30 ragioni per dire NO
A cura di Massimo Villone, Domenico
Gallo, Alfiero Grandi
Coordinamento per la democrazia
costituzionale
1. Perché raccogliere le firme, se il
referendum è stato già chiesto dai parlamentari?
Non si può
lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della
Costituzione, facendone un plebiscito Renzi sì-Renzi no. La richiesta dei
cittadini corregge la torsione plebiscitaria, inaccettabile perché impedisce la
discussione di merito su una modifica pessima e stravolgente, che va respinta a
prescindere dalla sorte del governo.
2. Ma anche Renzi ha avviato la
raccolta delle firme dei cittadini.
Lo ha fatto
non per amore di democrazia, ma solo perché i sondaggi hanno dimostrato che la
via del plebiscito personale era per lui pericolosa. È anche un tentativo di
scippare la bandiera della raccolta firme ai sostenitori del no. Tutto deve
essere nel nome del governo.
3. Finalmente si riesce dove tutti
avevano fallito.
È decisivo
il come. Un parlamento illegittimo per l’incostituzionalità della legge
elettorale, e una maggioranza raccogliticcia e occasionale, col sostegno
decisivo dei voltagabbana, stravolgono la Costituzione nata dalla Resistenza.
L’irrisione e gli insulti rivolti agli avversari vogliono nascondere
l’incapacità di rispondere alle critiche.
4. La legge Renzi-Boschi riduce i
costi della politica, cancellando le indennità per i senatori non elettivi.
Il risparmio
è di spiccioli. La gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla
gestione degli immobili, dai servizi, dal personale. Mentre anche il senatore
non elettivo ha un costo per la trasferta e la permanenza a Roma, nonché per
l’esercizio delle funzioni (segreteria, assistente parlamentare, ecc.).
Risparmi con certezza maggiori si avrebbero – anche mantenendo il carattere
elettivo – riducendo la Camera a 400 deputati, e il Senato a 200. Avremmo in
totale 600 parlamentari, invece dei 730 che la legge Renzi-Boschi ci consegna.
5. I senatori eletti dai consigli
regionali nel proprio ambito, insieme a un sindaco per ogni regione,
rappresentano le istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni, da tempo
richiesta.
Falso. Un
consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale,
cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il
sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a
macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel senato, e tutti gli altri
non l’avranno. È la camera dei localismi, non delle regioni.
6. Sarebbe stato meglio con
l’elezione diretta?
Certo,
perché i senatori eletti avrebbero dato rappresentanza a tutto il territorio
regionale e a tutti i comuni in esso compresi. Una vera Camera delle regioni
richiede l’elezione diretta, mentre l’elezione di secondo grado apre la via ai
localismi e agli egoismi territoriali.
7. Il riconoscimento del seggio
senatoriale può essere la via per creare un circuito di eccellenza nel ceto
politico regionale e locale.
È vero
piuttosto, al contrario, che si rischia un abbassamento della qualità nei
massimi livelli di rappresentanza nazionale. Basta considerare le cronache di
stampa e giudiziarie. Soprattutto perché ai consiglieri-senatori e ai
sindaci-senatori si riconoscono le prerogative dei parlamentari quanto ad
arresti, perquisizioni, intercettazioni. Un’inchiesta penale a loro carico può
diventare molto difficile, o di fatto impossibile.
8. Ma le prerogative non riguardano
le funzioni di consigliere regionale o di sindaco, che rimangono senza
copertura costituzionale.
E come si
possono distinguere? Se il sindaco-senatore o il consigliere-senatore usa il
proprio telefono nell’esercizio delle funzioni connesse alla carica locale
diventa per questo intercettabile? E se tiene riunioni nella sua segreteria di
senatore? Le attività di indagine verrebbero scoraggiate, o quanto meno
gravemente impedite.
