo, a piedi, a pranzo o cena, abbiamo parlato a lungo. Senza un registratore. Di tutti i possibili argomenti, notizie del giorno, delle sue esperienze passate e delle sue preoccupazioni presenti. Conversazioni che poi ricostruivo a memoria nei miei taccuini. Poi, per tre anni, ci siamo incontrati molto spesso, almeno per qualche giorni, una volta ogni tre mesi. - Ho scoperto così un Fidel intimo. Quasi timido. Molto gentile. Che ascoltava con attenzione ogni interlocutore. Sempre attento agli altri, e in particolare ai suoi collaboratori. Non ho mai sentito una sua parola più alta delle altre. Mai un ordine. Con modi e gesti di cortesia d’altri tempi. Un gentiluomo. Con un alto senso del rispetto di sé. Che viveva, così ho potuto vedere, in modo spartano. Mobili austeri, cibo sano e frugale. Uno stile di vita da monaco-soldato. - La sua giornata di lavoro di solito si concludeva alle sei o sette di mattina quando il giorno spuntava. Più di una volta ha interrotto la nostra conversazione alle due o tre del mattino, perché doveva ancora di partecipare ad “incontri importanti”… Dormiva solo quattro ore, più, di tanto in tanto, una o due ore, in un qualsiasi momento della giornata. - Ma era anche un grande mattiniero. E instancabile. Viaggi, trasferimenti, riunioni si susseguivano senza tregua. In un ritmo serrato. I suoi assistenti – tutti i trentenni giovani e brillanti – erano alla fine della giornata, esausti. Dormivano in piedi. Incapaci di tenere il passo con quel gigante infaticabile. - Fidel reclamava memo, report, notizie, statistiche, sintesi di televisione o radio, telefonate… Non smetteva un momento di pensare, rimuginare. Sempre attento, sempre in azione, sempre a capo di un piccolo stato maggiore – i suoi assistenti – per combattere una nuova battaglia. Sempre con idee nuove. Pensare l’impensabile. Immaginare l’inimmaginabile. Con una spettacolare audacia mentale.
Mentre le nazioni dell’America Latina, in teoria indipendenti da un secolo e mezzo, erano sfruttate da minoranze privilegiate, oggetto di discriminazione sociale ed etnica, e spesso sottoposte a dittature sanguinarie protette da Washington. - Fidel ha resistito all’aggressione di addirittura dieci presidenti americani (Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figlio). Ha intrattenuto rapporti con i leader chiave che hanno segnato il mondo dopo la seconda guerra mondiale (Nehru, Nasser, Tito, Krusciov, Olof Palme, Ben Bella, Boumedienne, Arafat, Indira Gandhi, Salvador Allende, Breznev, Gorbaciov, Mitterrand, Giovanni Paolo II, il re spagnolo Juan Carlos, ecc.). E ha incontrato alcuni dei più importanti intellettuali e artisti del suo tempo (Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Arthur Miller, Pablo Neruda, Jorge Amado, Rafael Alberti, Guayasamín, Cartier-Bresson, José Saramago, Gabriel Garcia Marquez, Eduardo Galeano, Noam Chomsky, ecc.). - Sotto la sua guida, il suo piccolo paese (100 mila km quadrati, 11 milioni di persone) ha potuto condurre una politica da grande potenza a scala mondiale, sfidando gli Stati Uniti, i cui capi non sono riusciti o eliminarlo, o a cambiare il corso della rivoluzione cubana. Infine, nel dicembre 2014, hanno dovuto ammettere il fallimento delle loro politiche anti-cubane, la loro sconfitta diplomatica e avviare un processo di normalizzazione che comprende il rispetto per il sistema politico cubano. - Nell’ottobre del 1962, la terza guerra mondiale fu sul punto di esplodere a causa dell’atteggiamento del governo degli Stati Uniti che protestava contro l’installazione di missili nucleari sovietici a Cuba, la cui funzione era, soprattutto, di evitare un altro sbarco armato come quello di Playa Giron (la Baia dei Porci) o qualcos’altro del genere direttamente organizzato dalel forze armate degli Stati Uniti per rovesciare la rivoluzione cubana. - Da oltre 50 anni, Washington (nonostante il ripristino delle relazioni diplomatiche) impone a Cuba un devastante embargo commerciale – rinforzato dalle leggi Helms-Burton e Torricelli negli anni novanta – che ostacolano uno sviluppo economico normale. Con conseguenze tragiche per gli abitanti. Washington continua anche a condurre una guerra ideologica permanente contro L’Avana attraverso la potente radio “Martí” e TV “Marti”, installate in Florida per inondare Cuba di propaganda come nei giorni peggiori della guerra fredda. - Inoltre, diverse organizzazioni terroristiche – Alpha 66 e Omega 7 – ostili al regime cubano, hanno sede in Florida, dove hanno campi di addestramento, e da dove hanno inviato regolarmente, con la complicità passiva delle autorità statunitensi, commando armati a commetetre attentati. Cuba è il paese che ha avuto più vittime (circa 3.500 morti) e che più ha sofferto del terrorismo negli ultimi 60 anni. - Di fronte a così forte e così permanente attacco, le autorità cubane hanno predicato, all’interno, l’unione ad ogni costo. E hanno applicato a modo loro il vecchio motto di Sant’Ignazio di Loyola: “In una fortezza assediata, ogni dissidenza è