lunedì 26 settembre 2016

RANIERO LA VALLE - LA VERITÀ SUL REFERENDUM

La verità sul referendum
di Raniero La Valle

Cari amici, poichè ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose. Non sarebbe necessario essere qui per dirvi come sono andate le cose, se noi ci trovassimo in una situazione normale. Ma se guardiamo quello che accade intorno a noi, vediamo che la situazione non è affatto normale. Che cosa infatti sta succedendo? Succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa, di Pozzallo o di Siracusa dove noi facciamo bagni e pesca subacquea. Sessantadue milioni di profughi, di scartati, di perseguitati sono fuggiaschi, gettati nel mondo alla ricerca di una nuova vita, che molti non troveranno.
Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni.
E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato.
E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra, in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio.
E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori.
Fallisce il G20 ad Hangzhou in Cina. I grandi della terra, che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo, non sanno che pesci pigliare e il vertice fallisce. Non sanno che fare per i profughi, non sanno che fare per le guerre, non sanno che fare per evitare la catastrofe ambientale, non sanno che fare per promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra, e l’unica cosa che decidono è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania.
E in tutto questo l’Italia che fa? Fa eleggere i senatori dai consigli regionali.
E ancora: l’Italia è a crescita zero, la disoccupazione giovanile a luglio è al 39 per cento, il lavoro è precario, i licenziamenti nel secondo trimestre sono aumentati del 7,4 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo 221.186 persone, i poveri assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone.
E l’Italia che fa? Fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola persona.
Ma si dice: ce lo chiede l’Europa. Ma se è questo che ci chiede l’Europa vuol dire proprio che l’istituzione europea ha completamente perduto non solo ogni residuo del sogno delle origini ma anche ogni senso della realtà e dei suoi stessi interessi vitali.
Ma se questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così.
La verità è rivoluzionaria, ma se si viene a sapere
E’ venuto dunque il momento di dire la verità sul referendum. La verità è rivoluzionaria nel senso che interrompe il corso delle cose esistenti e crea una situazione nuova.
Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il tempo è passato, il kairós non è stato afferrato al volo e la verità non è più utile a salvarci.
Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco.
Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo e oggi non rischieremmo l’elezione di Trump in America.
Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata precipitata.
Dunque la verità del referendum va conosciuta finché si è in tempo.
Ma la verità del referendum non è quella che ci viene raccontata. Ci dicono per esempio che la sua prima virtù sarebbe il risparmio sui costi della politica, e che i soldi così ottenuti si darebbero ai poveri. Ma così non è: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il cui compito è di verificare la certezza e l’affidabilità dei conti pubblici, il risparmio si ridurrebbe a cinquantotto milioni che si otterrebbero togliendo la paga ai senatori, mentre resterebbe il costo del Senato, e i poveri non c’entrano niente.
L’altra virtù del referendum sarebbe il risparmio sui tempi della politica. Ci dicono infatti di voler abolire la navetta delle leggi tra Camera e Senato. Ma così non è. In realtà si allungano i tempi della produzione legislativa; infatti si introducono sei diversi tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere: 1) le leggi sempre bicamerali, Camera e Senato, come le leggi costituzionali, elettorali e di interesse europeo; 2) le leggi fatte dalla sola Camera che entro dieci giorni possono essere richiamate dal Senato; 3) le leggi che invadono la competenza regionale che il Senato deve entro dieci giorni prendere in esame; 4) le leggi di bilancio che devono sempre essere esaminate dal Senato che ha quindici giorni per proporre delle modifiche; 5) le leggi che il Senato può chiedere alla Camera di esaminare entro sei mesi; 6) le leggi di conversione dei decreti legge che hanno scadenze e tempi convulsi se richiamate e discusse anche dal Senato. Ciò crea un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze il cui conflitto dovrebbe essere risolto d’intesa tra gli stessi presidenti delle due Camere che configgono tra loro.
Ci dicono poi che col referendum si assicura la stabilità politica, e almeno fino a ieri ci dicevano che al contrario se perde il referendum Renzi se ne va. Ma queste non sono le verità del referendum. Finché si resta a questo la verità del referendum non viene fuori.
Non è la legge Boschi il vero oggetto del referendum
La verità del referendum sta dietro di esso, è la verità nascosta che esso rivela: il referendum infatti non è solo un fatto produttore di effetti politici, è un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla situazione com’è. È uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco. Il referendum come cunto de li cunti, potremmo dire in Sicilia, il racconto dei racconti, come togliere il velo del tempio per vedere quello che ci sta dietro, se ci sta Dio o l’idolo. Il referendum come rivelatore dello stato del mondo.
