Verso una Costituzione di minoranza per una democrazia
dell’onnipotenza
di Luigi
Ferrajoli
Questo
referendum sarà un referendum sulla democrazia, un referendum sul carattere
tendenzialmente autocratico, oppure democratico e pluralista della democrazia
costituzionale. La Costituzione che è stata proposta e già votata più volte alle
Camere, è un’altra Costituzione. Per il metodo con cui è stata approvata è un
oltraggio non tanto e non solo alla Costituzione del ’48, ma al
costituzionalismo in quanto tale, cioè all’idea stessa di Costituzione.
Le
Costituzioni rigide sono nate nel secondo dopoguerra per unire, ma soprattutto
sono nate come limiti e come vincoli ai poteri di maggioranza. Questa è la
grande novità. Le Costituzioni dopo le tragedie del fascismo, del nazismo, dei
totalitarismi nascono come “mai più”: mai più l’onnipotenza di qualunque potere
costituito, anche se di maggioranza; esse nascono come sistema di limiti, di
vincoli, di regole ai poteri, a qualunque potere. La Costituzione di Renzi si
caratterizza sin dal metodo come una Costituzione non di maggioranza ma di minoranza.
Grazie a una
legge dichiarata incostituzionale, il porcellum, un partito che aveva il 25%
non degli elettori ma dei votanti, ha preso la maggioranza assoluta; e in
questo 25% che equivarrà ad un 15% della popolazione, la maggioranza è
costituita da meno della metà perché molti sono diventati “governativi” a
seguito del cambiamento di equilibri interni al partito, quindi abbiamo
un’infima minoranza a sostegno di questa riforma che è stata approvata, anzi è
stata imposta, attraverso operazioni veramente scandalose: la fiducia, il
taglio di emendamenti, forme di Aventino fino all’ultima gravissima
deformazione consistente nel carattere plebiscitario che si vorrebbe imporre al
referendum come referendum non sulla Costituzione ma su Renzi.
Ma se c’è
una questione che non ha niente a che fare con le funzioni di governo è
precisamente la Costituzione. Già questo, qualunque cosa dica la nuova
Costituzione, è un fattore di discredito della nuova Carta. Noi abbiamo una
Costituzione che è nata dall’antifascismo, dalla Liberazione, votata
praticamente quasi all’unanimità da partiti che avevano combattuto il fascismo;
quindi anche sul piano simbolico essa ha un enorme valore aggregante e
democratico. L’oltraggio al costituzionalismo e alla Costituzione come momento
storico di rottura avrà come risultato l’instaurazione di una Costituzione di
minoranza, una Costituzione regressiva, una Costituzione che non ha più il
prestigio, il valore che deve avere la Costituzione in un sistema democratico.
Del resto
questo declino è accompagnato e segnalato dalle innumerevoli violazioni
costituzionali che si sono sviluppate in questi anni anche nella procedura di
riforma o revisione costituzionale; esse sono il sintomo di un generale declino
della Costituzione e dei principi costituzionali dall’orizzonte della politica.
E questo
vale soprattutto per quel che riguarda i contenuti. In questi anni è stato
smantellato lo Stato sociale, è stato distrutto il diritto del lavoro – i
lavoratori non hanno più diritti, il lavoro è diventato precario – la sanità
non è più una sanità universalistica e gratuita perché è diventata una sanità
monetizzata che pesa sulle spalle soprattutto dei più poveri, con tempi
lunghissimi di prestazione che rendono di fatto incurabile gran parte delle
malattie dei più poveri, che rinunciano alle cure.
Si parla
sempre del PIL come fattore e misura della crescita e del progresso, si parla
dello 0,7, 0,8 per cento: però contemporaneamente per la prima volta nella
storia recente, abbiamo avuto una riduzione delle aspettative di vita; le
aspettative di vita si sono ridotte, credo, di sei mesi, per effetto di un
crollo delle garanzie della salute.
Le
controriforme che sono state fatte sia nell’epoca berlusconiana che adesso,
sono un’aggressione: un’aggressione alla scuola, un’aggressione alle pensioni,
ai diritti di sussistenza, per il motivo che costano troppo; ma dobbiamo essere
consapevoli che costa molto di più la mancata garanzia di questi diritti, le
cui tutele sono il primo investimento produttivo; l’Italia è diventata più
ricca rispetto al suo passato, e in generale l’Europa rispetto agli altri
Paesi, perché hanno garantito i minimi vitali, l’istruzione, la salute, in
assenza dei quali non c’è produttività individuale e non c’è chiaramente
crescita economica e produttività collettiva.