tradimento”. Ma non c’è mai stato, fino alla morte di Fidel, nessun culto della personalità. Né ritratto ufficiale o statua, o simbolo, o moneta, o strada, o un edificio o un monumento con il nome o la figura di Fidel, o uno qualsiasi dei capi della rivoluzione ancora viventi. - Cuba, un piccolo paese aggrappato alla sua sovranità, ha ottenuto sotto la guida di Fidel Castro, nonostante le vessazioni esterne permanenti, risultati eccezionali nello sviluppo umano: abolizione del razzismo, emancipazione delle donne, sradicamento dell’analfabetismo, drastica riduzione della mortalità infantile, aumento del livello culturale generale… nell’educazione, la salute, la ricerca medica e lo sport, Cuba ha raggiunto livelli che lo collocano nel gruppo delle nazioni più avanzate. - La sua diplomazia rimane una delle più attive al mondo. L’Avana, negli anni sessanta e settanta, ha appoggiato le guerriglie che combattevano in molti paesi dell’America Centrale (El Salvador, Guatemala, Nicaragua) e del Sud America (Colombia, Venezuela, Bolivia, Argentina). Le forze armate cubane hanno partecipato a campagne militari di grande importanza, soprattutto in Etiopia e Angola. Il loro intervento in quest’ultimo paese ha causato la sconfitta delle divisioni d’élite della Repubblica del Sud Africa, ciò che indiscutibilmente ha accelerato la caduta del regime razzista dell’apartheid. - La Rivoluzione cubana, della quale Fidel Castro è stato l’ispiratore, il teorico e il leader, continua ad essere, grazie ai suoi successi e nonostante i suoi difetti, un importante riferimento per milioni di diseredati del pianeta. Qui o là, in America Latina e in altre parti del mondo, uomini e donne protestano, lottano e talvolta muoiono cercando di creare regimi ispirati al modello cubano. - La caduta del muro di Berlino nel 1989, il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e il fallimento storico del socialismo di stato non cambiarono il sogno di Fidel Castro di stabilire a Cuba una società di tipo nuovo, più giusta, più sana, più istruita, senza privatizzazioni o discriminazioni di alcun tipo, e con una cultura globale totale. - Fino alla vigilia della sua morte a 90 anni, è rimasto in trincea, in difesa dell’ecologia e dell’ambiente, e contro la globalizzazione neoliberista, a condurre la battaglia per le idee in cui credeva e a cui niente e nessuno lo ha costretto a rinunciare. - Nel panteon mondiale dedicato a coloro che con più impegno hanno combattuto per la giustizia sociale e profuso più solidarietà in favore degli oppressi della Terra, Fidel Castro – piaccia o no ai suoi detrattori – ha un posto sicuro. - L’ho conosciuto nel 1975 e ho conversato con lui in molteplici occasioni, ma, per un lungo periodo di tempo, in circostanze sempre molto professionali, in occasione di reportage dall’isola o la partecipazione a qualsiasi conferenza o un evento. Quando abbiamo deciso di scrivere il libro “Fidel Castro. Biografia a due voci” (o “Cento ore con Fidel”), mi ha invitato ad accompagnarlo per giorni in diversi viaggi. Sia a Cuba (Santiago, Holguin, L’Avana) che all’estero (Ecuador). In auto, in aereo, a piedi, a pranzo o cena, abbiamo parlato a lungo. Senza un registratore. Di tutti i possibili argomenti, notizie del giorno, delle sue esperienze passate e delle sue preoccupazioni presenti. Conversazioni che poi ricostruivo a memoria nei miei taccuini. Poi, per tre anni, ci siamo incontrati molto spesso, almeno per qualche giorni, una volta ogni tre mesi. - Ho scoperto così un Fidel intimo. Quasi timido. Molto gentile. Che ascoltava con attenzione ogni interlocutore. Sempre attento agli altri, e in particolare ai suoi collaboratori. Non ho mai sentito una sua parola più alta delle altre. Mai un ordine. Con modi e gesti di cortesia d’altri tempi. Un gentiluomo. Con un alto senso del rispetto di sé. Che viveva, così ho potuto vedere, in modo spartano. Mobili austeri, cibo sano e frugale. Uno stile di vita da monaco-soldato. - La sua giornata di lavoro di solito si concludeva alle sei o sette di mattina quando il giorno spuntava. Più di una volta ha interrotto la nostra conversazione alle due o tre del mattino, perché doveva ancora di partecipare ad “incontri importanti”… Dormiva solo quattro ore, più, di tanto in tanto, una o due ore, in un qualsiasi momento della giornata. - Ma era anche un grande mattiniero. E instancabile. Viaggi, trasferimenti, riunioni si susseguivano senza tregua. In un ritmo serrato. I suoi assistenti – tutti i trentenni giovani e brillanti – erano alla fine della giornata, esausti. Dormivano in piedi. Incapaci di tenere il passo con quel gigante infaticabile. - Fidel reclamava memo, report, notizie, statistiche, sintesi di televisione o radio, telefonate… Non smetteva un momento di pensare, rimuginare. Sempre attento, sempre in azione, sempre a capo di un piccolo stato maggiore – i suoi assistenti – per combattere una nuova battaglia. Sempre con idee nuove. Pensare l’impensabile. Immaginare l’inimmaginabile. Con una spettacolare audacia mentale.