Ora, per trovare la verità nascosta del referendum, il suo vero movente, la sua vera premeditazione, bisogna ricorrere a degli indizi, come si fa per ogni giallo.
Il primo indizio è che Renzi ha cambiato strategia, all’inizio aveva detto che questa era la sua vera impresa, che su questo si giocava il suo destino politico. Ora invece dice che il punto non è lui, che lui non è la vera causa della riforma, ha detto di aver fatto questa riforma su suggerimento di altri e ha nominato esplicitamente Napolitano; ma è chiaro che non c’è solo Napolitano. Prima
ancora di Napolitano c’era la banca J. P. Morgan che in un documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, aveva indicato quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel dopoguerra: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere.
Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il Financial Times ed il Wall Street Journal, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia viene il NO, gli investimenti se ne vanno.
Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo. Delle due Camere di fatto è rimasta una sola, come a dire: cominciamo con una, poi si vedrà. Il Senato lo hanno fatto così brutto deforme e improbabile, che hanno costretto anche i fautori del Senato a dire che se deve essere così, è meglio toglierlo. Inoltre il potere esecutivo sarà anche padrone del calendario dei lavori parlamentari. Il rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il governo viene poi vanificato non solo perché l’esecutivo non avrà più bisogno di fare i conti con quello che resta del Senato, ma perché dovrà ottenere la fiducia da un solo partito. La legge elettorale Italicum prevede infatti che un solo partito avrà - quale che sia la percentuale dei suoi voti, al primo turno o al ballottaggio - la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (340 deputati su 615). Il problema della fiducia si riduce così ad un rapporto tra il capo del governo e il suo partito e perciò ricadrà sotto la legge della disciplina di partito. Quindi non sarà più una fiducia libera, non sarà una vera fiducia, sarà per così dire un atto interno di partito, che addirittura può ridursi al rapporto tra un partito e il suo segretario.
Per quanto riguarda le altre richieste dei poteri economici, i diritti del lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act, il rapporto tra Stato e Regioni ha subito un rovesciamento, perché dall’ubriacatura regionalista si ritorna a un centralismo illimitato, mentre, assieme alla riduzione del pluralismo politico, ci sono delle procedure che renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare, e quindi ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere.
Questo è il disegno di un’altra Costituzione. La storia delle Costituzioni è la storia di una progressiva limitazione del potere perché le libertà dipendono dal fatto che chi ha il potere non abbia un potere assoluto e incontrollato, ma convalidato dalla fiducia dei Parlamenti e garantito dal costante controllo democratico dei cittadini. E’ questo che ora viene smontato, per cui possiamo dire che la democrazia in Italia diventa ad alto rischio.
Ma a questo punto è chiaro che quello che conta non è più Renzi, ed è chiaro che quanti sono interessati a questa riforma gli hanno detto di tirarsi indietro, perché a loro non interessa il sì a Renzi, interessa che non vinca il no alla riforma.
Il secondo indizio è il ritardo della data della convocazione, che non è stata ancora fissata dal governo; ciò vuol dire che la partita è troppo importante per farne un gioco d’azzardo, come ne voleva fare Renzi, mentre i sondaggi e le sconfitte alle amministrative sono stati inquietanti. Perciò occorreva meno baldanza da Miles Gloriosus e più preparazione. E occorreva alzare il livello dello scontro, e soprattutto ci voleva il riarmo prima che si giungesse allo scontro finale. Il riarmo per acquisire la superiorità sul terreno era l’acquisto del controllo totale dell’informazione, non solo i giornali, di fatto già posseduti, ma radio e TV, ciò che è stato fatto in piena estate con le nomine alla RAI.
Se davvero si trattava di scorciare i tempi e distribuire un po’ di sussidi ai poveri, non c’era bisogno del controllo totale dell’informazione.
Inoltre bisognava distruggere il principale avversario e fautore politico del No, il Movimento 5 Stelle. Questo spiega l’attacco spietato e incessante alla Raggi. E poi ci volevano i tempi supplementari per distribuire un po’ di soldi con la legge finanziaria.
C’è poi un terzo indizio. Interrogato sul suo voto Prodi dice: non mi pronunzio perché se no turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. Dunque non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo.
Lo spartiacque non è stato l’11 settembre
A questo punto è necessario sapere come sono andate le cose.
Partiamo dall’11 settembre di cui si è tanto parlato ricorrendone l’anniversario in questi giorni.
Il mondo è cambiato l’11 settembre 2001? Tutti hanno detto così. Ma il mondo non è cambiato quel giorno: quello è stato il sintomo spaventoso della malattia che già avevamo contratto. L’11 settembre ha mostrato invece il suo volto il mondo che noi stessi avevamo deciso di costruire dieci anni prima.