Unità tra
prima e seconda parte della Costituzione
Uno degli
argomenti che viene proposto a sostegno di questa riforma costituzionale è che
essa riguarderebbe soltanto la parte organizzativa e non inciderebbe sulla
prima parte. Questa è una falsità, perché le due parti sono fortemente connesse
e perché la parte “organizzativa” mette insieme strumenti istituzioni e
tecniche di garanzia idonei ad assicurare l’attuazione dei principi della prima
parte, in particolare, l’uguaglianza, i diritti fondamentali, i diritti
sociali.
Io credo che
per capire il nesso che esiste tra la prima e la seconda parte della
Costituzione e quindi gli effetti che la modifica della seconda parte avrà
sulla prima parte, basti prendere in parola quello che dice il governo, e lo
stesso presidente Renzi: “ce lo chiede l’Europa”. L’Europa ci chiede queste
riforme. Questa è una frase che a prima vista può sembrare senza senso. Che
senso ha, che vuol dire che l’Europa è interessata all’abolizione del Senato
oppure alla riforma della legge elettorale? Sembra soltanto una mistificazione,
ma purtroppo è vero. Ce lo chiede l’Europa, cioè ce lo chiedono i mercati,
perché l’obiettivo di questa riforma è un obiettivo perseguito da tanti anni,
dalla riforma di Berlusconi, dalla riforma di Craxi: è la governabilità.
Che cosa
vuol dire governabilità? Nel lessico dei nostri governi, non soltanto in
Italia, governabilità vuol dire onnipotenza dell’esecutivo rispetto al
Parlamento e ovviamente rispetto alla società; vuol dire mani libere,
possibilità di aggredire lo Stato sociale, possibilità di aggredire la scuola,
aggredire la sanità, sulla base unicamente di un consenso senza alternative:
perché ci si presenta alle elezioni, e certamente non ci sarà più la quantità
di voti del passato, ci sarà una crescita dell’astensionismo, perché è crollata
la qualità del voto, non si vota per convinzione ma solo per paura del peggio;
si ha disprezzo, disgusto, si vota per il meno peggio, e tuttavia questo è il
consenso, è la fonte di legittimazione veicolata da una riduzione della
politica a spettacolo che richiede non, come vorrebbe l’articolo 49, il
concorso dei cittadini nel determinare la politica nazionale, ma semplicemente
il consenso degli spettatori al meno peggio.
Al meno
peggio significa che tutti devono assomigliarsi, perché non ci sono
alternative, perché la politica dei mercati è una sola, la politica si sta
trasformando in tecnocrazia, in modo tale che non si spiega perché ci debba
essere un ceto politico di un milione di persone che evidentemente è diventato
totalmente parassitario perché deve soltanto eseguire i dettami dei mercati.
Onnipotenza
e impotenza della politica
Ebbene
questa onnipotenza è ciò che si richiede alla politica perché la politica possa
essere impotente nei confronti dei mercati, subalterna nei confronti
dell’economia, perché per l’appunto si trasformi in tecnocrazia, perché abdichi
al proprio ruolo di governo della finanza, dell’economia, perché possa obbedire
alle ingiunzioni, fare i compiti a casa, unicamente mediante la riduzione dello
Stato sociale e non certamente mediante la crescita della progressività delle
imposte, non certamente applicando imposte del 70/90% a redditi ultramilionari,
non certamente attuando norme costituzionali sulla redistribuzione della
ricchezza, non certamente facendo ciò che la politica, secondo la Costituzione,
deve fare.
Si deve
semplicemente eseguire, ottemperare. I governi di destra e i governi di
sinistra sono in questo senso uguali, tant’è vero che gli scontri sono di
carattere personale, sono caratterizzati dagli insulti reciproci più che dai
diversi programmi e nel dibattito politico ciò che non viene mai messo in
questione è il sistema di limiti e di vincoli ai poteri economici e ai poteri
della finanza, che dovrebbero essere governati dalla politica.