Una volta
definito un progetto, nessun ostacolo lo fermava. La sua realizzazione andava
da sé. “L’intendenza seguirà”, diceva Napoleone. Fidel lo stesso. Il suo
entusiasmo catturava l’adesione. Suscitava le volontà. Come un fenomeno quasi
magico, si vedevano materializzarsi idee, diventare fatti palpabili, cose,
eventi. - La sua abilità retorica, così spesso descritta, era prodigiosa.
Fenomenale. Non parlo dei suoi discorsi pubblici, ben noti. Ma di una semplice
conversazione a cena. Fidel era un torrente di parole.
Una valanga. Che accompagnava con i gesti delle sue mani sottili. - Gli piacevano la precisione, l’accuratezza, la tempestività. Con lui, nessuna approssimazione. Una memoria prodigiosa, una precisione insolita. Travolgente. Così ricca che a volte sembrava impedirgli di pensare in modo sinteticoe. Il suo pensiero era una fioritura di concetti. E tutto era concatenato. Tutto aveva a che fare con tutto. Digressioni costanti. Parentesi permanenti. Lo sviluppo di un tema lo portava, per associazione, per la memoria di quel certo dettaglio, situazione o personaggio, a evocare un tema parallelo, e un altro, e un altro, e un altro. E si allontanava dal tema centrale. A tal punto che l’interlocutore temeva avesse perso il filo. Ma poi ripercorreva i suoi passi, e tornava ad afferrare, con sorprendente facilità, l’idea principale.
Una valanga. Che accompagnava con i gesti delle sue mani sottili. - Gli piacevano la precisione, l’accuratezza, la tempestività. Con lui, nessuna approssimazione. Una memoria prodigiosa, una precisione insolita. Travolgente. Così ricca che a volte sembrava impedirgli di pensare in modo sinteticoe. Il suo pensiero era una fioritura di concetti. E tutto era concatenato. Tutto aveva a che fare con tutto. Digressioni costanti. Parentesi permanenti. Lo sviluppo di un tema lo portava, per associazione, per la memoria di quel certo dettaglio, situazione o personaggio, a evocare un tema parallelo, e un altro, e un altro, e un altro. E si allontanava dal tema centrale. A tal punto che l’interlocutore temeva avesse perso il filo. Ma poi ripercorreva i suoi passi, e tornava ad afferrare, con sorprendente facilità, l’idea principale.
In nessun
momento, in più di un centinaio di ore di colloqui, Fidel ha messo un limite
qualunque ai temi da affrontare. Come l’intellettuale che era, e di un calibro
considerevole, non temeva il dibattito. Al contrario, lo chiedeva, lo
stimolava. Sempre pronto a disuptare con chiunque. Con molto rispetto per
l’altro.
Con molta attenzione. Ed era un ragionatore e un polemista formidabile. A cui ripugnavano solo la mala fede e l’odio.
Con molta attenzione. Ed era un ragionatore e un polemista formidabile. A cui ripugnavano solo la mala fede e l’odio.
Traduzione di Pierluigi Sullo -
Fonte: Il manifesto Bologna
giovedì 24 novembre 2016
TORTORELLA - IL NO E' UNA GARANZIA PER L'AVVENIRE
Il NO è una garanzia per l’avvenire
di Aldo Tortorella
Questo testo è l’intervento inviato all’Anpi di
Perugia. Ai più giovani ricordiamo che Aldo Tortorella è stato uno dei dirigenti
del PCI più vicini a Enrico Berlinguer. Una breve scheda biografica del
partigiano Aldo Tortorella la trovate sul sito
dell’ANPI.