Nel 1991 con dieci anni di anticipo sulla sua fine fu da noi chiuso il Novecento, tanto che uno storico famoso lo soprannominò “Il secolo breve” e così fu dato inizio a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere quello definitivo, tanto è vero che un economista famoso lo definì come la “fine della storia” .
Quello che avevamo fatto dieci anni prima dell’11 settembre è che avevamo deciso di rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra; avevamo deciso di rispondere alla cosiddetta fine delle ideologie trasformando il capitalismo da cultura a natura, promuovendolo da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza; avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati, avevamo deciso di sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista.
La scelta decisiva, che non si può chiamare rivoluzionaria perché non fu una rivoluzione ma un rovesciamento, e dunque fu una scelta restauratrice e totalmente reazionaria, fu quella di disarmare la politica e armare l’economia ma non in un solo Paese, bensì in tutto il mondo. Non essendoci più l‘ostacolo di un mondo diviso in due blocchi politici e militari, eguali e contrari, l’orizzonte di questo regime fu la globalità, la mondialisation come dicono i francesi, si stabilì un regime di globalità esteso a tutta la terra.
Quale è stato l’evento in cui ha preso forma e si è promulgata, per così dire questa scelta?
C’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore. Secondo René Girard all’inizio della storia stessa della civiltà c’è il delitto fondatore dell’uccisione della vittima innocente, ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali.
Secondo Hobbes lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza ponendo fine alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della libertà.
Secondo Freud all’origine della società civile c’è il delitto fondatore dell’uccisione del padre.
Se poi si va a guardare la storia si trovano molti delitti fondatori. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”, l’uccisione di Moro è il delitto fondatore dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari.
Ebbene il delitto fondatore dell’attuale regime del capitalismo globale fondato, come dice il papa, sul governo del denaro e un’economia che uccide, è la prima guerra del Golfo del 1991.
La guerra come delitto fondatore e il nuovo Modello di Difesa
È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale.
E noi possiamo ricordare come sono andate le cose a partire dal nostro osservatorio italiano Non è un punto di osservazione periferico, perché l’Italia era una componente essenziale del sistema atlantico e dell’Occidente, ma era anche il Paese più ingenuo e più loquace, sicché spifferava alla luce del sole quello che gli altri architettavano in segreto.
Questa è la ragione per cui posso raccontarvi come sono andate le cose, a partire da una data precisa. E questa data precisa è quella del 26 novembre 1991, quando il ministro della Difesa Rognoni viene alla Commissione Difesa della Camera e presenta il Nuovo Modello di Difesa.
Perché c’era bisogno di un nuovo Modello di Difesa? Perché la difesa com’era stata organizzata in funzione del nemico sovietico, che non c’era più, era ormai superata. Ci voleva un nuovo modello. Il modello di difesa che era scritto nella Costituzione era molto semplice e stava in poche righe: la guerra era ripudiata, la difesa della Patria, intesa come territorio e come popolo, era un sacro dovere dei cittadini. A questo fine era stabilito il servizio militare obbligatorio che dava luogo a un esercito di leva permanente, diviso nelle tre Forze Armate tradizionali. Le norme di principio sulla disciplina militare dell’ 11 luglio 1978, definivano poi i tre compiti delle Forze Armate. Il primo era la difesa dell’integrità del territorio, il secondo la difesa delle istituzioni democratiche e il terzo l’intervento di supporto nelle calamità naturali. Non c’erano altri compiti per le FF.AA. La difesa del territorio comportava soprattutto lo schieramento dell’esercito sulla soglia di Gorizia, da cui si supponeva venisse la minaccia dell’invasione sovietica, e la sicurezza globale stava nella partecipazione alla NATO, che prevedeva anche l’impiego dall’Italia delle armi nucleari.
Con la soppressione del muro di Berlino e la fine della guerra fredda tutto cambia: non c’è più bisogno della difesa sul confine orientale, la minaccia è finita e anche la deterrenza nucleare viene meno. Ci sarebbe la grande occasione per costruire un mondo nuovo, si parla di un dividendo della pace che sono tutti i soldi risparmiati dagli Stati per le armi, con cui si può provvedere allo sviluppo e al progresso di tutti i popoli del mondo; servono meno soldati e anche la durata della ferma di leva può diventare più breve.
