venerdì 27 maggio 2016

30 RAGIONI PER DIRE NO


30 ragioni per dire NO
A cura di Massimo Villone, Domenico Gallo, Alfiero Grandi
Coordinamento per la democrazia costituzionale

1. Perché raccogliere le firme, se il referendum è stato già chiesto dai parlamentari?

Non si può lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della Costituzione, facendone un plebiscito Renzi sì-Renzi no. La richiesta dei cittadini corregge la torsione plebiscitaria, inaccettabile perché impedisce la discussione di merito su una modifica pessima e stravolgente, che va respinta a prescindere dalla sorte del governo.

2. Ma anche Renzi ha avviato la raccolta delle firme dei cittadini.

Lo ha fatto non per amore di democrazia, ma solo perché i sondaggi hanno dimostrato che la via del plebiscito personale era per lui pericolosa. È anche un tentativo di scippare la bandiera della raccolta firme ai sostenitori del no. Tutto deve essere nel nome del governo.

3. Finalmente si riesce dove tutti avevano fallito.

È decisivo il come. Un parlamento illegittimo per l’incostituzionalità della legge elettorale, e una maggioranza raccogliticcia e occasionale, col sostegno decisivo dei voltagabbana, stravolgono la Costituzione nata dalla Resistenza. L’irrisione e gli insulti rivolti agli avversari vogliono nascondere l’incapacità di rispondere alle critiche.

4. La legge Renzi-Boschi riduce i costi della politica, cancellando le indennità per i senatori non elettivi.

Il risparmio è di spiccioli. La gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla gestione degli immobili, dai servizi, dal personale. Mentre anche il senatore non elettivo ha un costo per la trasferta e la permanenza a Roma, nonché per l’esercizio delle funzioni (segreteria, assistente parlamentare, ecc.). Risparmi con certezza maggiori si avrebbero – anche mantenendo il carattere elettivo – riducendo la Camera a 400 deputati, e il Senato a 200. Avremmo in totale 600 parlamentari, invece dei 730 che la legge Renzi-Boschi ci consegna.

5. I senatori eletti dai consigli regionali nel proprio ambito, insieme a un sindaco per ogni regione, rappresentano le istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni, da tempo richiesta.

Falso. Un consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel senato, e tutti gli altri non l’avranno. È la camera dei localismi, non delle regioni.

6. Sarebbe stato meglio con l’elezione diretta?

Certo, perché i senatori eletti avrebbero dato rappresentanza a tutto il territorio regionale e a tutti i comuni in esso compresi. Una vera Camera delle regioni richiede l’elezione diretta, mentre l’elezione di secondo grado apre la via ai localismi e agli egoismi territoriali.

7. Il riconoscimento del seggio senatoriale può essere la via per creare un circuito di eccellenza nel ceto politico regionale e locale.

È vero piuttosto, al contrario, che si rischia un abbassamento della qualità nei massimi livelli di rappresentanza nazionale. Basta considerare le cronache di stampa e giudiziarie. Soprattutto perché ai consiglieri-senatori e ai sindaci-senatori si riconoscono le prerogative dei parlamentari quanto ad arresti, perquisizioni, intercettazioni. Un’inchiesta penale a loro carico può diventare molto difficile, o di fatto impossibile.

8. Ma le prerogative non riguardano le funzioni di consigliere regionale o di sindaco, che rimangono senza copertura costituzionale.

E come si possono distinguere? Se il sindaco-senatore o il consigliere-senatore usa il proprio telefono nell’esercizio delle funzioni connesse alla carica locale diventa per questo intercettabile? E se tiene riunioni nella sua segreteria di senatore? Le attività di indagine verrebbero scoraggiate, o quanto meno gravemente impedite.

9. In ogni caso, l’elezione diretta dei senatori è stata sostanzialmente recuperata nell’ultima stesura, per le pressioni della minoranza PD.

Falso. Rimane scritto che i senatori sono eletti dai consigli regionali tra i propri componenti. È stato solo aggiunto il principio che debba essere assicurata la conformità agli indirizzi espressi dagli elettori nel voto per il consiglio. Ma è tecnicamente impossibile. A dieci regioni e province (Valle D’Aosta, Bolzano, Trento, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata) spettano due seggi, e a due (Calabria, Sardegna) ne spettano tre. Uno dei seggi è riservato a un sindaco. Come si può rispettare la volontà degli elettori quando il consiglio elegge un solo consigliere-senatore, o due?

10. Il principio della conformità al volere degli elettori è comunque stabilito.

Ma cosa la “conformità” significhi, come possa realizzarsi, e cosa accadrebbe nel caso non si realizzasse rimane del tutto oscuro. In ogni caso si rinvia a una successiva legge, che – vista l’impossibilità di risolvere il problema – potrebbe anche non venire mai. Una norma transitoria rimette pienamente la scelta ai consigli regionali.

11. Ma il senato non elettivo era necessario per superare infine il bicameralismo paritario, fonte di continui e gravi ritardi.