Care compagne e
cari compagni, un malanno invernale, complice l’età, mi impedisce di essere oggi
con voi come avrei desiderato per dirvi innanzitutto tutta la mia indignazione
per il modo con cui si viene svolgendo questa campagna referendaria da parte di
coloro che oggi hanno il governo del Paese. Trovo scandaloso che i pubblici
poteri siano impegnati ad alimentare con ogni mezzo compresi quelli meno leciti
una campagna di disinformazione e di falsità. La televisione in ogni ora del
giorno e della notte è occupata da questo presidente del consiglio il quale con
tutti i problemi che ci sono non ha altro da fare che saltare da un programma
all’altro o da un palco all’altro palco a far la sua propaganda e a propagandare
se stesso.
Più che un uomo di governo abbiamo un attore televisivo, oltre che uno studente bocciato dal suo professore di diritto costituzionale.
Più che un uomo di governo abbiamo un attore televisivo, oltre che uno studente bocciato dal suo professore di diritto costituzionale.
Dire che il
maggiore problema della repubblica è la presunta lentezza legislativa dovuta al
bicameralismo è una favola. In Italia si fanno anche troppe leggi e il guaio è
che spesso sono leggi sbagliate. E molte leggi sbagliate sono state e vengono
approvate anche troppo rapidamente come è accaduto e accade alle leggi
governative definite decreti d’urgenza. Il primato spetta alla sciagurata legge
Fornero sulle pensioni approvata in 16 giorni. Tutti i decreti-legge di questo
governo sono passati in meno di 44 giorni. Il presidente del consiglio dunque
mente sapendo di mentire quando dice che vuole questo stravolgimento della
Costituzione per fare presto. Ha fatto anche troppo presto con molte misure
dannose per i lavoratori e per il paese.
Sono le leggi di
iniziativa parlamentare ad andare lentamente ma il motivo sta non nel
bicameralismo ma nelle liti interne alle maggioranze. Un esempio: la legge
anticorruzione d’iniziativa parlamentare ha impiegato 798 giorni per essere
approvata e cioè due anni e due mesi e si capisce perché: non andava mai
abbastanza bene a questo o a quel gruppo di maggioranza. Due anni e due mesi per
annacquarla e sciacquarla fino a renderla la più innocua possibile.
La verità è che
si vuole una Camera che conti eletta con sistema ultramaggioritario per dare più
potere al governo di imporre la propria volontà sopra e contro la rappresentanza
popolare. Questa contro riforma della Costituzione stabilisce che il governo ha
la priorità su tutte le leggi del suo programma e non più solo sui decreti
d’urgenza e ha il potere di fissare il tempo massimo di discussione, 70 giorni.
Con questo sistema inaudito in qualsiasi regime liberal-democratico il governo
diventerebbe il padrone della rappresentanza parlamentare a sua volta truccata.
Già oggi la Camera è eletta con un sistema maggioritario, quello del porcellum,
che ha dato la maggioranza assoluta alla coalizione di centro sinistra arrivata
di poco avanti alla destra. E la nuova legge elettorale già in vigore è ancora
peggio, anche se ora si sono accorti che può essere disastrosa. Dopo avere
giurato sulla sua bontà e averla imposta con tre voti di fiducia ora dicono di
volerla cambiare, ma senza toccare il maggioritario. Per difendere la loro
controriforma , dicono anche il Pci alla costituente era per una sola camera.
Certo, ma con il parlamento “specchio del Paese” e cioè con la legge elettorale
proporzionale. E poi il Pci accettò il bicameralismo perché intese che era una
garanzia in più nel duro periodo che si veniva aprendo con la rottura dell’unità
antifascista e con la guerra fredda iniziata proprio nel 1947, mentre si
lavorava alla Costituzione. E comunque, secondo il Pci, il Senato doveva essere
eletto dal popolo.
Dunque il
presidente del consiglio imbroglia sapendo di imbrogliare quando dice che non ha
toccato i poteri del presidente del consiglio. Non li ha toccati perché ha
toccato e esaltato il potere del governo e dunque del capo partito che lo
guiderà. Già oggi lui governa come espressione di una minoranza del 29 per cento
dei voti contro le opposizione che rappresentano il doppio. E con la sua
controriforma, domani, un capo partito che può essere un qualsiasi seguace
nostrano di Trump o di Le Pen o qualche altro avventuriero può ancor più di lui
spadroneggiare l’Italia. Con le mani di un partito formalmente di centro
sinistra si prepara la via al peggio, come successe negli anni 20 del ‘900 al
Parlamento della Repubblica democratica di Weimar nata dal crollo dell’impero
tedesco seguìto alla prima guerra mondiale. Essendoci molti disordini di piazza,
il Parlamento democratico tedesco stabilì che in caso di stato d’eccezione le
garanzie costituzionali potevano essere sospese. La coalizione nazista vinse le
elezioni, decretò lo stato d’eccezione e iniziò la propria criminale avventura.