9. In ogni caso, l’elezione diretta
dei senatori è stata sostanzialmente recuperata nell’ultima stesura, per le
pressioni della minoranza PD.
Falso.
Rimane scritto che i senatori sono eletti dai consigli regionali tra i propri
componenti. È stato solo aggiunto il principio che debba essere assicurata la
conformità agli indirizzi espressi dagli elettori nel voto per il consiglio. Ma
è tecnicamente impossibile. A dieci regioni e province (Valle D’Aosta, Bolzano,
Trento, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise,
Basilicata) spettano due seggi, e a due (Calabria, Sardegna) ne spettano tre.
Uno dei seggi è riservato a un sindaco. Come si può rispettare la volontà degli
elettori quando il consiglio elegge un solo consigliere-senatore, o due?
10. Il principio della conformità al
volere degli elettori è comunque stabilito.
Ma cosa la
“conformità” significhi, come possa realizzarsi, e cosa accadrebbe nel caso non
si realizzasse rimane del tutto oscuro. In ogni caso si rinvia a una successiva
legge, che – vista l’impossibilità di risolvere il problema – potrebbe anche
non venire mai. Una norma transitoria rimette pienamente la scelta ai consigli
regionali.
11. Ma il senato non elettivo era
necessario per superare infine il bicameralismo paritario, fonte di continui e
gravi ritardi.
Falso. Si
poteva giungere a un identico bicameralismo differenziato lasciando la natura
elettiva del Senato. In ogni caso, le statistiche parlamentari – disponibili
online sul sito del Senato – ci dicono che nella legislatura 2008-2013 le leggi
di iniziativa del governo, che assorbono in massima parte la produzione
legislativa, sono arrivate alla approvazione definitiva mediamente in 116
giorni. Addirittura, per le leggi di conversione dei decreti legge sono bastati
38 giorni, che scendono a 26 per la conversione dei decreti collegati alla
manovra finanziaria. Numeri, non chiacchiere.
12. Il bicameralismo differenziato
semplifica comunque i processi decisionali e assicura maggiore rapidità.
Solo in
apparenza. Negli art. 70 e 72 vigenti il procedimento legislativo è
disciplinato con 198 parole. La legge Renzi-Boschi sostituisce i due articoli
con 870 parole. Può mai essere una semplificazione? In realtà si moltiplicano i
procedimenti legislativi diversificandoli in rapporto all’oggetto della
legislazione. Ne vengono incertezze e potenziali conflitti tra le due camere,
che potrebbero arrivare fino alla Corte costituzionale.
13. Ma su molte materie la Camera ha
l’ultima parola, e questo evita le cosiddette “navette”.
Le navette
prolungate con reiterati passaggi tra le due camere sono in genere sintomo di
difficoltà politiche nella maggioranza, che – se ci fossero – si
manifesterebbero anche con una sola camera decidente. Mentre il senato comunque
partecipa paritariamente su materie di grande rilievo, come ad esempio le
riforme costituzionali. Con quale legittimazione sostanziale, data la sua
composizione non elettiva?
14. La fiducia viene data dalla sola
Camera dei deputati, e questo contribuisce alla stabilità.
Poco o
nulla. Nell’intera storia repubblicana il diniego della fiducia ha fatto cadere
soltanto due governi (i due governi Prodi). Lo stesso governo Renzi è nato con
una manovra di palazzo volta all’omicidio politico di Letta. Senza quella
manovra, Letta potrebbe essere ancora in carica dall’inizio della legislatura.
Uno dei governi più lunghi in assoluto.
15. Il rapporto di fiducia verso la
sola camera dei deputati rafforza la governabilità.
La
governabilità dipende non dal numero delle camere, ma dalla coesione della
maggioranza che sostiene il governo. Una maggioranza composita e frammentata
non potrà mai produrre governabilità. È decisiva una buona legge elettorale,
che componga in modo corretto i valori della governabilità e della
rappresentanza.