Ma l’Occidente fa un'altra scelta; si riappropria della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della prima guerra del Golfo del 1991, cambia la natura della NATO, individua il Sud e non più l’Est come nemico, cambia la visione strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’ONU e anche di cambiare gli ideali della comunità internazionale che erano la sicurezza e la pace. Viene scelto un altro obiettivo: finita la guerra fredda, c’è un altro scopo adottato dalle società industrializzate, spiegherà il nuovo “modello” italiano, ed è quello di “mantenere e accrescere il loro progresso sociale e il benessere materiale perseguendo nuovi e più promettenti obiettivi economici, basati anche sulla certezza della disponibilità di materie prime”. Di conseguenza, si afferma, si aprirà sempre più la forbice tra Nord e Sud del mondo, anche perché il Sud sarà il teatro e l’oggetto della nuova concorrenza tra l’Occidente e i Paesi dell’Est. Alla contrapposizione Est-Ovest si sostituisce quella Nord-Sud.
Tutto questo precipita nel nuovo modello di difesa italiano, è scritto in un documento di duecentocinquanta pagine e il ministro Rognoni, papale papale, lo viene a raccontare alla Commissione Difesa della Camera, di cui allora facevo parte.
E’ un dramma, una rottura con tutto il passato. Cambia il concetto di difesa, il problema, dice il ministro, non è più “da chi difendersi” (cioè da un eventuale aggressore) ma “che cosa difendere e come”. E cambia il che cosa difendere: non più la Patria, cioè il popolo e il territorio, ma “gli interessi nazionali nell’accezione più vasta di tali termini” ovunque sia necessario; tra questi sono preminenti gli interessi economici e produttivi e quelli relativi alle materie prime, a cominciare dal petrolio. Il teatro operativo non è più ai confini, ma dovunque sono in gioco i cosiddetti “interessi esterni”, e in particolare nel Mediterraneo, in Africa (fino al Corno d’Africa) e in Medio Oriente (fino al Golfo Persico); la nuova contrapposizione è con l’Islam e il modello, anzi la chiave interpretativa emblematica del nuovo rapporto conflittuale tra Islam e Occidente, dice il Modello, è quella del conflitto tra Israele da un lato e mondo arabo e palestinesi dall’altro. Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991. L’ho dichiarata anch’io, in quanto membro di quel Parlamento, anche se mi sono opposto.
I compiti della Difesa non sono più solo quei tre fissati nella legge di principio del 1978 ma si articolano in tre nuove funzioni strategiche, quella di “Presenza e Sorveglianza” che è “permanente e continuativa in tutta l’area di interesse strategico” e comprende la Presenza Avanzata che sostituisce la vecchia Difesa Avanzata della NATO, quella di “Difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale”, che è ad “elevata probabilità di occorrenza” (e sono le missioni all’estero che richiedono l’allestimento di Forze di Reazione Rapida), e quella di “Difesa Strategica degli spazi nazionali”, che è quella tradizionale di difesa del territorio, considerata però ormai “a bassa probabilità di occorrenza”.
A seguito di tutto ciò lo strumento non potrà più essere l’esercito di leva, ci vuole un esercito professionale ben pagato. Non serviranno più i militari di leva; già succedeva che i generali non facessero salire gli arruolati come avieri sugli aeroplani, e i marinai sulle navi; ma d’ora in poi i militari di leva saranno impiegati solo come cuochi, camerieri, sentinelle, attendenti, uscieri e addetti ai servizi logistici, sicché ci saranno centomila giovani in esubero e ben presto la leva sarà abolita.
E’ un cambiamento totale. Non cambia solo la politica militare ma cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i rapporti con l’ONU, viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno l’Islam come nemico. Ci vorrebbe un dibattito in Parlamento, non si dovrebbe parlare d’altro. Però nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula e non sarà mai discusso dal Parlamento; forse ci si accorse che quelle cose non si dovevano dire, che non erano politicamente corrette, i documenti e le risoluzioni strategiche dei Consigli Atlantici di Londra e di Roma, che avevano preceduto di poco il documento italiano, erano stati molto più cauti e reticenti, sicché finì che del Nuovo Modello di Difesa per vari anni si discusse solo nei circoli militari e in qualche convegno di studio; ma intanto lo si attuava, e tutto quello che è avvenuto in seguito, dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il papa, è in corso, ne è stato la conseguenza e lo svolgimento.
Il perché della nuova Costituzione
E allora questa è la verità del referendum. La nuova Costituzione è la quadratura del cerchio. Gli istituti della democrazia non sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente, chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano. La politica non deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale. La guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato.
Le Costituzioni non hanno più niente a che fare con una tale concezione della politica e della guerra. Perciò si cambiano. Ci vogliono poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci.
E allora questa è la ragione per cui la Costituzione si deve difendere. Non perché oggi sia operante, perché è stata già cambiata nel ‘91, e il mondo del costituzionalismo democratico è stato licenziato tra l’89 e il ’91 (si ricordi Cossiga, il picconatore venuto prima del rottamatore). Ma difenderla è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale, è la condizione necessaria perché non siano la Costituzione e il diritto che vengono messi in pari con la società selvaggia, ma sia la società selvaggia che con il NO sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto.

