domenica 30 giugno 2013

FERMIAMO L’ACCANIMENTO CONTRO LA COSTITUZIONE - di Raniero La Valle

FERMIAMO L’ACCANIMENTO CONTRO LA COSTITUZIONE


di Raniero La Valle

È in corso un attacco alla Repubblica e alla Costituzione; non parlo del precipitare verso il presidenzialismo che è di tutto il PDL, degli ex fascisti e di una parte consistente anche del Partito democratico: questo si discuterà quando si entrerà nel merito delle riforme costituzionali. Parlo della legge costituzionale che detta nuove e fantasiose procedure per la modifica della Costituzione, che il governo Letta d’accordo con Napolitano ha purtroppo presentato come uno dei punti fondamentali del suo programma e che, con arbitraria procedura d’urgenza, è in questo momento in discussione al Senato. Tale legge non è una legge che direttamente modifica la Costituzione, ma la “deroga”, in quanto prescrive una procedura non costituzionale per la revisione costituzionale; è una legge di modifica che sarà la madre di tutte le modifiche e che perciò giustamente dai Comitati Dossetti è stata chiamata “legge grimaldello”.

Si tratta infatti dell’arma che mancava per le agognate riforme della Seconda parte della Costituzione, la quale, finora, grazie agli strumenti di garanzia che la presidiano, ha resistito a tutti i venti e le maree. Il grimaldello sta per l’appunto nel disegno di legge costituzionale che, accantonando l’art. 138 della Carta che la protegge, scardina le porte d’ingresso della revisione costituzionale e mette la Costituzione, resa in tal modo “flessibile” da rigida che è, alla mercé dell’attuale maggioranza parlamentare, innaturale e iconoclasta; e nello stesso tempo impedisce che si facciano, rispettando le regole, le vere e puntuali riforme che sono opportune e coerenti (a cominciare dalla differenziazione del bicameralismo, con la novità di un Senato della Repubblica e delle autonomie).

La battaglia per far fallire questa legge interrompendone l’iter parlamentare, è dunque la battaglia estiva da fare, e la più urgente. La normativa che sancisce la deroga dovrebbe essere infatti approvata in seconda lettura (trattandosi di una legge costituzionale) tra l’ottobre e il novembre prossimi, e il tempo è poco perché si tratta di convincere il Parlamento a far cadere la legge, o almeno a non approvarla con la maggioranza dei due terzi, ciò che permetterebbe il ricorso al referendum popolare per una sua conferma o bocciatura.

Il tempo è poco anche perché in questi mesi, prima che la legge grimaldello vada in vigore, bisognerebbe modificare la legge elettorale “Porcellum”; dopo non sarà più possibile perché la riforma elettorale entrerà nel pacchetto delle riforme costituzionali e quindi se ne parlerà tra due anni, e nel frattempo il “Porcellum”sarà blindato come immodificabile, sicché o non si potranno sciogliere le Camere o si dovrà votare ancora una volta con la legge vigente, che ci ha procurato i Parlamenti deformi che sappiamo.

Ma perché questo accanimento per cambiare la Costituzione, che giunge fino al tradimento dei principi e delle regole su cui essa è fondata?

Il governo, che si è autoproclamato dominus e arbitro della riforma costituzionale, ha presentato al Senato una relazione che accompagna il disegno di legge grimaldello, dicendone tutto il bene possibile.

Ma la vera relazione, negli stessi giorni, è quella che si ricava da un documento della Jp Morgan, la famosa banca d’affari americana che ha così grandi responsabilità nelle speculazioni che innescarono nel 2008 la crisi mondiale. Per quanto la si possa accusare di avventatezza, la Morgan di capitalismo se ne intende. E in un documento del 28 maggio scorso ha scritto, nero su bianco, che la colpa del dissesto economico europeo è delle Costituzioni nate dopo la caduta delle dittature, e “rimaste segnate da quell’esperienza”: insomma delle Costituzioni antifasciste. Esse mostrerebbero una forte influenza delle “idee socialiste” (l’apporto dei cattolici e dei liberali è ignorato) ragion per cui è oggi difficile applicare le misure di austerità; infatti a causa di quelle Costituzioni i Parlamenti sono troppo forti nei confronti dei governi, le regioni troppo influenti sui poteri centrali, ci sono le tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori e – addirittura! – c’è “la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo”.

Già si era detto che la convinzione dominante a Bruxelles e a Francoforte (cioè nella Banca e nelle istituzioni europee e nella Banca tedesca) fosse che per affrontare la concorrenza internazionale si dovrebbero abbandonare “molte delle conquiste della civiltà europea degli ultimi cinquant’anni”, ed ecco che i banchieri americani danno il nome a queste conquiste da cancellare: sono le Costituzioni.

in Italia si sta provvedendo. Glielo lasceremo fare?

Ciao compagna Margherita

CIAO COMPAGNA MARGHERITA

venerdì 28 giugno 2013

LETTERA APERTA A GUGLIELMO EPIFANI

LETTERA APERTA A GUGLIELMO EPIFANI
di Piergiovanni Alleva

So bene che quello della “lettera aperta” è un genere letterario un po’ polveroso e passato di moda, ma credo di avere, questa volta, due ottime ragioni per farvi ricorso.

La prima è che siamo alla vigilia del più micidiale attacco mai portato ai diritti dei lavoratori, e che nessuno sembra essersene accorto, perché il Governo Letta, che ne è l’autore, ed è espressione del Partito Democratico di cui sei Segretario, l’ha ipocritamente mascherato da semplice misura di supporto all’occupazione giovanile.

Si tratta, nientemeno, che della “liberalizzazione” dei contratti a termine, ossia della istituzionalizzazione e generalizzazione del precariato come normale – e ricattatoria – forma del rapporto di lavoro.

