Il misfatto delle forbici di cartone
di MASSIMO VILLONE da “IL MANIFESTO”
del 11-7-2020
Bene ha
fatto il manifesto a dare spazio alla conferenza stampa del Comitato per il No
contro l’election day e il taglio dei parlamentari. E comincia ad alzarsi la
coltre di silenzio su una delle riforme potenzialmente più stravolgenti della
storia repubblicana.
Hanno preso
posizione soggetti della sinistra sparsa, e persino un giornale non sospetto di
pulsioni eversive come l’Espresso. La Direzione nazionale di Sinistra italiana
ci consegna ora un documento per il No nel voto referendario.
A quanto
sappiamo, è la prima volta che un soggetto politico certifica ufficialmente il
misfatto.
Sinistra
italiana afferma che non era d’accordo con il taglio dei parlamentari, che lo
ha votato solo perché era irrinunciabile per M5S, che era l’unico modo di
evitare lo scivolamento a destra del paese, ed infine che il voto positivo si
legava a correttivi – legge elettorale proporzionale, modifiche di
completamento alla Carta costituzionale – che non vedono la luce, e la cui
assenza ora giustifica il No nelle urne.
Fa impressione
vedere un documento di partito che attesta lo scambio dannato e il ricatto tra
precari equilibri di governo e una delle architetture essenziali per le
istituzioni del paese.
Beninteso,
sapevamo già tutto. Sapevamo in specie della inconsistenza degli argomenti per
la riforma, e del peso degli argomenti contrari, tutti ampiamente trattati su
queste pagine.
Il problema
viene da molto lontano. Prende l’avvio con la sinistra che abbandona – tra la
fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 del secolo scorso – la centralità e la
rappresentatività del parlamento, per inseguire i falsi miti della stabilità e
governabilità costruite su sistemi elettorali maggioritari e partiti “leggeri”.
Ne sono
invece venuti una crescente frammentazione del sistema politico e
l’indebolimento delle istituzioni. Da oltre un ventennio l’Italia dei governi
presuntivamente più forti perché scelti dagli elettori è stata assai meno
“governata” di quella dei “governicchi” formati in Parlamento con alleanze dopo
il voto.
Lo provano
ampiamente, ad esempio, il progressivo cedimento del pubblico e le
privatizzazioni sbagliate che hanno contribuito a vicende come il ponte Morandi
o la crisi del sistema sanitario sotto i colpi del Covid-19.
In realtà,
solo M5S vuole davvero il taglio dei parlamentari, che ha scelto come bandiera.
Gli altri, che lo dicano o meno, sono o contrari pensando di riceverne un
danno, o al più – come la Lega o Fratelli d’Italia – agnostici, perché gli
equilibri di oggi comunque assicurano spazi assai maggiori che in passato.
Non manca
chi – in specie Giorgia Meloni – vede nel taglio e nel conseguente
indebolimento del parlamento l’occasione per una opzione presidenzialista, o
chi vede l’egemonia della destra – facilitata dal taglio in assenza dei
correttivi sopra menzionati – come l’occasione per spacchettare il paese nelle
repubblichette del regionalismo differenziato.
La stabilità
di un paese dipende in non piccola misura dalla stabilità di una Costituzione
recante regole ampiamente condivise. A partire da Titolo V del 2001, viviamo
esperienze di riforma di segno esattamente opposto.
Ho
sostenuto, e ribadisco, che la madre di tutte le riforme sarebbe una sola:
mettere in sicurezza la Costituzione modificando l’art. 138 in modo tale da
togliere il potere di revisione dalle mani della maggioranza di governo pro
tempore.
Si
eviterebbe così che la Costituzione sia ostaggio della dialettica tra
maggioranza e opposizione, o ancor peggio della dialettica interna alla stessa
maggioranza. Come Sinistra italiana certifica che accade oggi per il taglio dei
parlamentari.
L’ultimo
paradosso è che dal taglio il maggior danno in assoluto viene a M5S, suo
massimo sostenitore.
Dell’armata
parlamentare del 2018 rimarrebbe una sparuta pattuglia, soprattutto in mancanza
dei correttivi menzionati. Forse questo è motivo non ultimo delle convulsioni
che attraversano oggi i 5Stelle.
Mentre si
spiega davvero poco l’esultanza davanti a Montecitorio dopo l’ultimo voto sulla
riforma, con striscioni e la sagoma di un paio di enormi forbici.
Ma vogliamo
rassicurarli. La vittoria del No nel referendum potrà confermare che erano di
cartone.
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