Discorso tenuto il 16/09/2016 a Messina nel Salone delle bandiere del Comune in un’assemblea sul referendum costituzionale promossa dall’ANPI e dai Cattolici del NO e il 17/09/2016 a Siracusa in un dibattito con il prof. Salvo Adorno del Partito Democratico, sostenitore delle ragioni del Sì.

Fonte: Pagina Facebook dell'Autore
Originale: https://www.facebook.com/ranierolavalle/posts/10202121565278020


venerdì 23 settembre 2016

23-25 SETTEMBRE FESTA POPOLARE RIFONDAZIONE COMUNISTA #IOVOTONO

23-25 settembre Festa popolare Rifondazione Comunista #ioVotoNO
Una festa per la difesa della nostra Costituzione, per i diritti dei lavoratori e per il futuro della sinistra
Musica – Dibattiti – Cucina – Bar – Stand
VENERDI’ 23 SETTEMBRE
Ore 18.30: Spettacolo di e con Silvano Piccardi “Le ragioni del NO” (con la partecipazione di Suoni e l’Anpi – coro antifascista)
Ore 19.30: Dibattito “Referendum Costituzionale – Una battaglia per la democrazia e per la libertà”
in collaborazione con ANPI provinciale di Milano
Con:
Aldo Giannuli, saggista e storico
Basilio Rizzo, consigliere comunale Milano in Comune
Barbara Pezzini, costituzionalista
Roberto Cenati, Presidente ANPI provinciale di Milano
Pierpaolo Pecchiari, Comitato per il NO Milano
coordina: Matteo Prencipe, Segretario PRC Milano
Ore 21.30: Concerto di Franz Englaro & The Kosmos Gang
SABATO 24 SETTEMBRE
Ore 18.30: Dibattito “Jobs Act – Loi Travail – Piano Hartz – Reforma Laboral. Un’unica strategia Europea per distruggere i diritti dei lavoratori”
Con:
un compagno della Die Linke (Germania)
un compagno del PCF (Francia)
Paco Figueroa, Secretario del Mundo del Trabajo del PCE e membro Consiglio Confederal Comisiones Obreras (Spagna)
coordina: Nadia Rosa, Responsabile Politiche del Lavoro, PRC Milano
Porteranno il proprio contributo lavoratori e lavoratrici del territorio metropolitano milanese
Ore 20.30: Concerto dei CIAPA NO Popular folk band
Ore 22: Dj set Molesti Crew Jacopo Ricciardi & Luca Cerpelloni
dal reggae allo ska, passando al beat, al soul e per finire in bellezza al trash
DOMENICA 25 SETTEMBRE
Ore 19.00: dibattito su “AMERICA LATINA – I nuovi processi di destabilizzazione nel continente. Quale futuro per le sinistre
e quali ripercussioni in Europa?”
Con: Marco Consolo, Responsabile America Latina PRC
Antolin Ayaviri, già Ambasciatore Stato Plurinazionale della Bolivia
Maria Gabriela Vera Basurto, Console generale Ecuador;
coordina: Anna Camposampiero, Responsabile Esteri, PRC Milano
con Janeth Patricia Sosa, Babel Latino
Porteranno il proprio contributo associazioni e comitati del territorio metropolitano.
con la partecipazione di Latino Babel Radio
Ore 20.30: Alessandro Braga intervista PAOLO FERRERO – Segretario Nazionale PRC