Diceva un proverbio antico che Dio fa impazzire coloro che vuol perdere. In
questo caso, però, la colpa non è di Dio, ma di chi dà ascolto a questi
scriteriati saltimbanchi del potere per il potere o a quelli che usano i soldi
per il potere e il potere per i soldi.
E non è meno
scandaloso dire che si sopprime il Senato, quando non lo si sopprime affatto ma
lo si ridicolizza trasformandolo in una Camera di consiglieri regionali e
sindaci a tempo perso, in più gravandolo di compiti cosi confusi che i
costituzionalisti prevedono forieri di guai. Si dice che così si vuole dar voce
ai territori: ma nello stesso tempo si stabilisce che lo stato di guerra adesso
sarà deciso dall’unica Camera , cioè da un partito minoritario e dal suo capo.
Si vede che in caso di guerra i territori non devono aver niente da dire. Si
sparano cifre assurde di risparmi inesistenti, smentiti dalla ragioneria
generale dello stato. Si conduce una campagna qualunquista contro quelli che non
vogliono perdere le poltrone, ma io che vi scrivo adesso non ho alcuna poltrona
da perdere o da conquistare. Ho solo avuto da conquistare qualche malanno
aggirandomi per l’Italia a testimoniare contro questa bruttura, perché penso a
chi la Costituzione l’ha conquistata e ci ha lasciato la vita o a chi ha speso
tutta l’esistenza a difenderla e ora non può più farlo.
I guai
dell’Italia non dipendono dalla Costituzione. Con questa Costituzione abbiamo
ricostruito l’Italia garantendone, nel bene e nel male, lo sviluppo, abbiamo
conquistato diritti sociali e civili. I guai dell’Italia dipendono piuttosto dal
fatto che il programma costituzionale è stato sempre combattuto e in larga
misura è rimasto inapplicato. Per cinquant’anni l’Italia è stata una democrazia
dimezzata dalla convenzione imposta dall’estero per escludere il più forte
partito d’opposizione dal governo, anche quando nessun governo si poteva fare
senza i suoi voti. Ma l’obiettivo vero era un altro, era proprio quella
Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro e va oltre la eguaglianza
formale, pur indispensabile, impegnando lo Stato a rimuovere “gli ostacoli
economici e sociali” che limitano di fatto libertà ed eguaglianza, e così
statuendo il principio dell’uguaglianza sostanziale. Di qui viene l’affermazione
del lavoro non più come una merce, ma come un diritto da garantire, viene il
criterio della retribuzione da adeguare in ogni caso ad una vita libera e
dignitosa, viene la indicazione del compito sociale, cioè non egoistico, della
stessa proprietà privata. Ecco lo scandalo: questa Costituzione esalta il lavoro
e non il capitale. E ciò avvenne perché i costituenti, pur divisi da differenti
visioni politiche, venivano in grande maggioranza dalla lotta antifascista e
sapevano che il fascismo era stato una creatura incoraggiata, promossa e
sostenuta innanzitutto dal capitale finanziario, industriale e
agrario.
Fin dai primi
anni questa Costituzione fu definita “una trappola” da parte delle forze più
conservatrici. E la storia dei primi cinquant’anni di vita repubblicana è
segnata, come in nessun altro paese occidentale, da una ininterrotta scia di
eversione e di sangue per spiantare questa possibile nuova democrazia: dallo
stragismo nero al terrorismo detto rosso che con l’assassinio di Moro compì il
capolavoro di portare a compimento il proposito della destra con le mani di
supposti rivoluzionari di sinistra. Con quel delitto cadeva il tentativo estremo
di Berlinguer e di Moro di dare compiutezza alla democrazia italiana e iniziava
il declino.
Ci raccontarono
un quarto di secolo fa che il sistema elettorale maggioritario avrebbe dato
stabilità, risolto problemi annosi, eliminato i piccoli partiti. Ma i fatti sono
stati un ventennio di berlusconismo e l’aggravamento di tutti i problemi, dal
debito alla disoccupazione. E mai ci sono stati tanti partiti in Parlamento e
così pochi militanti fuori, mai c’è stato un tale trasformismo tra deputati e
senatori. Ora c’è l’attacco finale alla Costituzione perché, dicono, offre
troppe garanzie. E dicono che si smantella la seconda parte della costituzione
ma si salvano i principi della prima parte. Ma questo è un discorso per
allocchi. La seconda parte della Costituzione è l’applicazione della prima. La
sovranità popolare si restringe ancora di più con l’accentramento del potere, i
principi sociali già calpestati diventano sempre più carta straccia. Ma ci
dicono che anche la destra dice di votare no. Certo. E noi facemmo la lotta di
liberazione antinazista e antifascista anche con i monarchici. La Costituzione è
di tutti, non proprietà di partito. E si dovrebbe essere lieti che proprio
quelli della destra che hanno sempre attaccato la Costituzione oggi sono
costretti a difenderla perché ne riconoscono finalmente il valore anche per
loro, ora che si sentono in minoranza. E c’è piuttosto da temere che dicano di
votare no, ma pensino e facciano il contrario, seguendo i Verdini e gli
Alfano.