La seconda ragione è che ho lavorato con te per molti anni, quando eri Segretario della CGIL, in qualità, per così dire, di “giuslavorista in capo” (come, in precedenza, avevo fatto con Cofferati e con Trentin), e ti ho sentito ripetere in ogni occasione, in pubblico e in privato, nelle piazze e nei convegni, un concetto importantissimo: che il rilancio dell’economia e dell’occupazione non passa dall’eliminazione dei diritti dei lavoratori, e, soprattutto, non passa dalla distruzione della loro dignità e riduzione ad uno stato di soggezione tramite licenziamenti “liberi” e precariato incontrollato.

Hai sempre, giustamente, rimarcato che è assolutamente falso che licenziamento e precariato “liberi” aumentino, anche minimamente, l’occupazione, che dipende, invece, dalla politica economica e dalla crescita della domanda aggregata.

Lo dimostra, tra l’altro, l’esempio della Spagna, che dopo aver liberalizzato i contratti a termine per i giovani, ha visto aumentare la disoccupazione giovanile ben oltre il 50%, e – aggiungo – lo ha dimostrato anche l’inutile manomissione da parte del Governo Monti – Fornero dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la quale, ovviamente, dopo un anno non ha creato neanche un posto di lavoro in più.

Ma vediamo più da vicino questa micidiale proposta del Governo Letta, come è stata spiegata da anticipazioni di stampa: in sostanza, i contratti di lavoro a termine diverrebbero “acausali” e senza limiti di ripetibilità per i giovani fino a 29 anni, mentre per gli altri lavoratori il “primo” contratto a termine, che la riforma Fornero ha già reso “acausale” con durata fino a 12 mesi, potrebbe prolungarsi a 18 mesi, a 24 mesi o a chissà quando.

“Acausale” significa che il termine automatico di scadenza potrebbe essere apposto al contratto anche senza una specifica ragione o causa, e cioè anche per far fronte e normali e continuative esigenze produttive, e non soltanto quando ricorrano esigenze temporanee.

Ma chiediamoci, allora, perché il datore di lavoro, per sopperire ad esigenze produttive continuative dovrebbe ricorrere non a contratti a tempo indeterminato, come sarebbe naturale, bensì a contratti a termine, e perché le organizzazioni datoriali insistano tanto per introdurre questa anomalia o controsenso.

Per rispondere, bisogna bandire ogni ipocrisia, e riconoscere che non vi è altra ragione che questa: che il contratto a termine, a scadenza automatica e rinnovabile solo se il datore di lavoro lo vuole, gli conferisce uno strapotere contrattuale durante tutto lo svolgimento del rapporto, e mette di fatto fuori gioco lo Statuto del Lavoratori ed ogni altra legge protettiva, che nessun lavoratore precario oserà più invocare per timore di un mancato rinnovo del contratto a termine.

Non per nulla un entusiastico plauso alla “proposta Letta” (o Giovannini) è venuto da una schiera di eminenti giuristi ed avvocati di parte datoriale, che della negazione e del contrasto verso i diritti dei lavoratori hanno fatto la loro professione, nonché la fonte di ingenti fortune personali,.

Se passerà la “Riforma Letta” (o Giovannini) tutte le nuove assunzioni saranno a termine, ed il precariato sarà la condizione normale dei lavoratori, privati di tutela e di dignità.

Né si dica che già oggi la maggioranza delle assunzioni avviene mediante contratti a termine o di lavoro somministrato: ciò è vero, ma costituisce semplicemente un’illegalità di massa, perché almeno l’80% di quei contratti è illegittimo, per carenza del presupposto di temporaneità delle esigenze produttive, ed in ogni momento il lavoratore che voglia sottrarsi al ricatto, può denunziare in giudizio l’illegittimità, ottenendo la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

E nessuno lo sa meglio di te, caro Segretario Epifani, che hai sempre voluto che la CGIL disponesse di una capillare rete di uffici vertenze legali, nei quali centinaia di bravi e motivati attivisti lottano ogni giorno contro l’illegalità.

Puoi, dunque, come Segretario del Partito Democratico – da cui questa disastrosa proposta interamente dipende – consentire all’abolizione, nella sostanza, del diritto del lavoro, che essa renderebbe, in concreto, impraticabile per i lavoratori ormai totalmente precarizzati?

In molti, moltissimi, speriamo e crediamo che non lo permetterai, che farai decadere, anche mettendoti in gioco personalmente, la proposta governativa di “acausalità” dei contratti a termine, che, tra l’altro viola platealmente la Direttiva Europea n. 1999/70, la quale richiede, per la loro legittimità, che siano “determinati da condizioni obiettive”.

Ribadisco che alla presentazione del decreto da parte del Ministro Giovannini mancano poche ore: bisogna, dunque, schierarsi ed agire adesso.

martedì 25 giugno 2013

ALLA FACCIA DEL VOTO UTILE...