16. Per questo l’Italicum è il giusto
complemento alla modifica della Costituzione.
Niente
affatto. L’Italicum riproduce i vizi del Porcellum già dichiarati
costituzionalmente illegittimi: eccesso di disproporzionalità tra i voti e i
seggi attribuiti con il premio di maggioranza, per di più dato a un singolo
partito; lesione della libertà di voto dell’elettore per il voto bloccato sui
capilista, che possono anche essere candidati in più collegi.
17. Ma l’Italicum prevede una soglia
al 40%, superata la quale la lista ottiene 340 deputati, e il ballottaggio a
due nel caso la soglia non venga raggiunta. Con il ballottaggio ci sarà
comunque un vincitore che supera il 50%.
Al
ballottaggio e al premio si accede senza alcuna soglia. Se nel ballottaggio a
due un partito prendesse due voti, e l’altro uno, il primo avrebbe comunque 340
seggi. Come con il Porcellum, è possibile che un singolo partito con pochi
consensi reali nel paese abbia in parlamento una maggioranza blindata di 340
seggi, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale
maggiori consensi, si dividono i seggi rimanenti. Con la conseguenza che il
voto dato alla lista vincente pesa sull’esito elettorale fino a quattro volte
il voto dato alle altre liste. Un grave elemento di diseguaglianza tra gli
elettori.
18. Un premio di maggioranza non è di
per sé incostituzionale.
Ma è
incostituzionale quello dell’Italicum. Già la soglia al 40% configura un premio
di maggioranza enorme, con 340 deputati garantiti. Per di più, essendo sempre
340 i seggi assegnati alla lista vincente, il premio sarà maggiore per chi ha
il 40% dei voti, minore per chi ha il 41%, e così via. Meno voti si prendono,
più seggi aggiuntivi si ottengono con il premio. Un elemento di manifesta
irrazionalità.
19. Ma l’Italicum garantisce che si
sappia chi vince la sera del giorno in cui si vota. Un elemento di certezza.
Che nessun
sistema elettorale potrà sempre e comunque assicurare. E in ogni caso la
governabilità non si assicura dando un potere blindato con artifici aritmetici
a chi ha una minoranza – anche ristretta – di consensi reali nel paese. Sarà
pur sempre un governo al quale la parte prevalente del corpo elettorale ha
negato adesione e sostegno.
20. Non è corretto censurare
l’Italicum con l’argomento che apre la via all’uomo solo al comando.
Invece sì.
L’Italicum prevede, come già il Porcellum, la figura del “capo” del partito. Il
voto bloccato sui capilista e le candidature plurime per gli stessi capilista
consentono al leader del partito di controllare in ampia misura la scelta dei
parlamentari da eleggere, per la maggioranza blindata dal premio. La
concentrazione del potere sul leader è indiscutibile.
21. Ma chi firma per il referendum
abrogativo sull’Italicum vuole tornare al proporzionale puro di lista e
preferenza, con tutti i connessi rischi di ingovernabilità?
Niente
affatto. Si vuole soltanto ristabilire una condizione politica non viziata da
meccanismi elettorali costituzionalmente illegittimi. Si potrà allora
liberamente scegliere, con una corretta partecipazione democratica e una piena
rappresentanza politica, di quali riforme il paese ha bisogno, inclusa la scelta
di una legge elettorale conforme a Costituzione.
22. È comunque eccessiva l’accusa di
una deriva autoritaria. Rimane intatto il sistema di checks and balances.
Ma l’effetto
sinergico della riduzione del numero dei senatori e il dominio sulla camera dei
deputati assicurato dal premio rendono decisiva l’influenza della maggioranza
di governo nell’elezione in seduta comune del Capo dello Stato e dei membri del
CSM, come anche nell’elezione da parte della Camera di membri della Corte
costituzionale o di autorità indipendenti.
23. Sono effetti bilanciati dal
rafforzamento degli istituti di democrazia diretta, ad esempio per l’iniziativa
legislativa popolare.
