sabato 10 aprile 2010

REDDITI, LE FAMIGLIE SEMPRE PIÙ A FONDO

REDDITI, LE FAMIGLIE SEMPRE PIU' A FONDO.

Nel 2009 crollo di consumi e risparmi: -5%. I sindacati: «Riforma fiscale»
Un taglio del reddito del 2,8% e un calo dei consumi dell’1,9%. In totale, un taglio delle buste paga del 5%. Sono gli ultimi dati dell’Istat a ridisegnare il volto di un Bel Paese, che ormai è alla frutta. Si tratta del peggior livello dei bilanci famigliari dagli anni ’90 ad oggi. I numeri si riferiscono all’ultimo trimestre del 2009. Il potere di acquisto delle famiglie (cioè il reddito disponibile delle famiglie in termini reali) è diminuito dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,6 per cento rispetto a quello corrispondente del 2008. È proseguita poi la flessione del tasso di investimento delle famiglie (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi delle famiglie, che comprendono gli acquisti di abitazioni e gli investimenti strumentali delle piccole imprese classificate nel settore, e il loro reddito disponibile lordo) che nel quarto trimestre 2009 si è attestato all’8,8 per cento, 0,2 punti percentuali in meno rispetto al trimestre precedente, risentendo di una riduzione degli investimenti (meno 2,2 per cento) molto superiore a quella del reddito disponibile (meno 0,2 per cento). «Giunge oggi dall’Istat l’ennesima conferma alla gravissima situazione che avevamo prospettato da tempo». Commentano Adusbef e Federconsumatori. La dimostrazione, secondo le associazioni, che «la situazione in cui versa il Paese, è ben diversa da quella continuamente invocata dal “partito degli ottimisti”». Le associazioni dei consumatori chiedono la detassazione per 1200 euro delle famiglie a reddito fisso, e il blocco delle tariffe, che stanno pesando sempre di più sui bilanci delle famiglie italiane, con aumenti clamorosi per 761 euro annui. Secondo il portavoce nazionale della Federazione della sinistra, Paolo Ferrero, il taglio netto del reddito delle famiglie italiane è causato dalle «politiche di moderazione salariale e di estensione della precarietà del lavoro». «Mentre le grandi ricchezze e i profitti continuano ad aumentare - aggiunge Ferrero - questa condizione del reddito si pone all’origine della crisi italiana, in quanto peggiore è la condizione economica delle famiglie e la loro capacità di acquisto, più la crisi è destinata da aggravarsi». Secondo il leader della Federazione, per uscire da questa situazione occorre quindi agire su tre fronti: la tassazione dei grandi patrimoni e delle rendite finanziare, un aumento generalizzato di stipendi e pensioni, l’abrogazione della legge 30 che sancisce il lavoro precario. I dati Istat che vedono in calo non solo i redditi delle famiglie, ma anche il tasso di profitto delle imprese (con le peggiori performance dagli anni ’90) e della propensione al risparmio, «sono la dimostrazione che «non siamo fuori dalla crisi», dice il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani. «Purtroppo, essendo precipitati molto - ha spiegato -, la risalita è praticamente invisibile e quindi, come tale, è davvero una fase che si prolungherà, purtroppo. Tanto più se il Governo non fa nulla».Cgil, Cisl e Uil rilanciano, unitariamente, la richiesta di un intervento urgente sul fisco. «Non è più il tempo di attendere - dice Agostino Megale, della segreteria nazionale della Cgil - il governo deve convocare subito un tavolo che porti ad una riforma fiscale che premi i lavoratori dipendenti e i pensionati, ovvero quella parte del paese sempre più povera». I dati dell’istituto statistico, «confermano - spiega Megale - un paese in cui le disuguaglianze si accentuano e le famiglie sono sempre più povere: basti pensare che tra il 2002 e il 2009 il potere d’acquisto delle famiglie di operai e impiegati si è ridotto mediamente di circa 2.000 euro, mentre quello delle famiglie di imprenditori e liberi professionisti si è incrementato di oltre 16.000 euro».A fare qualche conto in tasca agli italiani è stata la Cia, la confederazione degli agricoltori: quattro famiglie su dieci sono state costrette a ridurre il “carrello della spesa”, mentre per il 60% c’è stato un cambio nel menù. Aumenta addirittura la percentuale (35 per cento), secondo gli agricoltori, di chi ha optato per prodotti di qualità inferiore facendo acquisti presso gli hard discount, dove gli affari hanno registrato un incremento del 15%. Calano, in particolare, le vendite di pane, vino, carne bovina, olio d’oliva. «Il 42 per cento delle famiglie ha dovuto ridurre gli acquisti di carne, in particolare quella bovina, il 38 per cento quelli di pane, il 36 per cento quelli di olio d’oliva e il 35 per cento quelli di vino». Anche per la Confcommercio il quadro è di «forte difficoltà». «Alla luce di queste evidenze - si legge in una nota - il confronto tra riduzione dei consumi (-1,8%) e riduzione dei redditi reali (tra il 2,3% e il 2,7%, secondo le nostre stime), indica che le famiglie italiane hanno fatto tutto il possibile per difendere i propri livelli di benessere e non hanno ceduto a eccessive preoccupazioni, nonostante la crescita della disoccupazione». «Per questo - conclude Confcommercio - assume un rilievo ancora maggiore la necessità della riforma fiscale: la riduzione strutturale delle aliquote legali, accompagnata da un’efficace azione di contrasto all’evasione e all’elusione nonché dalla riduzione degli sprechi nella pubblica amministrazione».
Fabio Sebastiani

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