PER USCIRE DALLA CRISI, SERVE UNA RIVOLUZIONE NON VIOLENTA

Per uscire dalla crisi, serve una rivoluzione non violenta


La situazione del paese, a causa delle politiche economiche praticate dal governo italiano su indicazione dell’Europa, è semplicemente drammatica. Disoccupazione, precarietà, la gente che non arriva a fine mese. Monti prima e Letta poi ci avevano spiegato che questa situazione era passeggera in quanto “il risanamento dei conti pubblici” avrebbe largamente compensato questi sacrifici. La prova fornita era l’abbassamento dello spread, cioè degli interessi che l’Italia paga sul debito pubblico. In questi giorni sta cadendo anche questa giustificazione. Lo spread sta risalendo e le borse stanno crollando. Questo perché la discesa dello spread nulla ha a che vedere con l’azione del governo quanto piuttosto con l’acquisto da parte della BCE dei titoli di stato e l’immissione sul mercato di enormi quantità di denaro a basso costo da parte degli USA e del Giappone. Si dà il caso però che la Federal Reserve degli USA ha annunciato che stringerà i cordoni della borsa: ecco perché i tassi di interesse sono schizzati in alto. Visto che nulla è stato fatto per mettere sotto controllo la speculazione, è molto probabile che nei prossimi mesi riprenderà la speculazione e ci chiederanno altri sacrifici. Parallelamente il governo ci spiegherà che ci vuole più Europa e che deve convincere la Merkel a fare politiche a favore dell’occupazione. E’ del tutto evidente che si tratta di balle spaziali che danno modo agli speculatori di continuare a rubare soldi dalle tasche dei lavoratori e dei pensionati per trasferirle nelle loro, attraverso alti tassi di interesse. Bisogna smetterla di aspettare Godot, bisogna fare una rivoluzione non violenta per uscire dalle politiche di austerità. Per questo è necessario disobbedire ai trattati europei e fare subito un piano per il lavoro in Italia. Non possiamo continuare ad impiccarci con le nostre stesse mani per far piacere a Merkel: disobbedire ai trattati e mettere al centro dell’azione politica la costruzione di due milioni di posti di lavoro è un obiettivo necessario e realizzabile. E’ l’obiettivo della nostra azione politica: la piena sovranità del popolo italiano sulle condizioni della propria esistenza.

Paolo Ferrero

lunedì 24 giugno 2013

FERMIAMO GLI F35

Fermiamo gli F35


Con i 14 miliardi che servono all’acquisto e allo sviluppo dei cacciabombardieri si potrebbe fare fronte alle emergenze di welfare e occupazione. Lunedì (dalle 18 alle 20) a piazza Montecitorio, un sit in per chiedere al governo la cancellazione della partecipazione italiana al programma

La domanda è molto semplice: gli F-35 sono una priorità per il paese? C’è qualcuno dei deputati del centro-sinistra in Parlamento che lo pensa davvero? O che pensa che confermare la partecipazione italiana al programma di acquisto di 90 cacciabombardieri di attacco sia una scelta “popolare”? Non credo.

Governare significa scegliere. Anche e soprattutto in tempi di forte crisi come questi. I 14 miliardi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri (52 per l’intera gestione del programma, almeno secondo le stime della campagna “Taglia le ali alle armi”), potrebbero essere spesi molto meglio. Non tutte le decisioni sbagliate possono essere corrette, ma in questo caso si è in tempo a tornare indietro e lunedì prossimo si presenta un’occasione che non va persa. Inizierà infatti la discussione di una mozione firmata da 158 (centocinquantotto) deputati di Sel, M5S e PD che chiede al Governo la cancellazione della partecipazione italiana al programma. Se quella mozione venisse votata, il governo difficilmente potrebbe andare avanti sulla sua strada senza tenerne conto.

Non si tratta di una delle tappe parlamentari che riguardano solo chi ha firmato quella mozione né solo i pacifisti. È una mozione che ci riguarda tutte e tutti. Perché ciascun pezzo acquistato di un F-35 sottrae le risorse necessarie per affrontare le vere priorità del paese, quelle con le quali ci confrontiamo tutti i giorni.

Il Ministro Mauro che ha definito, senza pudore, quello per gli F-35 “un investimento di pace” dovrebbe camminare per le strade delle nostre città. Provi ad andare in una scuola, in un ospedale, in un centro per anziani, in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati oppure in un centro anti-violenza. Provi a chiedere a chi gestisce servizi sempre più ridotti all’osso se l’ala di un cacciabombardiere vale la messa in sicurezza di una scuola o una riduzione dei ticket sanitari o il rafforzamento di quella rete di centri messi su dalle donne che combattono quotidianamente contro la violenza.

Oppure provi ad andare presso un qualsiasi sportello vertenze di un sindacato e chieda alle migliaia di lavoratori in cassa integrazione se un F-35 è più importante di un serio piano nazionale per l’occupazione possibilmente pulita, dignitosa e disarmata.

Questo è in gioco lunedì, non altro. E se proprio è necessario occuparsi di spending review che si identifichi e si elimini la spesa pubblica che non serve. E quella per gli F-35 non serve.

E per questo è fondamentale che al sit-in organizzato a Montecitorio (lunedì 24 giugno, ore 18-20) non ci siano solo i “soliti” pacifisti radicali e incapaci di rassegnarsi di fronte alle scelte sbagliate. Se quella piazza si riempisse di mamme e bambini, di anziani e studenti, di disoccupati, operai e “liberi professionisti” per forza, di pacifisti e antirazzisti, di operatori sociali e sindacalisti, di militanti dei partiti democratici dentro e fuori il Parlamento, daremmo un segnale forte. Perché non basta prendere le distanze dalla politica che non ci piace con un post su Facebook o un cinguettio, serve fare tutto il possibile per impedire che si perseveri nell’errore, mettendosi in gioco, in prima persona.

GRAZIA NALETTO
da Sbilanciamoci



domenica 23 giugno 2013

L'APPELLO - COSI' SI VIOLA L'ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE

L'APPELLO
Così si viola l'articolo 138 della Costituzione

I Comitati Dossetti per la Costituzione denunciano come inammissibile il disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri il 6 giugno 2013, che detta nuovi modi e tempi per la riforma della Costituzione in violazione dell'art. 138 della Carta.

Violazioni che consistono, a tacer d’altro:

1. nel riconoscimento al Governo dell’inusitato ruolo di proponente delle riforme costituzionali, per giunta coadiuvato da una commissione di esperti nominati dallo stesso Governo;

2. nell’altrettanto inusitata imposizione di un limite temporale al procedimento di revisione, come se si trattasse dell’approvazione, con caratteri d’urgenza, di una legge ordinaria;

3. nella diminuzione da tre mesi ad uno dell’intervallo intercorrente tra la prima e la seconda approvazione del testo delle leggi di revisione costituzionale: un intervallo voluto espressamente dai Costituenti perché le eventuali modifiche costituzionali potessero essere adeguatamente discusse nell’opinione pubblica prima della delibera definitiva delle Camere (nella quale, com’è noto, non è ammissibile la presentazione di emendamenti) .