All’origine della
stretta autoritaria, voluta non solo in Italia dai ceti più retrivi, sta il
fatto che non si riesce a uscire dalla crisi: dalla lunga crisi iniziata dopo
gli anni settanta e da quella che rischiava di essere catastrofica iniziata nel
2007. La vittoria globale del capitalismo non ha portato a spegnere i suoi
problemi, ma a complicarli. La globalizzazione crea nuovi squilibri e nuovamente
torna la tendenza, come dopo la crisi del 29, alle chiusure nazionaliste, allo
sciovinismo, alle guerre. Allora fu la Germania a imboccare la via della razza
eletta, adesso il razzismo, per ora a fini interni, ha vinto negli Usa. Alle
porte dell’Italia, oltre il mare, c’è la guerra generata dalla ripresa di
velleità egemoniche dei paesi nostri alleati nelle terre del petrolio. Centinaia
di migliaia di morti, milioni di disperati e di profughi. Ecco il motivo della
stretta istituzionale, ecco il pericolo.
Il mio cammino
personale è al termine, e dunque non ho nulla da temere ma temo per questi
giovani di oggi. Altro che lavoro come diritto, salario dignitoso, istruzione
elevata. E il rischio, in tanta frustrazione, è la possibilità che vengano
cacciati in nuove avventure. Ho negli occhi le manifestazioni giovanili per la
guerra in Germania e in Italia nel 39 e nel 40, pagate poi con la catastrofe
loro e di tutti. Le organizzavano i fascisti, ma trascinavano i molti. E non
credo eccessivo l’allarme quando al fanatismo della setta dell’ISIS si risponde
con il fanatismo antimusulmano nelle manifestazioni con Trump. O con il
fanatismo antiimmigrati di certi ceffi nostrani o di quel paesino di una terra
che fu rossa. Sono solo i sintomi piccoli e grandi di una malattia che si
aggrava. Mai come oggi è necessario il massimo di garanzie. Salvare la
Costituzione è indispensabile, anche se non basta. Si dice che chi difende la
Costituzione è un passatista. E lo dicono questi nuovisti che hanno combinato
solo guai. L’attacco alla Costituzione è in realtà una volontà di ritorno al
passato, quando chi comandava era sicuro di non essere disturbato. Oggi dire di
no è il migliore modo di dire di sì all’avvenire, è l’unico modo di tenere
aperta le porte alla speranza.
JOBS ACT: UN SALTO INDIETRO DI CINQUANT'ANNI. INTERVISTA A PIERGIOVANNI ALLEVA
Jobs Act: un
salto indietro di cinquant'anni. Intervista a Piergiovanni Alleva
Intervista a
Piergiovanni Alleva di Vindice Lecis
Piergiovanni
Alleva è uno dei più importanti giuslavoristi italiani. Ha insegnato diritto
del lavoro nelle università di Bologna e Ancona. Coniuga la scienza giuridica
con la passione politica e l'impegno civile. È stato infatti responsabile della
consulta giuridica della Cgil mentre ora è consigliere regionale dell'Altra
Emilia Romagna e autorevole membro della segreteria nazionale del Partito
comunista italiano. Con lui fuoripagina.it ha discusso del provvedimento del
governo Renzi più propagandato e contrastato, e allo stesso più fallimentare
nei risultati: il cosiddetto Jobs act. Venerdì scorso, celebrando i suoi mille
giorni di governo, Renzi ha dichiarato che "il jobs act è la legge che ha
inciso in maniera più forte sulla realtà".
"Mi
verrebbe da dire, con amarezza che è vero. Si tratta infatti della peggior
legge varata nel dopoguerra e tale da provocare un salto indietro di
cinquant'anni".
Non si
tratta solo di dati occupazionali deludenti quindi...
" Il
Jobs Act consiste in una sistematica distruzione dei diritti che assicuravano
dignità ai lavoratori italiani. Con la pratica abolizione dell'articolo 18
dello Statuto, i lavoratori sono ormai privi di difesa contro ogni tipo di
sopraffazione. Lo possiamo valutare meglio ora con gli otto decreti attuativi
in funzione: si tratta di un'operazione reazionaria molto articolata. Un
attacco scientifico della finanza speculativa".
