Un ricordo di Lidia Menapace
di Giovanna Capelli
Carissima Lidia, sapevo che stavi molto male. Ma fino all’ultimo ho sperato che ce la facessi e che potessimo ancora godere della tua compagnia, della tua voce, della tua parola e delle allegre modalità dello stare insieme, quando con leggerezza si parla e si decide di questioni vitali. Hai accompagnato il mio percorso politico, quando alla Università Cattolica mi insegnavi Storia della letteratura contemporanea e spalancavi le finestre alla vita pulsante di un mondo che stava cambiando, in cui diventavano protagonisti i popoli, le classi subalterne, le donne. Ti ricordo alla occupazione della Cattolica e ai picchetti che seguirono e che precedettero la tua espulsione. Sei stata con autorevolezza in tutte le lotte che fecero emergere un nuovo volto del marxismo e del comunismo, non più imbrigliati nell’imbuto soffocante della dialettica fra ortodossia ed eresia, ma capace di muovere menti e cuori, di modificare la realtà e di prospettare una umanità futura.
Sei stata una delle poche femministe a tener testa politicamente a dirigenti prestigiosi senza acrimonia, ma con durezza e intransigenza, la stessa che avevi nel voler costruire una comunità femminista plurale dialogante e convergente. Ricordo le tue dissertazioni sulla proposta di Convenzione ( andare tutte verso lo stesso luogo) come forma del dialogo femminista. Hai anticipato e sviluppato temi fondativi del femminismo, la centralità della pace e la decostruzione del militarismo, la critica di ogni forma di patriarcato, anche quello che chiamavi “fraterno”, l’ analisi della riproduzione sociale e del lavoro che le donne compiono nella vita quotidiana, necessario per la sopravvivenza umana, ma anche punto nodale per il ribaltamento dei ruoli, dei modi di produzione e di convivenza civile. Sei stata Senatrice scomoda non solo per le osservazioni sulle frecce tricolori, ma per la tenacia con cui hai impugnato la questione dell’uranio impoverito e delle sue vittime nelle missioni militari nel Golfo, in Somalia e nei Balcani. Hai sempre avuto chiaro che nella alternativa attualissima fra civiltà e barbarie, impedire la barbarie non vuol dire riassettare l’esistente, ma costruire e lottare per un mondo nuovo una società pacifica, femminista e rispettosa della natura. Carissima Lidia, mi mancherai molto in questa lotta, ti ricordo in questa bella foto insieme.
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