Si è eccepito che queste modifiche verrebbero ad essere contenute in una legge costituzionale ad hoc. Questa non è però una valida giustificazione. Da un lato tali modifiche spiegherebbero infatti “effetti permanenti” con riferimento alla disciplina procedimentale delle future leggi costituzionali, per cui si tratterebbe di “deroghe con effetti permanenti” e cioè di vere e proprie modifiche surrettizie all’art. 138; dall’altro il fatto che tali modifiche siano contenute in una legge costituzionale non significa alcunché perché le leggi costituzionali, non diversamente dalle leggi ordinarie, devono rispettare i limiti formali e sostanziali posti dalla Costituzione.

Si tratta pertanto di una legge grimaldello che fa saltare le garanzie e le regole che la Costituzione stessa ha eretto a sua difesa, e che finché sono in vigore vanno rispettate. Essa contempla che in diciotto mesi vengano cambiati forma dello Stato, forma di Governo, Parlamento e l’intero equilibrio fra i poteri dello Stato su cui riposano i diritti dei cittadini.

I Comitati Dossetti per la Costituzione, richiamandosi alla grande manifestazione di patriottismo costituzionale tenutasi a Bologna il 2 giugno con la partecipazione di popolo e rappresentanti di movimenti di massa, e dando seguito al loro appello del 2 maggio “Giuristi contro la Convenzione”, fanno presente al Governo ed alla maggioranza parlamentare che con tale disegno di legge, rispecchiante la mozione delle Camere del 29 maggio scorso, viene compiuto un gravissimo errore, a cui, tuttavia, sarebbe ancora possibile non dare corso.

La previsione e l’auspicio, formulati da molti e dallo stesso Presidente della Repubblica che da qui a poco più di diciotto mesi si possa concludere l'iter delle riforme, sono tutti basati sul presupposto che il disegno di legge costituzionale, presentato ora al Parlamento, sia subito approvato e poi, nello spirito dell’Alleanza manifestatasi il 29 maggio, sia definitivamente varato in seconda lettura alla fine di ottobre, con una maggioranza che superi i due terzi dei voti, in modo tale che sia esclusa la possibilità di indire il referendum confermativo.

In tal caso partirebbe subito la procedura di revisione, prima in un Comitato parlamentare di 40 membri e poi nelle aule parlamentari, dove il dibattito è pensato come rapido e formale.

Quanto al tipo di cambiamento, si va dalla forma di Stato, alla forma di Governo, al numero dei Parlamentari, al bicameralismo, fino alla corrispondente legge elettorale, mentre si affaccia il mito del presidenzialismo. Si tratta di materie in cui le posizioni presenti nel Parlamento e nel Paese sono le più diverse e contrastanti e che il Comitato dei 40 in pochi mesi dovrebbe ricondurre ad unità, in un momento di massima crisi del Paese e di minore corrispondenza, dal punto di vista rappresentativo, tra l’elettorato ed il Parlamento eletto con la legge “Porcellum”. La stessa legge proposta dal governo mostra di avvertire l'anomalia di un cambiamento della democrazia e dello Stato fatto da una rappresentanza che non rispecchia proporzionalmente le componenti dell’elettorato e che dunque può risolversi nell’imposizione di una minoranza. Infatti la legge stabilisce che il Comitato dei 40 deve essere formato in modo da rispecchiare la proporzione fra i Gruppi, tenendo conto non solo dei loro seggi in Parlamento ma anche dei voti conseguiti alle elezioni politiche: segno che si vede la stortura ma non la si risolve; infatti questa correzione proporzionalistica che per la prima volta misura i rapporti fra i Gruppi parlamentari sulla base dei voti ricevuti e non dei seggi, riguarda solo il momento referente del lavoro del Comitato, ma non riguarda ovviamente il voto d'aula; questo poi avverrà non nella costituzionalmente obbligata doppia lettura a distanza di tre mesi l'una dall'altra, ma con il contingentamento dei tempi e l'arbitraria riduzione di tale intervallo ad un mese. A questo punto rimarrà solo il referendum confermativo, che in ogni caso potrà essere richiesto, ma sarà troppo tardi perché l’elettorato, tormentato da una crisi gravissima e oberato da altri pensieri possa decidere con libertà di coscienza sulla sorte della Repubblica e del suo ordinamento democratico, piuttosto che essere trascinato in una sorta di plebiscito.

Tutto ciò dice come i prossimi 18-24 mesi saranno mesi di passione per la Costituzione e forse la sua ultima prova.

Dov’è allora l’errore? A parte l’errore che è nella cosa stessa, esso sta nel fatto che, anziché offrire, come si vorrebbe, una garanzia di durata al Governo Letta ed alla Grande Alleanza, la partita costituzionale così aperta diventa fonte della loro massima debolezza. Agli occhi di molti la questione diventa infatti il caso serio di una Repubblica democratica e rappresentativa che sta o cade, e quindi attinge un’assoluta priorità a partire dal momento stesso in cui si comincerà a discutere in Parlamento la legge costituzionale di deroga all’art. 138.

Non vi è chi non veda come tra i mezzi per fermare la riforma vi sia la procurata caduta del Governo, la dissoluzione della sua maggioranza e l’insorgere di fratture nell’ambito degli stessi partiti della maggioranza, forse con le inevitabili dimissioni dello stesso Presidente della Repubblica.