Ore 22: Concerto MANO DURA – musica cubana

mercoledì 21 settembre 2016

BERLINO: DOPO FALLIMENTO POLITICHE NEOLIBERISTE CROLLA LA GROSSE KOALITION, OTTIMO RISULTATO DELLA LINKE


Berlino: dopo fallimento politiche neoliberiste crolla la Grosse Koalition, ottimo risultato della Linke

Dopo il fallimento delle politiche neoliberiste e dell’austerità, crollano anche i partiti che le rappresentano, come la grosse koalition in Germania. Bene quindi il risultato delle elezioni regionali a Berlino, con un’ottima affermazione dei nostri compagni della Linke, che, come Rifondazione, fanno parte della Sinistra Europea. Con ogni evidenza è proprio la proposta della Sinistra europea e di Tsipras, di uscita dalle politiche neoliberiste, con politiche di redistribuzione del reddito e giustizia, l’unica vera uscita dalla crisi e la sola alternativa ai neonazisti.
Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

19 settembre 2016



venerdì 16 settembre 2016

lunedì 12 settembre 2016

SULLA CHIUSURA DI SETTE SPORTELLI SPECIALISTICI…

SULLA CHIUSURA DI SETTE  SPORTELLI SPECIALISTICI…

L'Azienda ospedaliera di Melegnano, su mandato di Regione Lombardia, ha abbozzato una proposta volta a "ottimizzare" le risorse, per la chiusura di sette sportelli specialistici, tra cui Vimodrone, per accorparli in un unico punto: Segrate.

L'Amministrazione comunale ha espresso contrarietà a questa scelta, incontrerà a breve anche i vertici dell'Asl, i medici di base, i sindacati e le associazioni per elaborare possibili soluzioni.

mercoledì 7 settembre 2016

FESTA NAZIONALE FIRENZE 7 - 11 SETTEMBRE 2016

Da mercoledì 7 settembre e fino a domenica 11 settembre a Firenze, presso i giardini dell'Obihall, sul Lungarno Aldo Moro 3, la festa nazionale di Rifondazione Comunista, che quest'anno si intitolerà "Ribelliamoci! Difendiamo la Costituzione e il nostro futuro".
«La difesa della Carta costituzionale e la sua attualizzazione a partire dal diritto al lavoro e ala welfare - dichiara Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista - saranno il tema al centro degli incontri della festa. La campagna per il NO al referendum che ci vede impegnati in prima linea è per noi cruciale ed emblematica: di fronte a un Pd che sta smantellando i diritti, bisogna tornare partigiani. E proprio per questo siamo orgogliosi che l'Anpi partecipi alla nostra festa con il suo vicepresidente.
Tra le altre iniziative, ci sarà un dibattito sul terremoto con la proposte per un piano di messa in sicurezza del territorio nazionale. Organizziamo questa discussione a partire dall'intervento concreto che decine di compagni e compagne di Rifondazione Comunista stanno facendo nelle aree terremotate, nell'ambito delle brigate di solidarietà attiva, perchè per noi le parole e i fatti vanno di pari passo».
Tra i vari appuntamenti della festa del Prc, segnaliamo venerdì 9 alle 19 l'apertura dell'evento con Dmitrij Palagi, segretario provinciale di Rifondazione, Nicoletta Dosio del movimento No Tav e Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista e alle 21 il dibattito «Terremoto: la solidarietà attiva, la ricostruzione, la trasformazione», con l'urbanista Vezio De Lucia, Andrea Ferroni, coordinatore PRC-SE intervento su terremoto, Peter Gomez, direttore de il Fatto quotidiano.it, la partigiana Lidia Menapace, Enrico Perilli, consigliere comunale Aquila PRC-SE , Ilaria Mugnai delle Brigate di Solidarietà Attiva.
Sabato 10 settembre dalle 21 si discuterà invece del «No alla manomissione della Costituzione», con Domenico Gallo del Comitato per il NO, Luciano Guerzoni, vicepresidente nazionale ANPI, Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Russo Spena, resp. Democrazia PRC, Massimo Torelli de L’Altra Europa con Tsipras.
Domenica 11 settembre, infine, si terrà un confronto su «Mutamento sociale, rifondazione della politica», con Ezio Locatelli, responsabile organizzazione PRC, Loris Caruso, sociologo, Carlo Formenti, sociologo, Silvana Cesani, Lodi Comune Solidale, Kostas Karras, coordinatore della Solidarietà e direzione Syriza del Pireo e dalle 17 il comizio di chiusura con Paolo Ferrero, segretario nazionale PRC.