Questo
governo della politica fa parte del costituzionalismo profondo dello Stato
moderno che nasce come sfera pubblica separata in grado di governare
l’economia, che altrimenti sarebbe guidata naturalmente dagli istinti predatori;
infatti ovviamente i diritti politici, i diritti civili, i diritti di
iniziativa economica, i diritti di iniziativa privata, sono diritti esercitati
in funzione degli interessi personali; ciò fa parte della logica del
capitalismo, non possiamo pretendere che il capitalismo abbia una logica
diversa, per questo è necessaria la politica, è necessario redistribuire la
ricchezza, per limitare il carattere predatorio attraverso un conflitto sociale
che è stato un fattore di civilizzazione.
Lo
smantellamento di tutto questo è possibile solo se prima di tutto si disarma la
società, e cioè si smobilitano i partiti, e i cittadini sono ridotti a
spettatori davanti alle televisioni a guardare gli scontri fra i politici, che
naturalmente si scontrano su questioni marginali. Dunque ciò che viene
perseguito è prima di tutto la neutralizzazione del controllo dal basso, del
radicamento sociale, e in secondo luogo la neutralizzazioni dei limiti e dei
vincoli dall’alto, e cioè da parte delle Costituzioni, perché le Costituzioni
sono ormai scomparse dall’orizzonte della politica.
Nessuno
infatti grida più all’incostituzionalità di fronte ai ticket e alla
monetizzazione dei diritti fondamentali in materia di salute che si distinguono
dai diritti patrimoniali perché sono per l’appunto gratuiti, universali, sono
la base dell’uguaglianza, dovrebbero essere garantiti a tutti nella stessa
maniera, non ci dovrebbero essere differenze in materia di sanità. Naturalmente
la cosa costa, ma non è neanche un costo troppo grave, se si pensa che su
centodieci miliardi – queste sono le statistiche che abbiamo avuto modo di
leggere sulla spesa pubblica in materia di sanità – tutti i ticket con tutto
l’apparato burocratico che comportano, producono un introito di tre miliardi,
cioè praticamente una parte irrilevante della spesa.
Una spesa
però che pesa interamente sulle spalle delle persone più povere e produce
un’enorme mediazione burocratica che rende spesso ineffettivi i tempi delle
cure; i tempi sono ormai diventati praticamente un fattore di crollo di una
delle sanità pubbliche più avanzate del mondo.
Lo stesso
fenomeno si sta verificando in Inghilterra, si sta verificando in Europa;
stiamo assistendo ad un crollo delle nostre democrazie legato precisamente a
questa involuzione autocratica; essa merita di essere chiamata così, perché il
meccanismo che è stato introdotto attraverso la congiunzione della riforma
costituzionale e della legge elettorale consegna il potere politico a una
minoranza parlamentare di fatto fortemente vincolata al capo del governo; è un
fatto che già in parte è avvenuto tant’è vero che questa riforma costituzionale
è una costituzionalizzazione dell’esistente, perché già oggi tra decreti legge,
leggi delegate, leggi di iniziativa governativa, la produzione legislativa è per
il 90% di produzione governativa.
Già oggi noi
abbiamo avuto un Parlamento esautorato, ma con queste riforme il Parlamento non
conterà più niente, sarà per l’appunto una maggioranza di parlamentari,
fortemente vincolati da chi deciderà della loro successiva elezione, a causa
anche della disarticolazione sociale dei partiti, della loro neutralizzazione
come fonti di legittimazione titolari delle funzioni di indirizzo politico, di
controllo e di responsabilizzazione.
Il risultato
quindi è un’involuzione autocratica, ed è su questo che dobbiamo decidere. Dobbiamo decidere non tanto se vogliamo la
Costituzione del ’48 a causa del suo prestigio e del suo valore simbolico, ma
dobbiamo decidere tra democrazia parlamentare e sistema sostanzialmente
autocratico, monocratico, che non è una questione di forma: questa forma è
funzionale a una governabilità indirizzata a dare mani libere in materia
soprattutto di diritti sociali, di diritti fondamentali di uguaglianza.
Del resto la
crescita della disuguaglianza è un fatto sotto gli occhi di tutti che viene
incoraggiato dalle politiche governative non solo in Italia. Quindi il nostro
voto è una scelta o a favore della democrazia pluralistica costituzionale
oppure a favore di un’involuzione personalistica, verticalistica e autocratica
del sistema politico.
Questo
intervento ha fatto parte di quelli presentati alla conferenza stampa dei
cattolici del NO tenutasi il 21 marzo 2016
Fonte: il
manifesto Bologna