I Comitati Dossetti per la Costituzione, per parte loro, si propongono le seguenti azioni:

1) esercitare una “moral suasion” per indurre i partiti di maggioranza del Parlamento – che tutti si richiamano alla democrazia ed alla libertà – a garantire che in seconda lettura la legge grimaldello non sia votata da una Santa Alleanza che raggiunga i due terzi dei voti, in modo che non sia esclusa la possibilità costituzionale del referendum popolare;

2) presentare o promuovere la presentazione, sin da questi mesi estivi, di singole leggi di revisione costituzionale che, su punti specifici, e senza travolgere l’intero ordinamento:

- correggano il sistema bicamerale investendo la sola Camera del rapporto di fiducia col Governo;

- ridefiniscano il rapporto fra Stato, Regioni ed altre autonomie locali, ponendo rimedio alle negative esperienze fatte fin qui;

- ridisegnino il numero dei parlamentari;

- riscrivano l’art. 81;

- stabiliscano un tetto di spesa per le spese militari ed un minimo di spesa per le spese scolastiche e formative;

- introducano il principio del reddito minimo di esistenza vitale;

- enuncino un criterio d’indirizzo sui rapporti fra Italia ed Unione Europea, sopraggiunti dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 1948, criterio basato sul perseguimento dell’unità vera e non solo economica dell’Europa e sulla salvaguardia della personalità, dei valori supremi e della qualità della vita della comunità di tutti gli abitanti della Penisola.

Altri temi specifici, se urgenti, potranno essere oggetto di singoli progetti di legge di revisione costituzionale, tutti sottoponibili, poi, separatamente a referendum popolare.

I Comitati Dossetti per la Costituzione suggeriscono al Governo ed ai partiti veramente desiderosi di un perfezionamento della nostra Costituzione che questa è la strada meno conflittuale col Paese e con la giovane tradizione costituzionale italiana, nonché la più rapida per raggiungere graduali e sicuri risultati di avanzamento istituzionale nella continuità dell’ordinamento democratico.

I Comitati Dossetti, infine, invitano tutte le associazioni, enti, sindacati, comunità culturali e religiose a mantenere vigile l’interesse e la cura per la Costituzione ed i valori che in essa finalmente hanno raggiunto la soglia del diritto obbligante per tutti, e propongono che fin d’ora siano raccolti contributi volontari da depositare in un fondo presso la Banca Etica per far fronte alle future spese dei prevedibili referendum in cui si dovrà combattere la battaglia per la Costituzione.

Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Domenico Gallo, Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Francesco Bilancia, Nicola Colaianni, Alfonso Di Giovine, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Alessandro Pizzorusso, Armando Spataro, Gustavo Zagrebelsky, Francesco Di Matteo, Tommaso Fulfaro, Sandro Baldini, Maurizio Serofilli, Luisa Marchini, Barbara Romagnoli, Beppe Giulietti, Francesca Landini, Associazione “Salviamo la Costituzione: aggiornarla non demolirla”... E ALTRI...

Il documento è aperto alle firme di altri giuristi associazioni e cittadini; chi voglia sottoscriverlo può farlo al link http://www.economiademocratica.it/ oppure al link http://www.comitatidossetti.it/ utilizzando l’apposito spazio dei commenti, anche semplicemente scrivendo "aderisco".

venerdì 21 giugno 2013

martedì 11 giugno 2013

LA DESTRA HA PERSO. IL PD CHIUDA L'INCIUCIO COL PDL

La destra ha perso. Il Pd chiuda l'inciucio col Pdl
La destra ha perso pesantemente le elezioni: cosa aspetta il PD a chiudere l'inciucio con Berlusconi e a dar vita ad un governo di progresso puntando sulla convergenza con i gruppi parlamentari del Movemento 5 Stelle? Questo è il momento per scrivere la parola fine sul berlusconismo e dare una risposta alla domanda di cambiamento che emerge chiaramente dal paese. La sconfitta della destra e la dialettica aperta nel M5S aprono questa possibilità. Se non ora quando?


domenica 9 giugno 2013

ROSSANDA - PERCHE' CAMBIARE LA COSTITUZIONE?

Perché cambiare la Costituzione?