Per ottenere
quale risultato?
"Ma è
evidente. L'abbassamento del costo del lavoro e la spoliazione dei diritti
finalizzati all'umiliazione dei lavoratori".
Governo e
padronato dicevano: meno diritti e più occupazione.
"Meno
diritti e anche meno lavoro e di minor qualità. Il risultato è un fallimento.
Spiego perché. Per sostenere questa infondata tesi il governo Renzi ha pensato
di ricorrere ad un costosissimo trucco che gli avrebbe consentito poi di
propagandare dei risultati. Dunque si trattava di dotare i nuovi contratti di
lavoro a tempo indeterminato, privi però della garanzia dell'art. 18, di un
incentivo economico davvero poderoso, drogando in qusto modo le assunzioni nel
periodo subito successivo al Jobs Act, nell'anno 2015".
Renzi
annuncia successi nelle assunzioni a tempo indeterminato.
"Contratti
instabili, senza tutele, che possono essere sciolti con un avviso e un
risarcimento. Da qui i licenziamenti cresciuti. Operazione direi criminale per
avere un risultato drogato e limitato nel tempo, con contratti privi di
articolo 18".
Operazione
costosissima...
"Ottomila
euro l'anno per tre anni vuol dire 24 mila euro di decontribuzione a contratto.
Si chiama furto di denaro pubblico. Solo che, prima, gli ispettorati Inps
vigilavano e controllavano. Ora hanno smesso di farlo. Praticamente abbiamo
regalato 10 miliardi agli evasori. Ecco perché sono cresciuti i contratti senza
articolo 18."
Assunzioni
col trucco?
"Vede,
l'unica condizione era che il lavoratore da assumere non avesse già avuto un
contratto di lavoro a tempo indeterminato negli ultimi sei mesi precedenti,
perché altrimenti tutti sarebbero ricorsi a licenziamenti, immediatamente
seguiti dalle assunzioni con l'incentivo. La decontribuzione veniva invece
concessa se il lavoratore avesse prima lavorato con contratto precario perché
queste trasformazioni sarebbero state utilizzate dalla propaganda e diventare
il fiore all'occhiello del governo Renzi come grande protagonista della lotta
al precariato".
E i
contratti infatti ora diminuiscono.
"Nel
corso del 2015 si sono registrati 1,4 milioni di nuovi rapporti a tempo
indeterminato incentivati ma, con quasi 500.000 trasformazioni di contratti a
termine e quasi 100.00 di contratti di apprendistato, oltre alle trasformazioni
di centinaia di migliaia di co.co.pro. figura giuridica abrogata dal gennaio di
quest'anno. Ma c'è dell'altro."
Ci
racconti...
"Nel
2016, la decontribuzione è stata ridotta per i contratti di quest'ultimo anno
da 8.060 a 3.250 e la sua durata decurtata da 36 a 24 mesi. Allora l'imbroglio
è stato svelato. L'Inps infatti, nei primi quattro mesi del 2016 ha accertato
una diminuzione del 78% dei contratti a tempo indeterminato, sostituiti da
contratti precari e a termine e addirittura vouchers, forma di mercificazione
inaudita del lavoro umano".
Possiamo
parlare di bluff. Ma che meccanismo si nasconde dietro?
"Un
bluff e anche un reato. Le diverse centinaia di migliaia di trasformazioni dei
contratti precari nascondevano una circostanza: erano quasi sempre irregolari.
Mancava una causale precisa o l'insegnamento come nell'apprendistato o il
progetto, con la conseguenza che per legge quei rapporti dovevano essere
considerati già tutti a tempo indeterminato fin dal loro inizio. E dunque
l'Inps non poteva concedere la decontribuzione legata alla apparente
trasformazione nei nuovi contratti a tutele crescenti. La stessa legge 190/2014
vietava di concedere la decontribuzione ai lavoratori che già fossero in realtà
a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti".
Il jobs act
ha aperto anche la strada ai licenziamenti.
"E'
diventato un'arma di intimidazione individuale e collettiva. Posso citare un
esempio?
Certamente...
"In una
fabbrica i lavoratori dopo aver timbrato l'ingresso volevano indossare i
vestiti da lavoro necessari alle condizioni di sicurezza per quella fabbrica e
poi cominciare. Il padrone invece pretendeva che la vestizione fosse fatta
fuori orario. I lavoratori hanno protestato e il padrone ha licenziato subito
il primo di loro che si era rifiutato. Gli altri sono stati così intimiditi. Il
licenziato al massimo potrà avere 4 mensilità e che resti a casa. Queste sono
le propagandate tutele crescenti".