Falso. Le
firme richieste per la presentazione di una proposta di legge sono triplicate,
da 50.000 a 150.000. Le garanzie sono rinviate al regolamento, e la maggioranza
parlamentare rimane libera di rigettare o modificare la proposta. In altri
ordinamenti, la proposta può andare all’approvazione per via referendaria,
quanto meno nel caso di modifica o rigetto nell’assemblea legislativa.
24. Ma il referendum abrogativo si
rafforza per l’abbassamento del quorum di validità, fissato alla maggioranza
dei votanti nelle ultime elezioni per la Camera dei deputati.
Solo nel
caso che sia stato richiesto con ben 800.000 firme, tetto quasi impossibile da
raggiungere in un tempo in cui i corpi intermedi – partiti, sindacati – sono
indeboliti o sostanzialmente dissolti. E non si capisce perché un referendum
debba avere un quorum più alto se richiesto da 500.000 cittadini, e più basso
se richiesto da 800.000.
25. Si prevedono i referendum
propositivi e di indirizzo.
È fumo negli
occhi. I referendum propositivi e di indirizzo sono solo menzionati a futura
memoria nella legge Renzi-Boschi, che ne rinvia la disciplina a una successiva
legge costituzionale. Tutto rimane da fare. Cosa impediva di introdurre fin da
ora una disciplina compiuta? Un chiaro intento di non provvedere.
26. Si correggono gli errori fatti
nella revisione del titolo V approvata nel 2001.
Non si
correggono gli errori vecchi facendone di nuovi e sostituendo alla
frammentazione un neocentralismo statalista. Ad esempio, non è accettabile che
il governo passi sulla testa delle popolazioni locali nella gestione del
territorio sotto l’etichetta di opere di interesse nazionale o simili. La
vicenda trivelle deve insegnarci qualcosa.
27. Si semplifica il rapporto tra
Stato e Regioni, che ha dato luogo a un enorme contenzioso davanti alla Corte
costituzionale.
Ma non
mancano contraddizioni e ambiguità, che possono tradursi in nuovo contenzioso.
La soppressione della potestà concorrente in chiave di semplificazione del
rapporto Stato-Regioni è ad esempio pubblicità ingannevole, perché si crea una
nuova categoria di “disposizioni generali e comuni” che è difficile distinguere
dalle leggi cornice della attuale potestà concorrente. E c’è anche un richiamo
a “disposizioni di principio”.
28. Si rafforza lo Stato riportando
ad esso potestà legislative di cruciale importanza.
La legge
Renzi-Boschi riduce sostanzialmente lo spazio costituzionalmente riconosciuto
alle autonomie. Alcuni profili potrebbero essere – se isolatamente considerati
– apprezzabili. Ma il neo-centralismo statale è negativo in un contesto di
complessiva riduzione degli spazi di partecipazione democratica e di
rappresentanza politica.
29, La decostituzionalizzazione delle
province è un momento importante di semplificazione istituzionale.
Vale anche
per le province quanto detto per il neo-centralismo statale. Inoltre, sono un
elemento marginale nell’impianto della legge Renzi-Boschi. Una parte persino
non necessaria, come è provato dal fatto che la riforma delle province è stata
già da tempo avviata. Il punto dolente è il modo in cui si sta realizzando.
30. La soppressione del Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) è positiva.
Vero, dal
momento che il CNEL non esercita alcuna essenziale funzione politica o
istituzionale. Ma la soppressione prende solo pochi righi in una modifica della
Costituzione per altro verso ampia e stravolgente. Bastava una leggina
costituzionale mirata, che non avrebbe dato luogo a polemiche. La positività
della soppressione non può certo bilanciare la valutazione negativa di tutto il
resto.
A cura di Massimo
Villone, Domenico Gallo, Alfiero Grandi
Coordinamento per la
democrazia costituzionale