di Rossana Rossanda

Credo che nessuna delle democrazie europee abbia furia di cambiare la propria Costituzione come l’Italia. Uno apre il giornale e trova un giorno sì e un giorno no l’annuncio di modifiche urgenti. Sabato scorso, il Presidente della Repubblica ci ha informato che vigilerà sui tempi dei cambiamenti, che auspica molto rapidi; anche se in un sistema come il nostro, a dire il vero, il suo compito non sarebbe vigilare sui tempi dei cambiamenti ma sulla fedeltà e permanenza della legge fondamentale sulla quale è stata incardinata la nostra Repubblica.
È dunque da discutere, prima di ogni altra cosa, se i cambiamenti siano necessari oppure, al contrario, rappresentino un vulnus all’immagine fondamentale che ci siamo dati dopo il fascismo. Che cosa sarebbe cambiato nella nostra società al punto da dover mutare i principi stabiliti nel 1948? In verità, come si vede facilmente, è cambiato soprattutto il punto di vista dominante sulla struttura sociale, come se il trionfo del neoliberismo su un impianto che era, come dovunque in Europa, piuttosto keynesiano, comportasse non l’adeguamento delle leggi normali ai principi costituzionali – come dovrebbe essere – ma il contrario. È un problema, anzi – diciamolo – una “malattia” che dovrebbe farci riflettere.
Di fatto, la prima parte della Costituzione del 1948, mancando perlopiù di una regolamentazione legislativa, resta puramente ottativa: che l’Italia sia una repubblica fondata sul lavoro non è che un auspicio, come il diritto di ciascuno ad avere un impiego o una casa. La prima Repubblica ha vissuto al proprio interno lo scontro fra chi voleva rendere effettivi questi principi e chi vi si opponeva; sono rimasti in gran parte irrealizzati. La seconda o terza Repubblica (dipende dai punti di vista) si dà da fare sia a destra sia a sinistra per modificare la seconda parte della Costituzione, cioè l’assetto istituzionale italiano. Già lo ha fatto sul Capitolo V un governo di centrosinistra e adesso quello delle “larghe intese” sembra tutto tentato nientemeno che dal presidenzialismo, preferibilmente “alla francese”, perché sembra meno rigido, in quanto obbliga il presidente, eletto a suffragio universale, ad avere però l’accordo del parlamento, anche se eletto da una maggioranza diversa.
In verità quella francese, ideata da De Grulle, è un monarchia sotto veste repubblicana, abbastanza laica, ma nella quale onori e oneri del presidente sono evidentissimi. Probabilmente De Gaulle li ha voluti per fare la pace in Algeria senza dover passare dalle Camere, come Mitterrand ha abolito la pena di morte. Ma ne è conseguita, e permane, una diminuzione clamorosa del ruolo del parlamento. Se l’Italia deve seguire questa strada, mi sembra elementare che si debba discuterne, almeno quanto ne discussero i padri costituenti; non sarebbe decente che le “larghe intese” fra due o tre grossi partiti decidessero tutto.
Per conto mio, da semplice cittadina che viene da lontano, penso che la discussione vada aperta subito e sono lontana dal credere che il presidenzialismo sia una buona soluzione a problemi e scogli tutti politici, e niente affatto istituzionali. È persino stupefacente che oggi molti movimenti e tutti i partiti, non solo i Cinque stelle, domandino il massimo del riavvicinamento della politica ai cittadini e il massimo del potere nelle mani di uno solo, come sarebbe il presidente. È il paradosso dell’odierna confusione che regna. E si deve al fatto che i partiti, considerati dalla Costituzione canali necessari della rappresentatività, sono diventati all’opposto il collo di bottiglia attraverso il quale è costretta la rappresentanza, con i relativi difetti e quando non l’illegalità. Contro se stessi, i partiti non hanno finora accettato di darsi degli statuti e delle regole che ne garantiscano realmente la trasparenza, ma potrebbero darseli.
Questo vale anche per il finanziamento che potrebbe essere non solo ridotto, ma soprattutto tale da garantire al sistema partitico di rinnovarsi, invece che, come ora, riprodurre soltanto i più forti. Come può presentarsi oggi un partito nuovo? Sono le elezioni che ne confermano o smentiscono la legittimità e il ruolo, tutta la questione del “voto utile” si impaluda qui; se in partenza ad ogni elezione i diversi partiti sono in una diversa posizione di forza e di mezzi, è evidente che ogni competizione viene falsata: nessuna gara sportiva accetterebbe un sistema analogo. Per cui abbiamo pochi grandi partiti difficilissimi da intaccare e piccole formazioni che non riescono ad affermarsi oppure – variante che preoccupa gli uni e gli altri – spinte populiste, del tutto aliene da qualsiasi regola, generalmente nelle mani di un paio di capi, più o meno carismatici, schiamazzanti e incontrollati.
La difficoltà di darsi una legge elettorale che non sia l’attuale capolavoro di Calderoli viene da questa situazione preliminare. È sorprendente come la si accetti, quasi fosse una necessità e non una violazione di quel principio costituzionale per il quale ogni cittadino è uguale nel voto e dovrebbe quindi essere uguale nel diritto a farsi rappresentare. Da un bel po’ di anni, sia a destra sia a sinistra questo principio è stato abbattuto dalla priorità data al concetto di “governabilità”: in parole povere, esso significa passar oltre alla rappresentanza integrale per assicurare artificialmente, attraverso sbarramenti o premi, a una minoranza espressa dal voto una maggioranza di seggi nelle istituzioni legislative. Che non si riesca, perché da quasi nessuna parte lo si vuole, neppure a ridurre il premio di maggioranza attuale, che sposta del tutto la rappresentanza, appare addirittura sorprendente. Di che democrazia stiamo parlando? L’Italia è realmente una democrazia parlamentare o una oligarchia formata dai vertici di alcuni grandi partiti, che dominano le istituzioni? Una come me pensa che i partiti siano necessari per raggruppare e ordinare le diverse idee di società e le misure legislative che ne conseguono; ma non sono affatto la democrazia in sé. Questo è il problema principale di oggi, e implica che ci si confronti di nuovo su cosa intendiamo per democrazia nel 2013. Il documento di Fabrizio Barca, che nessuno in Parlamento discute, affronta in modo interessante il passaggio – che sembra obbligato – fra democrazia rappresentativa e formazione dello stato. Passaggio che sarebbe eliminato se si riconoscesse la differenza radicale fra ruolo dei partiti e ruolo, anzi natura, dello stato.
Fin qui il cambiare o mantenere la Costituzione sembra un tema che riguarda gli assetti istituzionali, che pure sono essenziali, ma non si tratta solo di questi. L’intera struttura dei diritti sociali ne dipende, giacché è evidente che quel che chiamiamo un po’ approssimativamente il welfare si esprime in modo diverso secondo le diverse ideologie, cioè la coscienza di sé e la proposta di assetto istituzionale e di società che avanzano le diverse parti politiche e “sociali”. L’ideologia capitalista tende a ridurre il welfare, cioè i diritti vitali dei cittadini rispetto non soltanto allo stato ma ai poteri economici; la sinistra più o meno socialisteggiante tende, anzi – per la verità – tendeva, ad allargarli; l’ideologia “liberale” a restringerli.
Ne deriva un’idea diversa, per non dire antagonista, delle principali regole economiche: la destra vuole ridurre al minimo la fiscalità, intesa come presenza di uno stato regolatore con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze. La sinistra tende ad ampliarla in senso progressivo (con l’eccezione dell’ipotesi comunista, che anch’essa sarebbe in linea di principio antistatalista, ma in concreto non è mai riuscita ad esserlo, cioè ad esprimere un sistema di regole che non siano “lo stato”). Lo stesso ragionamento vale per la politica “economica”: la destra la vuole lasciare interamente alla mano invisibile del mercato, la sinistra la vorrebbe (la voleva) capace di raddrizzarne le disuguaglianze in nome di un primato dell’equità sociale (quanto questo concetto sia vago è un altro discorso).
Inutile dire che le altre politiche “sociali” ne conseguono. Predicare che fra di esse debbano prevalere “le larghe intese” significa presumere l’esistenza di un interesse comune che in realtà non esiste e, nella migliore delle ipotesi, lasciare le cose come sono, cioè, in Italia, a una vasta predominanza degli interessi costituiti del capitale, oggi dominato dalla finanza; interessi che – ormai è chiaro – non significano neppure garanzia di una crescita produttiva, magari crudele ma sicura. Ecco come agli occhi di una semplice cittadina si presenta il tema delle riforme istituzionali e in esse del presidenzialismo. Vale la pena, anzi è urgente, discuterne nel modo più chiaro e più a fondo. Può darsi infatti che le stesse premesse da cui la sottoscritta cittadina parte siano da discutere; ma allora bisogna farlo nel modo più esplicito.
da sbilanciamoci