Falso. Si poteva giungere a un identico bicameralismo differenziato lasciando la natura elettiva del Senato. In ogni caso, le statistiche parlamentari – disponibili online sul sito del Senato – ci dicono che nella legislatura 2008-2013 le leggi di iniziativa del governo, che assorbono in massima parte la produzione legislativa, sono arrivate alla approvazione definitiva mediamente in 116 giorni. Addirittura, per le leggi di conversione dei decreti legge sono bastati 38 giorni, che scendono a 26 per la conversione dei decreti collegati alla manovra finanziaria. Numeri, non chiacchiere.

12. Il bicameralismo differenziato semplifica comunque i processi decisionali e assicura maggiore rapidità.

Solo in apparenza. Negli art. 70 e 72 vigenti il procedimento legislativo è disciplinato con 198 parole. La legge Renzi-Boschi sostituisce i due articoli con 870 parole. Può mai essere una semplificazione? In realtà si moltiplicano i procedimenti legislativi diversificandoli in rapporto all’oggetto della legislazione. Ne vengono incertezze e potenziali conflitti tra le due camere, che potrebbero arrivare fino alla Corte costituzionale.

13. Ma su molte materie la Camera ha l’ultima parola, e questo evita le cosiddette “navette”.

Le navette prolungate con reiterati passaggi tra le due camere sono in genere sintomo di difficoltà politiche nella maggioranza, che – se ci fossero – si manifesterebbero anche con una sola camera decidente. Mentre il senato comunque partecipa paritariamente su materie di grande rilievo, come ad esempio le riforme costituzionali. Con quale legittimazione sostanziale, data la sua composizione non elettiva?

14. La fiducia viene data dalla sola Camera dei deputati, e questo contribuisce alla stabilità.

Poco o nulla. Nell’intera storia repubblicana il diniego della fiducia ha fatto cadere soltanto due governi (i due governi Prodi). Lo stesso governo Renzi è nato con una manovra di palazzo volta all’omicidio politico di Letta. Senza quella manovra, Letta potrebbe essere ancora in carica dall’inizio della legislatura. Uno dei governi più lunghi in assoluto.

15. Il rapporto di fiducia verso la sola camera dei deputati rafforza la governabilità.

La governabilità dipende non dal numero delle camere, ma dalla coesione della maggioranza che sostiene il governo. Una maggioranza composita e frammentata non potrà mai produrre governabilità. È decisiva una buona legge elettorale, che componga in modo corretto i valori della governabilità e della rappresentanza.

16. Per questo l’Italicum è il giusto complemento alla modifica della Costituzione.

Niente affatto. L’Italicum riproduce i vizi del Porcellum già dichiarati costituzionalmente illegittimi: eccesso di disproporzionalità tra i voti e i seggi attribuiti con il premio di maggioranza, per di più dato a un singolo partito; lesione della libertà di voto dell’elettore per il voto bloccato sui capilista, che possono anche essere candidati in più collegi.

17. Ma l’Italicum prevede una soglia al 40%, superata la quale la lista ottiene 340 deputati, e il ballottaggio a due nel caso la soglia non venga raggiunta. Con il ballottaggio ci sarà comunque un vincitore che supera il 50%.

Al ballottaggio e al premio si accede senza alcuna soglia. Se nel ballottaggio a due un partito prendesse due voti, e l’altro uno, il primo avrebbe comunque 340 seggi. Come con il Porcellum, è possibile che un singolo partito con pochi consensi reali nel paese abbia in parlamento una maggioranza blindata di 340 seggi, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale maggiori consensi, si dividono i seggi rimanenti. Con la conseguenza che il voto dato alla lista vincente pesa sull’esito elettorale fino a quattro volte il voto dato alle altre liste. Un grave elemento di diseguaglianza tra gli elettori.

18. Un premio di maggioranza non è di per sé incostituzionale.

Ma è incostituzionale quello dell’Italicum. Già la soglia al 40% configura un premio di maggioranza enorme, con 340 deputati garantiti. Per di più, essendo sempre 340 i seggi assegnati alla lista vincente, il premio sarà maggiore per chi ha il 40% dei voti, minore per chi ha il 41%, e così via. Meno voti si prendono, più seggi aggiuntivi si ottengono con il premio. Un elemento di manifesta irrazionalità.

19. Ma l’Italicum garantisce che si sappia chi vince la sera del giorno in cui si vota. Un elemento di certezza.

Che nessun sistema elettorale potrà sempre e comunque assicurare. E in ogni caso la governabilità non si assicura dando un potere blindato con artifici aritmetici a chi ha una minoranza – anche ristretta – di consensi reali nel paese. Sarà pur sempre un governo al quale la parte prevalente del corpo elettorale ha negato adesione e sostegno.

20. Non è corretto censurare l’Italicum con l’argomento che apre la via all’uomo solo al comando.

Invece sì. L’Italicum prevede, come già il Porcellum, la figura del “capo” del partito. Il voto bloccato sui capilista e le candidature plurime per gli stessi capilista consentono al leader del partito di controllare in ampia misura la scelta dei parlamentari da eleggere, per la maggioranza blindata dal premio. La concentrazione del potere sul leader è indiscutibile.

