mercoledì 29 agosto 2012

Crisi, Ferrero PRC-FDS: svolta a sinistra per l’uscita di sicurezza

Intervista al segretario del Partito della Rifondazione comunista - di Massimiliano Piacentini – (rai)


Quanto è importante il racconto della crisi?

Molto, se si tiene nel conto il suo impatto sulla rappresentazione della realtà; se si vede in esso un potente strumento politico. “Oggi abbiamo a che fare con delle vere e proprie menzogne, come ad esempio la questione della speculazione finanziaria sul debito pubblico. Essa investe solo i paesi dell'euro e non è causata dai debiti pubblici come ci viene raccontato, ma dal fatto che la Bce è l'unica banca centrale del mondo che presta i soldi alle banche private, cioè agli speculatori, e non agli stati”. Tanto per essere chiari.

Il segretario del Prc, Paolo Ferrero, inizia a parlarci così del suo ultimo libro.

“Ma oltre alle balle, chi detiene il potere usa modi di pensare radicati nei costumi della gente per giustificare tagli allo stato sociale, aumento della precarietà e riduzione dei salari. Faccio un esempio: mia madre ha vissuto la guerra e la fame. Se pensa alla crisi pensa alla scarsità e dice che bisogna tirare la cinghia. Ma se la gente normale continua a tirare la cinghia la crisi si aggrava, perché ci saranno meno soldi, si spenderà di meno e continueranno i licenziamenti. Noi siamo dentro una grande ricchezza polarizzata: i ricchi hanno troppi soldi, mentre larga parte della popolazione arriva con difficoltà a fine mese. Perciò, la cinghia bisogna farla tirare ai ricchi e non ai lavoratori”.

Economia reale e finanza. Alla bolla speculativa si è giunti per il calo della domanda aggregata?

“Sì. Prima hanno ridotto la domanda tagliando i salari, poi si sono accorti che questo produceva la crisi e hanno messo in campo due meccanismi: la speculazione e il sostegno alla domanda attraverso ciò che si potrebbe chiamare credito al consumo. Questo meccanismo un po’ drogato è saltato quando i disoccupati hanno cominciato a non pagare i mutui. Saltate per aria le finanziarie che li avevano concessi è scoppiata la crisi bancaria, poiché i titoli di quelle aziende non valevano più niente. Lehman Brothers è fallita così. Poi i governi hanno salvato le banche portando il conto agli stati, che quindi si sono indebitati: dal 2008 a oggi Usa e Europa hanno speso 15.000 miliardi di dollari per le banche private, che ora speculano sul debito pubblico”.

Al di là del nodo Europa, cosa si potrebbe fare da subito in Italia?

“Ci sono cose che il governo, se volesse, potrebbe fare domani mattina senza il permesso della Merkel. Penso alla patrimoniale sulle grandi ricchezze, alla questione degli stipendi dei parlamentari e ai grandi stipendi di Stato, alla possibilità di fare della Cassa depositi e prestiti una banca pubblica, in modo da poter chiedere soldi alla Bce a un tasso dello 0,75%, invece che reperirli al 6-7%. Ma Monti non farà mai nulla contro i suoi amici speculatori”.

Perché questa crisi è costituente?

“Perché chi governa, per mantenere l'attuale linea politica, deve imbarbarire la situazione. Riducono la democrazia e i parlamenti non contano più nulla; attaccano i diritti del lavoro, ciò che si era costruito in 30 anni di lotte operaie; demoliscono lo stato sociale con tagli alla sanità e alle pensioni; cancellano le conquiste di civiltà raggiunte dopo la seconda guerra mondiale. La crisi è costituente perché da essa non si esce come prima. O si risolve facendo un balzo in avanti, oppure chi ha le leve del potere continuerà a creare una realtà sempre peggiore in direzione della barbarie. Non c’è nulla di sovrannaturale in ciò che sta accadendo: questa crisi non l’ha decisa il Padreterno, ma semplicemente dei signori che la usano per continuare ad arricchirsi. Bisogna spiegare questa cosa semplice alla gente”.

Lei dice socialismo o barbarie. Ci spiega questo aut-aut?

“Faccio un esempio storico. Dopo la crisi del '29 il governo tedesco guidato da Heinrich Brüning fece una politica identica a quella di Monti: tagliò la spesa pubblica e produsse 5 milioni di disoccupati. Sappiamo come finì: nel '33 Hitler vinse le elezioni facendo leva sul sentimento contro le banche e dicendo che avrebbe avviato lavori pubblici per occupare tutti. La barbarie è frutto di politiche che distruggono legami sociali e benessere. Ciò fa regredire a una situazione di guerra fra poveri, alla ricerca del capro espiatorio, al far west, al razzismo. Il socialismo, invece, è la possibilità di uscire dalla crisi facendo leva sugli elementi positivi: se abbiamo creato tanta ricchezza bisogna distribuirla bene; se il lavoro è più produttivo bisogna redistribuirlo; se il mercato non riesce ad individuare le produzioni per un salto in avanti, penso alla riconversione ambientale, lo deve fare lo Stato con un intervento pubblico. Tutto ciò con più democrazia. Sull’economia deve poter decidere la gente: vogliamo investire sulle bombe atomiche o sui pannelli solari? E questi vogliamo metterli al posto degli uliveti o sui tetti delle case? Non bisogna lasciare le scelte importanti ai mercati, cioè gli speculatori”.

Nella parte propositiva del libro parla di New Deal di classe.

“Penso che occorra alludere a quell'esperienza fatta nel '33 negli Usa sapendo però che era insufficiente, tanto che la disoccupazione in tutti gli anni '30 non scese. Ma il New Deal fu la risposta contrapposta al nazismo. Monti e Merkel stanno scegliendo la strada che ci ha portati al nazismo. Noi dobbiamo fare la scelta di Roosevelt, ma con più nettezza: redistribuire la ricchezza, riconvertire l’economia in senso ambientale e ridurre l'orario di lavoro per distribuirlo fra tutti. Dopo la crisi del '29 abbiamo visto che c'erano due strade: una portò al nazismo, l'altra allargò la democrazia. Anche oggi ci sono due strade e non una sola come si vuol far credere. Il rischio è che una linea politica sbagliata produca barbarie sociale e maggiori conflitti. L’incomprensione del fatto che l’umanità potrebbe fare un passo in avanti rischia di portarla a fare sette o otto passi indietro”.



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