venerdì 2 settembre 2016

I MEDIA CI VOLEVANO DIVIDERE, L'ANPI È UNITO SUL NO. INTERVISTA A CARLO SMURAGLIA

I media ci volevano dividere, l'Anpi è unito sul No. Intervista a Carlo Smuraglia

Intervista a Carlo Smuraglia di Silvia Truzzi

Professor Smuraglia, proviamo a chiarire un dettaglio a proposito della presunta spaccatura all’interno dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani. La votazione al congresso nazionale sul documento per il No si è così conclusa: 347 voti a favore del documento, 3 astenuti, nessun contrario. Dov’è la spaccatura?

"Tutto è nato da un colonnino sul Corriere della Sera in cui si dava voce ad alcuni che non erano d’accordo con la scelta della maggioranza. Da qui l’idea che ci fossero contrasti insanabili e una divisione molto accentuata.
Certamente ci sono alcuni di noi che sono favorevoli alla riforma Boschi ma, come ha ricordato, c’è stato un voto al congresso nazionale e c’erano stati tanti congressi provinciali, in cui la linea prevalente è stata nettamente per il No. Alla minoranza abbiamo garantito ovviamente la libertà di espressione del pensiero, chiedendo solo di non fare atti apertamente contrastanti con la linea prevalente, come affiancare ai banchetti per il No altri per il Sì. Mi permetto di aggiungere che il voto sul documento è stato anche confermato dal fatto che sono stato rieletto all’unanimità, alla fine del congresso nel maggio scorso, dopo aver sostenuto con forza le ragioni del No al referendum e nonostante avessi proposto io stesso di cedere il posto a qualcuno più giovane."

E come è stato possibile che passasse l’idea di una larga spaccatura?

"Un po’ ci si è messa una parte della stampa. Ricordo in agosto un titolo su un quotidiano in cui si parlava di epurazione di un coordinatore regionale, che invece era semplicemente decaduto dall’incarico dopo il congresso. Avremo un comitato nazionale tra pochi giorni in cui prevedo si discuta di come organizzare al meglio la campagna per il No al referendum costituzionale."

Sull’Unità Oscar Farinetti ha definito inopportuna la decisione dell’Anpi di schierarsi e si augura che l’associazione non si trasformi in un partito politico.

"È una sua opinione, tardiva per quanto riguarda l’opportunità della scelta perché ne abbiamo discusso per mesi in svariate sedi. Contesto poi che scegliere di difendere la Costituzione significhi trasformarsi in un partito. Rileggiamo il nostro Statuto. All’articolo 2 c’è scritto che l’Anpi difende i valori della Resistenza e dell’antifascismo. E che s’impegna ad attuare e difendere la Costituzione nello spirito in cui la votarono i costituenti. Cos’altro potremmo fare, quando riteniamo che sia in atto uno stravolgimento della Carta? L’Associazione ha tenuto in passato atteggiamenti molto simili, e non sotto la mia presidenza. Lo dico perché Farinetti si augura che l’Anpi possa avere una miglior dirigenza in futuro."

A quali episodi si riferisce?

"C’era Arrigo Boldrini – il comandante Bulow, medaglia d’oro al valore militare – presidente dell’Anpi fino al 2006: schierò l’associazione contro la “legge truffa”nel ’53 e nel 1960 quando il governo Tambroni si formò con l’appoggio dei fascisti. L’Anpi non è diventata un partito e così sarà anche questa volta."

