RAMON MANTOVANI PRC
Vittoria! Ma chi ha vinto? E chi ha perso?
Il risultato dei referendum è chiaro. Non c’è bisogno di descriverlo. I quesiti erano chiari ed inequivocabili. Il Governo Berlusconi ha perso nettamente sul nucleare e sul legittimo impedimento. Ma sui due quesiti riguardanti l’acqua hanno perso tutti quelli che per quasi vent’anni hanno sostenuto e proposto la privatizzazione della gestione dell’acqua. Hanno cambiato opinione? Bene! Hanno deciso di votare si solo per non entrare in contraddizione con il loro elettorato e/o per sfruttare i referendum sull’acqua per mettere in difficoltà il governo in carica? Benino! Hanno, coma già fa Bersani, votato si ma ora dicono che è stata sventato l’obbligo a privatizzare e che gli enti locali possono, se lo vogliono, privatizzare? Male! Malissimo! Nelle prossime settimane, passata l’euforia, bisogna sapere che si giocherà una battaglia forsennata, anche se i talk show non ne parleranno o ne parleranno invitando i soliti voltagabbana e presunti esperti, perché in gioco ci sono cifre da capogiro dal punto di vista delle multinazionali che hanno già messo e vogliono mettere le mani sull’acqua. Spero che la battaglia si svolga nella chiarezza. E che i contenuti dei referendum sull’acqua non vengano sacrificati sull’altare della perniciosa e vomitevole dialettica bipolare. Perché molti, troppi, sono stati favorevoli alla privatizzazione, anche se oggi cantano vittoria. Spero, ma so che è una speranza pressoché infondata, che a chi ha vinto veramente, perché da sempre contrario alla privatizzazione dell’acqua, venga riconosciuto il lavoro svolto in tutti questi anni. E spero che la litania antiberlusconiana o, peggio ancora, quella della società civile contrapposta ai partiti, non cancelli i meriti di chi in tutti questi anni ha onorato il compito di lottare dentro e fuori le istituzioni, insistendo sulla necessità di salvaguardare i beni comuni dal mercato e dal profitto, raccogliendo le firme per i referendum. Parlo del mio partito.Essendomene occupato allora mi è tornato alla mente il dibattito che si fece in parlamento sulla famosa Legge Galli. Nel 1993. Un secolo fa. Quando eravamo soli a sostenere la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua. Quasi soli. Perché oltre a Rifondazione solo il MSI votò contro, anche se per motivi diversi. Mentre Verdi e PDS furono favorevoli. La legge Galli è stata citata mille volte in queste ultime settimane. Ma nessun santone televisivo o giornalistuncolo si è preso la briga di rileggere quel dibattito. Anche solo per dare conto di chi fu favorevole e chi contrario alla privatizzazione. Così, giusto per amore di verità e per informare.Lo faccio io. Rimettendo qui la mia dichiarazione di voto finale sulla legge Galli. Ed invitando chi lo volesse fare a rileggersi gli interventi di Edo Rochi a nome dei Verdi che ignorò totalmente la questione della privatizzazione. E quello di Valerio Calzolaio a nome del PDS (oggi SEL) di cui pubblico subito un piccolo passo. Eccolo: “Così, alla pubblicità delle risorse, delle priorità e dei criteri di utilizzo, può corrispondere anche la privatizzazione di questa o quella gestione. Noi non abbiamo timori: le gestioni pubbliche possono e debbono riconquistarsi sul campo la riconferma di un ruolo. Occorre garantire al cittadino, un servizio efficiente e a basso prezzo, non sostenere ad ogni costo che il servizio lo deve dare lo Stato.” Lo stenografico delle dichiarazioni di voto finali lo si può leggere integralmente qui, dalla pagina 18588 in poi:
http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/Stenografici/Stenografico/34842.pdf#page=16&zoom=95,0,70