sabato 8 giugno 2013

IL MAGGIORITARIO UCCIDE LA DEMOCRAZIA



«Il maggioritario uccide la democrazia. La governance? Una cretinata»

Intervista allo storico Luciano Canfora


Nel suo ultimo lavoro "La trappola" lei punta l'indice sul sistema elettorale maggioritario indicato come origine di quasi tutti i mali che hanno afflitto la vita politica italiana nell'ultimo ventennio.

Dal 1993 nel nostro paese vige un sistema elettorale che distorce completamente la volontà popolare. In fondo era proprio questo il senso di quell'operazione, ossia dava fastidio l'idea che ci fosse una rappresentanza parlamentare di forze minoritarie, di opposizione radicale. Non bastava più detenere il potere in forma piena, ma bisognava cacciare dal Parlamento qualunque voce non omologata e la via più elegante era quella del maggioritario, fondato su un principio assolutamente cretino che si chiama "governance", che detto in inglese fa più effetto. Invece, piaccia o non piaccia, il compromesso tra forze diverse è l'unico modo per dare voce alla maggior parte dei cittadini.

I sostenitori del sistema bipolare-maggioritario le potrebbero obiettare che quest'ultimo è stato partorito da un referendum e quindi dalla volontà popolare.

Anche Benito Mussolini nel '29 ebbe un plebiscito referendario autentico. Il referendum del '93 è stato architettato dai vertici politici dei partiti principali. Quando il Pds ex Pci si convertì al bipolarismo pensando di vincere al tavolo da gioco le successive elezioni tutta la macchina di propaganda culturale, politica e giornalistica di quel partito si mise a suonare le campane a favore del maggioritario e portarono alle urne grandi milioni di persone raccontandogli una grossa menzogna.

Quale?

Che il sistema proporzionale frantuma la rappresentanza e tende a favorire accordi sottobanco tra i partiti. Ricordare che gli elettori hanno scelto è un'ovvietà, è come dire che l'acqua è bagnata, in realtà gli elettori scelsero come furono portati a scegliere, furono pilotati, martellati e oprati alle urne. Che l'elettorato possa compiere scelte sbagliate è evidente e la Storia ci fornisce diversi esempi.

In teoria il Porcellum sarebbe un sistema proporzionale

Solo in teoria poiché nel momento stesso in cui si introducono i concetti di quorum e di premio di maggioranza siamo all'interno di una cornice maggioritaria.

Come è cambiata la politica italiana in questo ventennio?

Continuiamo a dire le cose ovvie perché è molto utile. Il maggioritario qualunque ne sia la forma e qualunque ne sia la regola, impone all'elettore due strade. O votare per un partito che non gli piace, il cosiddetto "turarsi il naso" o addirittura lo spinge a non votare. Da vent'anni noi stiamo percorrendo entrambe le strade, l'astensione aumenta in modo vertiginoso, ultimo esempio le comunali di Roma dove la metà degli aventi diritto è rimasta a casa. E al tempo stesso, attraverso il ricatto del voto utile, costringiamo gli elettori a scegliere partiti lontani dalle proprie idee e convinzioni, alimentando la disaffezione per la politica. Quando ci viene scioccamente detto che le cosiddette grandi democrazie hanno intrapreso questa strada, si può citare l'America dove la gran parte degli elettori non va alle urne. Stessa musica per la Svizzera dove nelle varie tornate si ha un'affluenza di circa il 25-30%. Dire che questa è una prova di maturità per la democrazia è il colmo della stupidità.

In Francia si vota un po' di più

Chi conosce la Storia sa benissimo che il doppio turno alla francese fu introdotto dal generale De Gaulle per far scomparire il partito comunista il quale con lo stesso numero di voti passò da 150 a dieci deputati, favorendo l'ascesa del più moderato partito socialista. Se io alleno l'elettore a votare al secondo turno un partito che non ne rispecchia le idee è come se gli suggerissi implicitamente di votare quel partito anche al primo turno, cancellando così le forze politiche che danno più fastidio. Quando De Gaulle arrivò al potere con il colpo di Stato del 13 maggio 1958, la prima misura che prese fu il cambiamento della legge elettorale allora proporzionale. La stessa cosa che fece Mussolini con la legge Acerbo che introdusse il maggioritario.