21. Ma chi firma per il referendum abrogativo sull’Italicum vuole tornare al proporzionale puro di lista e preferenza, con tutti i connessi rischi di ingovernabilità?

Niente affatto. Si vuole soltanto ristabilire una condizione politica non viziata da meccanismi elettorali costituzionalmente illegittimi. Si potrà allora liberamente scegliere, con una corretta partecipazione democratica e una piena rappresentanza politica, di quali riforme il paese ha bisogno, inclusa la scelta di una legge elettorale conforme a Costituzione.

22. È comunque eccessiva l’accusa di una deriva autoritaria. Rimane intatto il sistema di checks and balances.

Ma l’effetto sinergico della riduzione del numero dei senatori e il dominio sulla camera dei deputati assicurato dal premio rendono decisiva l’influenza della maggioranza di governo nell’elezione in seduta comune del Capo dello Stato e dei membri del CSM, come anche nell’elezione da parte della Camera di membri della Corte costituzionale o di autorità indipendenti.

23. Sono effetti bilanciati dal rafforzamento degli istituti di democrazia diretta, ad esempio per l’iniziativa legislativa popolare.

Falso. Le firme richieste per la presentazione di una proposta di legge sono triplicate, da 50.000 a 150.000. Le garanzie sono rinviate al regolamento, e la maggioranza parlamentare rimane libera di rigettare o modificare la proposta. In altri ordinamenti, la proposta può andare all’approvazione per via referendaria, quanto meno nel caso di modifica o rigetto nell’assemblea legislativa.

24. Ma il referendum abrogativo si rafforza per l’abbassamento del quorum di validità, fissato alla maggioranza dei votanti nelle ultime elezioni per la Camera dei deputati.

Solo nel caso che sia stato richiesto con ben 800.000 firme, tetto quasi impossibile da raggiungere in un tempo in cui i corpi intermedi – partiti, sindacati – sono indeboliti o sostanzialmente dissolti. E non si capisce perché un referendum debba avere un quorum più alto se richiesto da 500.000 cittadini, e più basso se richiesto da 800.000.

25. Si prevedono i referendum propositivi e di indirizzo.

È fumo negli occhi. I referendum propositivi e di indirizzo sono solo menzionati a futura memoria nella legge Renzi-Boschi, che ne rinvia la disciplina a una successiva legge costituzionale. Tutto rimane da fare. Cosa impediva di introdurre fin da ora una disciplina compiuta? Un chiaro intento di non provvedere.

26. Si correggono gli errori fatti nella revisione del titolo V approvata nel 2001.
Non si correggono gli errori vecchi facendone di nuovi e sostituendo alla frammentazione un neocentralismo statalista. Ad esempio, non è accettabile che il governo passi sulla testa delle popolazioni locali nella gestione del territorio sotto l’etichetta di opere di interesse nazionale o simili. La vicenda trivelle deve insegnarci qualcosa.

27. Si semplifica il rapporto tra Stato e Regioni, che ha dato luogo a un enorme contenzioso davanti alla Corte costituzionale.

Ma non mancano contraddizioni e ambiguità, che possono tradursi in nuovo contenzioso. La soppressione della potestà concorrente in chiave di semplificazione del rapporto Stato-Regioni è ad esempio pubblicità ingannevole, perché si crea una nuova categoria di “disposizioni generali e comuni” che è difficile distinguere dalle leggi cornice della attuale potestà concorrente. E c’è anche un richiamo a “disposizioni di principio”.

28. Si rafforza lo Stato riportando ad esso potestà legislative di cruciale importanza.

La legge Renzi-Boschi riduce sostanzialmente lo spazio costituzionalmente riconosciuto alle autonomie. Alcuni profili potrebbero essere – se isolatamente considerati – apprezzabili. Ma il neo-centralismo statale è negativo in un contesto di complessiva riduzione degli spazi di partecipazione democratica e di rappresentanza politica.

29, La decostituzionalizzazione delle province è un momento importante di semplificazione istituzionale.

Vale anche per le province quanto detto per il neo-centralismo statale. Inoltre, sono un elemento marginale nell’impianto della legge Renzi-Boschi. Una parte persino non necessaria, come è provato dal fatto che la riforma delle province è stata già da tempo avviata. Il punto dolente è il modo in cui si sta realizzando.

30. La soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) è positiva.

Vero, dal momento che il CNEL non esercita alcuna essenziale funzione politica o istituzionale. Ma la soppressione prende solo pochi righi in una modifica della Costituzione per altro verso ampia e stravolgente. Bastava una leggina costituzionale mirata, che non avrebbe dato luogo a polemiche. La positività della soppressione non può certo bilanciare la valutazione negativa di tutto il resto.

A cura di Massimo Villone, Domenico Gallo, Alfiero Grandi
Coordinamento per la democrazia costituzionale







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