No al
referendum, Sì a una nostra riforma
di Gianni
Ferrara
Siamo vicini
all’inizio della campagna referendaria sulla perversa deformazione del Senato.
Per chi le si oppone, come a tutto il disegno devastante di Renzi, la lotta
sarà durissima. È enorme il divario di forza tra i due schieramenti che si
vanno costituendo. Variegati, come in tutti i referendum, lo è di più quello
del No, il nostro. È perciò urgente non soltanto definire l’identità nostra di
oppositori all’eversione renziana, indicando le ragioni del No, che,
soprattutto su questo giornale, sono state esattamente enumerate e ampiamente
motivate, ma, immaginando quali potranno essere le argomentazioni del Sì, per
contestarle e rovesciarle.
Saremo
certamente accusati di conservatorismo, immobilismo, passatismo, di sostegno ad
apparati pletorici, inefficienti, costosi, inadeguati, irresponsabili ecc., di
fonte ai quali poi …. si ergerebbe la modellistica istituzionale high-tech
della onorevole Boschi. Renzi dirà che vogliamo mantenere intatto l’assetto
istituzionale disegnato settanta anni fa, attribuendo, implicitamente o anche
direttamente, a questo assetto la responsabilità dell’arretratezza del Paese,
tacciandolo di inidoneità a reagire alla crisi economica, a fronteggiare i
problemi reali come quello del precariato, della disoccupazione più alta d’Europa,
della corruzione endemica, dei poteri mafiosi e quant’altro. Falso, certo. Ma
il nuovismo è sciaguratamente penetrato nel senso comune ed ha gettato sulle
istituzioni repubblicane la responsabilità dell’economia liberista, ha avvolto
la democrazia costituzionale nell’ombra spessa della delusione.
Sarebbe
perciò imperdonabile permettere che la sinistra referendaria possa apparire
come tetragona guardiana degli assetti istituzionali esistenti, delle parole,
degli accenti e delle virgole della Carta costituzionale. Perché non lo è,
anzi, non può, non deve esserlo. Tanto più che dispone di un ricco patrimonio
di proposte autenticamente riformatrici, quelle che, per riaffermare i principi
della nostra Costituzione, perseguirne gli obiettivi, mantenerne le promesse,
realizzare il compito della Repubblica, adeguerebbero perfettamente le nostre
istituzioni alla fase storica del dominio del liberismo, della compressione dei
diritti, del precariato, della disoccupazione permanente, delle ineguaglianze
crescenti, del rischio incombente del collasso ecologico.
Dovremmo
quindi indicarle. Perciò provo a sottoporre alla discussione un possibile
quadro di proposte volte sia a riformare l’apparato centrale della Repubblica
che ad integrare la democrazia rappresentativa con istituzioni della democrazia
diretta.
logo-comitato-no14Per
quanto riguarda la struttura del Parlamento, riprenderei la nobile, costante e
mai smentita scelta della sinistra a favore del monocameralismo e del sistema
elettorale proporzionale, sistema da sancire contestualmente in Costituzione
perché condizione indefettibile della opzione monocamerale. Un numero di 500
deputati potrebbe perfettamente soddisfare le esigenze rappresentative e quelle
funzionali dell’organo.
Ai
Presidenti delle Regioni andrebbe riconosciuto il potere di intervento e di
emendamento nel corso del procedimento di formazione delle leggi della
Repubblica, direttamente o indirettamente rilevanti per l’esercizio delle
funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni.
A garanzia
dell’ordinamento costituzionale, andrebbe prevista l’istituzione delle leggi
organiche, da approvare con la maggioranza assoluta, sia articolo per articolo
che nella votazione finale, in materia di diritti costituzionalmente
riconosciuti, di organi supremi della Repubblica, delle Magistrature, delle
Regioni.
Ad
assicurare concretamente i diritti sociali, andrebbe poi sancita la
destinazione, con norma costituzionale, di un terzo delle entrate fiscali alla
spesa per assicurarne il godimento (art. 4, 32–38 della Costituzione).
A difesa dei
“nuovi diritti”, dovrebbe essere prescritta l’inalienabilità,
costituzionalmente sancita, dei beni (comuni) a godimento universale o
territorialmente diffuso.
L’
integrazione della democrazia rappresentativa mediante istituti di democrazia
diretta, comporterebbe innanzitutto l’ attuazione dell’art. 49 della
Costituzione, con la conseguente qualificazione di partiti politici soltanto
per le associazioni che assicurano di fatto (a) «la partecipazione dei
cittadini alla determinazione della politica nazionale», (b) la responsabilità
permanente della leadership nei confronti di una direzione collegiale
rappresentante della base, © l’iniziativa congressuale di un quinto degli
iscritti in caso di inerzia nella convocazione ordinaria (temporalmente
cadenzata) del congresso, etc. (d) la carta dei diritti degli iscritti, (e)
azionabili innanzi al giudice ordinario;
Andrebbe poi
previsto l’obbligo del Parlamento di deliberare su proposte di legge di
iniziativa popolare sottoscritte da 50 mila elettori, entro un anno dalla
presentazione. Andrebbero inoltre istituiti: a) il referendum propositivo su un
progetto di legge di ampia iniziativa popolare (500.000 elettori?) che incontri
l’inerzia del Parlamento o la sua distorsione nei fini e nella portata, b) il
ricorso diretto alla Corte costituzionale sulla legittimità di una legge (come
previsto in Germania), c) il referendum preventivo alla ratifica dei trattati,
come quelli europei, che intervengono sulle fonti dell’ordinamento giuridico
italiano, d) o sulle norme relative ai diritti costituzionalmente riconosciuti,
d) o che impegnano militarmente la Repubblica.
Per questi
obiettivi la vittoria del No al referendum costituirebbe presupposto e impegno
per l’iniziativa popolare di progetti di leggi costituzionali volti a proporli.
Respinta la deforma della Costituzione ordita dal Governo, sarebbe il corpo
elettorale ad assumere l’onere della revisione della Costituzione per
consolidarne i principi, attuarne i contenuti, adempierne il compito. Sì, quello
dell’articolo 3, secondo comma, l’eguaglianza di fatto.
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