In queste settimane le forze politiche italiane parlano molto di presidenzialismo come fosse il compimento naturale del maggioritario

Attenzione, maggioritario e presidenzialismo spesso vanno a braccetto ma sono due cose diverse. In Italia una simile opzione sarebbe inaccettabile, basti pensare al fatto che il presidente della Repubblica è anche il capo del Consiglio superiore della magistratura. Immaginare che una figura di parte, cioè eletta soltanto da una parte delle forze politiche presieda il più importante organo giudiziario del paese lo può desiderare soltanto un mentecatto. Purtroppo queste ragioni di evidente chiarezza e buon senso non bastano se la macchina informativa procede nel senso contrario. Siamo giunti al principio di rifiuto del suffragio universale; tutta la lotta per costruire la democrazia dalla fine del 700 all'inizio del 900 ha ruotato attorno alla conquista del suffragio universale. Dato che oggi quel principio da fastidio, si cerca di mutarne gli effetti.

Come si esce da questa crisi della rappresentanza? Ritiene opportuno un ritorno della legge proporzionale in vigore durante la prima repubblica?

Ahimé non si tratta di decisioni soggettive che gruppi di persone possono prendere autonomamente, il problema riguarda i rapporti di forza nella realtà politica e nella realtà sociale. Nel nostro paese si sta smantellando lo Statuto dei lavoratori, si è svilito l'articolo 18, si è calpestato il principio del suffragio universale, il che significa che la lotta di classe favorisce i potenti e sfavorite le classi più deboli. Quando cambieranno i rapporti di forza cambieranno anche queste storture istituzionali.

Quanto ha da rimproverarsi la sinistra, anche quella situata a sinistra del Pd, prima vittima della deriva maggioritaria?

Tutto, a cominciare dalla sua incapacità di fare politica. C'è da compiere un duro lavoro di ricostruzione, nella cultura, nella comunicazione, nella scuola. Chi se la sente dovrebbe entrare nei partiti già esistente e fare battaglia al loro interno. Se mi consente una battuta siamo alla vigilia degli Stati generali, ossia siamo tornati indietro di due secoli e mezzo.

Daniele Zaccaria

martedì 4 giugno 2013

SEMINARIO A MILANO LA CRISI ITALIANA E L'EUROPA - COME USCIRNE DA SINISTRA?

LA CRISI ITALIANA E L’EUROPA


COME USCIRNE DA SINISTRA?

6 GIUGNO 2013

VIA SPALLANZANI 6 - MILANO

PRESSO CIRCOLO CONCETTO MARCHESI

ORE 18 – 23

SEMINARIO DIBATTITO

CON

ROTA - Segretario Regionale FIOM

AGNOLETTO già parlamentare europeo

MARCUCCINI  - PCF Front de gauche Francia

FERRERO - Segretario PRC

domenica 2 giugno 2013

VIMODRONE FESTA DELLA REPUBBLICA 2 GIUGNO CON ONIDA

L'amministrazione comunale di Vimodrone consegna la Costituzione ai giovani 18enni tramite Valerio Onida in occasione della festa del 2 giugno 2013.


RIFONDAZIONE RIPARTE DAI CIRCOLI...

Rifondazione riparte… dai Circoli e dall’Inchiesta


di Marco Gelmini -

Sabato 1 giugno si svolgeranno le Assemblee delle/dei segretarie/i di circolo di Rifondazione Comunista. Per favorire la partecipazione, rispondendo anche alla necessità di ridurre gli spostamenti e i costi conseguenti, le Assemblee si articoleranno territorialmente: a Milano per il Nord, a Roma per il Centro, a Napoli per il Sud.

Ciò segue analoghe iniziative svolte il 19 maggio in Sicilia e in Sardegna. Queste assemblee si inseriscono nel percorso congressuale straordinario, deciso dal Comitato politico nazionale, che si concluderà entro l’anno e che si sta articolando con i seminari tematici promossi dalla Commissione politica già insediata, con gli attivi regionali, le assemblee e le riunioni degli organismi di circolo e di federazione che si sono svolte all’indomani delle elezioni politiche.

Le assemblee delle/dei segretarie/i di circolo sono importanti sia come momento di “ascolto” del Partito, dei dirigenti, dei militanti, delle realtà di base che rappresentano il punto di forza di Rifondazione, sia come momento di confronto e orientamento sulla proposta di rilancio di Rifondazione e della ricostruzione di una sinistra alternativa anche nel nostro Paese.

Sinistra alternativa che, come dimostrano anche le recenti elezioni amministrative, può articolarsi mettendo in rete le esperienze territoriali, in modo unitario e partecipato, capace di avanzare proposte in grado di rispondere anzitutto alla crisi sociale che interessa il nostro Paese e l’Europa.

Su questo è bene che emerga un piano di lavoro, di iniziative precise che consentano al Prc ed alle forze della sinistra di misurarsi con proposte concrete e la costruzione di consenso, condivisione, messa in campo di forze.

Queste assemblee sono state precedute dall’avvio di una “Inchiesta sul Partito” che tende a ricostruire con maggior dettaglio la presenza e la qualità dell’azione diffusa del Prc.

E’ utile precisare a chi si rivolgono queste Assemblee, cioè quali sono le articolazioni del Prc:

• dal congresso del dicembre 2011 emerge una articolazione in 1.415 circoli (605 al Nord, 440 al Centro, 254 al Sud, 59 in Sicilia e 57 in Sardegna sulla base delle suddivisioni regionali precedentemente indicate per lo svolgimento delle Assemblee)

• gli iscritti al 31/12/2012 sono 31.901 (per ulteriori dati è possibile consultare le tabelle e i grafici che trovate in fondo).

Rifondazione da sola, lo abbiamo sempre detto, non è certo forza sufficiente, ma questi dati segnalano un importante radicamento che si traduce nella presenza attiva del Prc in tutte le lotte.

Mettere a valore la risorsa delle/dei nostri militanti è il primo modo concreto per cambiare noi stessi e contribuire alla ricostruzione di una sinistra che abbia nei comunisti un punto di forza.

Grazie per le visite!
banda http://www.adelebox.it/