L'articolo
18 era dunque l'ostacolo da rimuovere, l'architrave da spezzare.
"Una
straordinaria norma anti ricatto che consentiva il godimento di altri diritti.
Era un diritto architrave, appunto. Oggi abbiamo lavoratori sotto il regime
Fornero e altri con il contratto a tutele crescenti. Un balzo enorme indietro,
un peggioramento enorme della disciplina del lavoro".
Il mondo del
lavoro vive questa trasformazione negativa quasi con rassegnazione.
"Certamente
i lavoratori hanno subìto un insulto ma si possono riprendere tutele e diritti.
Con i referendum della Cgil. Che se passassero cancellerebbero le tutele
crescenti, abolirebbero i voucher, reintroducendo i limiti di responsabilità
nella catena degli appalti. Dobbiamo sfruttrare questa occasione e farne un uso
positivo per eliminare l'inferno che si è creato in Italia: via articolo 18,
contratti a termine senza causale, licenziamenti e voucher. Peggio di
così!".
Come giudica
il sistema dei nuovi ammortizzatori?
"Sono
un netto peggioramento. Abolita l'indennità di mobilità, abolite molte causali
della cassa integrazione e ridotte le altre. Ora c'è il modello americano,
della fabbrica a fisarmonica: licenzio e assumo, lavoratori come stracci".
E la Naspi?
"La
tanto decantata Naspi è esattamente il contrario di ciò che deve essere la
sicurezza sociale. Basata come è sul presupposto assicurativo. Perché penalizza
chi ha lavorato poco. La Naspi è ridicola. Questo chiude il cerchio: abbiamo la
sottrazione di tutele nel posto di lavoro, non c'è cassa integrazione e
mobilità, la Naspi penalizza. Vogliono i lavoratori come cagnolini fedeli ai
datori di lavoro".
E poi c'è il
famigerato articolo 8 sulla contrattazione di prossimità sfascia contratti
collettivi...
"Deroga
da tutte le leggi di contrattazione. Retaggio del governo Berlusconi. In teoria
potremmo avere centomila diritti del lavoro diversi. Sostituisce con contratti
aziendali, chi riesce a farli, i contratti nazionali".
Fonte:
fuoripagina.it
giovedì 17 novembre 2016
martedì 15 novembre 2016
sabato 12 novembre 2016
giovedì 10 novembre 2016
mercoledì 9 novembre 2016
LE ELEZIONI NON LE HA VINTE TRUMP MA LE HA PERSE LA CLINTON
USA – FERRERO (PRC – SINISTRA
EUROPEA): «SANDERS ERA L’UNICO CHE POTEVA VINCERE. LE ELEZIONI NON LE HA VINTE
TRUMP MA LE HA PERSE LA CLINTON, IDENTIFICATA CON I POTERI FINANZIARI»
Paolo
Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea,
dichiara:
«Negli USA
l’unico che poteva sconfiggere Trump era Bernie Sanders, socialista e
chiaramente schierato contro i potentati economici. Alle elezioni statunitensi
non ha vinto Trump ma ha perso la Clinton che è stata identificata con i poteri
finanziari. Non a caso i voti per i candidati indipendenti e Verdi sono
triplicati rispetto alle ultime elezioni e hanno determinato la sconfitta della
Clinton. I Renzi, le Merkel e gli Hollande stanno aprendo la strada alle destre
populiste e fascistoidi, solo una sinistra antiliberista può sconfiggere i poteri
forti e le destre! Per questo anche in Italia proponiamo di dar vita ad una
sinistra antiliberista, unitaria e di popolo, per far pagare i ricchi ed
evitare la guerra tra i poveri».
lunedì 7 novembre 2016
APPUNTAMENTI SULLA RAI CON RIFONDAZIONE PER IL NO AL REFERENDUM
Appuntamenti sulla Rai con Rifondazione per il NO al referendum
Nell’ambito dell’informazione Rai per il referendum
costituzionale del prossimo 4 dicembre, trai sostenitori del NO, Rifondazione
Comunista parteciperà ai seguenti appuntamenti:
Referendum costituzionale – messaggi autogestiti radio
venerdì 18/11 su Radio 1 alle 10.25 Paolo Ferrero
Referendum costituzionale – messaggi autogestiti TV
mercoledì 9/11 Rai 3 ore 10.55 circa Paolo Ferrero
Rai Parlamento – Referendum costituzionale – tribune TV e
radio
mercoledi 16/11 Rai 3 ore 15.15 circa + Radio 1 ore 23.05
circa Maurizio Acerbo
martedì 29/11 Rai 1 ore 14 circa + Radio 1 ore 17 circa Lidia Menapace
sabato 5 novembre 2016
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