Ci sarà questo confronto con Renzi?

"Sì, anche se dobbiamo concordare le modalità del dibattito. Chiedo qualche garanzia di imparziatilità e serenità perché il confronto si svolgerà in casa del Sì, a una festa dell’Unità."

È stato ricontattato?

"No, ma ora il presidente sta lavorando per l’emergenza del terremoto."

Spendiamo due parole sul merito della riforma.

"L’elenco dei difetti è lunghissimo. A partire dal metodo: la riforma è stata approvata comprimendo la discussione, a suon di strappi, sedute notturne, canguri, sostituzione dei membri in Commissione. Il contrario di ciò che suggerisce la Costituzione. La riforma del Senato, non più elettivo, è un pasticcio pericoloso. Sarà composto da sindaci e consiglieri regionali a mezzo servizio, ma il Senato inciderà ancora su materie importanti. La sovranità appartiene al popolo e non sarà più così, perché sarà seriamente intaccata. C’è poi il combinato disposto con la legge elettorale per la Camera, dove 2/3 dei deputati saranno nominati, con una lesione del principio di rappresentanza."
Il ministro Boschi ha detto che molti partigiani, quelli veri che hanno combattuto, votano sì. Lei è un partigiano vero?
"Non solo sono stato partigiano, ma mi sono arruolato volontario nell’esercito di Liberazione. Credo di aver fatto la mia parte. Ma questa distinzione è una sciocchezza: sembrerebbe di capire che i veri partigiani sono solo quelli che votano sì, mentre gli altri non sono niente nonostante il loro passato."


Questo articolo è stato pubblicato sul Fatto Quotidiano il 31 agosto 2016.

giovedì 1 settembre 2016

BRASILE: RESISTERE AL GOLPE, A FIANCO DELLA LEGITTIMA PRESIDENTA DILMA

BRASILE: RESISTERE AL GOLPE, A FIANCO DELLA LEGITTIMA PRESIDENTA DILMA

Il Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea condanna categoricamente il colpo di Stato parlamentare avvenuto oggi in Brasile contro la Presidente Dilma Rousseff.
I senatori hanno votato a favore dell’impeachment in base alla inconsistente accusa alla Presidente di avere manipolato il bilancio dello Stato. Con il golpe si è dato uno schiaffo alla volontà di 54 milioni di elettori, si è violentata la Costituzione e ferita gravemente la democrazia.
Le oligarchie politiche e padronali, alleate all’imperialismo statunitense, si sono servite dei loro mezzi di comunicazione e di settori della magistratura, per arrivare al governo attraverso la frode, la corruzione e l’immoralità di cui sono campioni. Nel nuovo governo golpista numerosi sono stati i nuovi ministri che si sono già dovuti dimettere per corruzione o per sfacciati conflitti di interesse.
Il PRC-SE esprime la propria solidarietà con la legittima Presidente Dilma Rousseff, e con i milioni di donne e uomini che l’hanno eletta. Si tratta di un tradimento storico contro il popolo brasiliano, di un attentato nei confronti dell’integrità morale e politica della Presidente, grazie al quale un’élite impopolare si sostituisce al voto popolare. 
Questo golpe parlamentare fa parte del contro-attacco oligarchico ed imperiale contro i processi popolari, nazionalisti e di sinistra del continente, con l’obiettivo di restaurare i modelli neo-liberisti di esclusione sociale e di sfruttamento delle risorse naturali che tanti danni hanno provocato ai popoli latino-americani e così porre fine alla democrazia e ad una integrazione regionale autonoma da Washington.
Il Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea si unisce oggi alle tante voci che in tutto il mondo condannano questo colpo di Stato ed alle mobilitazioni organizzate in Brasile e nel mondo, per resistere al potere illegittimo di cui Michel Temer è solo la mera rappresentazione. Diversi governi latino-americani hanno ritirato o chiamato a consultazione i propri ambasciatori, e congelato i propri rapporti diplomatici con il governo golpista.
Il PRS-SE esige al governo italiano di non riconoscere il governo golpista, corrotto e traditore e chiama alla mobilitazione i propri militanti ed i sinceri democratici contro questa farsa istituzionale.
Roma 31-8-2016

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA-SINISTRA EUROPEA
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