Questo il mio intervento a nome di Rifondazione Comunista.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Ramon Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, colleghe, colleghi, all’originaria proposta di legge dell’onorevole Galli, nel corso della discussione in Commissione, sono stati apportati molti e notevoli miglioramenti. È stato sventato il reiterato tentativo di mettere in discussione il comma 1 dell’articolo 1, nel quale si afferma la pubblicità di tutte le acque; sono state accolte le nostre proposte circa il risparmio idrico; sono state introdotte norme che prevedono una certa — solo una certa — unificazione della gestione dei sistemi idrici, una maggiore tutela dall’inquinamento, uno stimolo alla depurazione delle acque con il vincolo dei fondi ai quali affluiscono le tariffe per la depurazione e un maggiore, anche se assolutamente insufficiente, equilibrio tariffario. Tuttavia, noi voteremo contro il provvedimento perché, accanto ai principi generali che noi stessi abbiamo sollecitato, difeso e voluto e che costituiscono un importante passo in avanti, soprattutto dal punto di vista culturale, c’è l’operazione che porta dritto alla tendenziale privatizzazione della gestione del sistema idrico. Nei fatti si sancisce che il profitto, che al comma 2 dell’articolo 13 viene eufemisticamente definito adeguata «remunerazione del capitale investito», possa essere — anzi, è — il fine perseguito dai soggetti gestori. Si tenta comunque — e noi, in via subordinata, abbiamo a ciò contribuito — di imbrigliare la più che probabile logica intrinseca dei soggetti privati, che per loro natura non possono che considerare la difesa di una risorsa scarsa come l’acqua, la salvaguardia dell’ambiente, il soddisfacimento del bisogno di acqua potabile e la tutela della salute umana, come variabile dipendente rispetto ai conti economici dell’azienda e al profitto. Ma è prevedibile che, come in tante altre occasioni, ad essere premiato sarà l’interesse privato e non quello collettivo ed ambientale. Basta leggere l’articolo 16 per rendersi conto di come un comune, un’amministrazione comunale, venga messo sullo stesso piano di un soggetto gestore privato. Un comune, secondo l’articolo 16, non può realizzare un acquedotto od una fognatura senza aver prima stipulato una convenzione con il soggetto gestore, il che significa, pari pari, che un’azienda privata che gestisce può ostacolare le opere che dal punto di vista dei suoi conti economici consideri superflue, anche se sono utili sul piano sociale ed ambientale. Come se non bastasse, all’articolo 13, che noi consideriamo deleterio, si stabilisce che con la tariffa si devono coprire tutti gli investimenti, compresi quelli per la realizzazione delle opere. È come dire che non si paga più solo il servizio e che le infrastrutture non sono più realizzate con i soldi dello Stato, vale a dire con i fondi provenienti dalle tasse dei cittadini, ma che a questi ultimi spetta, oltre al pagamento delle innumerevoli tasse, anche l’onere di pagare, attraverso le tariffe, tutte le infrastrutture: acquedotti, fogne, depuratori, eccetera. Andando avanti di questo passo un altro novello De Lorenzo stabilirà che con i ticket bisognerà pagare le spese per la costruzione degli ospedali o qualcun altro proporrà che, oltre alle tasse scolastiche, gli studenti paghino per la costruzione delle scuole. Ci si è resi conto, anche perché lo abbiamo ripetuto fino alla noia, che in questo modo si sarebbero create gravissime sperequazioni tra zona e zona del paese, con un’insopportabile penalizzazione delle aree più povere di acqua e di infrastrutture, come il meridione, o più inquinate, come, ad esempio, la Lombardia. Per questo sono state messe alcune pezze, come la tariffa di riferimento ed altro, ma non si è fatta la cosa più semplice: una tariffa unica per l’acqua in tutto il paese, una variabile interna alla tariffa entro limiti prefissati riguardante la gestione del servizio e, infine, gli investimenti infrastrutturali a carico dello Stato e degli enti locali. Ma tutto questo, me ne rendo conto, sarebbe stato semplicemente incompatibile con la filosofia liberista delle privatizzazioni. Qualcuno potrebbe pensare che, per lo meno, tutto si semplifichi e diventi efficiente. Non è così: permane una straordinaria frammentazione della gestione delle competenze. Tralasciando, infatti, quelle dello Stato, permangono quelle delle regioni, degli enti locali, dei loro consorzi, dei soggetti gestori — pubblici o privati che siano —, delle autorità di bacino, eccetera. Non a caso è stato necessario inventarsi un’ulteriore autorità superiore con il relativo osservatorio, e lo si è fatto in modo tale da sollevare le ire della Commissione lavoro, ire che noi abbiamo considerato del tutto giustificate. E ancora: gli ambiti territoriali ottimali, pur se rivedibili ogni triennio, presentano una scarsa flessibilità. Investimenti, decisioni, organizzazione di utenze delicate e complesse come quelle idriche non potranno essere rivoluzionati ogni tre anni; seguiranno criteri derivati dalla situazione esistente e finiranno, come abbiamo già detto, anche per un motivo organizzativo, per soggiacere rispetto ai fattori economici, finanziari, industriali ed agricoli e non rispetto ai tanto proclamati, quanto traditi, obiettivi di salvaguardia dell’ambiente e delle risorse idriche. Nella stesura di questa proposta di legge si sono fatte sentire in forze le lobbies degli agricoltori e degli industriali, abituati da sempre a considerare l’acqua come una risorsa ed una materia prima a costo zero. Ed ecco gli articoli del provvedimento sui canoni per gli usi agricoli ed industriali, contro i quali hanno votato quelle forze che sono libere da pressioni e che in qualche modo, anche se a volte illusoriamente, hanno a cuore l’ambiente. Troviamo francamente incomprensibile e sbagliato che non si sia accettata la nostra proposta — per quanto attiene specificatamente ai tassi di inquinamento — di introdurre una novità importantissima: vale a dire, la misurazione e la regolazione non solo assoluta, ma anche nell’unità di tempo, delle sostanze inquinanti che vengono introdotte nell’ambiente e nell’acqua. Per concludere, come si sarà capito dai nostri voti sugli articoli, consideriamo questa legge alquanto contraddittoria. Da una parte vi è un’ottima impostazione delle questioni di principio, a cominciare dalla pubblicità delle acque, ma dall’altra un’incoerente, e per alcuni versi contraria, impostazione del sistema della gestione delle risorse idriche. Ma giacché sappiamo molto bene che la salvaguardia delle acque si fa con il governo del territorio e con la gestione delle risorse e non con le proclamazioni retoriche e di principio, non ci resta che votare contro. E, credetemi, lo facciamo veramente a malincuore.
(Applusi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista)
Onorevole Ramon Mantovani
Vittoria! Ma chi ha vinto? E chi ha perso?
Il risultato dei referendum è chiaro. Non c’è bisogno di descriverlo. I quesiti erano chiari ed inequivocabili. Il Governo Berlusconi ha perso nettamente sul nucleare e sul legittimo impedimento. Ma sui due quesiti riguardanti l’acqua hanno perso tutti quelli che per quasi vent’anni hanno sostenuto e proposto la privatizzazione della gestione dell’acqua. Hanno cambiato opinione? Bene! Hanno deciso di votare si solo per non entrare in contraddizione con il loro elettorato e/o per sfruttare i referendum sull’acqua per mettere in difficoltà il governo in carica? Benino! Hanno, coma già fa Bersani, votato si ma ora dicono che è stata sventato l’obbligo a privatizzare e che gli enti locali possono, se lo vogliono, privatizzare? Male! Malissimo! Nelle prossime settimane, passata l’euforia, bisogna sapere che si giocherà una battaglia forsennata, anche se i talk show non ne parleranno o ne parleranno invitando i soliti voltagabbana e presunti esperti, perché in gioco ci sono cifre da capogiro dal punto di vista delle multinazionali che hanno già messo e vogliono mettere le mani sull’acqua. Spero che la battaglia si svolga nella chiarezza. E che i contenuti dei referendum sull’acqua non vengano sacrificati sull’altare della perniciosa e vomitevole dialettica bipolare. Perché molti, troppi, sono stati favorevoli alla privatizzazione, anche se oggi cantano vittoria. Spero, ma so che è una speranza pressoché infondata, che a chi ha vinto veramente, perché da sempre contrario alla privatizzazione dell’acqua, venga riconosciuto il lavoro svolto in tutti questi anni. E spero che la litania antiberlusconiana o, peggio ancora, quella della società civile contrapposta ai partiti, non cancelli i meriti di chi in tutti questi anni ha onorato il compito di lottare dentro e fuori le istituzioni, insistendo sulla necessità di salvaguardare i beni comuni dal mercato e dal profitto, raccogliendo le firme per i referendum. Parlo del mio partito.Essendomene occupato allora mi è tornato alla mente il dibattito che si fece in parlamento sulla famosa Legge Galli. Nel 1993. Un secolo fa. Quando eravamo soli a sostenere la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua. Quasi soli. Perché oltre a Rifondazione solo il MSI votò contro, anche se per motivi diversi. Mentre Verdi e PDS furono favorevoli. La legge Galli è stata citata mille volte in queste ultime settimane. Ma nessun santone televisivo o giornalistuncolo si è preso la briga di rileggere quel dibattito. Anche solo per dare conto di chi fu favorevole e chi contrario alla privatizzazione. Così, giusto per amore di verità e per informare.Lo faccio io. Rimettendo qui la mia dichiarazione di voto finale sulla legge Galli. Ed invitando chi lo volesse fare a rileggersi gli interventi di Edo Rochi a nome dei Verdi che ignorò totalmente la questione della privatizzazione. E quello di Valerio Calzolaio a nome del PDS (oggi SEL) di cui pubblico subito un piccolo passo. Eccolo: “Così, alla pubblicità delle risorse, delle priorità e dei criteri di utilizzo, può corrispondere anche la privatizzazione di questa o quella gestione. Noi non abbiamo timori: le gestioni pubbliche possono e debbono riconquistarsi sul campo la riconferma di un ruolo. Occorre garantire al cittadino, un servizio efficiente e a basso prezzo, non sostenere ad ogni costo che il servizio lo deve dare lo Stato.” Lo stenografico delle dichiarazioni di voto finali lo si può leggere integralmente qui, dalla pagina 18588 in poi:
http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/Stenografici/Stenografico/34842.pdf#page=16&zoom=95,0,70
Questo il mio intervento a nome di Rifondazione Comunista.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Ramon Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, colleghe, colleghi, all’originaria proposta di legge dell’onorevole Galli, nel corso della discussione in Commissione, sono stati apportati molti e notevoli miglioramenti. È stato sventato il reiterato tentativo di mettere in discussione il comma 1 dell’articolo 1, nel quale si afferma la pubblicità di tutte le acque; sono state accolte le nostre proposte circa il risparmio idrico; sono state introdotte norme che prevedono una certa — solo una certa — unificazione della gestione dei sistemi idrici, una maggiore tutela dall’inquinamento, uno stimolo alla depurazione delle acque con il vincolo dei fondi ai quali affluiscono le tariffe per la depurazione e un maggiore, anche se assolutamente insufficiente, equilibrio tariffario. Tuttavia, noi voteremo contro il provvedimento perché, accanto ai principi generali che noi stessi abbiamo sollecitato, difeso e voluto e che costituiscono un importante passo in avanti, soprattutto dal punto di vista culturale, c’è l’operazione che porta dritto alla tendenziale privatizzazione della gestione del sistema idrico. Nei fatti si sancisce che il profitto, che al comma 2 dell’articolo 13 viene eufemisticamente definito adeguata «remunerazione del capitale investito», possa essere — anzi, è — il fine perseguito dai soggetti gestori. Si tenta comunque — e noi, in via subordinata, abbiamo a ciò contribuito — di imbrigliare la più che probabile logica intrinseca dei soggetti privati, che per loro natura non possono che considerare la difesa di una risorsa scarsa come l’acqua, la salvaguardia dell’ambiente, il soddisfacimento del bisogno di acqua potabile e la tutela della salute umana, come variabile dipendente rispetto ai conti economici dell’azienda e al profitto. Ma è prevedibile che, come in tante altre occasioni, ad essere premiato sarà l’interesse privato e non quello collettivo ed ambientale. Basta leggere l’articolo 16 per rendersi conto di come un comune, un’amministrazione comunale, venga messo sullo stesso piano di un soggetto gestore privato. Un comune, secondo l’articolo 16, non può realizzare un acquedotto od una fognatura senza aver prima stipulato una convenzione con il soggetto gestore, il che significa, pari pari, che un’azienda privata che gestisce può ostacolare le opere che dal punto di vista dei suoi conti economici consideri superflue, anche se sono utili sul piano sociale ed ambientale. Come se non bastasse, all’articolo 13, che noi consideriamo deleterio, si stabilisce che con la tariffa si devono coprire tutti gli investimenti, compresi quelli per la realizzazione delle opere. È come dire che non si paga più solo il servizio e che le infrastrutture non sono più realizzate con i soldi dello Stato, vale a dire con i fondi provenienti dalle tasse dei cittadini, ma che a questi ultimi spetta, oltre al pagamento delle innumerevoli tasse, anche l’onere di pagare, attraverso le tariffe, tutte le infrastrutture: acquedotti, fogne, depuratori, eccetera. Andando avanti di questo passo un altro novello De Lorenzo stabilirà che con i ticket bisognerà pagare le spese per la costruzione degli ospedali o qualcun altro proporrà che, oltre alle tasse scolastiche, gli studenti paghino per la costruzione delle scuole. Ci si è resi conto, anche perché lo abbiamo ripetuto fino alla noia, che in questo modo si sarebbero create gravissime sperequazioni tra zona e zona del paese, con un’insopportabile penalizzazione delle aree più povere di acqua e di infrastrutture, come il meridione, o più inquinate, come, ad esempio, la Lombardia. Per questo sono state messe alcune pezze, come la tariffa di riferimento ed altro, ma non si è fatta la cosa più semplice: una tariffa unica per l’acqua in tutto il paese, una variabile interna alla tariffa entro limiti prefissati riguardante la gestione del servizio e, infine, gli investimenti infrastrutturali a carico dello Stato e degli enti locali. Ma tutto questo, me ne rendo conto, sarebbe stato semplicemente incompatibile con la filosofia liberista delle privatizzazioni. Qualcuno potrebbe pensare che, per lo meno, tutto si semplifichi e diventi efficiente. Non è così: permane una straordinaria frammentazione della gestione delle competenze. Tralasciando, infatti, quelle dello Stato, permangono quelle delle regioni, degli enti locali, dei loro consorzi, dei soggetti gestori — pubblici o privati che siano —, delle autorità di bacino, eccetera. Non a caso è stato necessario inventarsi un’ulteriore autorità superiore con il relativo osservatorio, e lo si è fatto in modo tale da sollevare le ire della Commissione lavoro, ire che noi abbiamo considerato del tutto giustificate. E ancora: gli ambiti territoriali ottimali, pur se rivedibili ogni triennio, presentano una scarsa flessibilità. Investimenti, decisioni, organizzazione di utenze delicate e complesse come quelle idriche non potranno essere rivoluzionati ogni tre anni; seguiranno criteri derivati dalla situazione esistente e finiranno, come abbiamo già detto, anche per un motivo organizzativo, per soggiacere rispetto ai fattori economici, finanziari, industriali ed agricoli e non rispetto ai tanto proclamati, quanto traditi, obiettivi di salvaguardia dell’ambiente e delle risorse idriche. Nella stesura di questa proposta di legge si sono fatte sentire in forze le lobbies degli agricoltori e degli industriali, abituati da sempre a considerare l’acqua come una risorsa ed una materia prima a costo zero. Ed ecco gli articoli del provvedimento sui canoni per gli usi agricoli ed industriali, contro i quali hanno votato quelle forze che sono libere da pressioni e che in qualche modo, anche se a volte illusoriamente, hanno a cuore l’ambiente. Troviamo francamente incomprensibile e sbagliato che non si sia accettata la nostra proposta — per quanto attiene specificatamente ai tassi di inquinamento — di introdurre una novità importantissima: vale a dire, la misurazione e la regolazione non solo assoluta, ma anche nell’unità di tempo, delle sostanze inquinanti che vengono introdotte nell’ambiente e nell’acqua. Per concludere, come si sarà capito dai nostri voti sugli articoli, consideriamo questa legge alquanto contraddittoria. Da una parte vi è un’ottima impostazione delle questioni di principio, a cominciare dalla pubblicità delle acque, ma dall’altra un’incoerente, e per alcuni versi contraria, impostazione del sistema della gestione delle risorse idriche. Ma giacché sappiamo molto bene che la salvaguardia delle acque si fa con il governo del territorio e con la gestione delle risorse e non con le proclamazioni retoriche e di principio, non ci resta che votare contro. E, credetemi, lo facciamo veramente a malincuore.
(Applusi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista)
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